sabato 10 ottobre 2009

Le bugie di Santoro sulla mafia


Le bugie di Santoro sulla mafia

Solo menzogne nella puntata del programma di Michele Santoro su mafia e politica. Pentiti: le "trattative" sono la normale procedura investigativa.

«Verità nascoste»: questo è il titolo della trasmissione "Anno Zero" di Michele Santoro di giovedì sera. E mai titolo fu più appropriato. Ecco alcune delle verità che Santoro e i suoi compari hanno nascosto agli ospiti in sala e ai telespettatori. Prima verità. Secondo il testimone d’eccezione della trasmissione di Santoro, Massimo Ciancimino, il figlio di Vito, l’ex sindaco di Palermo condannato per mafia e morto nel 2002, nel periodo delle stragi di Capaci e Via D’Amelio, dove furono assassinati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ci sarebbero state non una, ma due "trattative" segrete ed eversive tra lo Stato e la mafia: la prima "trattativa" sarebbe cominciata nel mese di giugno del 1992, dopo la strage di Capaci e prima della strage di via D’Amelio, e avrebbe avuto come mediatore tra la mafia e lo Stato, rappresentato dall’allora colonnello dei carabinieri Mario Mori e dal capitano Giuseppe De Donno, lo stesso Vito Ciancimino, e si sarebbe interrotta nel dicembre del ’92, quando Ciancimino fu arrestato. La seconda "trattativa", ancora più segreta ed eversiva, sarebbe passata, dopo l’arresto di Ciancimino, nelle mani dell’attuale senatore Marcello Dell’Utri, al quale la mafia avrebbe consegnato il "papello", cioè la lista delle richieste avanzate per fare cessare le stragi. La verità è che le trattative tra lo Stato e la mafia durano da quando esistono lo Stato e la mafia. Da quando è stata varata la legge sui "pentiti" sono state ufficializzate e legalizzate.



Queste «trattative» su cui si mena tanto scandalo sono la normale procedura investigativa nella lotta alla mafia (e i più accaniti sostenitori della legislazione sui «pentiti» hanno sempre sostenuto che senza queste «trattative» è impossibile combattere la mafia, e sono proprio loro che strillano più forte denunciando la «trattativa» dei carabinieri con Ciancimino). In occasione delle stragi di Capaci e di via D'Amelio, avvicinando i Ciancimino, prima il figlio e poi il padre, il colonnello Mori e il capitano De Donno non fecero altro che ciò che la legge li autorizzava e li sollecitava a fare e cercarono di convincere Vito Ciancimino ad aiutarli a catturare Totò Riina, il capo di Cosa Nostra.

E c'erano quasi riusciti, senza bisogno di trattare alcun «papello» (come avrebbero potuto trattare «condizioni» con Riina mentre brigavano per catturarlo?), quando Ciancimino venne inopinatamente arrestato e cessò di collaborare. Della trattativa in corso fu informato chi di dovere e tra questi Liliana Ferraro, direttore degli Affari penali del Ministero della Giustizia e già collaboratrice di Giovanni Falcone, e atttraverso di lei, lo stesso ministro, che all'epoca era il socialista Claudio Martelli. Quando la trattativa con Ciancimino si interruppe, verso la fine di dicembre del 1992, non ci fu bisogno di un'altra trattativa perché appena due settimane dopo il colonnello Mori e il capitano Sergio Di Caprio, il famoso «Capitano Ultimo», catturarono Totò Riina: e lo catturarono,con l'ausilio del capitano Antonino Lombardo, nel più tradizionale e classico dei sistemi, col pedinamento dei boss che tenevano i contatti tra Riina e la rete di Cosa Nostra.

