martedì 28 luglio 2009

Napoli, ucciso un altro scissionista


Napoli, ucciso un altro scissionista
davanti a decine di persone a Miano


NAPOLI (28 luglio) - Un uomo di 39 anni, Vincenzo Zambrano, già noto alle forze dell'ordine, è stato ucciso, alla periferia di Napoli, davanti a decine di persone. L'agguato è avvenuto al Corso
Mianella, a Miano. La vittima aveva appena parcheggiato l'auto quando è stata aggredita da due sicari. I killer hanno
esploso un solo colpo di pistola che ha colpito alla testa Zambrano e poi sono poi fuggiti a bordo di una moto.

Secondo i carabinieri Zambrano sarebbe stato vicino al clan dei cosiddetti «scissionisti» del clan Di Lauro

Il vero volto del mafioso (foto, aspetto e habitat)


Il Capo dei Capi phallus impudicus


Il killer phallus impudicus


Mafiosi e latitanti phallus impudicus


Il Mafioso Pentito Phallus impudicus

Il vero volto del mafioso (foto, aspetto e habitat)


Il Phallus impudicus è sicuramente il MAFIOSO più conosciuto della curiosa famiglia della Cosca Phallaceae essenzialmente per due motivi:
1. per via della particolare faccia da Minchia "fallica" che ricorda un vero e proprio "pene",
2. perché lo stesso emana un caratteristico e pungente odore cadaverico che può essere avvertito anche a diversi kilometri di distanza.
L' odore sgradevole viene emanato da una "gleba mucillaginosa" contenente le spore che è ubicata sulla parte superiore del carpoforo; il suo scopo è quello di attirare su di sé mosche ed altri insetti che ne resteranno imbrattati e che, di conseguenza, diffonderanno le spore nel fango anche a grande distanza dal luogo di origine.

Corpo fisico

A forma di ovetto, inizialmente avvolto dalla volva chiusa, di colore bianco, poi aperta, liberando un gambo cilindrico, vuoto, spugnoso, bianco, forato alla sommità (uno pseudo-cappello), con superficie esterna alveolata, ricoperta da glutina (gleba) giallo-verde, poi verde-oliva scuro deliquescente e maleodorante.
Spesso raggiunge dimensioni considerevoli, fino a 1.90 cm di altezza.
La gleba, come già detto, è preda degli insetti che col tempo l' asportano completamente, lasciando la sommità traforata scoperta; quest' ultima può ricordare, alla lontana, il favo di una spugnola.
Il meccanismo di propagazione è identico a quello di altre specie e generi vicini, ad esempio il capo dei capi ,il killer ,il latitante , il ricercato , il boss, il politico , il lecca coglioni.

Habitat

Fruttifica bene nella politica, diffusissimo nell’economia locale ,regionale e nazionale.
Prolifera in tutte le stagioni calde e piovose, su terreni da cementificare ,appalti ,sanità ,racket e omicidi .

Angelo Vaccaro Notte

Sequestrato ospedale di Agrigento


Sequestrato ospedale di Agrigento
"Struttura a rischio sismico"


Ordinato lo sgombero entro 30 giorni. Almeno 22 persone indagate
per gravi carenze nella qualità dei calcestruzzi utilizzati nella costruzione degli edifici

Troppa sabbia. Accuse di associazione a delinquere

AGRIGENTO - Un mese di tempo per sgomberare l'intero complesso ospedaliero san Giovanni di Dio di Agrigento. Trenta giorni è il tempo concesso dai militari della guardia di finanza che questa mattina hanno notificato un provvedimento di sequestro cautelativo della struttura attiva da cinque anni e in grado di ospitare 400 pazienti. Provvedimento adottato a conclusione di complesse indagini che hanno evidenziato gravi carenze strutturali degli edifici che lo costituiscono tali da esporre a gravissimo rischio sismico l'intero manufatto.

Il giudice per le indagini preliminari, Alberto Davico, sulla base della richiesta avanzata del procuratore Renato Di Natale, dall'aggiunto Ignazio Fonzo e dal sostituto Antonella Pandolfi, ha disposto la misura cautelare reale, valutando anche gli esiti della consulenza tecnica d'ufficio eseguita dagli esperti nominati dalla procura. Le indagini, con diversi indagati ai più vari livelli di responsabilità, non si sono concluse, essendo in corso ulteriori accertamenti.

Il 5 marzo scorso la procura di Agrigento iscrisse 22 persone, fra tecnici, funzionari, manager dell'azienda ospedaliera, progettisti e imprenditori, nel registro degli indagati per l'inchiesta sulla qualità dei materiali usati per la costruzione del nuovo complesso ospedaliero di contrada Consolida, ad Agrigento. Tra i reati ipotizzati l'associazione per delinquere, l'abuso di ufficio, l'omissione di atti di ufficio, il favoreggiamento e la truffa.

L'inchiesta, coordinata dal procuratore della Repubblica Renato Di Natale, sembrò subito una indagine gemella a quella che aveva già riguardato il cemento utilizzato a Caltanissetta per la costruzione di un padiglione dell'ospedale Sant'Elia. Gli avvisi di garanzia, all'inizio di marzo, furono emessi dopo una perizia disposta dalla procura dalla quale emersero le gravi carenze nella qualità dei calcestruzzi usati per alzare, cinque anni prima, la struttura.

Le prove tecniche, cosiddetti "carotaggi", realizzate in ogni punto dell'ospedale San Giovanni di Dio avrebbero evidenziato, in particolar modo, che il calcestruzzo utilizzato era "depotenziato" cioè con una alta percentuale di sabbia e dunque fin dai primi sondaggi non è mai stato escluso un alto rischio di crolli. Il perito Attilio Masnata nominato dalla procura già alla prima tranche di rilievi presentò una relazione tecnica preoccupante: secondo il perito l'ospedale non poteva essere collaudato e doveva, dunque, essere dichiarato inagibile. Fin dalle battute iniziali dell'inchiesta, dopo i primi rilievi tecnici, la guardia di finanza di Agrigento e la procura si erano detti in attesa degli esiti delle perizie per valutare l'opportunità o meno di un sequestro della struttura.

Provvedimento adottato in queste ultime ore. Il legale rappresentante dell'azienda ospedaliera è stato nominato custode dell'immobile sequestrato e allo stesso sono stati concessi 30 giorni di tempo per l'adozione di provvedimenti a tutela dell'incolumità del personale sanitario e amministrativo e dei degenti, compreso lo sgombero dell'intera struttura.

Mafia: Processo 'Gotha', 10 Anni a Ex Deputato Fi Mercadante



Mafia: Processo 'Gotha', 10 Anni a Ex Deputato Fi Mercadante

Roma, 28-07-2009



Dopo oltre 17 ore di camera di consiglio, i giudici della II sezione del tribunale di Palermo, presieduta da Bruno Fasciana, hanno condannato a 10 anni e otto
mesi di carcere, per associazione mafiosa, l'ex deputato di Forza Italia Giovanni Mercadante. L'ex parlamentare era sotto processo insieme ad altre otto persone accusate, a vario titolo, di mafia, estorsione e favoreggiamento aggravato.
Tra gli imputati i boss Bernardo Provenzano e Lorenzo Di Maggio, il medico Antonino Cina' e quattro commercianti.

Sedici anni la pena inflitta a Cina', gia' condannato per associazione mafiosa, ritenuto uomo di fiducia del boss Toto' Riina. Il capomafia Bernardo Provenzano, imputato di tentata estorsione, ha avuto, sei anni. A nove anni e quattro mesi e' stato condannato il boss Lorenzo Di Maggio. Assolto invece Marcello Parisi, ex consigliere di circoscrizione di Fi.



Infine sono stati assolti i commercianti Maurizio Buscemi, Calogero Immordino e Vito Lo Scrudato, che negando di avere ricevuto richieste estorsive, secondo la Procura, avrebbero favorito Cosa nostra; condannato invece a sei mesi un quarto commerciante, Paolo Buscemi.

Il processo scaturisce dall'indagine denominata Gotha, che porto' all'arresto di decine di colonnelli e gregari del boss Bernardo Provenzano.

Le accuse del pentito Nino Giuffrè
"Giovanni Mercadante e' una creatura di Provenzano, dottore": e' l'8 agosto del 2002, quando il pentito Nino Giuffre' racconta ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Palermo del presunto ruolo che il sessantenne medico radiologo avrebbe rivestito all'interno di Cosa nostra. La posizione dell'ex deputato regionale di Fi
condannato nella notte nel processo "Gotha" a 10 anni e 8 mesi per associazione mafiosa, era del resto la piu' delicata del processo: l'accusa aveva sollecitato per lui una condanna a 14 anni, con l'ipotesi che il primario di Radiologia dell'ospedale
Maurizio Ascoli fosse stato uno dei consiglieri piu' fidati della cerchia di cui si circondava Bernardo Provenzano.

Come lui, il boss di Prizzi Masino Cannella (imparentato con Mercadante), Pino Lipari, Nino Cina' e Vito Ciancimino.
L'imputato non avrebbe esitato ad assistere i mafiosi bisognosi di cure e si sarebbe prestato anche per eseguire o far eseguire delicati esami clinici su Saveria Palazzolo, compagna di Provenzano: il nome del medico, crittografato con un codice
segreto, fu decrittato dagli esperti della polizia su una delle lettere che l'ex superlatitante di Corleone si scambiava con i familiari e che fu intercettata nel gennaio 2001, al momento della cattura del boss di Belmonte Mezzagno Benedetto Spera.
Contro Mercadante, arrestato un pomeriggio di tre anni fa, il 10 luglio del 2006, anche le accuse di pentiti del calibro di Giovanni Brusca, Angelo Siino e Nino Giuffre' e una serie di intercettazioni telefoniche e ambientali: l'ex deputato di Forza Italia era infatti gia' stato indagato per due volte, tra il 2001 e il 2005, ma in entrambi i casi la Dda di Palermo aveva preferito chiudere le indagini con l'archiviazione, in attesa di essere in possesso di elementi decisivi.

Secondo il pm Di Matteo, che aveva sostenuto l'accusa con i colleghi Domenico Gozzo e Maurizio De Lucia, oggi entrambi trasferiti in altre sedi, Mercadante avrebbe ottenuto i voti e gli appoggi elettorali dei boss, e si sarebbe prestato a fare da 'braccio politico' di Provenzano. Tra le ultime accuse anche quelle di Massimo Ciancimino, il figlio dell'ex sindaco di Palermo Vito, che aveva confermato quanto raccontato dal pentito Angelo Siino: Mercadante avrebbe chiesto di far uccidere un uomo, presunto amante della propria moglie, ma la condanna a morte sarebbe stata tramutata in 'esilio', perche' il 'fedifrago' era nipote del boss Pino Lipari.

Camorra, arrestato latitante del clan Crimaldi


Camorra, arrestato latitante del clan Crimaldi

Un latitante, inserito nell'elenco dei 100 più pericolosi d'Italia, è stato arrestato oggi in provincia di Caserta .

