martedì 30 giugno 2009

MAFIA VIDEO CRIMINI DELITTI DI MAFIA CAMORRA NDRANGHETA FOTO



VITTIME DELLA MAFIA - Victims of the Mafia



VITTIME DELLA MAFIA II PARTE - Victims of the Mafia II



Mafia Arresti Eccellenti 2009



DELITTI di MAFIA Crimes of the Mafia





Cosca dei Pidocchi "Gang of the Lice"





L'ULTIMO BOSS " ULTIMI MOHI...CANI "




MAFIA " COSCA dei PIDOCCHI "
BOSS-KILLER-PENTITI-LATITANTI




LATITANTI RICERCATI WANTED MAFIA
CAMORRA NDRANGHETA


lunedì 22 giugno 2009

Mafia: Confiscati Beni Per 2 Mln Euro a Presunto Boss


Mafia: Confiscati Beni Per 2 Mln Euro a Presunto Boss

Palermo, 22 giu. - (Adnkronos) - La Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo, concordando con le risultanze investigative prodotte dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Palermo, ha disposto nei confronti di Girolamo Buscemi la confisca dei beni gia' sottoposti a sequestro, per un valore complessivo di circa 2 milioni di euro, dei quali non e' stata dimostrata la legittima provenienza.

L'uomo era stato tratto in arresto nel dicembre del 2002, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del Tribunale di Palermo, per aver fatto parte dell'associazione mafiosa "quale uomo d'onore della famiglia mafiosa di Passo di Rigano e Boccadifalco ed in particolare per essere intervenuto per l'aggiudicazione di subappalti da parte di imprese riconducibili ad esponenti di cosa nostra e per aver mantenuto molteplici contatti con altri esponenti mafiosi finalizzati alla gestione illecita di forniture per appalti pubblici".

L'ingente patrimonio confiscato e' costituito dall'intero capitale sociale e complesso di beni aziendali della ''Scavi e Costruzioni di Buscemi Girolamo e c. S.a.s.'', con sede a Palermo; da una villa con circostante terreno di mq. 1.300 circa sita in Partinico; da un'altra lussuosa villa con piscina di mq. 300 a tre elevazioni, a Palermo in localita' Gebbia di Baida, con circostante terreno di mq. 3.000 circa.

Mafia, 20 ordinanze di arresto in Lombardia


Mafia, 20 ordinanze di arresto in Lombardia

Venti ordinanze di custodia cautelare sono state emesse nei confronti di un gruppo accusato di associazione di stampo mafioso di origine calabrese attivo in Lombardia.

Lo riferisce la polizia di Lecco, che sta eseguendo gli arresti.

L'indagine è condotta in collaborazione con la squadra mobile e con la Guardia di Finanza di Milano.

Gli arrestati sono accusati di aver fatto parte di una associazione di tipo mafioso di origine calabrese, finalizzata alla commissione di reati contro il patrimonio, traffico di droga e numerosi altri reati.

Ulteriori dettagli saranno resi noti nel corso della conferenza stampa che si terrà alle 11

domenica 21 giugno 2009

Arrestato in Venezuela capomafia Miceli


Arrestato in Venezuela capomafia Miceli

I carabinieri e l'Interpol hanno arrestato in Venezuela un boss della mafia siciliana che era inserito nella lista dei 30 ricercati più pericolosi. Lo riferisce il sito del ministero dell'Interno.

Salvatore Miceli, 63 anni, è stato arrestato dai militari a Caracas nella notte.

L'uomo era ricercato dal 2001 "per associazione di tipo mafioso finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti ed altro", dice il sito del Viminale.

Dal marzo del 2006 era ricercato anche all'estero.

L'operazione, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, è stata condotta dai carabinieri del comando di Trapani.

Secondo il senatore democratico Giuseppe Lumia, ex presidente della commissione parlamentare Antimafia "la cattura del boss Miceli è un duro colpo per Cosa nostra".

Per il parlamentare, Miceli è "un uomo di Matteo Messina Denaro che ha sempre curato i grossi traffici internazionali di droga, insieme con la Nrangheta e attraverso contatti diretti con i cartelli colombiani.

Messina Denaro è indicato come l'esponente più importante della Mafia siciliana, dopo la serie di arresti degli ultimi anni che hanno colpito la "cupola" di Cosa Nostra.


Mafia:arrestato in Venezuela superlatitante Salvatore Miceli

TRAPANI - Il capomafia di Salemi Salvatore Miceli, inserito nell'elenco dei 30 latitanti piu' pericolosi, e' stato arrestato a Caracas, in Venezuela, dai carabinieri del comando provinciale di Trapani in collaborazione con l'Interpol. Il boss, considerato un elemento di spicco del narcotraffico internazionale, era ricercato dal 2001, in seguito a una condanna per associazione mafiosa e traffico internazionale di stupefacenti divenuta definitiva. L'indagine che ha portato all'individuazione e alla cattura di Miceli e' stata coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. Nel maggio del 2003 la polizia aveva arrestato, nell'ambito di un'operazione antidroga, anche la moglie di Miceli, Veronica Dudzinski, e i figli Ivano e Mario. Il boss di Salemi era stato inoltre intercettato nel 2000 con Pino Lipari, il 'consigliori' di Bernardo Provenzano, che lo 'investiva' ufficialmente per gestire un traffico internazionale di stupefacenti. Salvatore Miceli, 63 anni, e' nipote del defunto boss Salvatore Zizzo, il capomafia di Salemi, morto nel 1981. Arrestato a Palermo, assieme ad altre 22 persone, nel marzo del 1983, nell'ambito di un'operazione congiunta tra carabinieri, polizia e finanza, Miceli, gia' all'epoca, era destinatario di un provvedimento restrittivo emesso dalla magistratura statunitense. Fini' nuovamente in carcere nell'ottobre del '90, su provvedimento dell'allora procuratore di Marsala, Paolo Borsellino, che si avvalse delle dichiarazioni della collaboratrice di giustizia Giacoma Filippello. Quest'ultima indico' Miceli come un narcotrafficante di Cosa Nostra. Il boss trapanese e' considerato dagli investigatori come uno dei piu' fidati referenti del boss latitante Matteo Messina Denaro, nonche' intermediario tra i clan di Cosa Nostra e della 'Ndrangheta ed i cartelli colombiani della cocaina. Un altro referente del capomafia, Francesco Termine, pure lui narcotrafficante, fu arrestato, sempre in Venezuela, dalla squadra mobile di Trapani nell'ottobre di due anni fa.

Il boss di Salemi, Salvatore Miceli, e' stato bloccato - quando in Italia erano le 4 del mattino - all'uscita del lussuoso albergo Hotel Caracas Cumberland. Agli investigatori, parlando in spagnolo, ha fornito un nominativo falso. Quando il boss ha pero' capito che, tra i gendarmi che lo avevano circondato, c'erano pure due carabinieri (due marescialli del reparto operativo del comando provinciale di Trapani) e' sbiancato in volto. Non appena giunto nel piu' vicino posto di polizia, ancor prima di sottoporsi alla prova delle impronte digitali, Miceli ha ammesso la propria identita'. I carabinieri ritenevano di avere individuato il superlatitante da quattro giorni. Sono pero' entrati in azione, assieme all'interpol e alla polizia venezuelana, solo quando hanno avuto la certezza che si trattasse proprio del boss. L'ultima foto segnaletica risaliva infatti al 1993 ed oggi il suo aspetto fisico e' molto cambiato. Il boss, anche se non sospettava di essere braccato, aveva adottato una serie di tattiche per contrastare i possibili pedinamenti: ''cambiava look piu' volte al giorno - racconta uno degli ufficiali dell'Arma che ha coordinato l'operazione - e cambiava di frequente anche gli alberghi, dai quali entrava ed usciva di continuo''.

