lunedì 30 novembre 2009

Spatuzza, Ciancimino e la via dei soldi che porta a Milano


Spatuzza, Ciancimino e la via
dei soldi che porta a Milano


Nel mirino dei pm un imprenditore di Palermo



FRANCESCO LA LICATA

ROMA


E’ ancora la Sicilia il terreno scivoloso che tiene in apprensione Dell’Utri e Berlusconi. Certo, ci sono i verbali fiorentini di Gaspare Spatuzza sulle stragi, ma poco si sa di ciò che bolle tra Palermo e Caltanissetta, dove confluiscono carte e interrogatori del pentito e del «teste privilegiato» Massimo Ciancimino, ormai accolto dalle due Procure come persona che riferisce «scenari interessanti» e li sostiene con documenti e ricordi trasmessi dal padre, Vito, l’ex sindaco Dc di Palermo, in quasi 25 anni di convivenza forzata.

Un lungo periodo in cui Massimo si è occupato esclusivamente del genitore (carcere, soggiorno obbligato, domiciliari), assistendolo anche quando aveva il ruolo di cerniera fra mafia e politica era finito. Si saldano, in qualche modo, le rivelazioni dei due testimoni? Forse è presto per dirlo, ma le investigazioni delle procure siciliane sembrano concentrate in questa direzione. Spatuzza ha riferito degli interessi economici e finanziari di Giuseppe e Filippo Graviano (oltre che del loro ruolo nello stragismo mafioso). Interessi che porterebbero a Milano, anche per via di un personaggio che ora è al centro delle attenzioni: Giuseppe Cosenza, imprenditore del settore spedizioni, che metteva a disposizione dei boss la propria azienda per favorire gli «incontri» di mafia.

Nel deposito della «Valtras srl», nel quartiere di Brancaccio, lavorava Gaspare Spatuzza. Secondo il pentito, bisogna cercare lì il legame tra i Graviano e Milano. Un legame riscontrabile anche nell’interesse dei boss di Brancaccio per la nascita di Forza Italia, gestita - anche a Palermo - da Marcello Dell’Utri. Il quartiere fu teatro della prima campagna pubblicitaria in favore del partito nascente, campagna interrotta bruscamente - ricorda Spatuzza - quando si cominciò a parlare dello «scandaloso» legame fra Dell’Utri e Vittorio Mangano. Il pentito racconta tutto ciò non senza qualche recriminazione dei magistrati che gli contestano una iniziale reticenza sui temi di mafia e politica.

Ma Spatuzza replica: «Non ho riferito subito di queste cose riguardanti Berlusconi perché intendevo prima di tutto che venisse riconosciuta la mia attendibilità su altri argomenti», ma anche per «ovvie ragioni inerenti la mia sicurezza». Insomma timore di imbarcarsi in discorsi difficili. Stranamente anche Massimo Ciancimino, all’inizio della collaborazione, non aveva per nulla in mente di avventurarsi su un terreno pericoloso come le presunte «relazioni pericolose» del premier e del suo amico più fidato. E’ stato il casuale(?) ritrovamento del «pizzino» - in precedenza inspiegabilmente sfuggito ad una perquisizione - attribuito a Provenzano a trascinarlo per i capelli. Il contenuto del biglietto è noto: un foglio con l’intestazione strappata e una strana richiesta-minaccia rivolta a qualcuno che «aveva promesso una rete televisiva».

Costretto a spiegare, Ciancimino jr, esibisce numerosi altri appunti scritti con la stessa grafia dell’altro attribuito a Provenzano. Di più non si sa, tranne che si tratterebbe di «discorsi politici» e promesse non mantenute. Ma Massimo consegna anche un altro foglio, a suo tempo scritto dal padre, che sembra essere un suggerimento ad un interlocutore (Provenzano?) al quale viene ricordato un impegno preso. Si tratta di una frase di Berlusconi (intervista a «la Repubblica», 1977) che promette: «Metterò a disposizione degli amici che scenderanno in politica mezzi di comunicazione, a cominciare da Telemilano».

La stessa frase viene sottolineata da Vito Ciancimino, prima, e dal personaggio che la inoltra a Berlusconi, se ciò che racconta Ciancimino jr sarà dimostrato. Era meticoloso, negli appunti, don Vito. Quasi maniacale: elencava minuziosamente, annotava tutto. E conservava. Come il biglietto su cui viene annotata una incomprensibile equazione che riguarda i nomi di due mafiosi (Buscemi e Bonura) accostati a Berlusconi. O come il «pizzino» in cui Provenzano, alias il signor Lo Verde, scrive di aver parlato «con l’amico sen.». O come i commenti su qualche investimento dei palermitani su Milano: appunti - questi - che hanno fatto riaprire vecchi fascicoli riguardanti le disinvolte operazione finanziarie del costruttore Alamia, ancora sulla piazza di Milano. E domani Massimo Ciancimino preannuncia il deposito di altro materiale.

San Cataldo, agguato al nipote del boss


San Cataldo, agguato al nipote del boss

CALTANISSETTA - Agguato a San Cataldo, a cinque chilometri da Caltanissetta: vittima Stefano Mosca, 44 anni, incensurato, titolare di un negozio di pompe funebri del centro storico, che si è salvato gettandosi sul pavimento e rimanendo ferito solamente ad una spalla.

A sparagli numerosi colpi sono stati due uomini incappucciati, armati di fucile e pistole, che hanno fatto irruzione nel locale di corso Vittorio Emanuele. I due sicari sono poi fuggiti a piedi per le vie retrostanti al negozio.

Mosca è stato soccorso da un conoscente che lo ha accompagnato in ospedale, sempre a San Cataldo, dove sarà sottoposto ad intervento chirurgico. L'uomo, sposato, è il nipote di Salvatore Calì, ex esponente di spicco della cosca di San Cataldo ucciso il 27 dicembre dello scorso anno mentre usciva dalla sua agenzia di pompe funebri di via Roma. Calì era stato scarcerato da alcuni mesi dopo avere scontato parecchi anni per associazione mafiosa.

I carabinieri lo scorso anno ipotizzarono che le nuove leve della mafia locale si stessero riorganizzando per eliminare i vecchi gregari e monopolizzare le attività illecite come le estorsioni ed il traffico di droga.