Lo riferiscono i carabinieri del Comando provinciale di Napoli.

Si tratta di Vincenzo Capone, 37 anni, ritenuto elemento di spicco del clan camorristico Crimaldi attivo nel comune di Acerra, in provincia di Napoli.

L'uomo è destinatario di una ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa a maggio dal Tribunale di Napoli per estorsione con l'aggravante del metodo mafioso. L'operazione è stata coordinata dalla Direzione distretttuale antimafia.

Quando i carabinieri lo hanno catturato era a bordo di un'auto guidata dalla moglie 31enne e dalle indagini è emerso che si nascondeva in una abitazione poco distante.

Capone era irreperibile dallo scorso marzo.

Gdf scopre evasione per oltre 1 mld euro ad Agrigento


Gdf scopre evasione per oltre 1 mld euro ad Agrigento

MILANO (Reuters) - La Guardia di Finanza ha scoperto una evasione fiscale per oltre un miliardo di euro nel commercio di metalli e rottami ferrosi nella provincia di Agrigento, denunciando oltre 120 imprenditori.
Lo si legge in una nota dei finanzieri del nucleo di polizia tributaria del comando provinciale di Agrigento.

Le indagini, durate oltre due anni, hanno riguardato cinque società operanti nel settore del commercio dei rottami metallici e hanno portato alla luce "complessivamente una rilevante evasione fiscale all'imposizione diretta e all'Iva per oltre 1 miliardo e 200 mila euro", scrive la Gdf in una nota.

"(I finanzieri) hanno deferito alla procura della Repubblica i 120 responsabili delle società convolte nel sistema di frode per infedeli dichiarazioni e utilizzo di fatture per operazioni inesistenti".

Il settore della commercializzazione dei rottami ferrosi e non ferrosi è caratterizzato da un'elevata pericolosità fiscale, scrive la Gdf.

Secondo le ricostruzioni dei finanzieri, il materiale ferroso (scarti di lavorazione, rottami e dismissioni industriali) veniva recuperato e ceduto in nero dai cosiddetti "rottamai", senza l'emissione di regolari fatture, a grosse aziende dedite alla raccolta, che a loro volta rivendevano il materiale al normale prezzo di mercato, a numerose acciaierie e fonderie.

lunedì 27 luglio 2009

Riina dopo 13 anni parla con i giudici: tre ore di confronto sul "papello"


Riina dopo 13 anni parla con i giudici:
tre ore di confronto sul "papello"


di Claudia Guasco

MILANO (25 luglio) - Sono passati tredici anni da quando Totò Riina si è seduto per l’ultima volta davanti ai magistrati. Nel frattempo ha cambiato carcere tre volte, ha avuto due infarti, ma è rimasto sempre in silenzio.

Fino a pochi giorni fa, quando dalla sua cella di Opera si è messo in contatto con il mondo: poche parole per dire che dietro la strage di via D’Amelio in cui morirono Paolo Borsellino e la sua scorta ci sarebbero lo Stato e i servizi segreti deviati. Così ieri mattina i magistrati della procura di Caltanissetta che indagano sugli attentati di Capaci e via D’Amelio hanno interrogato il capo di Cosa nostra. Tre ore di confronto, e al centro il famoso «papello», ossia le richieste della mafia allo Stato per chiudere la stagione del sangue. «Un colloquio tranquillo. Riina era sereno», fa sapere il suo avvocato Luca Cianferoni.

Il procuratore Sergio Lari, i pm Domenico Gozzo e Niccolò Marino sono andati da lui con un obiettivo preciso, sentirsi confermare da Totò ’u curtu ciò che ha lasciato trapelare cinque giorni fa: Paolo Borsellino «l’hanno ammazzato loro». Denunciava in sostanza l’intervento di persone «legate alle istituzioni» e spalancava uno squarcio sulla presunta trattativa tra Stato e mafia per porre fine agli attentati, prendendone le distanze: «Io trattative non ne ho mai fatte con nessuno, ma qualcuno ha trattato su di me. La mia cattura è stata conseguenza di una trattativa».

Ora il suo legale cerca di frenare, esorta a non trarre «conclusioni precipitose». Un concetto però viene fatto passare chiaro e tondo dal boss rinchiuso nel carcere di Opera: il processo per la morte di Borsellino nel quale Riina fu condannato all’ergastolo «è una montatura, ci sono innocenti in carcere e colpevoli fuori». Dunque «deve essere rifatto e le possibilità che venga riaperto sono concrete, ci sono elementi nuovi», sostiene Cianferoni. Quali, precisa, «non sta a me spiegarlo», certo per puntare alla revisione del processo devono essere di notevole portata dato che può essere disposta solo in presenza di fatti in grado di determinare l’eventuale assoluzione del boss.

Riina, l’uomo che nelle aule dei processi è arrivato a negare l’esistenza di Cosa Nostra, sceglie sempre con accuratezza ciò che dice. E quando dirlo. Per i pm non è dunque secondario che le sue affermazioni giungano a breve distanza da quelle di Massimo Ciancimino: è lui che ha tirato in ballo il «papello», che ha elencato le volontà di Totò ’u curtu per fermare le stragi. Il boss sarà riascoltato dai magistrati di Caltanissetta? Cianferoni taglia corto: «Tocca a loro deciderlo».

Napoli, cinque arresti nel clan Sarno minacciata di morte moglie di pentito


Napoli, cinque arresti nel clan Sarno
minacciata di morte moglie di pentito


NAPOLI (27 luglio) - Cinque esponenti di spicco del clan camorristico Sarno sono stati arrestati dai carabinieri del Nucleo investigativo di Castello di Cisterna, in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Napoli. Sono ritenuti responsabili, con altre persone non ancora identificate, di aver minacciato di morte la moglie di un collaboratore di giustizia, per indurre il marito a ritrattare le dichiarazioni già rese e a non renderne di nuove. Nell'ambito dell'operazione, nel quartiere napoletano di Ponticelli, roccaforte del clan Sarno, centinaia di carabinieri, con unità cinofile di Napoli e un elicottero del settimo elinucleo di Pontecagnano, stanno effettuando un centinaio di perquisizioni per blocchi di edifici contro altrettanti affiliati e fiancheggiatori del clan.

domenica 26 luglio 2009

MAFIA RIINA "TRATTATIVE? IO NON SO NULLA"



Riina interrogato dai magistrati nisseni. Il suo avvocato: ''Per le stragi del '92 ci sono innocenti in carcere''

"Io unni sacciu nenti di sti cose". "Di queste cose io non ne so niente". Questa la risposta del "capo dei capi" di Cosa Nostra, Totò Riina, alle domande poste da procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, che ieri (insieme agli aggiunti Nico Gozzo e Nico­lò Marino) lo ha interrogato per tre ore, nel carcere milanese di Opera, sul nodo mai sciolto della trattativa tra Stato e mafia ai tempi delle stragi del 1992.
Da lui, ha sostenuto Riina, non si presentò nessuno a nome delle istituzio­ni. E alla richiesta di chiarire che cosa intendesse quando - qualche giorno fa - ha fatto di­re al suo avvocato che "Borselli­no l’hanno ammazzato loro", ha ri­sposto con un discorso un po' più articolato, che si può riassu­mere con generici riferimenti a apparati dello Stato, servizi se­greti deviati, personaggi abili nel doppio gioco.

Al fianco di Riina l’avvo­cato Luca Cianferoni (unico non siciliano della compagnia) che una settimana fa aveva rife­rito ai giornali alcune dichiara­zioni del suo cliente più noto. Di lì la decisione dei pubblici ministeri ancora impegnati nel­le inchieste sugli omicidi di Gio­vanni Falcone e Paolo Borselli­no di andare a interrogare il boss. Riina ha accettato di ri­spondere alle do­mande, per ribadire e approfon­dire (almeno parzialmente) gli accenni affidati alla stampa. L'avvocato Cianferoni, però non si è sbottonato su quanto il boss ha rivelato ai pm di Caltanissetta. Non ha spiegato, quindi, se Riina, abbia confermato le sue dichiarazioni di qualche giorno fa. "Non erano messaggi trasversa­li" ha però spiegato, ma indicazioni rivolte ai magistrati titolari del­le indagini sulle stragi.
Cianferoni ha poi cercato di smorzare i toni, senza però riuscirci. "Non traete conclusioni precipitose", ha esortato i cronisti che lo hanno intercettato fuori dal carcere per poi aggiungere invece che il processo per la strage di via D'Amelio, in cui perse la vita il giudice istruttore Paolo Borsellino, e al termine del quale Riina ha avuto l'ergastolo, "è una montatura".

"Ci sono innocenti in carcere e colpevoli fuori", ha rincarato la dose Cianferoni che, pur non entrando nello specifico del contenuto dell'interrogatorio, ha ammesso che "ci sono elementi nuovi per poterci difendere". L'avvocato ha spiegato che sentire Riina ora "è stata una scelta" dei magistrati nisseni che fanno capo al procuratore Sergio Lari; la scelta del legale è invece quella "di difenderci con il Codice e con la legge".
L'avvocato di Riina non è entrato nel dettaglio di questi "elementi nuovi" che Riina avrebbe portato, né ha confermato che possano essere alla base di una richiesta di revisione del processo che potrebbe essere disposta solo in presenza di fatti che potrebbero determinare l'assoluzione del boss.
Ma si è parlato di uomini delle istituzioni? Ha chiesto qualcuno. "Chi è competente a indagare, indagherà", ha tagliato corto l'avvocato.

Le dichiarazioni di Riina fanno il paio con quelle del figlio dell'ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, Massimo, già condannato per riciclaggio di denaro mafioso. Ciancimino ha parlato, recentemente, di un 'papello' che testimonierebbe, a suo dire, la volontà, da parte della mafia, di intraprendere un trattativa con lo Stato negli anni delle stragi. Conterrebbe le richieste di Totò Riina per porre fine alla 'mattanza'. 'Mattanza' alla quale, evidentemente, nonostante le condanne all'ergastolo "Totò 'u curtu" oggi nel carcere alle porte di Milano, dove sono detenuti i condannati in via definitiva e ritenuti pericolosi, ha detto di essere estraneo. Una "presunta trattativa di cui sarebbe stato oggetto e non soggetto attivo". Scoprire chi fossero i soggetti attivi di quella presunta trattativa, se mai c'è stata, è compito dei pm di Caltanissetta che indagano sui presunti mandanti occulti delle stragi del '92. [Informazioni tratte da Ansa.it, La Siciliaweb.it, Corriere.it]

"TRATTATIVE? IO NON SO NULLA"
di Francesco La Licata (La Stampa, 25 luglio 2009)


«Di queste cose un sacciu nenti». Così don Totò Riina ha stoppato sul nascere il tentativo dei magistrati di Caltanissetta di andare oltre l’esternazione qualche giorno fa affidata dal padrino al proprio legale. Eppure, al di là del muro che formalmente separa i giudici dal boss, qualcosa di nuovo c’è. Ed è l’atteggiamento del capo di Cosa nostra, la vera novità.
Riina tiene una linea negazionista, è vero, ma la tiene accettando per la prima volta le regole del gioco che prevede un confronto con la magistratura. In questo senso risulterebbe esatta l’interpretazione che a caldo, sulla performance mediatica del boss, diede il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari. Il magistrato dichiarò che non vedeva, nelle dichiarazioni di Riina, alcun messaggio trasversale, ma, al contrario, il tentativo diretto di poter essere ascoltato dalla Procura titolare delle indagini sulla strage Borsellino.