Gli investigatori ritengono che, negli ultimi mesi, Salvatore Miceli abbia compiuto un ulteriore salto di qualita', diventando il punto di riferimento, il collettore tra Cosa Nostra siciliana e i narcos del Sud America. L'operazione che ha portato all'arresto di Miceli e che potrebbe avere ulteriori sviluppi nelle prossime ore, rientra nell'ambito di un progetto investigativo dei carabinieri per disarticolare la rete transnazionale del narcotraffico. Il salto di qualita' di Miceli, gia' considerato un importantissimo anello di congiunzione tra la mafia e la 'ndrangheta, e' evidenziato dai risultati dell'indagine: Miceli, negli ultimi mesi ha fatto in continuazione la spola tra Venezuela, Colombia e Stati Uniti. (ANSA)

martedì 16 giugno 2009

Blitz antimafia a Trapani




Blitz antimafia a Trapani

TRAPANI - Favorivano i contatti fra il boss latitante trapanese, Matteo Messina Denaro, e alcuni esponenti di vertice di Cosa nostra palermitana, fornendogli pure falsi documenti. Per l'accusa sono i componenti di una fitta rete di favoreggiatori che da anni copre il capomafia di Trapani, accusato di omicidi e stragi, ricercato da 16 anni, che avrebbe coperture anche a Roma.

Per questi fatti gli agenti del Servizio centrale operativo (Sco) e delle Squadre mobili di Trapani e Palermo hanno eseguito 13 ordini di custodia cautelare in carcere emesse dal gip del tribunale di Palermo.

I provvedimenti sono stati richiesti dal procuratore aggiunto Teresa Principato e dai sostituti della Dda, Paolo Guido, Roberto Scarpinato e Sara Micucci, e sono stati eseguiti nelle province di Trapani, Palermo, Roma e Piacenza. Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, traffico di stupefacenti e trasferimento fraudolento di società e valori.

Vengono colpiti i mandamenti mafiosi di Trapani e Castelvetrano, riconducibili a Matteo Messina Denaro. Nell'operazione sono impegnati oltre 300 uomini della polizia di Stato. L'operazione viene denominata "Golem".

Nella rete di favoreggiatori che avrebbe coperto la latitanza di Matteo Messina Denaro vi è anche un cugino del boss trapanese ricercato da 16 anni. Uno dei provvedimenti cautelari dell'operazione "Golem" riguarda anche lui. L'uomo, secondo gli inquirenti, avrebbe anche imposto il pagamento di tangenti ad imprenditori. Dall'inchiesta emerge inoltre la scoperta di un traffico di droga tra Roma e il territorio trapanese organizzato dalle famiglie mafiose, i cui componenti agivano in nome e per conto di Messina Denaro.

GLI ARRESTATI. I provvedimenti cautelari riguardano: Vito Angelo, di 45 anni, arrestato a Piacenza; Leonardo Bonafede, di 77 anni, di Campobello di Mazara; Giuseppe Bonetto, di 54, imprenditore di Castelvetrano; Lea Cataldo, di 46, di Campobello di Mazara; Salvatore Dell'Aquila, di 48; Leonardo Ferrante, 54 anni; Franco e Giuseppe Indelicato, di 40 e 36; Aldo e Francesco Luppino, di 62 e 53; Giovanni Salvatore Madonia, di 44; Mario Messina Denaro, di 57, imprenditore caseario, cugino del boss latitante Matteo, e Domenico Nardo, di 50, residente a Roma.

BENI SEQUESTRATI. Oltre all'esecuzione dei 13 ordini di custodia cautelare, gli investigatori della polizia di Stato stanno provvedendo anche al sequestro di beni riconducibili all'organizzazione.

LE PERQUISIZIONI. I boss trapanesi detenuti, molti dei quali sottoposti al carcere duro previsto dal 41 bis, riuscivano a far arrivare all'esterno del carcere messaggi che erano anche diretti al latitante Matteo Messina Denaro. Proprio per questo collegamento fra dentro e fuori il carcere, sono in atto perquisizioni in 15 istituti di pena, con la collaborazione del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, nei confronti di 37 detenuti trapanesi, che risultano in contatto con gli indagati dell'inchiesta "Golem".

Mafia: Arresti Trapani, In Carcere Anche Padre Ex Fidanzata Andrea Roncato

Palermo, 16 giu. - (Adnkronos) - C'e' anche Domenico Nardo, romano di 50 anni, tra le tredici persone arrestate all'alba di oggi dalla Polizia e dallo Sco nell'ambito dell'operazione 'Golem', che ha scoperto una fitta rete di fiancheggiatori del boss latitante Matteo Messina Denaro. Nardo, titolare della World protection, un'agenzia che offre guardie del corpo a starlet del cinema e a veline, e' il padre di Alessandra Nardo, la showgirl ventiquattrenne che fino a un anno fa era fidanzata con l'attore comico Andrea Roncato. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, Domenico Nardo, detto 'Mimmo' sarebbe uno degli "uomini di fiducia" del boss Messina Denaro, latitante dal 1993.

L'attivita' svolta nei confronti della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara (Trapani), ha consentito agli inquirenti di individuare nel pregiudicato romano Nardo "la persona alla quale Messina Denaro si e' affidato per la falsificazione dei suoi documenti d'identita'". L'uomo, sebbene condannato per aver favorito, nel 1996, la latitanza del killer campobellese Raffaele Urso, grazie al fatto di risiedere a Roma "ha, negli anni, proseguito nell'attivita' di sostegno riservatissimo alle attivita' criminali della famiglia mafiosa di Campobello - spiegano i magistrati - e, soprattutto, ai latitanti di quell'area".

"E' stato possibile ricostruire, infatti, come Nardo - dicono gli investigatori - non solo sia stato il 'tipografo' di Messina Denaro, ma abbia anche fornito documenti falsi ad altri soggetti, tra cui l'altro killer campobellese Vincenzo Spezia che, nel 1995, proprio grazie ad un passaporto falso fornito da Nardo, si era potuto rifugiare in Venezuela". Non solo. "Nardo, nell'estate del 2008, aveva partecipato ad un vero e proprio 'summit' mafioso con il boss Leonardo Bonafede - dicono ancora gli inquirenti - nel corso del quale erano stati affrontati diversi argomenti, tra cui alcuni 'favori' da realizzare nell'interesse di Messina Denaro, piu' volte rimandato nel tentativo, rilevatosi vano, di evitare che le Forze di Polizia ne potessero avere contezza".


Mafia: Vizzini (Pdl), Mio Collaboratore Indagato Sara' Allontanato Da Segreteria

Palermo, 16 giu.- (Adnkronos) - "Sono sorpreso, ma e' evidente che Achille Felli non potra' piu' collaborare con la mia segreteria politica, sara' allontanato". E' quanto dice all'ADNKRONOS il senatore Carlo Vizzini (Pdl), dopo avere appreso dell'iscrizione nel registro degli indagati dell'ex finanziere, oggi in pensione, Achille Felli, suo collaboratore presso la segreteria politica di Palermo. Felli, indagato con altre 17 persone nell'ambito dell'indagine che oggi ha portato all'arresto di tredici presunti fianchiegiatori del boss latitante Matteo Messina Denaro, e' accusato di favoreggiamento aggravato per avere intrattenuto "rapporti confidenziali - come spiegano gli investigatori - con soggetti vicini a Cosa nostra".

"Conosco Felli - spiega Vizzini - da quando lavorava in Finanza, e' un collaboratore saltuario che svolgeva piccolo compiti, come rispondere al telefono. Certo non svolgeva mansioni politiche. Questo fatto mi giunge nuovo, non ne so assolutamente nulla".