San Cataldo da anni è considerato un punto di rifornimento di droga per numerosi comuni del circondario, compresa Caltanissetta. Alcune settimane fa la Squadra mobile ha arrestato tre persone di San Cataldo, tutti pregiudicati, perché erano in possesso di fucili a canne mozze nascosti in un casolare.

Secondo la polizia venne bloccato in tempo, grazie ad alcune intercettazioni ambientali e a pedinamenti, un agguato nei confronti di qualche esponente di rilievo della cosca sancataldese.

domenica 29 novembre 2009

Operazione “Minoa”, tutte le indagini e i retroscena


Operazione “Minoa”, tutte le indagini e i retroscena



L’indagine “MINOA” trae origine dalla delega emessa dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, con la quale erano state richieste investigazioni sul conto di RIZZUTO Vito , tese a far luce su un presunto coinvolgimento dell’organizzazione mafiosa canadese in attività illecite operate nella provincia di Agrigento, nel settore del riciclaggio di denaro e altro.

In precedenza, dalla cooperazione tra la Direzione Investigativa Antimafia ed il collaterale organo investigativo canadese, era scaturita l’operazione “Brooklyn ”, condotta dal Centro Operativo di Roma, che portava all’emissione di 5 ordinanze di custodia cautelare per associazione mafiosa.

Nel corso dell’indagine “Brooklyn” era emerso che alcuni personaggi già comparsi nel primo procedimento contro Vito Rizzuto erano stati indagati anche dalla Procura di Milano. Veniva pertanto intrapresa un’attività coordinata tra le due Procure, sfociata nell’assegnazione del fascicolo milanese alla D.D.A di Roma che procedeva per il delitto di cui all’art. 416 bis (operaz. “Orso Bruno”).

Da un’analisi puntigliosa di telefonate e tabulati telefonici, emerse nelle citate indagini, che fotografano centinaia e centinaia di chiamate da cellulari e utenze fisse, del citato corso investigativo, erano emersi contatti con soggetti agrigentini, quali TERRASI Rosario (Cattolica Eraclea 20/03/1970), figlio di TERRASI Domenico (Cattolica Eraclea 05/02/1942), rappresentante della famiglia mafiosa di Cattolica Eraclea e SPAGNOLO Giuseppe (Cattolica Eraclea 11/10/1954), imprenditore.

Era emerso che ZAPPIA Beniamino Gioiello – da sempre referente e braccio destro dei RIZZUTO in Italia – manteneva contatti con soggetti di Cattolica Eraclea (AG), suo luogo d’origine, benché da anni si era trasferito a Milano ove rappresentava il punto di riferimento per l’organizzazione.

Nell’indagine “Scacco Matto ” emergono i rapporti tra CAPIZZI Paolo e del figlio Giuseppe, con TERRASI Domenico, uscito dal carcere nel dicembre 2006, riassumendo il controllo mafioso della sua cittadina.
Il 31 luglio 2007, CAPIZZI Paolo e suo genero si portano a Cattolica Eraclea per andare a parlare con TERRASI Domenico.

Uno degli argomenti che gli astanti devono discutere per “sistemare le cose tra Ribera, Cattolica, Agrigento e Porto Empedocle” riguarda l’acquedotto “Favara di Burgio”, in ordine al quale si sono verificati malumori e dissidi all’interno delle famiglie mafiose in ragione di una non equa spartizione dei proventi estorti alle società effettuanti i lavori dell’opera pubblica. La problematica dell’acquedotto ha interessato i mandamenti del Belice/Sciacca e di Ribera/Burgio, nelle riunioni mafiose fra i rappresentanti di questi mandamenti, descritte in altre intercettazioni e nelle dichiarazioni del collaboratore di giustizia SARDINO Giuseppe.

Sulla scorta di quanto accertato nelle indagini “BROOKLYN” e “ORSO BRUNO”, non avendo escluso che i predetti TERRASI Rosario e SPAGNOLO Giuseppe, avrebbero potuto rappresentare un vero e proprio “trait d'union” tra l’organizzazione criminale a carattere trasnazionale ed alcuni esponenti della “famiglia” mafiosa di Cattolica Eraclea, venivano effettuate delle attività di intercettazione telefoniche ed ambientali sul conto di componenti della famiglia TERRASI.

Nei confronti dei suddetti sono stati svolti numerosi servizi di o.c.p., intercettazioni telefoniche e riscontri sul territorio, ed è stato attivato, prima, l’ascolto ambientale presso il Carcere di Palmi ove era detenuto il TERRASI Domenico, e dopo la sua scarcerazione, l’ascolto ambientale presso l’impresa del figlio.
L’attività, compendiata in due informative, rispettivamente datate, 24 giugno 2008 e 29 gennaio 2009 (e da altri esiti deleghe), ha permesso di acclarare il coinvolgimento da parte di soggetti della famiglia mafiosa di Cattolica Eraclea in quasi tutte le attività economiche d’interesse in quel territorio, maggiormente remunerative. Si è accertato altresì che la famiglia in esame ha intrattenuto fattive collaborazioni con esponenti delle famiglie mafiose di Ribera e Montallegro.

Nell’indagine si è accertato l’intervento massiccio da parte degli esponenti mafiosi storici e di vertice di “cosa nostra”, come appunto TERRASI Domenico, soggetto già condannato per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa, che interviene attraverso uomini ed imprese a lui riconducibili in diversi appalti o anche lavori privati, con metodologia mafiosa, in un territorio limitato e privo di significativi interventi economici, anche attraverso sconfinamenti ed infiltrazioni nella locale Pubblica Amministrazione.
In proposito, vanno evidenziati i seguenti dati emersi:
- il territorio provinciale rimane ancora oggi rigidamente suddiviso in zone di competenza delle singole famiglie mafiose locali ed i responsabili di ciascuna area territoriale gestiscono i lavori appaltati dalle imprese estranee all’organizzazione prima dell’inizio dei lavori;
- l’imprenditore aggiudicatario che proviene da territorio diverso da quello dove dovrà essere realizzata l’opera, si rivolge al responsabile locale di “cosa nostra” del territorio ove deve svolgere i lavori per ottenere l’autorizzazione ad intervenire;
- l’autorizzazione viene solitamente accompagnata dalla imposizione di operai, mezzi, forniture di materiali e/o ditte - il più delle volte nella disponibilità di soggetti appartenenti ad organizzazioni mafiose - che di fatto compiono i lavori in sub-appalto;