Ieri mattina, dunque, Sergio Lari e i suoi sostituti (Nico Gozzo e Nicolò Marino), accompagnati da funzionari della Dia, sono andati a trovare Riina, nel carcere di Opera. Il boss era assistito dall’avv. Luca Cianferoni, lo stesso che, nei giorni scorsi, si è fatto portavoce delle "proteste" del detenuto. L’approccio non poteva che essere impacciato. Il capo di Cosa nostra non ha consuetudine coi magistrati e, soprattutto, sa che tutto ciò che dirà poggia sul presupposto di una implicita ammissione dell’esistenza di Cosa nostra. Tesi dimostrata dalla semplice affermazione di Riina che «Borsellino l’hanno ammazzato loro», cioè entità diverse dalla mafia.
Su questo tema delle "entità estranee", Riina non sembra essersi mosso di un millimetro, ma quando si è trattato di dare una identità a questi «loro» il boss non è andato oltre ai generici ammiccamenti sui «servizi segreti» e sulla politica. Negando, per esempio, ancora di essere stato protagonista di una trattativa con lo Stato. «Da me non è venuto nessuno», ha risposto ai magistrati che cercavano notizie sull’andamento del "patteggiamento". Riina ha insistito sul fatto che se trattativa c’è stata, «è stata fatta sopra di me», suggerendo - in sostanza - che uno dei risultati di quel patto fu la sua cattura.

L'incontro coi giudici di Caltanissetta è durato quasi tre ore, trascorse - dice qualcuno - più a far domande che a sentire risposte. Ma non è sempre vero che i silenzi o i monosillabi non abbiano la loro importanza, in vicende come quella trattata dai magistrati nisseni. Certo, nessuno si poteva aspettare che al primo impatto il mafioso dimenticasse la propria origine. Sarà interessante attendere e vedere, intanto, se Riina accetterà altre domande e altri incontri.
Oggi si può registrare solamente un atteggiamento davvero diverso da quello tenuto nell’aprile del 1996, quando ai giudici Vigna e Caselli, che gli proponevano un "ragionamento", Riina rispose semplicemente: «Avete sbagliato persona!». E’ ovvio che, anche per rassicurare chi sta fuori, il capo di Cosa nostra debba frustrare sul nascere ogni possibile ipotesi di pentimento. Ma questo lo ha già sottolineato Luca Cianferoni quando, nel riferire lo sfogo del suo cliente, ha precisato: «Nessun cambiamento rispetto alla volontà di rimanere fedele alla propria linea di non collaborazione».
Insomma, sembra che a Riina stia a cuore di dimostrare la propria estraneità alla stagione stragista, obiettivo "nobilitato" ieri dall’avv. Cianferoni che, al termine dell’interrogatorio, ha dichiarato: «Ci sono, per le stragi, innocenti in carcere e colpevoli fuori. Ma ci sono elementi nuovi per poterci difendere».

La giornata di ieri ha fatto registrare una dichiarazione dell’ex magistrato del pool antimafia di Falcone e Borsellino, Giuseppe Ayala, secondo cui «Nicola Mancino ha raccontato di avere avuto una stretta di mano con Borsellino il giorno del suo insediamento a ministro dell’Interno, il primo luglio del 1992». La notizia ha creato qualche fibrillazione, anche perchè Mancino - indicato da Riina come l’uomo della trattativa - ha sempre detto di non ricordare esattamente ciò che avvenne quel giorno. Secondo il racconto di Ayala, invece, Mancino ricorderebbe esattamente che Borsellino gli fu portato dall’allora Capo della Polizia, Vincenzo Parisi. La risposta di Mancino non si è fatta attendere: «Ayala afferma ciò che non ho mai eslcuso e cioè che è stato possibile aver stretto, fra le tantissime mani, anche quella del giudice Borsellino».

Ayala conferma. "Mancino incontrò Borsellino al Viminale" - "Nicola Mancino mi ha detto di aver avuto un incontro con Borsellino, del tutto casuale, il giorno in cui si insediò al Viminale". Lo conferma all'ANSA l'ex parlamentare Giuseppe Ayala, componente del pool antimafia di Palermo e Pm del maxiprocesso a Cosa Nostra. Ayala afferma di avere appreso di quell'incontro "qualche mese fa nel corso di un colloquio con l'attuale vice presidente del Csm nel suo ufficio". Una circostanza smentita, anche nei giorni scorsi, dallo stesso Mancino: "Se ci fosse stato davvero quell'incontro - ha dichiarato in un'intervista - perché mai avrei dovuto negarlo?". Ayala ricostruisce adesso le fasi di quell'incontro, dal carattere del tutto "informale", sulla base delle notizie che afferma di avere appreso dallo stesso Mancino: "L'allora capo della polizia Parisi gli disse che c'era Borsellino al Viminale e che voleva salutarlo. Mancino rispose 'Si figuri'. Così lo accompagnò nella sua stanza, in mezzo ad altre persone, dove ci fu una stretta di mano". L'ex Pm del pool antimafia afferma inoltre che le affermazioni di Mancino "sono state pronunciate alla presenza di un altro consigliere del Csm". Ayala, infine, parla anche dell'agenda rossa di Paolo Borsellino: "Sono certo che sia scomparsa. Anche Agnese, la vedova di Paolo, ha detto che suo marito la teneva sempre con sé. Forse era proprio in quella borsa di pelle che io consegnai a un ufficiale dei carabinieri sul luogo dell'attentato...".
"Ayala afferma ciò che io non ho mai escluso e, cioé, che è stato possibile avere stretto, fra le tantissime mani, anche quella del giudice Borsellino, il giorno del mio insediamento al Viminale". Lo precisa il vice presidente del Csm, Nicola Mancino, riferendosi alle dichiarazioni dell' ex pm del pool antimafia di Palermo. "Ma tra avergli stretto la mano in mezzo ad altre persone senza avergli parlato e avere incontrato e parlato con il giudice Borsellino, c'é una bella differenza - sottolinea mancino -. Questo lo dice anche Ayala, il quale, però, fa confusione sulle agende. Sulla mia, che molti testimoni hanno visto e che è stata mostrata anche in TV, il primo luglio 1992 c'é una pagina bianca senza alcuna annotazione di incontri". [Ansa, 24 luglio 2009]

venerdì 24 luglio 2009

MAFIA NEWS NOTIZIE


Mafia: Dia Sequestra Beni Per 200 Mln a Imprenditore Palermitano

(AGI) - Palermo, 24 lug. - Beni per 200 milioni di euro sono stati sequestrati dalla Dia di Palermo a un imprenditore edile palermitano, socio in affari di esponenti del clan mafioso della Noce e di Palermo Centro. Tra i beni sequestrati numerosi appartamenti, ville, magazzini, terreni, quote societarie di aziende e rapporti bancari. L'operazione e' il secondo sequestro per entita' economica compiuto nel corso del 2009 dagli investigatori della Direzione investigativa antimafia di Palermo dopo quello a carico dell'imprenditore Rosario Cascio del valore di 400 milioni. I particolari del sequestro saranno illustrati nel corso di una conferenza stampa alle 10.30 nel palazzo di giustizia di Palermo.


Camorra: Estorsioni, Arresti Anche Per Tre Mogli Boss

(AGI) - Caserta, 24 lug. - Dalle prime ore del mattino i carabinieri di Santa Maria Capua Vetere stanno eseguendo un decreto di fermo dalla Dda di Napoli nei confronti di 9 persone ritenute responsabili di associazione per delinquere di tipo camorristico, estorsioni, rapine e altro. L'operazione ha consentito di smantellare un gruppo di affiliati ai Casalesi che si occupa della gestione delle estorsioni a Grazzanise e in altri comuni della provincia di Caserta. Tra gli arrestati anche tre donne, mogli di tre boss detenuti, regolarmente stipendiate dal clan. Si tratta di Luisa Martino di 46 anni, moglie del capozona di Grazzanise, Alfonso Cacciapuoti, arrestato nell'operazione 'Spartacus 3'; Rosanna Cioffo di 33 anni, moglie del capozona di Sant'Andrea del Pizzone, Gioacchino Tucci; Stefania Mariniello di 31 anni, consorte di Giovanni Izzo, affiliato storico ai Casalesi. Nel corso dell'indagine erano stati eseguiti arresti in flagranza, sequestrato un elevato numero di armi e sventato un attentato dinamitardo ai danni della stazione carabinieri di Grazzanise organizzato, stando alle indagini, da Modestino Minutolo, ucciso dal gruppo Schiavone -fazione del latitante Pasquale Vargas- il mese scorso a Villa di Briano.


Camorra: blitz dei cc, 9 arresti

(ANSA) - ROMA, 24 LUG - Blitz dei carabinieri di S.M.Capua Vetere(Caserta), smantellato un gruppo appartenente al clan dei Casalesi:sono stati eseguiti nove arresti. Sono accusati di associazione per delinquere di tipo camorristico, estorsioni e rapine. Durante le indagini, erano stati eseguiti arresti in flagranza di reato, sequestrato un cospicuo numero di armi e sventato un attentato dinamitardo contro i cc di Grazzanise. Fra gli arrestati ci sono anche tre donne, mogli di tre boss detenuti.

mercoledì 22 luglio 2009

'Ndrangheta, sequestrati beni a Roma per oltre 200 milioni euro


'Ndrangheta, sequestrati beni a Roma per oltre 200 milioni euro

A Roma è in corso un'operazione contro i patrimoni della 'Ndrangheta condotta da Carabinieri e Guardia di Finanza, che stanno sequestrando società, attività commerciali e beni per oltre 200 milioni di euro, come si legge in una nota



"Una vasta operazione contro i patrimoni delle cosche della 'Ndrangheta è in corso nella Capitale da parte del Ros (Reparto operativo speciale) dei Carabinieri e dello Scico (Servizio centrale di investigazione sulla criminalità organizzata) e del Gico (Gruppo d'investigazione sulla criminalità organizzata) della Guardia di Finanza, che stanno procedendo al sequestro di società, attività commerciali, abitazioni ed autovetture di lusso, per un valore complessivo di oltre 200 milioni di euro", dice la nota.