Mafia: Boss Latitante Messina Denaro, Restero' Nella Mia Terra Per Aiutare Gli Amici

Palermo, 16 giu. - (Adnkronos) - "... io non andro' mai via di mia volonta', ho un codice d'onore da rispettare. Lo devo a Papa' e lo devo ai miei principi, lo devo a tanti amici che sono rinchiusu e che hanno ancora bisogno, lo devo a me stesso per tutto quello in cui ho creduto e per tutto quello che sono stato". A parlare e' il boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro, che in un 'pizzino' - ritrovato tempo fa - aveva rassicurato con queste frasi i suoi amici detenuti.




Camorra, "pizzo" ai commercianti: 15 arresti a Napoli

La polizia ha arrestato stamattina a Napoli 15 persone considerate esponenti di un clan camorristico, accusate di aver imposto il "pizzo" ai commercianti.

Lo riferisce una nota.

La Squadra mobile di Napoli ha eseguito le 15 ordinanze di custodia cautelare a carico di presunti esponenti del clan Sarno, accusati di imporre forti tangenti ai commercianti del quartiere Mercato, nel centro storico di Napoli.

Il provvedimento è stato emesso dalla Direzione distrettuale antimafia (Dda).

Mafia:scoperta rete che copriva boss Messina Denaro, arresti


Mafia:scoperta rete che copriva boss Messina Denaro, arresti

TRAPANI - Favorivano i contatti fra il boss latitante trapanese, Matteo Messina Denaro, e alcuni esponenti di vertice di Cosa nostra palermitana, fornendogli pure falsi documenti

Per l'accusa sono i componenti di una fitta rete di favoreggiatori che da anni copre il capomafia di Trapani, accusato di omicidi e stragi, ricercato da 16 anni, che avrebbe coperture anche a Roma. Per questi fatti gli agenti del Servizio centrale operativo (Sco) e delle Squadre mobili di Trapani e Palermo hanno eseguito 13 ordini di custodia cautelare in carcere emesse dal gip del tribunale di Palermo.

I provvedimenti sono stati richiesti dal procuratore aggiunto Teresa Principato e dai sostituti della Dda, Paolo Guido, Roberto Scarpinato e Sara Micucci, e sono stati eseguiti nelle province di Trapani, Palermo, Roma e Piacenza. Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, traffico di stupefacenti e trasferimento fraudolento di societa' e valori. Vengono colpiti i mandamenti mafiosi di Trapani e Castelvetrano, riconducibili a Matteo Messina Denaro. Nell'operazione sono impegnati oltre 300 uomini della polizia di Stato. L'operazione viene denominata ''Golem''.

Nella rete di favoreggiatori che avrebbe coperto la latitanza di Matteo Messina Denaro vi e' anche un cugino del boss trapanese ricercato da 16 anni. Uno dei provvedimenti cautelari dell'operazione ''Golem'' riguarda anche lui. L'uomo, secondo gli inquirenti, avrebbe anche imposto il pagamento di tangenti ad imprenditori. Dall'inchiesta emerge inoltre la scoperta di un traffico di droga tra Roma e il territorio trapanese organizzato dalle famiglie mafiose, i cui componenti agivano in nome e per conto di Messina Denaro. Oltre all'esecuzione dei 13 ordini di custodia cautelare, gli investigatori della polizia di Stato stanno provvedendo anche al sequestro di beni riconducibili all'organizzazione.

I provvedimenti cautelari riguardano: Vito Angelo, di 45 anni, arrestato a Piacenza; Leonardo Bonafede, di 77 anni, di Campobello di Mazara; Giuseppe Bonetto, di 54, imprenditore di Castelvetrano; Lea Cataldo, di 46, di Campobello di Mazara; Salvatore Dell'Aquila, di 48; Leonardo Ferrante, 54 anni; Franco e Giuseppe Indelicato, di 40 e 36; Aldo e Francesco Luppino, di 62 e 53; Giovanni Salvatore Madonia, di 44; Mario Messina Denaro, di 57, imprenditore caseario, cugino del boss latitante Matteo, e Domenico Nardo, di 50, residente a Roma.

PERQUISITE CELLE I boss trapanesi detenuti, molti dei quali sottoposti al carcere duro previsto dal 41 bis, riuscivano a far arrivare all'esterno del carcere messaggi che erano anche diretti al latitante Matteo Messina Denaro. Il particolare emerge dall'inchiesta ''Golem'', che stamani ha portato la polizia di Stato all'esecuzione di 13 ordini di custodia cautelare. Proprio per questo collegamento fra dentro e fuori il carcere, sono in atto perquisizioni in 15 istituti di pena, con la collaborazione del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, nei confronti di 37 detenuti trapanesi, che risultano in contatto con gli indagati dell'inchiesta ''Golem''.

Le perquisizioni sono state disposte negli istituti di pena dell'Abruzzo, della Campania, della Calabria e della Sicilia. La polizia di Stato, in collaborazione con gli agenti della polizia penitenziaria, stanno controllando detenuti che sarebbero legati a Matteo Messina Denaro, con i quali si sarebbero scambiati messaggi durante la detenzione. Fra i boss ai quali viene effettuata la perquisizione in cella vi e' Mariano Agate, 70 anni, capo del mandamento mafioso di Mazara del Vallo, detenuto da 15 anni, condannato a diversi ergastoli; Filippo Guttadauro, 58 anni, cognato di Messina Denaro, arrestato nel luglio 2006, indicato nei 'pizzini' che si scambiavano Bernardo Provenzano e Messina Denaro, con il numero '121'. Gli investigatori, durante le prime perquisizioni hanno acquisito diversi elementi importanti, gia' al vaglio degli inquirenti, e per questo motivo stanno valutando la possibilita' di chiedere al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria l'immediato trasferimento di alcuni detenuti in altri istituti di pena.

NELLA RETE ANCHE L'AMBASCIATORE DI MESSINA DENARO Il boss Matteo Messina Denaro non ha mai incontrato personalmente i mafiosi palermitani Sandro e Salvatore Lo Piccolo, agli incontri con loro il capomafia trapanese inviava sempre un suo ''ambasciatore'', Franco Luppino, arrestato stamani dalla polizia nell'operazione ''Golem''. Il latitante, insomma, da quanto emerge dall'inchiesta della Dda di Palermo, non voleva avere contatti diretti con i Lo Piccolo che nel frattempo stavano avanzando su tutta Palermo.

Forse perche' non li riteneva ancora al suo livello nella scala gerarchica di Cosa nostra. Luppino, insieme a Leonardo Bonafede, anche quest'ultimo arrestato stamani, sono elementi di vertice della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, e forse gli uomini di cui Matteo Messina Denaro si fidava maggiormente. Gli indagati, infatti, avrebbero gestito la latitanza del boss, controllando anche gli affari illeciti nel trapanese, mettendo le mani su varie attivita' economiche e su fondi regionali. In questi affari sarebbe stata coinvolta anche la moglie di Luppino, Lea Cataldo, arrestata.