Il territorio di Cattolica Eraclea è stato interessato dai lavori di realizzazione della condotta (inserita tra le c.d “Grandi Opere” e con un investimento di circa 50 milioni di Euro) ed immediatamente, è intervenuta la locale famiglia mafiosa – rappresentata da TERRASI Domenico e suo figlio Giuseppe – per aggiudicarsi di fatto una fetta dei soldi pubblici destinati alla realizzazione dell’opera attraverso l’intervento di propri mezzi, propria manodopera e proprie imprese.
Nella realizzazione della condotta è stata accertata la posizione dominante della famiglia mafiosa “CAPIZZI” di Ribera, alla quale, quella di Cattolica si rivolge allo scopo di ottenerne l’autorizzazione a concorrere ai lavori. Infatti, il TERRASI Giuseppe, pur non risultando in alcuna documentazione inerente l’appalto, impegna propri mezzi per la realizzazione degli scavi in località Sant’Anna e anche personale che, formalmente licenziato, viene assunto dalla ditta subappaltante. Egli di fatto, è il gestore dei lavori che si realizzano nel territorio di Cattolica Eraclea e in parte anche a Montallegro.
Anche nella vicenda relativa alla costruzione di un incubatore d’impresa risulta dimostrato l’intervento con tipiche modalità mafiose operato direttamente da TERRASI Domenico e TERRASI Giuseppe, per il tramite di MICCICHÈ Paolo e TUTINO Gaspare, finalizzato a gestire personalmente un lavoro che si svolge in Cattolica Eraclea aggiudicato da impresa di Palermo e rappresentata in cantiere da LODI Giuseppe.
In particolare, la società denominata “Immobiliare Rosalba s.r.l.” con sede in Palermo, è risultata aggiudicataria dei lavori inerenti la costruzione di un incubatore di impresa nell’ambito del patto territoriale “Terre Sicane” in territorio di Cattolica Eraclea dove, nell’anno 2007, è stata realizzata l’opera.
Ed infatti, il LODI per ogni attività lavorativa e per ogni problematica inerente tali lavori risulta rivolgersi a TERRASI Giuseppe. Emerge che MICCICHÈ Paolo non si è limitato a raccomandare due operai a LODI ma si è ingerito nell’andamento dei lavori sia per l’assunzione di numerosi altri operai, sia nel pagamento dei predetti, sia nei rapporti con il Comune allo scopo di controllare i pagamenti degli stati d’avanzamento lavori; MICCICHÈ in tale intervento rendiconta dettagliatamente ogni azione di gestione dell’opera direttamente con TERRASI Domenico.
Sia MICCICHÈ che i due TERRASI non hanno formalmente alcun titolo per gestire ed intervenire in tale lavoro.
Risulta inoltre, che l’impresa palermitana Immobiliare Rosalba gestita da AMATO Cristofaro e AMATO Federico ha regolarizzato la sua posizione, mediante cd. messa a posto consistente, nel caso di specie, nell’assumere operai raccomandati da esponenti mafiosi, direttamente con i vertici della famiglia mafiosa “cosa nostra” di Cattolica Eraclea, tanto che BONACCORSO Andrea – esponente mafioso palermitano ben lontano dalle dinamiche mafiose di Cattolica – riferisce di conoscenze mafiose locali di AMATO della Immobiliare Rosalba per risolvere problematiche insorte in Cattolica Eraclea ed acquisite da AMATO perché nell’anno 2007 stava eseguendo un lavoro a Cattolica per la realizzazione di una “scuola”.
Altro progetto dove il clan mafioso di Cattolica Eraclea, capeggiato da TERRASI Domenico, ha manifestato il suo intervento diretto con l’intenzione di realizzare profitti e controllare il territorio è quello per la realizzazione di una centrale per la produzione di energia alternativa eolica in contrada Dell’Alvano e Aquileia di Cattolica Eraclea.
Nella vicenda emerge l’ingerenza della famiglia mafiosa di Cattolica Eraclea nel controllo del territorio al fine di ottenere l’acquisizione di terreni di cui non ha mai avuto la disponibilità giuridica, ove è prevista la realizzazione degli impianti eolici.
Emerge chiaramente che trattasi di società di fatto riconducibile a TERRASI Domenico che, unitamente ai componenti di sangue della sua famiglia, pone in essere e gestisce un intervento per sfruttare le potenzialità economiche dell’iniziativa imprenditoriale di MONCADA Salvatore .
TERRASI Domenico, avendo appreso della realizzazione del parco eolico nel suo paese, crea una struttura societaria per acquisire – con modalità mafiose – la disponibilità dei terreni ove sarà realizzato il parco eolico.
Ed infatti, la società diretta da TERRASI Domenico acquista - di fatto costringendo alla cessione - in brevissimo tempo una serie di terreni dai precedenti proprietari.
Le modalità di acquisto dei terreni inducono a ritenere provata la forza e la capacità di intimidazione che il clan capeggiato da TERRASI Domenico è in grado di avere in Cattolica Eraclea; ed infatti, l’acquisto dei terreni provenienti da VACCARO Andrea indubitabilmente è viziato dalla acclarata circostanza che egli non è mai stato legittimo possessore dei beni ceduti e che pertanto, risulta fittiziamente precostituito, da TERRASI Domenico e dagli indagati, il titolo di acquisto di VACCARO.

TERRASI Domenico, come è emerso, esercita il suo peso mafioso anche nei confronti degli uffici del comune di Cattolica.
In una occasione convoca, alla presenza di uomini vicini al capomafia quali TUTINO e MICCICHÈ, tale SICURELLA Gaetano, suocero di SANZERI Paolo, il quale, all’epoca della conversazione era Capo dell’Ufficio Tecnico Comunale di Cattolica Eraclea, per subire un aspro e severo rimprovero, atteso che suo genero SANZERI, per l’ufficio ricoperto al Comune, non è stato in grado di far aggiudicare i lavori di manutenzione ordinaria strade esterne di Cattolica Eraclea alla ditta prescelta da TERRASI Domenico ovvero a quella riconducibile a MICCICHÈ Paolo.

TERRASI si lamenta della condotta tenuta da SANZERI, minacciando il suocero SICURELLA di agire violentemente nei confronti del genero.
A tale proposito va evidenziato che SANZERI Paolo nella sua qualità di Dirigente dell’U.T.C. di Cattolica Eraclea ha frequentato il capannone usato da TERRASI Domenico quale luogo d’incontro e base logistica della sua attività di associato mafioso per discutere questioni relative alla vita amministrativa dell’Ufficio Tecnico Comunale di Cattolica, sulle quali nessuna competenza può avere il capomafia del paese TERRASI Domenico.