Tra gli esercizi sequestrati, dice una fonte, figura anche lo storico Cafe de Paris, svenduto nel 2005 per 250mila euro a un barbiere calabrese che in realtà, secondo gli inquirenti, sarebbe un uomo della cosca Alvaro-Palamara.

I provvedimenti, disposti dal Tribunale di Reggio Calabria, "riguardano prevalentemente gli investimenti della cosca Alvaro di Cosoleto (Reggio Calabria) nel settore della ristorazione, comprendenti anche esercizi pubblici della Capitale molto noti".

martedì 21 luglio 2009

Droga, 49 arresti in Italia e all'estero, coinvolta 'Ndrangheta


Droga, 49 arresti in Italia e all'estero, coinvolta 'Ndrangheta

Dopo due anni di indagini, la polizia di Reggio Calabria stamattina ha eseguito 49 arresti in Italia e all'estero nell'ambito di una vasta operazione antidroga che aveva ramificazioni anche negli ambienti della 'Ndrangheta. E' quanto si legge in una nota .

"All'alba di oggi la Polizia di Stato ha dato esecuzione a un'ordinanza di custodia cautelare a carico di 49 soggetti, di cui 13 cittadini stranieri di nazionalità peruviana, cilena, uruguayana, rumena, albanese e serbo-montenegrina, accusati di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti, acquisto, vendita, detenzione, trasporto e cessione illecita di sostanza stupefacente del tipo cocaina, nonché ricettazione di metalli preziosi e gioielli", dice la nota.

"Alcuni degli indagati - prosegue la polizia - sono organici a cosche mafiose operanti nel versante jonico della provincia di Reggio Calabria, come la ndrina 'Squillaci' federata alla ndrina 'Maesano-Pangallo-Paviglianiti', la ndrina 'Sergi- Marando-Trimboli' e la ndrina 'Barbaro', più volte implicate nei traffici di droga".

Nel vasto traffico di cocaina erano coinvolti gruppi di narcotrafficanti, spesso "consorziati" tra loro, operanti in Calabria, Lombardia, Marche, Lazio e Liguria, e all'estero in Spagna, Albania, Grecia, Cile, Bolivia e Perù.

Le indagini che hanno condotto all'operazione "Trovador" sono durate due anni, e hanno visto l'impiego di intercettazioni ambientali, telefoniche e telematiche.

domenica 19 luglio 2009

Stragi, Riina: Borsellino ucciso da persone legate a istituzioni



Totò Riina choc: "Borsellino
l'hanno ammazzato loro"


PALERMO - Per la prima volta, il boss Totò Riina parla delle stragi mafiose del '92. E lo fa in occasione dell'anniversario dell'eccidio del giudice Paolo Borsellino. "L'hanno ammazzato loro - dice al suo legale, l'avvocato Luca Cianferoni - Lo può dire tranquillamente a tutti, anche ai giornalisti. Io sono stanco di fare il parafulmine d'Italia".

Un'uscita clamorosa, quella del padrino di Corleone, spinto a consegnare al difensore la sua verità su via D'Amelio dal clamore suscitato dalle notizie sulle nuove ipotesi investigative sulla strage. Come riportano alcuni quotidiani, leggendo un articolo del Sole 24 ore, che parlava del presunto coinvolgimento di apparati dello Stato nell'uccisione del giudice, Riina ha commentato: "Avvocato, io con questa storia non c'entro nulla".

E sulla presunta trattaviva tra Stato e mafia, intrapresa per porre fine alla stagione stragista, che avrebbe visto proprio in Riina il principale protagonista, il boss replica: "Io trattative non ne ho mai fatte con nessuno; ma qualcuno ha trattato su di me. La mia cattura è stata conseguenza di una
trattativa".

UNA STORIA TORBIDA. Totò Riina è certo di essere stato "venduto", ma nega che a consentire la sua cattura sia stato il boss Bernardo Provenzano.

"So che la mia posizione processuale sulla strage di via D'Amelio non cambierà - ha spiegato poi al legale -. Io non chiedo niente, non voglio niente e non ho intenzione di trovare mediazioni con nessuno".

Sulla presunta trattativa tra Stato e mafia il boss ha un'idea precisa. "Il mio cliente - spiega Cianferoni - sostiene che l'accordo sia passato sopra la sua testa e che i protagonisti della trattativa sarebbero Vito Ciancimino (ex sindaco di Palermo ndr) ed i carabinieri. Non a caso quattro anni fa chiesi che venisse ascoltato il figlio di Ciancimino, Massimo".

E proprio Ciancimino jr nei giorni scorsi ha riportato l'attenzione sul presunto accordo tra Stato e mafia e sul cosiddetto 'papello', l'elenco delle richieste che Riina avrebbe fatto alle istituzioni per far cessare la stagione delle stragi.

Il figlio dell'ex sindaco, condannato per riciclaggio, e ora aspirante dichiarante, ha promesso ai magistrati di Palermo di consegnare copia del documento che proverebbe l'esistenza della trattativa.


SALVATORE BORSELLINO: "SONO MESSAGGI IN CODICE". "Riina sta lanciando dei messaggi in codice a chi è fuori dal carcere. Sta alzando il tiro e sta facendo capire che è arrivato il momento di pagare le cambiali". Così Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso da Cosa nostra, ha commentato le rivelazioni fatte dal boss corleonese al suo avvocato.

Il capomafia ha preso le distanze dalla strage di via D'Amelio, invitando il suo difensore a far sapere che con la morte del magistrato non c'entra nulla. "L'hanno ammazzato loro", ha replicato, riferendosi al presunto coinvolgimento di apparati dello Stato nell'eccidio.

"Già in passato, Riina - ha proseguito il fratello di Borsellino - aveva lanciato avvertimenti del genere. Oggi, però, questi avvertimenti si fanno più concreti e diretti. Evidentemente il boss comincia a stancarsi di pagare anche per quelli che gli hanno commissionato la strage".


INGROIA: "PRONTI AD ASCOLTARE LA VERSIONE DI RIINA". "Fino ad ora Riina aveva lanciato messaggi sibillini e vaghi. Adesso mi pare che faccia dichiarazioni precise. Se questo vuol dire che ha intenzione di dare un contributo alla scoperta della verità sulle stragi, sappia che l'autorità giudiziaria, senza pregiudizi o inviti alla collaborazione, è pronto ad ascoltarlo". Lo ha detto il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Igroia, commentando le parole del boss corleonese riportate dal suo legale, l'avvocato Luca Cianferoni.

Il capomafia ha sostenuto la sua estraneità alla strage di via D'Amelio, puntando il dito contro pezzi delle istituzioni. Alla domanda su chi sia il destinatario del messaggio lanciato da Riina, Ingroia ha risposto: "Non voglio entrare nel merito della vicenda, certamente non si riferiva all'autorità giudiziaria. Se avesse voluto parlare con i magistrati avrebbe scelto altri canali".

Mafia/ Lari: Borsellino ucciso perchè sapeva della trattativa -rpt


Mafia/ Lari: Borsellino ucciso perchè sapeva della trattativa -rpt

Paolo Borsellino potrebbe avere segnato sulla sua 'agenda rossa', che stava nella sua borsa ma che non fu mai ritrovata, "notizie da lui apprese in ordine allo svolgimento di una trattativa tra lo Stato e Cosa nostra" e quindi il furto di questa agenda potrebbe essere stato "ispirato o organizzato da un terzo livello, un servizio segreto deviato, un qualcuno che temeva che su quell'agenda ci potessero essere delle annotazioni fatte da Borsellino pericolose per loro". Lo ha detto il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari al Gr1 della Rai: la procura ha aperto un nuovo filone di indagini sulle stragi di mafia. Lari, sottolineando che la strage di Via d'Amelio, compiuta il 19 luglio del 1992, è stata "anticipata rispetto ai tempi che erano stati programmati da Cosa nostra", spiega che un'ipotesi concreta sulla quale si lavora da parte degli investigatori "è che in qualche modo o Borsellino fosse venuto a conoscenza della trattativa e si fosse messo di traverso, e per questo fu ucciso, oppure che la trattativa si era arenata. Allora Totò Riina ha deciso di accelerare sull'esecuzione di questa strage allo scopo di costringere lo stato a venire a patti. Quindi - conclude Lari - lentamente emergono possibili se non addirittura probabili rapporti tra Cosa nostra e settore deviati dello Stato". Domani ricorre il 17esimo anniversario della morte di Paolo Borsellino, fatto saltare in aria insieme a cinque agenti della sua scorta, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, nei pressi dell'abitazione della madre, cui il giudice stava andando a fare visita.

giovedì 16 luglio 2009

'Ndrangheta, operazione del Ros contro il clan degli 'zingari'


SCACCO DELLA DDA AL CLAN DEGLI ZINGARI DI CASSANO ED AI LORO “COMPARI” CORIGLIANESI: VENTITRE ' ARRESTI

TRA LE PIEGHE DELL’INCHIESTA SFOCIATA NELL’OPERAZIONE “TIMPONE ROSSO” CONDOTTA DAI CARABINIERI DEL ROS SVELATI MOVENTI E PRESUNTI RESPONSABILI DI NUMEROSI OMICIDI AVVENUTI TRA I DUE COMUNI NEGLI ANNI 1999-2003. DETERMINANTI LE CONFESSIONI DI TRE PENTITI

All’alba di stamane i Carabinieri del Reparto Operativo Speciale hanno eseguito nella Sibaritide e in Germania un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari di Catanzaro su richiesta della locale Direzione distrettuale Antimafia nei confronti di 23 indagati per associazione mafiosa, omicidio, tentato omicidio, porto abusivo di armi e munizionamento da guerra.


Le indagini del Ros, incentrate sul cosiddetto "clan degli zingari" attivo nel Cassanese, hanno consentito di ricostruire i moventi e gli autori di numerosi omicidi e tentati omicidi commessi durante la cruenta guerra di mafia che negli ultimi anni ha visto contrapposte le cosche della Sibaritide, in particolare quelle degli zingari e dei Forastefano, per il controllo degli affari illeciti sul territorio. In corso di esecuzione anche il sequestro preventivo di beni mobili ed immobili per un valore di oltre 20 milioni di euro comprendenti aziende agricole ed imprese di costruzioni edilizie. Gl’investigatori che hanno condotto l'inchiesta - denominata ''Timpone Rosso'' dal nome della via della frazione Lauropoli di Cassano in cui risiedono gran parte dei presunti affiliati al “clan degli zingari”- si sono avvalsi delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Pasquale Perciaccante, di Cassano e Carmine Alfano di Corigliano. Il primo in particolare è fuoriuscito proprio dalla cosca degli zingari. Il gruppo criminale, secondo l'accusa, avrebbe utilizzato una strategia stragista per imporre il proprio predominio sul territorio eliminando chiunque rappresentasse un ostacolo, evitando attraverso gli omicidi dei potenziali “pentimenti” che avrebbero potuto minare la solidità del clan. E' in questa logica che sarebbero maturati gli omicidi di Giuseppe Cristaldi, Biagio Nucerito, Gianfranco Iannuzzi, Salvatore Giorgio Cimino, Giuseppe Vincenzo Fabbricatore, Vincenzo Campana, Gaetano Guzzo, Sergio Benedetto ed Antonio Acquesta.