Il boss controllava anche un vasto traffico di droga che arrivava settimanalmente da Roma, gestito da Domenico Nardo, Franco Indelicato e Leonardo Bonafede.(ANSA)

domenica 14 giugno 2009

Boss del clan Aprea-Cuccaro operato sotto falso nome: catturato in ospedale


Boss del clan Aprea-Cuccaro operato
sotto falso nome: catturato in ospedale


NAPOLI (15 giugno) - Gaetano Cervone, 40 anni, ritenuto attuale reggente del clan camorristico degli Aprea-Cuccaro, attivo nell'area orientale del capoluogo (Barra), è stato arrestato ai carabinieri del comando provinciale di Napoli ad Ascoli Piceno. Cervone, che aveva con sè documenti falsi, era in ospedale ed era stato operato, sotto falso nome, per un'infezione a un braccio. L'uomo, cognato dei fratelli Aprea e conosciuto anche come "Bibì", si era reso irreperibile il 13 febbraio scorso, proprio all’indomani dell’inizio della collaborazione con la giustizia di Giuseppe e Salvatore Manco, esponenti di vertice del clan Aprea. Cervone si era allontanato dagli arresti domiciliari ai quali era sottoposto per violazioni alla legge sugli stupefacenti. Quasi contemporaneamente il tribunale di sorveglianza di Napoli aveva disposto a suo carico la misura di sicurezza della casa di lavoro per due anni.

sabato 13 giugno 2009

Sicilia, manette a cognato e sorella del boss Madonia


Sicilia, manette a cognato e sorella del boss Madonia

Cognato e sorella del boss Madonia sono stati arrestati dai carabinieri del Ros e del Comando Provinciale di Caltanissetta, in seguito a un ordine di carcerazione emesso dalla Procura generale in esecuzione di una condanna pronunciata in appello del novembre 2008, dopo che la Cassazione ha respinto il loro ricorso.

Come informa una nota dei carabinieri, Giuseppe Lombardo, 75 anni, e Maria Stella Madonia, 74, sono rispettivamente cognato e sorella di Giuseppe (detto Piddu) Madonia - boss del "Vallone", legato a Bernardo Provenzano - al vertice di Cosa Nostra nissena.

I due sono ritenuti "organicamente inseriti nella gestione degli affari illeciti del boss Madonia, a conferma di quanto accertato dai carabinieri del Ros nel contesto dell'operazione 'Grande Oriente', eseguita nel novembre 1998", ricorda l'Arma.

Lombardo infatti, dicono i carabinieri, ritenuto responsabile di associazione di tipo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti e falsificazione-spendita di monete contraffate, è stato condannato alla pena principale di 24 anni di reclusione, alle pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici perpetua, all'interdizione legale durante la condanna e alla sospensione della potestà dei genitori durante la pena ed alla misura di sicurezza del divieto di soggiorno in tutte le province della Sicilia, Lombardia e Liguria per 3 anni e a alla libertà vigilata, sempre per 3 anni.

La moglie, invece, ritenuta anch'essa responsabile di associazione di tipo mafioso, è stata condannata alla pena principale di 7 anni di reclusione, alle pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici perpetua, all'interdizione legale durante la condanna e alla sospensione della potestà dei genitori durante la pena ed alla libertà vigilata per 3 anni.

venerdì 12 giugno 2009

Finisce La Latitanza Di Antonio Pelle. i Carabinieri Del Ros Catturano Il Boss Di San Luca



Finisce La Latitanza Di Antonio Pelle. i Carabinieri Del Ros Catturano Il Boss Di San Luca

Reggio Calabria, 12 giu. (Adnkronos) - E' finita la latitanza di Antonio Pelle (nella foto), detto ''Gambazza''. Il 77enne boss di San Luca è stato catturato questo pomeriggio dai Carabinieri del Ros di Reggio Calabria all'ospedale di Polistena, nella piana di Gioia Tauro.

Ricercato dal 2000 per associazione mafiosa, traffico di armi, sostanze stupefacenti e altro, Pelle era inserito nell'elenco dei 30 ricercati più pericolosi d'Italia. Dal 2007 sono state diramate le ricerche in campo internazionale, per arresto ai fini estradizionali. Al momento non ci sono favoreggiatori.

'Ntoni Gambazza, all'anagrafe Antonio Pelle, nato il primo marzo 1932 nel paese noto per una faida che ha fatto decine di morti, è il boss più potente di San Luca, uno dei capi storici dell'organizzazione, e nella struttura gerarchica della cosca ricopre il grado di vangelo, il più alto.

Dopo l'arresto del figlio, Salvatore Pelle, per 'Gambazza' termina oggi una latitanza cominciata nel 2000, quando venne condannato a 26 anni di carcere per associazione mafiosa, traffico internazionale di armi, droga e altro. Prima di allora il boss era stato assolto nove volte. Il 18 settembre 2007 sono state diramate anche ricerche in campo internazionale, finalizzate ad una eventuale estradizione dopo l'arresto.

In tutti questi anni si dice che Pelle sia sempre rimasto nascosto nei boschi dell'Aspromonte. Niente telefono, niente computer. Solo messaggeri per comunicare con i suoi. Comunicazioni divenute sempre più difficili negli ultimi anni, dopo la strage di Duisburg, del 15 agosto 2007, vista la crescente pressione dello Stato e la presenza sempre più capillare delle forze dell'ordine sul territorio.

Secondo gli investigatori, Antonio Pelle sapeva della Strage di Duiburg, cioè sapeva che qualcuno avrebbe vendicato l'omicidio di Maria Strangio, 33 anni, ammazzata a Natale del 2006 per errore, al posto del marito, Giovanni Luca Nirta.

Era a conoscenza della possibilità di una strage, ma non ha reagito. Anzi, proprio per sottolineare l'estraneita' alla faida delle famiglie più potenti chiese ai familiari liberi di mandare una lettera alla 'Gazzetta del Sud'. Insomma, la faida sarebbe solo uno scontro tra famiglie minori e 'Gambazza' stava cercando, come già aveva fatto in passato, nel 1991, di arrivare a una pace senza vincitori.


Camorra: Operazione Anti-Droga Della Polizia. Arrestate 15 Persone

(ASCA) - Caserta, 12 giu - E' in corso una massiccia operazione anticrimine disposta dalla Direzione Centrale Anticrimine della Polizia di Stato e dalla Direzione Centrale dell'Immigrazione ed attuata dalla Questura di Caserta, dal Comando Provinciale dei Carabinieri e della Guardia di Finanza. L'attivita', che ha avuto come obiettivo prioritario il contrasto allo spaccio di sostanze stupefacenti e allo sfruttamento della prostituzione, sottolinea la Questura di Salerno, si e' svolta sul territorio del litorale domitio e del mondragonese e ha visto l'impiego complessivo di circa 300 unita' di poliziotti, carabinieri e finanzieri. L'operazione e' finalizzata a colpire le organizzazioni criminose locali collegate ai sodalizi camorristici che gestiscono la tratta di esseri umani e il traffico di stupefacenti nel territorio di Castel Volturno e Mondragone. Nel corso dell'operazione sono state arrestate 15 persone responsabili di spaccio di sostanze stupefacenti, di sfruttamento della prostituzione, e contravvenzione all'Ordine del Questore di abbandonare il territorio nazionale. Duecento le persone finora controllate e 70 le posizioni irregolari di cittadini extracomunitari, quasi tutti con precedenti per spaccio di sostanze stupefacenti e sfruttamento della prostituzione, i quali sono stati accompagnati presso il Centro d'identificazione ed espulsione di Roma.

Mafia, quattro politici indagati per il tesoro di Ciancimino

La procura di Palermo ha indagato quattro politici siciliani perché ritenuti coinvolti nell'inchiesta sul tesoro accumulato illecitamente dall'ex-sindaco palermitano Vito Ciancimino, condannato per mafia e morto nel 2002. Continua a leggere questa notizia

Lo riferiscono fonti giudiziarie, precisando che i politici indagati sono il senatore Carlo Vizzini del Pdl, il deputato Saverio Romano e i senatori Salvatore Cuffaro e Salvatore Cintola dell'Udc.

L'inchiesta -- spiega oggi il "Corriere della Sera", che per primo ha riportato la notizia dei quattro indagati, che saranno sentiti da martedì -- è nata dalle ultime dichiarazioni dell'ultimogenito di Ciancimino, Massimo, già condannato in primo grado a 5 anni e 8 mesi di carcere per aver riciclato i soldi del padre.