Nell’indagine è confluita anche un’estorsione operata da TERRASI Domenico che trae origine da dichiarazioni rese da un imprenditore agrigentino che, tra l’altro, ha eseguito lavori anche a Cattolica Eraclea.
L’imprenditore ha riferito che l’impresa di suo padre aveva svolto in Cattolica Eraclea dal 1990 in poi dei lavori relativi ad una strada di penetrazione agricola appaltati dall’E.S.A. (Ente Sviluppo Agricolo). Per ottenere tale lavoro ebbero a pagare una tangente all’allora Presidente dell’ente e ad un dipendente.
Inoltre, nel corso dell’esecuzione dei lavori, l’imprenditore venne avvicinato da TERRASI Domenico, indicato come noto mafioso locale, che gli chiese il pagamento di una somma di denaro a titolo di “pizzo” pari al 4% dell’importo dei due lotti (pari complessivamente a £. 3.360.000.000); propedeutico alla suddetta richiesta è stato l’atto intimidatorio subito all’interno del cantiere di Cattolica Eraclea, consistente nel rinvenimento di una bottiglia con cerini posizionata all’interno di un escavatore al quale era stato rotto un vetro.

L’indagine ha anche evidenziato le contiguità con esponenti di primo piano della consorteria criminale canadese, i cui vertici sono originari del citato paese agrigentino.

Sono di lunga data, i rapporti tra TERRASI Domenico (Cattolica Eraclea 05/02/1942) e ZAPPIA Beniamino Gioiello (Taranto 04/01/1938).
Legami storici, mai scalfiti quelli con il capo cellula del potente clan “Rizzuto” nella zona del milanese e con interessi anche nella vicina Svizzera.

Un coinvolgimento quello fra i TERRASI e ZAPPIA Beniamino Gioiello, già emerso all’inizio di quest’attività d’indagine. Invero, quest’ultimo, uomo di peso e di prestigio nella geografia della mafia canadese e siciliana - “alter ego” di TERRASI Domenico nel territorio di competenza - per la sua autorevolezza ha svolto ruolo di “paciere” a causa dei dissidi sorti in Cattolica Eraclea, tra MANNO Francesco (Agrigento 05/11/1963) e SPAGNOLO Giuseppe (Cattolica Eraclea 11/10/1954).

Più recenti, i nuovi contatti con TERRASI Domenico, scarcerato il 13 dicembre 2006, che raccontano i legami amicali tra il clan di Cattolica Eraclea e oltreoceano.

Lo stesso, in una circostanza ha recapitato un messaggio “criptato”, proveniente da oltreoceano a ZAPPIA Beniamino Gioiello, all’epoca in Cattolica e non rintracciabile telefonicamente. A questi viene recapitato, per il tramite di AMODDEO Andrea e TERRASI Domenco, un messaggio criptato proveniente da un soggetto che si trova in ospedale (in carcere) ovvero RIZZUTO Vito , capo dell’organizzazione mafiosa operante in Canada.

Ad ulteriore dimostrazione dell’inserimento in Cosa Nostra da parte di TERRASI Giuseppe e TERRASI Domenico, deve essere evidenziata la conversazione intercorsa tra i due all’interno del carcere di Palmi avvenuta il 5 agosto 2006 ove il primo riferisce al padre di avere partecipato ad una riunione tra esponenti mafiosi nell’ambito della quale si è discusso della collaborazione con l’Autorità Giudiziaria di VACCARO Giuseppe.

POSIZIONI PERSONALI
TERRASI Domenico è soggetto appartenente all’organizzazione mafiosa “cosa nostra” il quale, dopo aver espiato la pena di anni cinque e mesi quattro di reclusione a cui era stato condannato a seguito della sentenza cosiddetta “Akragas”, ha assunto il ruolo di capo della famiglia mafiosa di Cattolica Eraclea. Già durante il periodo di detenzione presso il Carcere di Palmi, nell’anno 2006, nel corso dei colloqui con i familiari, ed in particolare con il figlio Giuseppe e con il genero AMODDEO Andrea, ha impartito direttive ai predetti, esercitando di fatto il ruolo di promotore e capo della locale famiglia mafiosa; ed invero, risulta dimostrato che egli, pur da detenuto ha controllato tutte le attività imprenditoriali ed economiche di un certo rilievo svoltesi nel territorio di sua pertinenza.

In data 13 dicembre 2006, appena scarcerato, TERRASI Domenico ha diretto la locale famiglia mafiosa ed intrattenuto rapporti con esponenti mafiosi di altri territori, nonché con esponenti della Pubblica Amministrazione locale in modo da realizzare in pieno il suo ruolo di capomafia del paese.