IL "LATITANTE ECCELLENTE", I “COMPARI” CORIGLIANESI E GLI OMICIDI

L’ordinanza cautelare colpisce anche il latitante rossanese Nicola Acri, ritenuto capo dell’omonimo clan in combutta con gli zingari di Cassano e datosi “alla macchia” due anni fa dopo l’omicidio dell’imprenditore rossanese Luciano Converso del quale la Dda lo ritiene il mandante. Tra gli arrestati figurano anche i presunti “compari” coriglianesi degli zingari: Fabio Falbo - preso a Francoforte in Germania - Maurizio Barillari, Ciro Nigro e Rocco Azzaro. Finiti in manette pure i due ultimi collaboratori di giustizia fuoriusciti dal “locale” di Corigliano: Carmine Alfano e Vincenzo Curato. Ciro Nigro, residente ad Apollinara, è ritenuto dagl’inquirenti l’esecutore materiale dell’omicidio di Salvatore Giorgio Cimino, ferito gravemente a colpi di pistola davanti a un bar dello Scalo di Corigliano il 24 maggio 2001 e poi morto una ventina di giorni dopo all’ospedale dell’Annunziata di Cosenza. Salvatore Giorgio Cimino era il padre di Giovanni ed Antonio Cimino, i due collaboratori di giustizia coriglianesi che a seguito del loro pentimento hanno contribuito in modo determinante alla decapitazione, da parte della Dda, del “locale” di ‘ndrangheta coriglianese. Su questo fatto di sangue il collaboratore di giustizia Vincenzo Curato s’è autoaccusato d’avere svolto il ruolo di “palo”. A Fabio Falbo e Maurizio Barillari i magistrati contestano invece un ruolo di partecipazione attiva negli omicidi di Giuseppe Vincenzo Fabbricatore e Vincenzo Campana, trucidati in un plateale agguato a colpi di Kalashnikov il 25 marzo 2002 lungo il tratto coriglianese della Statale 106 jonica.

LE "LUPARE BIANCHE" E IL RUOLO DEL PENTITO PERCIACCANTE

L'inchiesta che ha portato all'operazione “Timpone Rosso”, coordinata dal sostituto Procuratore antimafia Vincenzo Luberto, ha consentito infatti di fare luce su questa lunga scia di sangue che ha bagnato la Sibaritide tra il 1999 e il 2003, il periodo, secondo gli investigatori, di massima ascesa del clan degli zingari che negli anni si sono ritagliati un posto di primo piano nella geografia criminale dell’intera provincia di Cosenza. La collaborazione di Perciaccante ha consentito pure il ritrovamento dei resti dei corpi di Gianfranco Iannuzzi e di Antonio Acquesta fatti sparire con la tecnica della “lupara bianca”, oltre a numerose armi utilizzate dalla cosca. All'omicidio di Iannuzzi gl’inquirenti hanno riservato molta attenzione: sarebbe stata la chiave di volta che ha consentito di ricostruire gli anni di sangue di cui si sarebbero resi protagonisti gli affiliati al clan. Secondo quanto emerso dalla ricostruzione degli inquirenti uno dei punti di forza della cosca degli zingari sarebbe la struttura familistica. Il clan sarebbe in poco tempo passato dalla gestione di attività illecite marginali alle estorsioni, per poi posizionarsi nel narcotraffico internazionale. Tra gli omicidi spicca quello del giovane Antonio Acquesta, ucciso il 27 aprile del 2003: secondo le accuse della Dda fu assassinato solo perché “sospettato” d’aver preso parte al duplice omicidio di Eduardo Pepe e Fioravante Abbruzzese, considerati esponenti di primo piano della cosca degli zingari, assassinati il 3 ottobre del 2002. Acquesta fu rapito, portato in un casolare, interrogato e poi massacrato a colpi di chiave inglese.

mercoledì 15 luglio 2009

LATITANTI RICERCATI WANTED MAFIA CAMORRA NDRANGHETA foto

'Ndrangheta: Partita La 'Lunga Marcia Della Memoria'


Per una migliore visualizzazione clicca sull'immagine


'Ndrangheta: Partita La 'Lunga Marcia Della Memoria'

(ASCA) - Reggio Calabria, 15 lug - E' partita ieri, a Reggio Calabria, la seconda edizione della ''Lunga Marcia della Memoria'', la manifestazione promossa dall'associazione daSud e dedicata quest'anno alle ''Strade e piazze antimafia''. A dare il via la cantante Marina Rei, insieme a daSud e alla Cgil di Reggio, che ospita anche quest'anno l'evento nell'ambito della Festa del Lavoro. ''Sono qui per mettermi in gioco - ha dichiarato Marina Rei - perche' sono convinta che la cultura e' di grande importanza e noi artisti possiamo fare molto per combattere le mafie. Mio padre e' nato a Napoli e mio nonno in Sicilia, ecco perche' questa e' per me un'occasione importante per confrontarmi con chi vive tutti i giorni in queste terre. Voglio fare la mia parte e dico: produciamo arte e non guerre''. Prima di salire sul palco, Marina Rei ha deciso di ''adottare'' una delle vittime della ''ndrangheta: si tratta di Raffaella Scordo, insegnante di Ardore, in provincia di Reggio Calabria. E' stata uccisa a martellate nel luglio del 1990 perche' ha opposto resistenza durante un tentativo di rapimento, in piena stagione dei sequestri in Aspromonte. Ma saranno tantissime le storie richiamate alla memoria con la campagna ''Strade e Piazze dell'antimafia'': oggi, alle ore 12 (da Roma a Milano, da Pescara a Pisa e Palermo) il via ai blitz in decine di citta' con le intitolazioni simboliche dei luoghi della vita urbana, insieme ad associazioni, movimenti, artisti e semplici cittadini. A Reggio Calabria appuntamento, alle ore 11 di oggi, sul corso Garibaldi di fronte alla pizzeria Giardini. ''Un semplice gesto dal significato profondo - spiega Danilo Chirico dell'associazione daSud - per ridare memoria al nostro Paese, per rendere omaggio a quegli uomini e a quelle donne che hanno pagato con la vita il loro no alle cosche''.

Camorra: Clan Dei Casalesi, Oltre 40 Arresti Tra Caserta e Modena



Camorra: Clan Dei Casalesi, Oltre 40 Arresti Tra Caserta e Modena

Caserta, 15 lug. - (Adnkronos) - Oltre 40 arresti sono stati eseguiti dai Carabinieri del Reparto operatvo del Comando provinciale di Caserta e dai colleghi modenesi, di presunti appartenenti al clan dei Casalesi. Gli indagati sono accusati a vario titolo di associazione mafiosa finalizzata alle estorsioni. I Carabinieri casertani hanno arrestato 12 persone mentre una trentina sono stati ammanettati dai colleghi modenesi.


Camorra: 43 Arresti Tra Caserta e Modena

(AGI) - Caserta, 15 lug. - Dalle prime ore del mattino e' in atto una operazione anti camorra tra Caserta e Modena che ha permesso ai carabinieri di eseguire una ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 43 esponenti di spicco del clan dei Casalesi, su richiesta della Direzione distrettuale Antimafia - 12 arrestati in provincia di Modena, 22 nell'agroaversano e 9 notificate in carcere -, che favorivano la latitanza del boss Raffaele Diana, detto 'Rafilotto'. I reati contestati vanno dall'associazione per delinquere di stampo mafioso al favoreggiamento, riciclaggio ed estorsione. Tra gli arrestati, anche Maria Capone e Angela Diana, moglie e figlia di 'Rafilotto', e Barbara Crisci, moglie di Giuseppe Caterino, detto 'Peppinotto' (condannato all'ergastolo nel processo 'Spartacus'), insieme al figlio Francesco Caterino. In manette e' finito anche Corrado Carcarino, di San Cipriano d'Aversa, nella cui abitazione venne trovato il bunker, gia' sequestrato lo scorso 2 gennaio, in cui si nascondevano i boss Antonio Iovine, detto 'o'Ninno', e Raffaele Diana Stando alle indagini, la moglie di Giuseppe Caterino, Barbara Crisci, gestiva gli stipendi degli affiliati. (AGI) Cli/Na/Chi 150734 LUG 09 .


Mafia:confiscati beni da 6 mln euro

(ANSA) - PALERMO, 15 LUG - La Dia di Messina ha confiscato beni per oltre 6 milioni di euro riconducibili al boss Sebastiano Rampulla, di Cosa Nostra messinese. Rampulla e' stato condannato dalla corte d'Appello di Caltanissetta a 14 anni per tentato omicidio. Secondo gli inquirenti, il boss, capo della 'famiglia' di Mistretta, avrebbe esteso il suo controllo a tutta la provincia. Tra i beni confiscati: un appezzamento di terreno di oltre 320.000 mq, una ditta e un terreno con un immobile.


Mafia: Ciancimino Junior Annuncia, Consegnero' Il 'Papello' Ai Pm

Palermo, 14 lug.- (Adnkronos) - Fino ad oggi ne aveva solo parlato, ma non aveva mai detto di volerlo consegnare ai magistrati. Adesso, pero', Massimo Ciancimino, il figlio di 'don Vito' l'ex sindaco di Palermo condannato per mafia prima della morte, ha cambiato idea e si dice pronto a consegnare ai magistrati il "papello". Si tratta di un documento, di una paginetta appena formato A4, sul quale sarebbero state scritte le richieste di Cosa nostra allo Stato. Una sorta di 'patto' tra Stato e mafia di cui aveva parlato Ciancimino tempo fa. Come scrive 'Repubblica', Ciancimino junior nel corso dell'ultimo interrogatorio avrebbe assicurato ai magistrati che l'avrebbe consegnato presto.

Mafia: Dia Messina Confisca Beni Per Oltre Sei Mln Euro Riconducibili a Presunto Boss

Palermo, 15 lug. - (Adnkronos) - Beni per complessivi sei milioni di euro sono stati confiscati dalla Dia di Messina riconducibili a Sebastiano Rampulla, ritenuto dagli inquirenti il rappresentante provinciale di Cosa Nostra messinese. Il provvedimento di confisca e' stato emesso dal Tribunale di Catania. I giudici hanno anche aggravato, aumentandola di due anni, la misura della sorveglianza speciale inflitta al presunto boss. Rampulla, soprannominato 'zu Vastiano' e' stato condannato dalla corte d'Appello di Caltanissetta a 14 anni per tentato omicidio.

martedì 14 luglio 2009

Caserta, sequestrato il tesoro dei boss Casalesi: 50 milioni tra case e società


Caserta, sequestrato il tesoro dei boss Casalesi:
50 milioni tra case e società


NAPOLI (14 luglio) - Quattro decreti di sequestro per oltre 30 prestanomi di persone appartenenti al clan dei Casalesi. Il sequestro, per oltre 50 milioni di euro, è il più grande effettuato nel Casertano dai tempi dell'operazione Spartacus che, alcuni anni fa, assestò un durissimo colpo alla camorra.