L'uomo avrebbe spiegato durante gli interrogatori che nella gestione dei soldi lasciati dal padre sarebbero stati coinvolti personaggi ben più importanti di lui, tra cui uomini politici.

Secondo quanto raccontato da Ciancimino jr e riscontrato dagli inquirenti, scrive il Corriere, tra i destinatari dei importanti somme di denaro ci sarebbero stati a vario titolo anche Vizzini, Cintola, Romano e Cuffaro.

Vizzini, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che ha detto di essere "estraneo" ai fatto contestati, ha annunciato le dimissioni da componente della commissione parlamentare antimafia, riservandosi "di assumere altre decisioni dopo che sarò stato sentito dai magistrati". "Ho la serenità di chi sa di essere estraneo ad ipotesi di reato e di potere compiutamente rispondere ai magistrati", ha scritto il senatore sul proprio blog.

"Vivo, tuttavia, l'amarezza di trovarmi in questa condizione dopo avere contrastato con forza la mafia, i mafiosi ed i comitati d'affari", ha aggiunto Vizzini, che ha già presentato in passato una denuncia per calunnia contro Ciancimino jr.

Al momento non è stato possibile raggiungere gli altri tre indagati.

giovedì 11 giugno 2009

Mafia: Vizzini, Cuffaro, Romano e Cintola Indagati Per Corruzione


Mafia: Vizzini, Cuffaro, Romano e Cintola Indagati Per Corruzione

Palermo, 11 giu. - (Adnkronos) - ''Ho ricevuto un'informazione di garanzia per corruzione con l'aggravante dell'art. 7 in relazione alle vicende del cosiddetto 'Gruppo Gas' (Ciancimino-Lapis). Ho la serenità di chi sa di essere estraneo ad ipotesi di reato e di potere compiutamente rispondere ai magistrati. Adesso si potrà fare luce sulle verità, mettendo fine al lungo e spesso velenoso chiacchiericcio che negli ultimi mesi mi ha accompagnato''. Lo dice il senatore del Pdl, Carlo Vizzini, commentando la notizia riportata oggi dal 'Corriere della Sera' dell'emissione da parte della Procura di Palermo di quattro avvisi di garanzia per concorso in corruzione aggravato dal favoreggiamento dell'associazione mafiosa a carico, oltre che di Vizzini, anche di altri tre senatori: Salvatore Cintola, Saverio Romano e Salvatore Cuffaro, tutti Udc. I quattro compariranno davanti ai magistrati della Dda martedì prossimo.

L'inchiesta riguarda il cosiddetto tesoro di Vito Ciancimino, l'ex sindaco di Palermo, condannato per mafia e morto nel 2002. A tirare in causa i quattro senatori è il figlio di don Vito, Massimo, condannato in primo grado a cinque anni e 8 mesi per riciclaggio. ''Ho già detto e non ripeto quali sono stati i miei rapporti e quali le persone mai conosciute, anche presentando formale denuncia - prosegue Vizzini -. Vivo, tuttavia, l'amarezza di trovarmi in questa condizione dopo avere contrastato con forza la mafia, i mafiosi ed i comitati d'affari. Ma proprio per questo devo essere rigoroso e coerente con me stesso e, dunque, ho immediatamente rassegnato le mie dimissioni dalla commissione parlamentare Antimafia, riservandomi di assumere altre decisioni dopo che sarò stato sentito dai magistrati''.

''Ho sempre messo nel conto che la lotta alla mafia - conclude - avrebbe scatenato risentimenti gravi di cui ho avuto percezione anche di recente, ma sono certo che c'è una sede nella quale si puo' essere tutelati dalla infamia ed a questa adesso mi affido''.

mercoledì 10 giugno 2009

DELITTI di MAFIA Crimes of the Mafia




DELITTI di MAFIA Crimes of the Mafia

Camorra, arresti e sequestri della polizia in 5 regioni


Camorra, arresti e sequestri della polizia in 5 regioni

La polizia sta effettuando dalle prime ore di oggi una operazione contro un clan camorristico in sette province di cinque regioni, con un numero finora imprecisato di arresti e il sequestro di diversi milioni di beni immobili. Lo riferisce un comunicato della polizia di Stato. Continua a leggere questa notizia


L'operazione contro il clan Terracciano riguarda le province di Firenze, Prato, Napoli, Milano, Genova, Lucca e Perugia e vede coinvolte 26 persone, dice la nota.

Gli agenti delle Squadre Mobili di Firenze e di Prato e del Servizio centrale operativo, con la collaborazione della Guardia di Finanza di Prato e Lucca, stanno eseguendo arresti e sequestri di beni immobili per 12 milioni di euro per associazione a delinquere di stampo mafioso, dice il comunicato.

"Tra i beni sequestrati figurano appartamenti, una clinica dell'hinterland napoletano, trentasei conti correnti e attività imprenditoriali. Sequestrate anche numerose autovetture di lusso per un valore complessivo di oltre cinquecentomila euro".

Tra i reati contestati, dice la polizia, l'esercizio abusivo di giochi e scommesse e di attività finanziarie, il gioco d'azzardo, lo sfruttamento della prostituzione e l'estorsione.

L'inchiesta, che ha preso il via nel 2003, è coordinata dalla Direzione distrettuale di Firenze.


Camorra: Blitz Contro Clan Vollaro, 32 Arresti

(AGI) - Napoli, 10 giu. - I Carabinieri del Comando provinciale di Napoli hanno eseguito con un blitz un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Napoli nei confronti di 32 tra capi, affiliati e fiancheggiatori del clan Vollaro, attivo a Portici, ai confini con Napoli. Le accuse vanno dalla essociazione per delinquere di stampo mafioso alle estorsioni, al traffico di droga e violazione della legge sulle armi. In particolare le estorsioni erano condotte a tappeto su tutte le attivita' commerciali imprenditoriali. Sequestrata anche armi e munizioni e smantellate le principali piazze di spaccio nel comune limitrofo a Napoli di cocaina e marijuana.

martedì 9 giugno 2009

CAMORRA: COLPI DI KALASHNIKOV, DUPLICE OMICIDIO A CASALNUOVO c'è un innocente




CAMORRA: COLPI DI KALASHNIKOV, DUPLICE OMICIDIO A CASALNUOVO

NAPOLI - I sicari sono arrivati a piedi e hanno sparato con un kalashnikov, ammazzando Pasquale Iorio Raccioppoli e il cognato Crescenzo Raccioppoli, pluri-pregiudicati, fra i tavolini di un bar di Casalnuovo, nel Napoletano. I carabinieri - sul fatto procedono i militari del nucleo operativo di Castello Cisterna, coordinati da Antonio Iannece - stanno indagando a tutto campo, per stabilire come si possa inquadrare il duplice omicidio in una zona che ultimamente non aveva visto scontri fra gruppi della criminalita' organizzata. Pasquale, detto 'Pasqualuccio o' curto', 55 anni, aveva 20 anni di carcere alle spalle, per diversi reati, fra cui omicidio e associazione a delinquere.

Aveva paura, perche' circolava con un'auto blindata e seguito da una scorta armata. Ex affiliato al clan Egizio, era diventato imprenditore edile. Gli inquirenti stanno vagliando anche la sua parentela con Domenico Pelliccia, l'imprenditore che costrui' la cittadella totalmente abusiva - venuta fuori all'improvviso nel 2007, e poi in parte demolita - che provoco' uno scandalo nazionale.

Si indaga dunque anche su questa pista; gli inquirenti pero', per adesso, preferiscono non sbilanciarsi. Crescenzo Raccioppoli, 52 anni, era a sua volta un pluri-pregiudicato, e aveva una fabbrica di lavorazione della plastica. I due erano arrivati alla pasticceria bar 'Mose', in via Nazionale delle Puglie, una zona molto trafficata della citta', a bordo di una jeep, parcheggiata a pochi metri. Sono stati freddati da numerosi colpi di kalashnikov, da qualcuno che si e' avvicinato invece a piedi. I loro corpi sono rimasti a terra, fra gli ombrelloni, le sedie e i tavolini. Sul posto sono accorsi numerosi familiari e amici agitatissimi, che hanno indotto le forze dell'ordine a intervenire, identificando alcuni di loro in caserma.