Infine, emblematico del ruolo di vertice assunto da TERRASI Domenico in Cattolica Eraclea è il collegamento stabile con il clan RIZZUTO operante in Canada (i cui capi, Nick e Vito sono originari di Cattolica Eraclea), per il tramite di ZAPPIA Beniamino Gioiello.
Per ultimo, va evidenziato che TERRASI Domenico è protagonista dell’estorsione subita da un imprenditore, in occasione dei lavori di realizzazione di strade di penetrazione agricola appaltate dall’E.S.A. negli anni ’90.
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TERRASI Giuseppe è il figlio di Domenico ed interviene attivamente nella vita associativa del clan mafioso cattolicese fornendo un rilevante contributo, che esula dai rapporti di parentela con il capomafia.
Egli infatti è l’interlocutore privilegiato, unitamente al cognato AMODDEO Andrea, di TERRASI Domenico durante il periodo di detenzione di quest’ultimo e lo informa minuziosamente di ogni attività mafiosa che si svolge a Cattolica.
Risulta dimostrato che:
- ha gestito i lavori per la realizzazione della condotta idrica denominata “Favara di Burgio” nella parte relativa ai territori di Cattolica Eraclea e Montallegro;
- ha imposto mezzi ed operai ad imprese, aventi sede in altre località, che hanno svolto lavori in Cattolica Eraclea;
- ha preso contatti con altri esponenti mafiosi di altri territori ed in particolare, tra gli altri, con il coindagato MARRELLA Damiano di Montallegro;
- ha partecipato a riunioni tra esponenti mafiosi ove, tra l’altro, si è discusso in termini denigratori della figura di VACCARO Giuseppe Salvatore, già affiliato a “cosa nostra” di Sant’Angelo Muxaro e successivamente, divenuto collaboratore di giustizia;
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TUTINO Gaspare, attraverso le sue condotte, partecipa alla vita ed all’attività dell’associazione mafiosa di Cattolica Eraclea capeggiata da TERRASI Domenico fornendo il suo contributo – consistente tra l’altro nella disponibilità di ditta per l’acquisizione di lavori e fornitura di materiali – per il raggiungimento dei fini dell’associazione.
Egli è interlocutore privilegiato di TERRASI Domenico nei colloqui intrattenuti da questi nel capannone utilizzato quale base logistica e luogo di incontri dalla famiglia mafiosa; è anche esecutore fedele delle direttive impartite da TERRASI Domenico per il buon funzionamento dell’organizzazione mafiosa; mette a disposizione il suo impegno imprenditoriale per ottenere vantaggi per sé e per la famiglia mafiosa.
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MICCICHÈ Paolo, come TUTINO Gaspare, è interlocutore privilegiato di TERRASI Domenico nei colloqui intrattenuti da questi nel capannone utilizzato quale base logistica e luogo di incontri dalla famiglia mafiosa; ed anch’egli è esecutore fedele delle direttive impartite da TERRASI Domenico per il buon funzionamento dell’organizzazione mafiosa.
In particolare egli è stato protagonista, sotto le direttive di TERRASI Domenico, dell’acquisizione, mediante metodo mafioso, di lavori svolti a Cattolica Eraclea da ditte aventi sede in altri centri;
Egli partecipa con piena consapevolezza ed approvazione al rimprovero che TERRASI Domenico ha fatto a SANZERI Paolo, impiegato dell’U.T.C. di Cattolica Eraclea, per il tramite di suo suocero SICURELLA Gaetano, per l’aggiudicazione di alcuni lavori strategici (manutenzione delle strade comunali) per l’impatto che possono avere nei confronti della cittadinanza, a ditta diversa da quella riconducibile proprio a MICCICHÈ.
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MANNO Francesco è nipote di TERRASI Domenico; nell’ambito della presente indagine preliminare egli pone in essere delle azioni riconducibili al quadro indiziario di partecipazione all’associazione mafiosa capeggiata da TERRASI Domenico.
Significativa a tale proposito la conversazione intercorsa tra ZAPPIA Beniamino Gioiello e SPAGNOLO Giuseppe , avente ad oggetto il componimento di un dissidio intercorso tra SPAGNOLO e lo stesso MANNO, ove il primo chiede aiuto a ZAPPIA per intercedere in tale diatriba indicando espressamente MANNO Francesco.
Durante la detenzione del TERRASI Domenico il MANNO, al contrario, si trovava libero ed è stato riconosciuto come soggetto strettamente collegato a TERRASI Domenico ed in grado di avere un importante ruolo decisionale nelle dinamiche di “cosa nostra”.
Va aggiunto che MANNO Francesco è protagonista della vicenda relativa all’acquisto di terreni ove è in progetto la realizzazione del parco eolico; ed invero, egli insieme a TERRASI Antonino, fratello di Domenico, che funge da mediatore per l’individuazione dei terreni; ad AMODDEO Andrea, genero di TERRASI Domenico; a TERRASI Giuseppe, altro nipote di TERRASI Domenico, acquista con modalità illecite terreni da sfruttare per l’allocazione di torri di aerogenerazione. In tale attività il protagonismo mafioso di MANNO si accresce, perché è colui che impone a MANNESE Giuseppe la cessione di terreni di proprietà di quest’ultimo contro la sua volontà;
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MARRELLA Damiano viene indicato da PUTRONE Luigi e DI GATI Maurizio quale soggetto appartenente alla consorteria mafiosa “cosa nostra” famiglia di Montallegro.
Le indicazioni fornite dai collaboratori risulta riscontrata dall’inequivoco invito di TERRASI Domenico fatto al figlio Giuseppe, impegnato con propri mezzi ed operai nella realizzazione della condotta idrica “Favara di Burgio” in territorio di Cattolica Eraclea e Montallegro, a rivolgersi proprio a “Miano di Montallegro suo compare” per ottenere l’autorizzazione relativa ad eseguire i lavori in territorio di competenza di altra famiglia mafiosa. Il ruolo di MARRELLA Damiano a capo della famiglia mafiosa di Montallegro è confermato altresì da alcune conversazioni, ove vi sono chiari riferimenti al predetto ed al suo ruolo di capo della famiglia mafiosa di Montallegro, già intervenuto quale paciere in precedenti controversie sorte tra i due pastori che, di fatto, riconoscono in TERRASI e MARRELLA il ruolo di capimafia dei rispettivi paesi, Cattolica Eraclea e Montallegro.
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VINTI Marco è imprenditore che ha messo a disposizione dell’associazione mafiosa della provincia agrigentina ed in particolare, della famiglia CAPIZZI di Ribera, la sua attività imprenditoriale per consentire a “cosa nostra” di aggiudicarsi di fatto i lavori più rilevanti e più fruttuosi in questi ultimi anni nell’intera provincia: la realizzazione della condotta idrica denominata “Favara di Burgio”. Risulta chiaramente che VINTI Marco, attraverso la sua ditta individuale, ha consentito a TERRASI Giuseppe, figlio di Domenico, di lavorare nel suo paese per realizzare la condotta idrica in argomento; in particolare, TERRASI Giuseppe non potendo ottenere il relativo certificato antimafia, si è avvalso della ditta di VINTI Marco, con la piena consapevolezza di questi, per potere lavorare sul territorio di competenza.
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AMODDEO Andrea è genero di TERRASI Domenico e fratello di AMODEO Gaetano, uomo d’onore della famiglia mafiosa di Cattolica insieme a TERRASI Domenico, già condannato all’ergastolo e deceduto per cause naturali in carcere il 16 marzo 2004. Egli è pienamente consapevole del ruolo del proprio suocero ed è interlocutore privilegiato di TERRASI Domenico con il quale scambia informazioni e consigli sulla gestione di alcuni dei lavori più significativi che si stanno realizzando a Cattolica Eraclea. Ancora più rilevante per cristallizzare il ruolo di partecipe dell’associazione mafiosa di Cattolica capeggiata dal suocero, è la conversazione telefonica del 4 febbraio 2007 intercorsa tra AMODDEO e tale MICELI che chiama dal Canada per trasmettere un messaggio a ZAPPIA Beniamino Gioiello proveniente da RIZZUTO Vito; AMODDEO, nel rispondere a MICELI, percepisce immediatamente il reale contenuto del messaggio ed il soggetto a cui doverlo riferire, assicurando nel contempo il suo interlocutore dell’esatta esecuzione della direttiva proveniente direttamente da RIZZUTO Vito che giungerà a ZAPPIA, tramite AMODDEO e suo suocero TERRASI Domenico.
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Attività imprenditoriali sequestrate