L'operazione è frutto di indagini patrimoniali che hanno portato all'emissione di provvedimenti nei confronti di cinque persone e di 30 prestanome ricollegabili alle stesse, dietro ai quali si celavano le attività di reimpiego e di riciclaggio dei proventi dell'attività criminale del clan dei Casalesi. I provvedimenti della magistratura sono stati notificati in carcere, dove sono detenuti per altri reati, a Giosuè Fioretto, Antonio Della Ventura, Nicola Verolla, Giuseppe Setola e Pasquale Setola.

Quest'ultimo, fratello di Giuseppe, leader dell'ala stragista dei Casalesi, imprenditore attivo nel settore degli appalti pubblici, attraverso la società “General Impianti sas di Pagano Massimiliano & C.” di Casal di Principe, oltre ad essere affiliato al clan del Casalesi, è stato individuato quale terzo intestatario di numerosi dei beni illecitamente accumulati, che sono stati sequestrati stamani nel corso dell'operazione.

Pasquale Setola era già titolare di imprese commerciali, poi cedute a terzi per evitare i sequestri una volta che il fratello Giuseppe era divenuto un personaggio noto, a seguito delle stragi e dei molti omicidi avvenuti nell'estate del 2008. Le indagini patrimoniali hanno messo in luce l'esistenza di numerosi altri immobili e società intestate ad insospettabili terzi nel tentativo di aggirare le attività investigative e la conseguente attuazione della normativa antimafia.

lunedì 13 luglio 2009

Mafia, 8 arresti a Gela


Mafia, 8 arresti a Gela

GELA (CALTANISSETTA) - A distanza di vent'anni da tre tentati omicidi avvenuti a Gela, la polizia di Stato ha fatto luce su questi fatti e stamani ha eseguito otto ordini di custodia cautelare.

I provvedimenti del gip del tribunale di Caltanissetta, richiesti dal procuratore Sergio Lari, dall'aggiunto Domenico Gozzo e dal sostituto Antonino Patti, riguardano il tentativo di uccidere Salvatore Bacarella, Marcello Sultano (dal 2006 collaboratore di giustizia) e Salvatore La Russa.

I tre vennero feriti da diversi colpi di arma da fuoco, ma riuscirono a sopravvivere. L'agguato avvenne il 18 marzo 1989 a Gela e contro i tre furono sparati colpi di pistola calibro 7 e 65, calibro 38 e di fucile calibro 12.

Le indagini della Squadra mobile di Caltanissetta, e dei commissariati di Gela e Niscemi hanno fatto luce sulla vicenda, grazie anche alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. L'episodio si inquadra nel periodo in cui Gela venne insanguinata da numerosi delitti e tentati omicidi sui quali spesso è stato difficile indagare per l'omertà dei testimoni.

I fatti di questa inchiesta si inquadrano dunque in un'epoca in cui era sanguinosa la contrapposizione tra il il clan mafioso Madonia e la "stidda", l'organizzazione che si contrapponeva a Cosa nostra nel nisseno.