Raid di Casalnuovo, c'è un innocente
di Irene De Arcangelis



Crescenzo Raccioppoli ucciso perché usato come scudo umano dal cugino Gomito a gomito, seduti al tavolino del bar di Casalnuovo. Cugini, stesso cognome o quasi. Uno dei due ha grosse storie criminali alle spalle, l'altro il nulla. È pulito. Muore allo stesso modo del parente, sotto i colpi di un kalashnikov. Ma non doveva morire, non era un bersaglio dei killer, ora ne sono certi gli investigatori. Stesso cognome o quasi, parentela più o meno stretta, Crescenzo Raccioppoli è stato ammazzato perché suo cugino Pasquale Iorio Raccioppoli lo ha improvvisamente tirato a sé mentre il sicario imbracciava il fucile. Questione di secondi che si contano sulle dita di una mano. L'innocente Crescenzo avrebbe potuto salvarsi buttandosi a terra dalla sedia dalla parte opposta a quella dove era seduto il cugino. Non ha potuto. È stato afferrato per il braccio e strattonato per coprire il bersaglio dell'agguato. Inutilmente. Sono morti entrambi.

Si aggiungono i dettagli, nell'inchiesta dei carabinieri - coordinata dal pm Vincenzo D'Onofrio dell'Antimafia - sul duplice omicidio avvenuto lunedì davanti al bar Mosé di via Nazionale delle Puglie a Casalnuovo. C'è molto su cui lavorare sia sulla ricostruzione dei fatti sia sul possibile movente. A cominciare dall'agguato ripreso dalla telecamera a circuito chiuso del bar che ha ripreso l'arrivo delle due vittime, quindi quello dei sicari e il delitto. Strano. Perché c'è un cartello fuori al bar: «Locale sottoposto a videosorveglianza», che evidentemente i killer non hanno visto o non hanno capito.

Cappellini con visiera e occhiali a nascondere i volti, le loro immagini forniscono comunque una serie di particolari su cui lavorare, mentre è evidente lo strattone con cui Pasquale Iorio Raccioppoli - ex affiliato al clan Egizio e vent'anni di carcere scontati per associazione camorristica e omicidio - con quel gesto condanna a morte il parente, titolare di una piccola impresa che produce materiale plastico e la cui immagine è stata subito ripristinata dai familiari tramite il loro avvocato. «Crescenzo Raccioppoli - spiega il legale Paolo Iasevoli - non è mai stato inquisito o indagato, non ha mai riportato condanne penali, non ha mai avuto frequentazioni con ambienti malavitosi o di criminalità organizzata».

Dunque una morte innocente in un agguato a colpi di kalashnikov. Che (a ventiquattro ore di distanza gli inquirenti hanno oramai pochi dubbi) riconduce alla vicenda dei palazzi abusivi di Casalnuovo e all'imprenditore Domenico Pelliccia, il costruttore di ben 77 edifici per 450 appartamenti tutti fuorilegge e ancora sotto processo per quei mega abusi. Pelliccia (che fino a qualche giorno fa viveva ancora nella sua villa, pure abusiva, ed è stato poi sfrattato), sospettano gli inquirenti, ha potuto due anni fa costruire interi quartieri di cemento abusivo grazie ai soldi della camorra e al tramite di Pasquale Iorio Raccioppoli, suo cognato. Ma quando la scure del sequestro e dell'abbattimento ha raso al suolo i palazzi, Pelliccia e Raccioppoli si sarebbero ritrovati con un grosso debito con la criminalità organizzata. Per questo Pelliccia venne sequestrato, minacciato e picchiato davanti al figlio piccolo. I suoi sequestratori, poi arrestati, sono in attesa di processo.

Prima udienza tra dieci giorni, Pelliccia in questo caso parte lesa, mentre il 19 giugno c'è un'altra udienza del procedimento sugli abusi edilizi. Una catena di coincidenze che potrebbero far pensare a un collegamento con l'omicidio di Pasquale Iorio Raccioppoli, cognato del costruttore fuorilegge.(10 giugno 2009)Torna indietro

giovedì 4 giugno 2009

IMPRESE GESTITE DALLA MAFIA, ARRESTI IN SICILIA



IMPRESE GESTITE DALLA MAFIA, ARRESTI IN SICILIA

PALERMO - Imprese edili gestite da presunti mafiosi, ma intestate a prestanome, realizzavano appalti pubblici utilizzando nei lavori che eseguivano calcestruzzo di qualità inferiore da quello previsto. La vicenda emerge dall'indagine dei carabinieri del Gruppo di Monreale, che stamani hanno eseguito quattro ordini di custodia cautelare nei confronti di persone a cui sarebbero state intestate fittiziamente beni e società, per eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali a cui uno di loro era sottoposto. I provvedimenti sono stati emessi dal gip del tribunale su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, e sono stati eseguiti nelle province di Palermo e Trapani. Il giudice ha pure ordinato il sequestro di cinque impianti di calcestruzzo e una società di trasporto. Secondo gli inquirenti, gli indagati avevano creato un monopolio di fatto nel settore del calcestruzzo acquisendo importanti appalti privati e pubblici tra cui alcuni lavori all'aeroporto Falcone-Borsellino di Palermo e a Trapani Birgi. Per gli investigatori il giro di affari, tra valore dei beni sequestrati, appalti acquisiti e fatturato annuo, è superiore ai 50 milioni di euro.

Mafia: sequestrati in un anno 3,3 mld, 2894 arresti


Mafia: sequestrati in un anno 3,3 mld, 2894 arresti

ROMA - Ad un anno dall'insediamento del Governo sono state fatte 270 operazioni di polizia giudiziaria contro la criminalità organizzata che hanno portato all'arresto di 2.894 persone, tra cui 207 latitanti (9 dei 30 più pericolosi) ed al sequestro di 4.314 beni per un valore di 3,3 miliardi di euro. Solo nel 2009 ammonta invece a 535 milioni di euro il valore dei beni confiscati ai clan. Sono i numeri diffusi dal ministro dell'Interno, Roberto Maroni, per illustrare i risultati dell'azione di contrasto alle mafie svolta da maggio 2008 a maggio 2009. Presente alla conferenza al Viminale anche il capo della polizia, Antonio Manganelli.

"Mai come in questo periodo - ha detto Maroni - la lotta alla criminalità organizzata ha avuto grandi risultati ed il ddl sicurezza, una volta approvato, fornirà ulteriori strumenti per continuare senza sosta l'azione di contrasto che ha l'obiettivo di annientare la mafia". Il ministro si è soffermato in particolare sull'aggressione ai patrimoni mafiosi, uno dei fronti, ha sottolineato, "su cui ci siamo impegnati e ci impegneremo di più. Nella riunione del G8 Giustizia-Interni della settimana scorsa c'é stato l'accordo a definire una procedura comune per aggredire i beni delle organizzazioni criminali in qualunque Paese si trovino". Parte dei beni confiscati, ha informato, "confluiranno nel Fondo unico giustizia, che ha già una dotazione di 400 milioni di euro, e potranno essere destinati alle forze dell'ordine". Il titolare del Viminale ha poi parlato del "modello Caserta", le iniziative messe in campo per contrastare il clan dei casalesi nel casertano con il potenziamento degli uffici investigativi e dell'attività del controllo del territorio con l'invio di 400 unità delle forze dell'ordine e 350 militari. "E' un grande lavoro - ha rilevato Maroni - avviato per far capire che lo Stato c'é".