Che la storia di una seconda trattativa con lo Stato iniziata nel dicembre del 1992 tramite Marcello Dell'Utri sia una bufala basta a dimostrarlo, a parte la ormai avvenuta cattura di Riina, la data stessa: nel dicembre del 1992 Dell'Utri era a Milano a dirigere Publitalia, la società che raccoglieva la pubblicità per Silvio Berlusconi, e né lui né Berlusconi avevano niente a che fare con la politica e lo «Stato», né avevano alcuna intenzione di averci a che fare per il futuro(ancora un anno dopo, e per tutto il 1993, Berlusconi, preoccupato per la crisi della prima Repubblica e per la prospettiva della conquista del potere da parte dei comunisti, cercava di convincere Benigno Zaccagnini e Mario Segni a organizzare un'alleanza politica ed elettorale, a cui avrebbe offerto l'appoggio delle sue televisioni). Ve l'immaginate Totò Riina che, tra una strage e l'altra, scrive il «papello» per chiedere al direttore di Publitalia di impegnarsi per la revisione dei processi di mafia e l'abolizione del carcere duro per i mafiosi? E Dell'Utri che lo rassicura perché nel dicembre del 1992, con due anni d'anticipo, sa già che Berlusconi scenderà in politica, vincerà le elezioni del '94, sarà nominato capo del primo governo della seconda Repubblica e la prima cosa che farà sarà di promuovere per legge la revisione dei processi, la scarcerazione dei boss e l'abolizione del carcere duro?

Seconda verità. Sempre secondo le «rivelazioni» di Annozero, Paolo Borsellino sarebbe stato informato della trattativa in corso tra Mori e De Donno e Ciancimino e vi si sarebbe opposto, e per questa ragione sarebbe stato assassinato: questa, come ha detto Santoro, è la «notiziona» della trasmissione di giovedì sera. Borsellino è stato ucciso per responsabilità dei carabinieri Mori e De Donno e su mandato di chi stava trattando con la mafia, cioè Dell'Utri, che già preparava Forza Italia per Berlusconi. La verità nascosta da Annozero è che Borsellino, come Falcone, di pochi altri si fidava come di Mori e di De Donno, soprattutto dopo l'assassinio di Falcone. E, benché non fosse direttamente incaricato delle indagini (la competenza per la strage di Capaci era della procura di Caltanisseta) cercava disperatamente di capire come e perché il suo collega ed amico era stato assassinato e a questo scopo si riuniva segretamente proprio con Mori e De Donno nella caserma dei carabinieri, il più lontano possibile dal Palazzo di giustizia di Palermo.

Se fosse vero che Borsellino fosse stato informato della trattativa segreta e abusiva ed eversiva di Mori e di De Donno, vorrebbe dire che Paolo Borsellino era loro complice e tramava con loro mentre trattavano con la mafia: un'accusa ancora più grave di quella che viene fatta a Borsellino, quando si sostiene, agitando per l'aria le agendine rosse, che Borsellino avrebbe avuto dal «pentito» Gaspare Mutolo clamorose rivelazioni circa i nomi di magistrati e poliziotti complici della mafia e non avrebbe verbalizzato le rivelazioni del «pentito». E, in definitiva, sarebbe stato il mandante dell'assassinio di sé stesso. Terza verità (sembra una sciocchezza rispetto alle altre, ma vale per rendere un'idea delle «verità rivelate» da Santoro e compagni). Per sottolineare drammaticamente la «verità» di un Borsellino sconvolto per l'incontro che avrebbe avuto con Mancino neo ministro dell'Interno che lo aveva costretto a interrompere l'interrogatorio di Mutolo e per le persone che avrebbe incontrato nel suo ufficio (persino Bruno Contrada, proprio il poliziotto denunciato un'ora prima da Mutolo come connivente con la mafia), lo stesso Mutolo ha raccontato, e Travaglio e compagni lo ripetono da anni, che Borsellino, quando è tornato a riprendere l'interrogatorio, era talmente nervoso che «accendeva e fumava due sigarette contemporaneamente».

La verità, come sanno tutti coloro che nel tempo hanno frequentato Borsellino e come ha testimoniato per l'occasione anche il procuratore Aliquò, presente all'interroratorio di Mutolo, è che Borsellino era un fumatore incallito e ininterrotto, che usava accendere la seconda sigaretta con il mozzicone ancora acceso della sigaretta precedente. Che quel giorno fosse talmente sconvolto da fumare due sigarette contemporaneamente è falso, come è falsa la trattativa segreta ed eversiva di Mori e di De Donno, come è falso la seconda trattativa condotta da Dell'Utri, come è falso che Borsellino abbia saputo della doppia trattativa (al massimo, ha saputo, e lo poteva anche aver saputo direttamente da De Donno, dei «normali» contatti e tentativi investigativi dei carabinieri) ed è falso che sia stato ucciso per questa ragione. È vero invece che per diffondere queste falsità e questi veleni Santoro e Travaglio e i loro compagni di merende (e purtroppo non solo loro) devono nascondere la verità.

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