Nel medesimo contesto operativo, sono stati sottoposti a sequestro sette, tra imprese individuali e società operanti nel settore edile, riconducibili agli arrestati, utilizzate anche per i lavori nella condotta “Favara di Burgio”. Inoltre è stato sequestrato il ristorante “Tre Vulcani“ corrente in Sciacca in Contrada Verdura di proprietà dell’AMODEO.

- Impresa individuale “TERRASI Giuseppe”, corrente in Cattolica Eraclea (AG) contrada Zubbia – C.F. TRRGPP71R09C356J – Titolare firmatario - attività: lavori generali costruzioni edifici residenziali e non residenziali.

- MOVITER Trasporti s.n.c. di MORELLO Giuseppe e Vincenzo, avente sede legale in Cattolica Eraclea (AG), Strada Provinciale Cattolica Eraclea – Cianciana s.n., frazione Bonura.

- Impresa individuale “AMODDEO Andrea”, corrente in Sciacca Contrada Verdura Inferiore S.S. 115 Km 133 –C.F.: MDDNDR64B19C356F – Attività: Ristorazione con somministrazione.

- Impresa individuale “TUTINO Gaspare”, corrente in Cattolica Eraclea via Bachelet - C.F.:TTNGPR70A01C356W – attività: lavori generali costruzioni edifici residenziali e non residenziali.

- Impresa individuale “IDEA CASA di MICCICHE’ Paolo” corrente in Cattolica Eraclea via La Loggia n.22 – C.F.:MCCPLA74H17A089A – attività: lavori generali costruzioni edifici residenziali e non residenziali.

- METAL TUBI TRINACRIA PICCOLA SOCIETA’ COOP. A RESPONSABILITA’ LIMITATA - sede legale: Ribera via Padova n.16 – C.F.: 01667210841 – attività: noleggio di gru ed altre attrezzature con operatore per la costruzione o la demolizione;

- Impresa individuale “VINTI MARCO”, sede legale Ribera corso F. Crispi n.96 – C.F.:VNTMRC72H14A089F – Attività: lavori generali costruzione edifici residenziali e non e lavori di ingegneria civile;

- CONSORTILE MONREALE S.A.S. DI VINTI MARCO & C., sede legale in Ribera via Pisa n.18 – C.F.:02090590841 – Attività: lavori generali costruzione edifici residenziali e non e lavori di ingegneria civile.

Mafia Cattolica Eraclea: Agrigento blitz antimafia ‘’Minoa’’.


Mafia Cattolica Eraclea : Agrigento blitz antimafia ‘’Minoa’’.

Dopo gli 8 arresti nell’ambito del blitz antimafia ‘’Minoa’’. Le ordinanze di custodia cautelare in carcere. I dettagli dell’inchiesta, tra appalti ed estorsioni. (Angelo Ruoppolo)

Le ordinanze di custodia cautelare dell’inchiesta “Minoa” confermano i rapporti tra le famiglie Capizzi di Ribera e Terrasi di Cattolica Eraclea. Il 31 luglio del 2007 Paolo Capizzi, di Ribera, e’ a Cattolica Eraclea ed incontra Domenico Terrasi. Si discute per, tra virgolette, ‘’sistemare le cose tra Ribera, Cattolica, Agrigento e Porto Empedocle’’. Le contese tra i mandamenti del Belice – Sciacca e del Ribera – Burgio sono provocate dai lavori sull’acquedotto ‘’Favara di Burgio’’ e dalle estorsioni alle imprese impegnate negli appalti. Sul territorio di Cattolica e di Montallegro si sono catapultati 50 milioni di euro per la costruzione della condotta idrica, e la famiglia Terrasi, con il padre Domenico ed il figlio Giuseppe, avrebbe attivamente partecipato all’appalto con propri mezzi, manodopera ed imprese, dopo l’autorizzazione della famiglia Capizzi di Ribera. Le prime opere sono gli scavi nella frazione Sant’Anna. Poi, altro appalto: un incubatore d’impresa a Cattolica nell’ambito del Patto territoriale ‘’Terre Sicane ‘’ , aggiudicato ad una impresa di Palermo e su cui intervengono Domenico e Giuseppe Terrasi, Paolo Micciche’ e Gaspare Tutino. Poi, ancora, la costruzione di una centrale per la produzione di energia eolica in contrada Dell’Alvano ed Aquileia a Cattolica Eraclea dove la famiglia Terrasi si impegna, tramite un’apposita societa’, per l’acquisizione dei terreni di cui non ha disponibilita’ giuridica. Ed infatti, Terrasi acquista i terreni di proprieta’ di tale Andrea Vaccaro. Poi, altro episodio: Domenico Terrasi convoca, in presenza di Gaspare Tutino e Paolo Micciche’, Gaetano Sicurella, suocero di Paolo Sanzeri, che e’ capo dell’Ufficio tecnico del Comune di Cattolica, e lo rimprovera aspramente perche’ il genero Sanzeri non e’ stato capace ad aggiudicare i lavori di manutenzione ordinaria delle strade esterne di Cattolica all’impresa di Paolo Micciche’. Poi, un imprenditore agrigentino ha dichiarato che suo padre e’ stato impegnato dal 1990 in poi a Cattolica nei lavori di una strada di penetrazione agricola appaltati dall’Esa. Per ottenere il lavoro fu pagata una tangente all’allora presidente dell’ Ente di sviluppo agricolo e ad un dipendente. Poi, nel corso dell’appalto, l’imprenditore e’ stato avvicinato da Domenico Terrasi che gli ha chiesto il pizzo del 4 per cento sull’importo dell’appalto, che e’ stato di 3 miliardi e 360 milioni di lire. Prima della richiesta il cantiere di Cattolica ha subito un atto intimidatorio: una bottiglia con dei cerini dentro un escavatore con il vetro rotto.