domenica 12 luglio 2009

LATITANTI ARRESTATI

LATITANTI ARRESTATI

2009.
o Salvatore Miceli (Cosa nostra), ricercato dal 2001 ed arrestato il 21 giugno 2009 a Caracas (Venezuela).[31]
o Antonio Pelle ('Ndrangheta), ricercato dal 2000 ed arrestato il 12 giugno 2009 a Polistena.[32]
o Michele Antonio Varano ('Ndrangheta), ricercato dal 2000 ed arrestato il 12 maggio 2009 a Gandria (Svizzera).[33]
o Salvatore Coluccio ('Ndrangheta), ricercato dal 2005 ed arrestato il 10 maggio 2009 a Roccella Jonica.[34]
o Raffaele Diana (Camorra), ricercato dal 2004 ed arrestato il 3 maggio 2009 a Casal di Principe.[35]
o Giovanni Strangio ('Ndrangheta), ricercato dal 2007 ed arrestato il 12 marzo 2009 ad Amsterdam (Paesi Bassi).[36]
o Giuseppe Setola (Camorra), ricercato dal 2008 ed arrestato il 14 gennaio 2009 a Mignano Monte Lungo.[37]
2008.
o Pietro Criaco ('Ndrangheta), ricercato dal 1997 ed arrestato il 28 dicembre 2008 ad Africo.[38]
o Giuseppe De Stefano ('Ndrangheta), ricercato dal 2003 ed arrestato il 10 dicembre 2008 a Reggio Calabria.[39]
o Patrizio Bosti (Camorra), ricercato dal 2005 ed arrestato il 10 agosto 2008 a Girona (Spagna).[40]
o Giuseppe Coluccio ('Ndrangheta), ricercato dal 2005 ed arrestato il 7 agosto 2008 a Toronto (Canada).[41]
o Pasquale Condello ('Ndrangheta), ricercato dal 1990 ed arrestato il 18 febbraio 2008 a Reggio Calabria.[42]
o Vincenzo Licciardi (Camorra), ricercato dal 2004 ed arrestato il 7 febbraio 2008 a Cuma.[43]
2007.
o Edoardo Contini (Camorra), ricercato dal 2001 ed arrestato il 14 dicembre 2007 a Casavatore.[44]
o Daniele Emmanuello (Cosa nostra), ricercato dal 1996 ed ucciso dalla polizia il 3 dicembre 2007 a Villarosa.[45]
o Andrea Adamo (Cosa nostra), ricercato dal 2001 ed arrestato il 5 novembre 2007 a Carini.[46]
o Salvatore Lo Piccolo (Cosa nostra), ricercato dal 1998 ed arrestato il 5 novembre 2007 a Carini.[46]
o Sandro Lo Piccolo (Cosa nostra), ricercato dal 1998 ed arrestato il 5 novembre 2007 a Carini.[46]
o Giuseppe Bellocco ('Ndrangheta), ricercato dal 1997 ed arrestato il 16 luglio 2007 a Mileto.[47]
o Salvatore Pelle ('Ndrangheta), ricercato dal 1991 ed arrestato il 10 marzo 2007 a Reggio Calabria.[48]
2006.
o Maurizio Di Gati (Cosa nostra), ricercato dal 1994 ed arrestato il 25 novembre 2006 ad Agrigento.[49]
o Bernardo Provenzano (Cosa nostra), ricercato dal 1963 ed arrestato l'11 aprile 2006 a Corleone.[50]
o Giuseppe D'Agostino ('Ndrangheta), ricercato dal 1996 ed arrestato il 23 marzo 2006 a Rosarno.[51]
o Rose Ann Scrocco, ricercata dal 1991 ed arrestata il 16 gennaio 2006 ad Amsterdam (Paesi Bassi).[52]
2005.
o Umberto Di Fazio (Cosa nostra), ricercato dal 2000 ed arrestato il 23 ottobre 2005 a Enna.[53]
o Paolo Di Lauro (Camorra), ricercato dal 2002 ed arrestato il 16 settembre 2005 a Napoli.[54]
o Luigi Putrone (Cosa nostra), ricercato dal 1998 ed arrestato l'11 agosto 2005 a Ústí nad Labem (Repubblica Ceca).[55]
o Vincenzo Iamonte ('Ndrangheta), ricercato dal 1993 ed arrestato il 30 luglio 2005 a Reggio Calabria.[56]
o Antonio Commisso ('Ndrangheta), ricercato dal 2004 ed arrestato il 28 giugno 2005 a Toronto (Canada).[57]
o Giuseppe Iamonte ('Ndrangheta), ricercato dal 1993 ed arrestato il 14 maggio 2005 a Santo Stefano in Aspromonte.[58]
o Gregorio Bellocco ('Ndrangheta), ricercato dal 1997 ed arrestato il 16 febbraio 2005 a Rosarno.[59]
o Raffaele Antonio Ligato (Camorra), arrestato il 26 gennaio 2005 a Magonza (Germania).[60]
2004.
o Andrea Ghira, ricercato dal 1975, trovato morto il 9 settembre 2004.[61]
o Pasquale Tegano ('Ndrangheta), ricercato dal 1994 ed arrestato il 6 agosto 2004 a Reggio Calabria.[62]
o Vito Bigione (Cosa nostra), ricercato dal 1995 ed arrestato il 27 maggio 2004, a Caracas (Venezuela).[63]
o Vito Roberto Palazzolo (Cosa nostra), ricercato dal 1986 e rimosso dalla lista il 23 aprile 2004, quando il suo mandato d'arresto fu revocato.
o Roberto Pannunzi ('Ndrangheta), ricercato dal 1999 ed arrestato il 5 aprile 2004, a Madrid (Spagna).[64]
o Francesco Schiavone "Cicciariello" (Camorra), ricercato dal 2002 ed arrestato il 13 marzo 2004 a Krosno (Polonia).[65]
o Orazio De Stefano ('Ndrangheta), ricercato dal 1988 ed arrestato il 22 febbraio 2004 a Reggio Calabria.[66]
o Giuseppe Morabito ('Ndrangheta), ricercato dal 1992 ed arrestato il 18 febbraio 2004 a Cardeto.[67]
2003.
o Giovanni Bonomo (Cosa nostra), ricercato dal 1996 ed arrestato il 14 novembre 2003 a Roma.[68]
o Francesco Mallardo (Camorra), ricercato dal 2002 ed arrestato il 28 agosto 2003 a Nola.[69]
o Filippo Cerfeda (Sacra Corona Unita), ricercato dal 2001 ed arrestato il 12 marzo 2003 a Ridderkerk (Paesi Bassi).[70]
o Salvatore Rinella (Cosa nostra), ricercato dal 1995 ed arrestato il 6 marzo 2003 a Palermo.[71]
o Andrea Manciaracina (Cosa nostra), ricercato dal 1992 ed arrestato il 31 gennaio 2003 a Marsala.[72]
2002.
o Luigi Facchineri ('Ndrangheta), ricercato dal 1987 ed arrestato il 31 agosto 2002 a Cannes (Francia).[73]
o Giuseppe Balsano (Cosa nostra), ricercato dal 1993 ed arrestato il 21 maggio 2002 a Monreale.[74]
o Antonino Giuffrè (Cosa nostra), ricercato dal 1993 ed arrestato il 16 aprile 2002 a Roccapalumba.[75]
2001.
o Giuseppe Barbaro ('Ndrangheta), ricercato dal 1990 ed arrestato il 10 dicembre 2001 a Platì.[76]
o Carmine De Stefano ('Ndrangheta), ricercato dal 1994 ed arrestato il 9 dicembre 2001 a Reggio Calabria.[77]
o Maria Licciardi (Camorra), ricercata dal 1999 ed arrestata il 14 giugno 2001 a Melito di Napoli.[78]
o Vito Di Emidio (Sacra Corona Unita), ricercato dal 1995 ed arrestato il 29 maggio 2001 a Brindisi.[79]
o Gaetano Santaiti ('Ndrangheta), ricercato dal 1993 ed arrestato il 20 maggio 2001 a Seminara.[80]
o Angelo Nuvoletta (Camorra), ricercato dal 1995 ed arrestato il 17 maggio 2001 a Marano di Napoli.[81]
o Vincenzo Virga (Cosa nostra), ricercato dal 1994 ed arrestato il 21 febbraio 2001 a Trapani.[82]
o Benedetto Spera (Cosa nostra), ricercato dal 1971 ed arrestato il 30 gennaio 2001 a Mezzojuso.[83]
2000.
o Erminia Giuliano (Camorra), ricercata dal 2000 ed arrestata il 24 dicembre 2000 a Napoli.[84]
o Francesco Prudentino (Sacra Corona Unita), ricercato dal 1995 ed arrestato il 22 dicembre 2000 a Salonicco (Grecia).[85]
o Salvatore Genovese (Cosa nostra), ricercato dal 1993 ed arrestato il 21 ottobre 2000 a San Giuseppe Jato.[86]
o Ferdinando Cesarano (Camorra), ricercato dal 1998 ed arrestato il 10 giugno 2000 a Torre Annunziata.[87]
o Antonio Libri ('Ndrangheta), ricercato dal 1994 ed arrestato il 23 maggio 2000 a Reggio Calabria.[88]
o Gennaro Sacco (Camorra), arrestato il 19 aprile 2000 a Napoli.[89]
o Francesco Mallardo (Camorra), arrestato il 14 aprile 2000 a Giugliano.[90]
1999.
o Bachisio Franco Goddi, arrestato il 13 luglio 1999 a Viterbo.[91]
o Giuseppe Piromalli ('Ndrangheta), ricercato dal 1993 ed arrestato l'11 marzo 1999 a Gioia Tauro.[92]
o Salvatore Di Gangi (Cosa nostra), ricercato dal 1993 ed arrestato il 29 gennaio 1999 a Palermo.[93]
1998.
o Pino Cammarata (Cosa nostra), arrestato il 4 dicembre 1998 a Riesi.[94]
o Francesco Messina Denaro (Cosa nostra), ricercato dal 1990 e morto per cause naturali. Il corpo è stato ritrovato il 30 novembre 1998 appoggiato al cancello di una villa a Trapani.[95]
o Diego Burzotta (Cosa nostra), ricercato dal 1994 ed arrestato il 14 ottobre 1998 a Barcellona (Spagna).[96]
o Mariano Tullio Troia (Cosa nostra), ricercato dal 1992 ed arrestato il 15 settembre 1998 a Palermo.[97]
o Francesco Schiavone "Sandokan" (Camorra), ricercato dal 1993 ed arrestato l'11 luglio 1998 a Casal di Principe.[98]
o Giuseppe Guastella (Cosa nostra), arrestato il 24 maggio 1998 a Palermo.[99]
o Vito Vitale (Cosa nostra), ricercato dal 1995 ed arrestato il 14 aprile 1998 a Borgetto.[100]
1997.
o Giuseppe Mancuso ('Ndrangheta), arrestato nel 1997.
o Mario Fabbrocino (Camorra), ricercato dal 1988 ed arrestato il 3 settembre 1997 a Buenos Aires (Argentina).[101]
o Girolamo Molè ('Ndrangheta), ricercato dal 1993 ed arrestato il 12 luglio 1997 a Gioia Tauro.[102]
o Pietro Aglieri (Cosa nostra), ricercato dal 1989 ed arrestato il 6 giugno 1997 a Bagheria.[103]
o Giuseppe La Mattina (Cosa nostra), arrestato il 6 giugno 1997 a Bagheria.[104]
o Giuseppe Polverino (Camorra), ricercato dal 1992 ed arrestato il 21 maggio 1997 a Napoli.[105]
o Mariano Asaro (Cosa nostra), arrestato il 18 aprile 1997 a Calatafimi.[106]
o Michele Mercadante (Cosa nostra), arrestato il 18 aprile 1997 a Calatafimi.[107]
1996.
o Marzio Sepe (Camorra), ricercato dal 1992 ed arrestato il 6 settembre 1996 a Camposano.[108]
o Carlo Greco (Cosa nostra), ricercato dal 1989 ed arrestato il 26 luglio 1996 a Palermo.[109]
o Nicola Arena ('Ndrangheta), ricercato dal 1993 ed arrestato il 6 luglio 1996 a Isola di Capo Rizzuto.[110]
o Giovanni Brusca (Cosa nostra), ricercato dal 1991 ed arrestato il 20 maggio 1996 ad Agrigento.[111]
o Salvatore Cucuzza (Cosa nostra), ricercato dal 1994 ed arrestato il 5 maggio 1996 a Palermo.[112]
1995.
o Salvatore Cristaldi (Cosa nostra), ricercato dal 1993 ed arrestato il 7 ottobre 1995 ad Aci Catena.[113]
o Giuseppe Barbaro ('Ndrangheta), arrestato il 29 settembre 1995 a Platì.[114]
o Antonio Strangio ('Ndrangheta), arrestato il 19 agosto 1995 a Barcellona (Spagna).[115]
o Leoluca Bagarella (Cosa nostra), ricercato dal 1991 ed arrestato il 24 giugno 1995 a Palermo.[116]
o Eugenio Galea (Cosa nostra), ricercato dal 1992 ed arrestato il 13 gennaio 1995 a Pedara.[117]
1994.
o Michelangelo La Barbera (Cosa nostra), arrestato il 3 dicembre 1994 a Palermo.[118]
o Santo Araniti ('Ndrangheta), ricercato dal 1983 ed arrestato il 24 maggio 1994 a Roma.[119]
o Giuseppe Graviano (Cosa nostra), arrestato il 27 gennaio 1994 a Milano.[120]
1993.
o Vincenzo Milazzo (Cosa nostra), corpo trovato il 14 dicembre 1993. Ucciso dalla mafia.[121]
o Giuseppe Pulvirenti (Cosa nostra), ricercato dal 1982 ed arrestato il 2 giugno 1993 a Belpasso.[122]
o Nitto Santapaola (Cosa nostra), arrestato il 18 maggio 1993 a Mazzarrone.[123]
o Umberto Ammaturo (Camorra), ricercato dal 1990 ed arrestato il 3 maggio 1993 a Lima (Perù).[124]
o Antonio Imerti ('Ndrangheta), arrestato il 23 marzo 1993 a Fiumara.[125]
o Pasquale Condello ('Ndrangheta), arrestato il 23 marzo 1993 a Fiumara.[126]
o Mario Umberto Imparato (Camorra), ucciso dalla polizia il 15 marzo 1993.[127]
o Rosetta Cutolo (Camorra), arrestata l'8 febbraio 1993 ad Ottaviano.[128]
o Salvatore Riina (Cosa nostra), ricercato dal 1969 ed arrestato il 15 gennaio 1993 a Palermo.[129]
1992.
o Matteo Nicolò Boe (Anonima Sequestri Sarda), arrestato il 13 ottobre 1992 a Porto Vecchio (Francia).[130]
o Domenico Libri ('Ndrangheta), arrestato il 17 settembre 1992 a Marsiglia (Francia).[131]
o Carmine Alfieri (Camorra), arrestato l'11 settembre 1992.[132]
o Raffaele Stolder (Camorra), arrestato il 10 settembre 1992 a Roma.
o Giuseppe "Piddu" Madonia (Cosa nostra), arrestato il 6 settembre 1992 a Longare.[133]

sabato 11 luglio 2009

Mafia, Ciancimino jr: Provenzano scriveva a Berlusconi per minacce al figlio


Mafia, Ciancimino jr: Provenzano scriveva a Berlusconi per minacce al figlio

PALERMO (10 luglio) - Massimo Ciancimino, il figlio di don Vito, l'ex sindaco di Palermo condannato per mafia. avrebbe detto durante gli interrogatori che il boss Bernardo Provenzano avrebbe tentato di far recapitare alcuni «messaggi» a Silvio Berlusconi nei primi anni Novanta, attraverso una serie di intermediari.

I particolari sono contenuti in due interrogatori del 30 giugno e dell'1 luglio scorso, depositati, con tante parti con omissis, nel processo al senatore Marcello Dell'Utri che si svolge in corte d'appello, dove il politico è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.

«Minaccia al figlio di Berlusconi». Il padrino corleonese, sempre secondo questa ricostruzione, sarebbe il latore di tre missive che facevano riferimento a richieste e minacce, una delle quali rivolte al figlio di Berlusconi. Dell'Utri, condannato in primo grado a nove anni di reclusione, viene indicato da Ciancimino come il mediatore fra Provenzano e Berlusconi. Vito Ciancimino si preoccupava che
non venisse ucciso il figlio di Silvio Berlusconi, nè ci fossero altre stragi, perchè «sarebbero stati controproducenti per i mafiosi». Lo dice ai magistrati Massimo Ciancimino nel verbale di interrogatorio
dell'1 luglio scorso, in cui spiega alla Dda di Palermo le lettere che Bernardo Provenzano avrebbe inviato a Silvio Berlusconi fra il 1991 e il 1994. «Mio padre - dice Ciancimino jr - era per la non attuazione delle minacce, e forse per questo alla fine è stato messo da parte in questa trattativa».
«Mio padre diceva che bisognava toccargli il polso alle persone, nel senso scuoterle - spiega il dichiarante - ma non di più. Non bisognava usare il
braccio forte». E poi aggiunge: «Dicevano di riconoscenza, che il soggetto era irriconoscente, si stava scordando di certe situazioni, di certi vantaggi
avuti, di certe robe varie...». Il procuratore aggiunto Antonio Ingroia e il sostituto Nino Di Matteo chiedono a Ciancimino chi fosse «il soggetto», e lui
risponde: «Il dottor Berlusconi».

Fra i due verbali vi sono molte discrasie, probabilmente collegate al fatto che il figlio di don Vito non si aspettava che i pm trovassero la lettera. Per il dichiarante, infatti, questa storia «è cento volte più grande di me». Secondo Ciancimino jr. le missive erano dirette all'ex presidente di Publitalia, il quale avrebbe dovuto girarle al «destinatario finale» che era indicato in Silvio Berlusconi.

La novità che emerge solo oggi è che sarebbero tre le lettere, inviate dal boss fra il 1991 e il 1994. La prima missiva, secondo Ciancimino, sarebbe partita prima della consegna del cosidetto «papello»: un elenco di favori, richiesti da Cosa Nostra, presentato da Riina a una parte delle istituzioni, a cavallo delle stragi mafiose del '92. Due di queste lettere Massimo Ciancimino sostiene di averle ricevute direttamente dalle mani di Pino Lipari, il «consigliori» che gestiva i beni di Provenzano e i suoi contatti con la politica. A una di queste «consegne», avvenuta nella villa a mare a San Vito Lo Capo di Lipari, sarebbe stato presente anche Provenzano.