E il contrasto alle mafie, ha continuato, "é esteso anche ai controlli sulle infiltrazioni negli appalti pubblici: vigiliamo in particolare sull'Expo di Milano e sulla ricostruzione dopo il terremoto in Abruzzo". Il ministro ha infine bollato come "interpretazioni maliziose che non mi toccano" una domanda sul perché una conferenza stampa a pochi giorni dalle elezioni: "credo giusto - ha affermato - che i cittadini conoscano i risultati della lotta alla mafia ad un anno dall'insediamento del Governo: si tratta di dati concreti". Da parte sua, anche Manganelli ha parlato di un "momento particolarmente felice nella fermezza dell'azione di contrasto alla criminalità organizzata. Mai come in questo periodo le forze dell'ordine hanno ottenuto risultati straordinari".

MAFIA: BOSS IENI DEPRESSO, DAL 41 BIS AI DOMICILIARI


di Mimmo Trovato

CATANIA - Il presunto boss Giacomo Maurizio Ieni, 52 anni, indicato come il capo della cosca mafiosa Pillera é fortemente depresso e per questo lascerà il regime di 41 bis, anche se scontato nel centro clinico del carcere di Parma, per passare agli arresti domiciliari a casa, a Catania. E' la decisione della terza sezione penale del Tribunale del capoluogo etneo per "gravi motivi di salute" contestata duramente dalla Procura etnea e da politici. Il suo stato di "depressione malinconica" , secondo i giudici, è infatti così grave da renderlo incompatibile con la detenzione e che "l'ambiente familiare appare allo stato insostituibile" per curarlo. "In casa - scrivono i giudici - potrà ricevere quel sostegno psicologico che la struttura carceraria non può dargli. Tra l'altro la sua condizione personale è tale da fare ritenere che ci si trovi in presenza di una situazione di pericolosità grandemente scemata". Ieni, detenuto dal 30 giugno del 2006 per associazione mafiosa, nell'ambito del procedimento Atlantide con il quale la polizia ritenne di svelare i rapporti tra esponenti di Cosa nostra e imprenditori etnei, nella precedente udienza del processo, in teleconferenza da Parma, era scoppiato in lacrime davanti ai giudici sostenendo di "essere fortemente depresso e di non riuscire a stare in carcere". Il Tribunale, accogliendo la richiesta dei suoi legali, gli avvocati Enrico Trantino e Giuseppe Lipera, che ricordano come il loro assistito durante la detenzione abbia perduto 20 chilogrammi di peso e attuato lo sciopero della fame, adesso gli ha concesso gli arresti domiciliari ritenendo che "l'affetto dei familiari" è per lui terapia unica e insostituibile.

La decisione è "fortemente contestata" dalla Procura di Catania che in sede di udienza aveva espresso parere negativo e si dice "estremamente sorpresa e sgomenta". E questo, precisano i magistrati della Dda, sia "per la pericolosità sociale del soggetto al quale sarà permesso di tornare a Catania" sia perché "nella perizie redatte non ce n'era alcuna che stabilisce che il suo stato di salute sia incompatibile con la detenzione in un centro medico, così come si trovava ristretto". La valutazione del Tribunale è stata contestata, in maniera trasversale, da esponenti politici. Per il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, è una "decisione che indigna, crea un pericolosissimo precedente e mina fortemente la credibilità delle istituzioni". L'esponente del Pdl ricorda anche che "la maggioranza in questa legislatura ha invece posto l'accento sulla necessità di rendere ancora più stringenti le norme sul 41 bis".

Claudio Fava definisce la scelta dei giudici "una vergogna". Secondo l'esponente di Sinistra e libertà "per i mafiosi di Catania il 41 bis è una specie di campeggio: ai detenuti depressi si concedono gli arresti domiciliari". Sulla vicenda il senatore della Lega e segretario dell'Antimafia, Gianpaolo Vallardi, chiede "l'audizione in commissione del ministro alla Giustizia, Angelino Alfano" visto che così, "i carnefici diventano vittime e le vittime i carnefici". Contestazione contestate a loro volta dai legali di Ieni che inviato i "parlamentari di evitare di parlare di cose che non conoscono, eliminando la parola scandalo e non a realizzare una Guantanamo in Italia" e la Procura "a rispettare i ruoli".

mercoledì 3 giugno 2009

Rifiuti Campania: 15 arresti per falsi sui cdr politici, prof universitari e funzionari Regione


Rifiuti Campania: 15 arresti per falsi sui cdr
politici, prof universitari e funzionari Regione

Coinvolto anche il presidente della Provincia di Benevento
Concessi a tutti i domiciliari. Questi i nomi degli indagati


NAPOLI (3 giugno) - La Guardia di Finanza e la Dia hanno eseguito quindici ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari a carico di un esponente politico, il presidente della provincia di Benevento Aniello Cimitile, e di professori universitari e funzionari della Regione Campania. L'inchiesta riguarda le presunte irregolarita' nei collaudi di numerosi impianti cdr in Campania. I destinatari dei provvedimenti della magistratura sono i collaudatori di questi di impianti, tra i quali alcuni docenti universitari.

L'operazione è scattata nell'ambito dell'indagine condotta dai pm Noviello, Sirleo e Milita sulla gestione dei rifiuti a Napoli durante la gestione Commissariale.
L'inchiesta ha accertato che le persone arrestate avevano attestato l'idoneità degli impianti quando questi erano già sotto sequestro e avevano sostenuto la conformità del prodotto del cdr alle specifiche del contratto, che in realtà mancava.

A tutti sono stati concessi i domiciliari. Ecco i nomi degli arrestati: Oreste Greco, professore universitario; Giuseppe Sica, architetto; Claudio De Biasio; Vincenzo Naso, docente di ingegneria alla Federico II; Vittorio Vacca, ingegnere, direttore Termovalorizzatore di Acerra; Vittorio Colavita; Alfredo Nappo; Vitale Cardamone, ingegnere; Rita Mastrullo, docente di fisica alla Federico II; Filippo De Rossi, ordinario di fisica; Luigi Travaglione ufficio tecnico Benevento; Mario Cini e Francesco Scalingia.

Rifiuti, il gip: commissioni di collaudo
designate con metodi clientelari


NAPOLI (3 giugno) - «I membri delle commissioni di collaudo erano designati dal Commissariato di Governo con criteri rispondenti a logiche meramente clientelari legate a rapporti personali e in un caso frutto di accordo corruttivo». È il duro commento che il gip Aldo Esposito esprime nelle motivazioni delle ordinanze di custodia emesse oggi nell'ambito dell'inchiesta sui rifiuti. «Tale sistema evidentemente - spiega il gip - influenzava l'opera dei collaudatori e dei direttori dei lavori che accettavano la logica scellerata, caratterizzante in questi anni il lavoro del commissariato, di avallare in toto l'operato dell'Api, affidataria, al fine di portare materialmente a compimento il progetto di gestione degli rsu (rifiuti solidi urbani) in Campania “a tutti i costi” a prescindere dal requisito, al contrario essenziale, della funzionalità del progetto rispetto a quanto previsto, anche a tutela del territorio e della salute pubblica». Ciò «senza minimamente preoccuparsi di contestare le numerose inadempienze emerse nel corso dell'indagine, anzi cercando in ogni modo di occultarle, mediante il silenzio o l'adozione di atti volutamente tesi a tacere le inadempienze». Il giudice inoltre afferma che «gli indagati dimostravano totale indifferenza rispetto a situazioni fattuali che avrebbero imposto rigore e astensione».

