giovedì 16 luglio 2009

'Ndrangheta, operazione del Ros contro il clan degli 'zingari'


SCACCO DELLA DDA AL CLAN DEGLI ZINGARI DI CASSANO ED AI LORO “COMPARI” CORIGLIANESI: VENTITRE ' ARRESTI

TRA LE PIEGHE DELL’INCHIESTA SFOCIATA NELL’OPERAZIONE “TIMPONE ROSSO” CONDOTTA DAI CARABINIERI DEL ROS SVELATI MOVENTI E PRESUNTI RESPONSABILI DI NUMEROSI OMICIDI AVVENUTI TRA I DUE COMUNI NEGLI ANNI 1999-2003. DETERMINANTI LE CONFESSIONI DI TRE PENTITI

All’alba di stamane i Carabinieri del Reparto Operativo Speciale hanno eseguito nella Sibaritide e in Germania un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari di Catanzaro su richiesta della locale Direzione distrettuale Antimafia nei confronti di 23 indagati per associazione mafiosa, omicidio, tentato omicidio, porto abusivo di armi e munizionamento da guerra.


Le indagini del Ros, incentrate sul cosiddetto "clan degli zingari" attivo nel Cassanese, hanno consentito di ricostruire i moventi e gli autori di numerosi omicidi e tentati omicidi commessi durante la cruenta guerra di mafia che negli ultimi anni ha visto contrapposte le cosche della Sibaritide, in particolare quelle degli zingari e dei Forastefano, per il controllo degli affari illeciti sul territorio. In corso di esecuzione anche il sequestro preventivo di beni mobili ed immobili per un valore di oltre 20 milioni di euro comprendenti aziende agricole ed imprese di costruzioni edilizie. Gl’investigatori che hanno condotto l'inchiesta - denominata ''Timpone Rosso'' dal nome della via della frazione Lauropoli di Cassano in cui risiedono gran parte dei presunti affiliati al “clan degli zingari”- si sono avvalsi delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Pasquale Perciaccante, di Cassano e Carmine Alfano di Corigliano. Il primo in particolare è fuoriuscito proprio dalla cosca degli zingari. Il gruppo criminale, secondo l'accusa, avrebbe utilizzato una strategia stragista per imporre il proprio predominio sul territorio eliminando chiunque rappresentasse un ostacolo, evitando attraverso gli omicidi dei potenziali “pentimenti” che avrebbero potuto minare la solidità del clan. E' in questa logica che sarebbero maturati gli omicidi di Giuseppe Cristaldi, Biagio Nucerito, Gianfranco Iannuzzi, Salvatore Giorgio Cimino, Giuseppe Vincenzo Fabbricatore, Vincenzo Campana, Gaetano Guzzo, Sergio Benedetto ed Antonio Acquesta.

IL "LATITANTE ECCELLENTE", I “COMPARI” CORIGLIANESI E GLI OMICIDI

L’ordinanza cautelare colpisce anche il latitante rossanese Nicola Acri, ritenuto capo dell’omonimo clan in combutta con gli zingari di Cassano e datosi “alla macchia” due anni fa dopo l’omicidio dell’imprenditore rossanese Luciano Converso del quale la Dda lo ritiene il mandante. Tra gli arrestati figurano anche i presunti “compari” coriglianesi degli zingari: Fabio Falbo - preso a Francoforte in Germania - Maurizio Barillari, Ciro Nigro e Rocco Azzaro. Finiti in manette pure i due ultimi collaboratori di giustizia fuoriusciti dal “locale” di Corigliano: Carmine Alfano e Vincenzo Curato. Ciro Nigro, residente ad Apollinara, è ritenuto dagl’inquirenti l’esecutore materiale dell’omicidio di Salvatore Giorgio Cimino, ferito gravemente a colpi di pistola davanti a un bar dello Scalo di Corigliano il 24 maggio 2001 e poi morto una ventina di giorni dopo all’ospedale dell’Annunziata di Cosenza. Salvatore Giorgio Cimino era il padre di Giovanni ed Antonio Cimino, i due collaboratori di giustizia coriglianesi che a seguito del loro pentimento hanno contribuito in modo determinante alla decapitazione, da parte della Dda, del “locale” di ‘ndrangheta coriglianese. Su questo fatto di sangue il collaboratore di giustizia Vincenzo Curato s’è autoaccusato d’avere svolto il ruolo di “palo”. A Fabio Falbo e Maurizio Barillari i magistrati contestano invece un ruolo di partecipazione attiva negli omicidi di Giuseppe Vincenzo Fabbricatore e Vincenzo Campana, trucidati in un plateale agguato a colpi di Kalashnikov il 25 marzo 2002 lungo il tratto coriglianese della Statale 106 jonica.

LE "LUPARE BIANCHE" E IL RUOLO DEL PENTITO PERCIACCANTE

L'inchiesta che ha portato all'operazione “Timpone Rosso”, coordinata dal sostituto Procuratore antimafia Vincenzo Luberto, ha consentito infatti di fare luce su questa lunga scia di sangue che ha bagnato la Sibaritide tra il 1999 e il 2003, il periodo, secondo gli investigatori, di massima ascesa del clan degli zingari che negli anni si sono ritagliati un posto di primo piano nella geografia criminale dell’intera provincia di Cosenza. La collaborazione di Perciaccante ha consentito pure il ritrovamento dei resti dei corpi di Gianfranco Iannuzzi e di Antonio Acquesta fatti sparire con la tecnica della “lupara bianca”, oltre a numerose armi utilizzate dalla cosca. All'omicidio di Iannuzzi gl’inquirenti hanno riservato molta attenzione: sarebbe stata la chiave di volta che ha consentito di ricostruire gli anni di sangue di cui si sarebbero resi protagonisti gli affiliati al clan. Secondo quanto emerso dalla ricostruzione degli inquirenti uno dei punti di forza della cosca degli zingari sarebbe la struttura familistica. Il clan sarebbe in poco tempo passato dalla gestione di attività illecite marginali alle estorsioni, per poi posizionarsi nel narcotraffico internazionale. Tra gli omicidi spicca quello del giovane Antonio Acquesta, ucciso il 27 aprile del 2003: secondo le accuse della Dda fu assassinato solo perché “sospettato” d’aver preso parte al duplice omicidio di Eduardo Pepe e Fioravante Abbruzzese, considerati esponenti di primo piano della cosca degli zingari, assassinati il 3 ottobre del 2002. Acquesta fu rapito, portato in un casolare, interrogato e poi massacrato a colpi di chiave inglese.

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