sabato 28 novembre 2009

PROCESSO «SCACCO MATTO». Conclusa la requisitoria dei Pm per gli imputati giudicati con l’abbreviato













PROCESSO «SCACCO MATTO». Conclusa la requisitoria dei Pm per gli imputati giudicati con l’abbreviato

PROCESSO «SCACCO MATTO». Conclusa la requisitoria dei Pm per gli imputati giudicati con l’abbreviato
Mafia: chieste 21 condanne
Chiesti complessivamente 271 anni di reclusione per gli imputati del processo
per mafia ed estorsioni denominato «Scacco Matto», troncone che si
celebra davanti al giudice per le udienze preliminari del Tribunale di
Palermo Camerini con il rito abbreviato. La richiesta delle condanne è stata
avanzata al termine della lunga e articolata requisitoria, durata diverse
udienze, dei magistrati della Procura distrettuale antimafia Rita Fulantelli
ed Emanuele Ravaglioli. Dalla prossima udienza sarà invece la volta delle
arringhe dei difensori dei numerosi imputati.

Per Calogero Rizzuto, il collaboratore di giustizia che ha dato un notevole
impulso alla ricostruzione di alcuni fatti, nonché dell’organigramma delle
presunte famiglie mafiose dei mandamenti del Belice, Sciacca e Ribera è
stata chiesta la condanna a 4 anni di reclusione.

Rimane in pieno svolgimento l’altro troncone del processo, quello che si
celebra a Sciacca con il rito ordinario e che vede coinvolti 19 imputati.
L’operazione «Scacco Matto», condotta dai carabinieri e coordinata dalla
Direzione distrettuale antimafia del capoluogo dell’isola, è culminata con
l’arresto di diverse decine di uomini ritenuti, secondo gli inquirenti, il
gotha delle famiglie mafiose di questo lembo della provincia agrigentina.
Lo scorso 15 settembre, la Dda comunica la collaborazione di Calogero
Rizzuto, ritenuto vice capo mandamento. Il salto del fosso del sambuche
costituisce una novità di grosso rilievo in questa parte della provincia. Infatti,
è la prima volta che si registra la collaborazione da parte di un personaggio
della mafia. All’impianto accusatorio della Dda, ricco di particolari
grazie ad una massiccia azione investigativa dei carabinieri, si aggiungono
conferme e particolari nuovi proprio in conseguenza delle confessioni
di Rizzuto.

Un racconto lungo e che riempie diverse centinaia di pagine nelle quali
vengono descritte le estorsioni, spiegati alcuni omicidi, rivelati le tangenti
chieste su lavori pubblici. Dalla condotta idrica Favara di Burgio, ai lavori
sulla strada statale 115 inerenti la messa in sicurezza e aggiudicati dalla
Si.gen.co. La descrizione della spartizione del territorio, le forniture del
calcestruzzo. Ma anche litigi all’interno delle famiglie come il contrasto
tra lo stesso Calogero Rizzuto e i Capizzi.

Un contrasto che, secondo quanto racconta Rizzuto, si acuisce al
punto tale da indurre quest’ultimo a collaborare con la giustizia, anche
perché teme di essere ucciso dai Capizzi. Ma il fiume in piena di Calogero
Rizzuto va oltre e sono previsti nuovi sviluppi. Infatti, moltissime pagine
delle confessioni contengono omissis che hanno generato nuove investigazioni
in corso.

Mafia: chieste 21 condanne

Queste, nel dettaglio, le condanne chieste dai Pm al
termine della requisitoria.


Gino Guzzo: 20 anni
Francesco Capizzi: 20 anni
Raffaele Sala: 18 anni
Accursio Dimino 16 anni
Antonio Gulotta: 16 anni
Antonino Pumilia: 16 anni
Paolo Capizzi (1968): 16 anni
Salvatore Imbornone: 16 anni
Paolo Capizzi (1940): 14 anni
Giacomo Corso: 14 anni
Michele Barreca: 14 anni
Girolamo Sala: 12 anni
Pietro Antonio Derelitto: 12 anni
Gisueppe Barreca: 12 anni
Giuseppe Capizzi (1969): 12 anni
Antino Montalbano: 12 anni
Giusueppe Orlando: 12 anni
Gisueppe Capizzi (1966): 10 anni
Calogero Rizzuto: 4 anni
Leonardo Taormina: 30 mesi
Michele Giambrone: 30 mesi
Gaspere Scirò: non doversi
procedere per morte del reo.

venerdì 27 novembre 2009

Mafia: Scacco Ai Clan Agrigentini, Azzerati i Vertici









Operazione antimafia nell’Agrigentino, otto arresti e sequestro di beni

AGRIGENTO - Dalle estorsioni, al controllo degli appalti e al nuovo business delle centrali eoliche. Sono tutti sospettati di essere da tempo legati alla famiglia mafiosa dei Bonanno di New York ed in affari, sin dagli anni 60, con i boss italo-canadesi Cuntrera-Caruana, gli otto arrestati nell'Agrigentino.

Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia, ha emesso le ordinanze di custodia cautelare. L'indagine coordinata dai magistrati della Dda di Palermo è stata condotta dalla Direzione investigativa antimafia.

I NOMI DEGLI ARRESTATI. I provvedimenti restrittivi sono stati notificati a Andrea Amoddeo, 45 anni, ristoratore, Francesco Manno, 46 anni, impiegato comunale, agli imprenditori Paolo Miccichè, 35 anni, Giuseppe Terrasi, 38 anni, Gaspare Tutino, 39 anni, Domenico Terrasi, 67 anni, pensionato, tutti di Cattolica Eraclea, Damiano Marrella, 59 anni, macellaio, di Montallegro e a Marco Vinti, 37 anni, imprenditore, di Ribera.

Ai primi sette è stato contestato il reato di partecipazione in associazione mafiosa. Vinti, invece, è accusato di concorso esterno alla mafia, per avere, secondo gli investigatori, messo a disposizione dei boss la sua ditta.