Nel foglio sequestrato dai carabinieri fra le carte di Vito Ciancimino, che adesso è depositato nel processo a Dell'Utri, si fa esplicito riferimento «all'onorevole Berlusconi», e alla «posizione politica», a cui il mittente della missiva voleva «portare un contributo (che non sarà di poco)», chiedendo pure di mettere a disposizione una delle sue emittenti televisive, in modo da evitare il «triste evento».

Questa lettera, secondo Ciancimino jr., sarebbe stata la terza in ordine di tempo. Il secondo messaggio il figlio di don Vito dice di averlo ricevuto in una busta chiusa dal giovane autista di Provenzano. Un ragazzo che nei primi anni novanta avrebbe accompagnato il boss. Il ruolo dell'ex sindaco mafioso in tutto ciò sarebbe stato quello di «consulente» di Provenzano, e solo in una occasione avrebbe fatto da mediatore consegnando la copia della lettera a un tale «Franco» che doveva poi darla a Dell'Utri.

venerdì 10 luglio 2009

Carbonizzato ed identificato


Carbonizzato ed identificato

Svolta nelle indagini dopo la scoperta del cadavere carbonizzato nelle campagne di Riesi. E' un pensionato, prima ucciso e poi bruciato. (Angelo Ruoppolo)

Ecco la fotografia in onda. Dopo una telefonata anonima al 112 un carabiniere marcia sospettoso e guardingo verso un casolare, in provincia di Caltanissetta, nelle campagne di Riesi, in contrada ‘’Sanguisuga’’, che non e’ una localita’ turistica, ma una zona impervia e desolata. E’ il 10 giugno scorso e dentro lo stesso casolare, immortalato dalla foto, i Carabinieri hanno scoperto il cadavere carbonizzato di un uomo. Le fiamme lo hanno divorato del tutto, e’ irriconoscibile. La prima ipotesi: la vittima e’ stata uccisa, poi i sicari hanno bruciato il corpo. Infatti, sul morto vi sono 3 coltellate, 2 in faccia ed una al collo. L’autopsia, poi le indagini, la ricerca delle persone al momento ricercate, inseguendo ogni traccia. Oggi, quasi un mese dopo la macabra scoperta dentro il casolare di Riesi, ecco il verdetto del Ris, il Reparto Investigazioni Scientifiche dei Carabinieri di Messina. L’uomo ucciso e poi bruciato e’ lui, Calogero Scibetta. E’ nato a Riesi il 15 dicembre del 1934. La morte violenta lo ha colto a 75 anni. Lui, Scibetta, pensionato, ha abitato a Riesi, in via Cairoli. E’ vedovo, la moglie e’ defunta cosi’ come adesso lui, in attesa che l’inchiesta della Procura della Repubblica e dei Carabinieri di Caltanissetta sveli il movente e gli autori dell’efferato delitto. Perche’ ignoti hanno trascinato un anziano pensionato tra le sterpaglie e le rovine di contrada ‘’Sanguisuga’’ ? Poi perche’ si sono accaniti in modo cosi’ virulento, prima le coltellate e poi il fuoco? Ecco gli interrogativi che martellano gli inquirenti nisseni. (09.07.2009)

mercoledì 8 luglio 2009

Omicidio a Sciacca


Omicidio a Sciacca

Scoperto carbonizzato a Sciacca un imprenditore di Siculiana, Dino Tolentino, ucciso a colpi d’arma da fuoco.(Angelo Ruoppolo)

Una telefonata. L’allarme: ‘’ attenzione, auto in fiamme. Dove? A Sciacca, lungo la strada vecchia per Ribera, dopo gli alberghi Sciaccamare ‘’. I Vigili del fuoco corrono. A sirene lancinanti si precipitano anche le gazzelle dei Carabinieri. Si procede verso l’automobile, una Mercedes. E’ bruciata. Dentro ecco una macabra scoperta. Un uomo carbonizzato. Irriconoscibile. Poi e’ identificato. Amedeo Tolentino, 37 anni, di Siculiana. Lui, la vittima, e’ inteso ‘’Dino’’. E’ un imprenditore, titolare di alcuni supermercati. Il maggiore dei Carabinieri del Comando provinciale di Agrigento, lui, Salvo Leotta, ipotizza: ‘’ Tolentino sarebbe stato ucciso da colpi d’arma da fuoco, poi sarebbe stato bruciato all'interno della sua automobile, seduto sul lato guida’’. Dunque, una esecuzione. Un delitto feroce e spietato, prima la morte e poi l’accanimento delle fiamme. I familiari sono stati interrogati. Le indagini. Tolentino sarebbe stato impegnato ad allargare il proprio giro d’affari. I supermercati non solo a Siculiana ma anche in altri Comuni della provincia di Agrigento. Tante le ipotesi. Forse ha imprudentemente pestato i piedi di chi li ha incalpestabili. Forse ha camminato su tizzoni ardenti e si e’ accorto dopo, troppo tardi, che bruciano. Forse ha risposto no a chi e’ abituato a che si risponda sempre si’ e senza condizioni. Forse la sola colpa di Dino Tolentino e’ stata credere di lavorare in terra di Sicilia senza piegarsi ai ricatti ed ai compromessi, gli stessi che, forse, lo hanno ucciso. (07.07.2009)

martedì 7 luglio 2009

Gaeta, assaltano portavalori con molotov







Gaeta, assaltano portavalori con molotov
e kalashnikov: presi, erano in semilibertà


ROMA (6 luglio) - Armati di kalashnikov e molotov hanno assaltato stamattina intorno alle 7.30 un portavalori al km. 21 della strada statale Flacca in località piana Sant'Agostino, nei pressi di Gaeta, bloccando le due guardie giurate. Autori della tentata rapina sette persone che, a bordo di un camion rubato e guidato da un complice, hanno affiancato il portavalori, costringendo i vigilantes a fermarsi. A bordo del blindato c'era circa un milione e mezzo di euro. I sette non sono riusciti a portare a termine la rapina poiché non sono riusciti a tagliare il portellone posteriore del veicolo. Scappati in direzione Roma sono stati arrestati poco dopo da carabinieri e agenti della polizia che da tempo operavano per sgominare la feroce banda.

Gli uomini finiti in manette sono Luciano Febi di Tivoli, il cugino Mario, Maurizio Di Giuseppe, Daniele Piani, Diego Pedetta, Fabrizio Toti e Marco Di Giuseppe. Tranne quest'ultimo tutti gli altri godevano della semilibertà pur essendo stati condannati per rapina, omicidio, tentativo di omicidio e altro. Luciano Febi, 54 anni, pur essendo detenuto in semi libertà è stato condannato all'ergastolo per rapina, omicidio e tentativo di omicidio di carabinieri; il cugino Mario Febi, 53 anni, di Vicovaro e anch'egli semi libero, è stato condannato all'ergastolo per omcidio e tentativo di omicidio e rapina. Il rifeferimento è all'assalto di un furgone blindato avvenuto a Castel Madama nel 1991, dove fu uccisa la guardia giurata Marco Chiari dopo che il blindato portavalori era stato investito con una pala meccanica. Altro sorvegliato speciale è Maurizio Di Giuseppe di 47 anni che ha precedenti per rapina aggravata ai danni di portavalori. Quanto a Daniele Piani, 46 anni, di Pomezia, è detenuto anch'egli in semi libertà e affidato in prova ai servizi sociali: nel 2011 avrà scontato la condanna per omicidio, tentato omicidio e rapina; Fabrizio Toti ha precedenti per rapina, sequestro di persona e furto, ha beneficiato dell'indulto; Diego Pedetta negli anni scorsi fu processato in relazione ad un assalto, datato 2001, ad una filiale di banca presso Santa Maria della Mole dove rimase ucciso un carabiniere. Pedetta in primo grado fu condannato, ma successivamente venne assolto in appello ed era quindi tornato in libertà. Unico incensurato Marco Di Giuseppe, figlio di Maurizio Di Giuseppe.

L'assalto. Carabinieri e polizia hanno definito l'assalto di stamattina «organizzato e cruento»: i malviventi, armati di kalashnikov e pistole hanno speronato frontalmente il portavalori (dell'istituto di vigilanza Securitas di Latina) con un autocarro, esplodendo colpi d'arma da fuoco contro la portiera dell'autista del mezzo e obbligando le tre guardie giurate a consegnare le pistole di dotazione. Quindi i rapinatori hanno tentato di aprire il blindato con una motosega senza riuscirvi (all'interno del furgone vi era circa un milione e mezzo di euro), per poi fuggire poco prima dell'arrivo delle forze dell'ordine. Ma il gruppo era già tenuto sotto osservazione, dopo un assalto analogo avvenuto il 7 novembre 2008.

La cattura. Gli investigatori hanno quindi raggiunto una baracca ritenuta la base del gruppo, dove gli arrestati erano soliti lasciare il loro arsenale. Qui parte dei componenti della banda sono stati arrestati, altri sono stati presi mentre si trovavano all'interno di un furgone. Questi ultimo hanno opposto resistenza alle forze dell'ordine e ne è scaturita una breve sparatoria, conclusa senza feriti. Al termine dell'operazione sono stati sequestrati due kalashnikov, un fucile mitragliatore M4 di fabbricazione cinese, sette pistole, due bombe molotov, due frullini, giubetti antiproiettili e munizioni varie. Alcuni dei componenti della banda erano però già sotto osservazione da parte di polizia e carabinieri (che hanno creato un'apposita task force) in relazione ad una rapina commessa il 7 novembre 2008 al Divino Amore, ai danni di un furgone portavalori della società di vigilanza Sipro (per un bottino di quasi 2,4 milioni di euro). Dalle indagini su questa rapina (pedinamenti, intercettazioni telefoniche e ambientali, esame di tabulati telefonici) hanno permesso di individuare la base operativa del gruppo e alcuni dei mezzi che i malviventi, comprendendo che il gruppo era intenzionato a compiere un altro assalto. Non fu invece individuato l'obiettivo prescelto, e quindi l'intervento degli inquirenti è potuto avvenire solo dopo l'esecuzione del colpo.

Il procuratore: sono personaggi molto pericolosi. Alcune delle persone arrestate avrebbero compiuto un'altra rapina nel novembre scorso ai danni di un furgone portavalori. La circostanza è emersa nel corso della conferenza stampa tenutasi in procura. «C'è stata una collaborazione perfetta tra le forze di polizia giudiziaria che hanno messo insieme il loro know how - ha detto il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo - Sono state arrestate persone che riteniamo facessero parte di un banda organizzata per compiere rapine particolarmente sanguinose e con bottini di rilevante entità. Speriamo ora che queste persone siano definitivamente assicurate alla giustizia, perché sono personaggi molto pericolosi».