«Chi spaccia non deve telefonare»
e il boss fece sequetrare 300 cellulari
Il boss scissionista, Amato, ossessionato dalle intercettazioni
Raid punitivi per chi disubbidiva all'ordine


NAPOLI (3 giugno) - Un ordine tassativo: niente cellulari quando si scende a spacciare, niente conversazioni via telefonino da una «piazza» all’altra. Lui, il boss degli spagnoli Raffaele Amato, è stato chiaro: per evitare arresti e passi falsi via i telefonini dalle mani dei capopiazza. Un ordine raccontato dal pentito Francesco Pica, in un recente interrogatorio reso alla Dda di Napoli sulla recente gestione del business droga.

Siamo negli anni del dopo faida, negli anni successivi alla guerra tra clan Di Lauro e scissionisti che ha provocato una sessantina di morti. Un incubo quei telefonini per il boss scissionista arrestato dieci giorni fa in Spagna, risolto in modo sbrigativo ed efficace: in una notte - spiega il pentito - ha mandato a sequestrare cellulari da tutte le piazze controllate.

«Quella notte - aggiunge - in poche ore ho visto arrivare sul tavolo di Amato trecento telefonini nuovi di zecca. Ma non bastò. Tanto che vennero spedite ronde in giro per Scampia e Secondigliano, ma anche per le piazze dell’hinterland per punire chiunque usasse il telefono. Da allora fino ad oggi chi spaccia non può stare al telefono. Amato - aggiunge il pentito Pica - ce l’ha spiegato: sono giovani e parlando tra loro rischiano di tradirsi facendo i nomi dei propri capi, dei propri diretti superiori».

Una vera e propria fissazione, quella delle intercettazioni, secondo l’ultima inchiesta condotta dai pm anticamorra Luigi Alberto Cannavale e Stefania Castaldi

Napoli, blitz antidroga a Scampia
presi 11 uomini degli Scissionisti


NAPOLI (3 giugno) - Traffico e spaccio di droga per conto del clan camorristico degli Scissionisti: è quanto hanno scoperto i Carabinieri del comando provinciale di Napoli, che in un blitz, la scorsa notte nel quartiere periferico di Scampia, hanno sottoposto a fermo 11 persone. Per tutti l'accusa è associazione a delinquere finalizzata al traffico e spaccio di droga, aggravato per aver agito per conto degli Scissionisti.

Le indagini, condotte dai Carabinieri su disposizione della Dda di Napoli, hanno portato anche al sequestro di ingenti quantitativi di droga: cocaina, eroina, cobret, ecstasy.

Secondo quanto ricostruito dai militari, parte della droga era portata a Scampia da nigeriani residenti a Castelvolturno (Caserta).

Camorra-Casalesi, maxi sequestro di beni
Prove dell'alleanza Zagaria-Bidognetti


NAPOLI (3 giugno) - Agenti della Dia di Napoli stanno eseguendo nelle province di Napoli e Caserta una vasta operazione anticamorra in esecuzione di un decreto emesso dal Gip di Napoli per sequestrare ingenti beni ai massimi esponenti del clan dei Casalesi. L'operazione «Urania» riguarda importanti aziende agricole, terreni e appartamenti lussuosi riferibili ai capi dell'organizzazione criminale e in particolare al latitante Michele Zagaria e a Francesco Bidognetti, alias Cicciotto e mezzanotte, detenuto sotto regime del 41 bis.

Il notevole patrimonio sequestrato dalla Dia, nell'ambito di indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, ha evidenziato gli stretti rapporti economici, oltre che criminali, che intercorrono tra le figure di spicco del clan dei Casalesi ed in particolare tra il latitante Michele Zagaria e la famiglia Bidognetti.

In una delle aziende di Castelvolturno sequestrate, all'interno del cascinale, fu ucciso Umberto Bidognetti, padre del collaboratore di giustizia Domenico. L' omicidio fu commesso nel mese di maggio dello scorso anno dal gruppo di fuoco riconducibile a Giuseppe Setola.

Il terreno è di proprietà della vedova di Salvatore Bidognetti, fratello del collaboratore di giustizia Domenico, ucciso il 3 novembre 1997 nel corso della faida interna all'organizzazione per la successione al vertice del clan.

Il padre del boss Zagaria: ha preso un'altra strada, non c'entra niente con
me


CASERTA (3 giugno) - «Non vedo mio figlio da quattro o cinque o sei anni. Posso solo dirvi che ho sempre lavorato con onestà. La mia famiglia con la camorra non c'entra niente. Mio figlio ha preso un'altra strada, con quello che facciamo noi non ha niente a che vedere». Lo ha detto ai microfoni dell'emittente regionale leader in Campania Canale 9 Nicola Zagaria, 88 anni, padre del boss della camorra casalese, Michele, latitante da una quindicina di anni. L'intervista è avvenuta a Casapesenna (Caserta) mentre era in corso un blitz della Dia che ha eseguito sequestri per 10 milioni di euro. Tra i beni sequestrati in odore di camorra vi è anche la casa dove vivono Nicola Zagaria e i suoi famigliari. «Io non so che cosa sia facendo mio figlio, quali siano le sue attività posso solo dirvi che noi siamo un'altra cosa», ha proseguito il padre del boss ritenuto dagli inquirenti ai vertici della cosca di Casal di Principe. Alla domanda del cronista se Nicola Zagaria si vergognasse del figlio, l'anziano ha detto: «Non mi vergogno perchè comunque è mio figlio ma non sono d'accordo con quello che fa». Poi Nicola Zagaria rivolgendosi agli agenti della Dia e facendo segno alle telecamere ha detto «questi blitz dovevate farli 15 anni fa allora sì che si poteva battere la camorra e salvare anche mio figlio». Sui sequestri l'anziano ha poi sostenuto che «questi beni erano di mio nonno e poi di mio padre: la mia famiglia non c'entra nulla con la camorra, siamo persone oneste, lavoriamo con le bufale e produciamo latte».

Processo Sicania Bonus per i mafiosi !!!


Bonus per i mafiosi !!!

La giustizia italiana agevola la criminalità organizzata???


Oggi fare il mafioso è un lavoro di prestigio , non occorre essere diplomato o laureato , bisogna solo essere criminali e disonesti .

Il mafioso , magari capo del mandamento o componente della cupola , che per anni ha ucciso , fatto uccidere , ordinato e imposto pizzo ed estorsioni , partecipare a summit mafiosi e organizzare azioni delittuosi e altri reati ….non è un reato , avete capito bene perché c’è il pentito che vi scagiona , anzi vi fa pure risarcire , per 6 mesi di carcere 49.000 Euro per 1 anno 98.000 ……oltre 8 mila al mese viene a costare un criminale allo stato per ingiusta detenzione…. Perché il pentito o i pentiti dicono che quel criminale non è un disonesto POVERA ITALIA….

Un cassaintegrato un vero lavoratore ONESTO in 1 anno ha ricevuto poco più di 5.000 Euro , alcuni forse anche meno e sono quelle persone che grazie a loro creano ricchezza nella nostra terra POVERA ITALIA.
Vedi sentenza Sicania

Angelo Vaccaro Notte

Processo Sicania POVERA ITALIA



In cella per sei mesi ma non era mafioso: risarcito il santangelese Di Raimondo

Il santangelese Antonino Di Raimondo, 58 anni, era rimasto per sei mesi in cella con l’accusa di avere avuto un ruolo nella famiglia mafiosa della zona montana. Le rivelazioni dei pentiti Pietro Mongiovì e Pino Vaccaro lo hanno poi completamente scagionato. Adesso i giudici della Corte di appello di Palermo, accogliendo la richiesta dell’avvocato Antonino Gaziano, gli hanno liquidato un risarcimento per ingiusta detenzione di 49 mila euro. Di Raimondo era stato arrestato nella maxi operazione “Sicania” del maggio del 2006. La sua posizione è stata poi archiviata prima del processo.