SIGILLI A IMPRESE E RISTORANTI. Sono state infine sequestrate sette tra imprese e società che operavano nel settore edile. Sigilli anche al ristorante "Tre Vulcani" di Amoddeo. L'indagine è durata circa due anni. Terrasi è accusato di essere il capo della famiglia mafiosa di Cattolica, di avere compiuto estorsioni e aver gestito e realizzato lavori, non avendone titolo e imponendo operai, mezzi e forniture di materiale, nell'Agrigentino. Indagini anche su alcuni terreni acquistati per realizzare una centrale per la produzione di energia alternativa eolica.


Camorra: Blitz Carabinieri, Arrestati 33 Affiliati a Clan Del Napoletano

NAPOLI (27 novembre) - Un'ordinanza di custodia cautelare nei confronti di 33 persone, ritenute esponenti di diversi clan camorristici attivi nella provincia di Napoli, è stata eseguite la scorsa notte dai carabinieri di Castello di Cisterna. Il provvedimento è stato emesso dal gip di Napoli per associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, spaccio di stupefacenti, porto e detenzione illegale di armi, usura, corruzione di Pubblico Ufficiale. Le persone coinvolte nell'inchiesta appartengono a quattro gruppi criminali attivi a Casandrino, Sant'Antimo e Grumo Nevano: i Marrazzo, i D'Agostino-Silvestre, i Ranucci ed i Puca. Nel corso di indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli i militari hanno individuato i personaggi che hanno dato vita ad una guerra di camorra nel 2007 scoppiata per la contrapposizione tra i Marrazzo ed i D'Agostino-Silvestre; questi ultimi, in quella occasione, si erano alleati con i Ranucci ed i Puca.
Due delle 33 ordinanze di custodia cautelare riguardano un carabiniere ed militare dell'esercito.

Catania, duro colpo ai "Ceusi"


Catania, duro colpo ai "Ceusi"

CATANIA - La Squadra mobile di Catania ha inferto un duro colpo alla cosca mafiosa dei Piacenti, noti come i "Ceusi" (Gelsi).

Il provvedimento cautelare è stato eseguito su delega della Procura distrettuale antimafia. I reati ipotizzati sono associazione mafiosa, traffico e spaccio di stupefacenti, usura, estorsioni, organizzazione di gare clandestine di cavalli. Arresti oltre che in Sicilia sono stati eseguiti anche a Roma, Pisa e Biella.

Durante l'operazione sono state anche notificate 12 informazioni di garanzia nei confronti di esponenti della società civile, dell'imprenditoria, della sanità e delle forze dell'ordine, per i reati di riciclaggio, favoreggiamento e reato contro la pubblica amministrazione. Nel corso delle indagini, che hanno riguardato gli episodi dal 2004 al 2008, sono stati sequestrati circa 360 chilogrammi di marijuana e un arsenale di armi da fuoco a disposizione dell'organizzazione mafiosa.

GLI INTERESSI DEI "CEUSA". "Allargare" il campo ed occuparsi di attività redditizie come cantanti napoletani, maghi, centri anziani, ambulanze, videogiochi e contattare politici "corrotti" per aver accesso a finanziamenti nazionali e comunitari. Sono alcune delle indicazioni date dal boss detenuto Giovanni Piacente, considerato dagli investigatori a capo della cosca dei "Ceusi", in una lettera scritta di suo pugno e indirizzata ai parenti e agli affiliati, fatta uscire dal carcere di Rebibbia e ritrovata durante un normale controllo dagli investigatori sotto il sellino di uno scooter nel marzo del 2008.

Della missiva ha parlato il procuratore aggiunto Michelangelo Patanè incontrando i giornalisti a Catania per illustrare i particolari dell'operazione 'Morus'. Nella lettera Giovanni Piacente impartisce anche la disposizione di "togliere tutto al pedofilo", riferendosi al cugino Giovanni Piacenti, arrestato nel 2004 per pedofilia, reato considerato "infamante" nell'ambito della criminalità.

Durante la conferenza stampa, alla quale ha preso parte anche il questore Domenico Pinzello, è stato sottolineato il ruolo "non più marginale" delle donne (tre le arrestate nell'operazione ndr) la cui presenza è stata giudicata "significativa" all'interno nell'organizzazione, dove impartivano agli affiliati le disposizioni ricevute dal boss.

Tre persone sono riuscire a sfuggire all'arresto; a tredici di esse il provvedimento restrittivo è stato notificato in carcere. Tra gli arrestati la sorella di Giovanni Piacente, Rosaria, che avrebbe avuto il compito di portare fuori dal carcere le disposizioni per gli affiliati date dal boss e Giovanna Bonafede, accusata di detenzione illegale di armi perchè trovata in possesso di quattro pistole.

Nel corso delle indagini è emerso come al boss Piacente si sarebbero rivolti anche esponenti delle forze dell'ordine e professionisti: una circostanza che gli investigatori hanno definito "allarmante". Alcuni cittadini si sarebbero infatti rivolti all'organizzazione per dirimere una lite condominiale, per avere la sicurezza di acquistare una casa in un'asta giudiziaria o anche per recuperare crediti. Tra questi u
esponente delle forze ordine che a Piacenti avrebbe chiesto di fare minacciare la moglie che voleva lasciarlo e che aveva una relazione extraconiugale; in cambio avrebbe dato al boss l'assicurazione che in quel periodo non vi era pericolo di ordinanze di custodia cautelare nei suoi confronti.

Al boss si sarebbe rivolto anche un ginecologo, chiedendo di poter visionare la cartella clinica di una donna conservata all'ospedale Cannizzaro, cosa che sarebbe avvenuta. Il professionista avrebbe chiesto l'interessamento dell'organizzazione per ritrovargli l'automobile che gli era stata rubata.

Mafia, il boss Graviano si dissocia


Mafia, il boss Graviano si dissocia

PALERMO - "Da parte mia è una dissociazione verso le scelte del passato che non riguardano il processo svoltosi a Firenze. Oggi sono una persona diversa".

Lo dice in un interrogatorio del 28 luglio scorso il boss mafioso palermitano Filippo Graviano ascoltato dai pm fiorentini Alessandro Crini e Giuseppe Nicolosi. Graviano è stato condannato all'ergastolo per l'omicidio di don Pino Puglisi e per le stragi del '93 oltre ad avere una lunga serie di condanne per mafia ed estorsioni.

I verbali con le sue dichiarazioni sono ora agli atti del processo al senatore Marcello Dell'Utri, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e condannato in primo grado a nove anni di carcere. I pm hanno sentito Graviano dopo le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza che indica persone "estranee a Cosa nostra" come mandanti delle stragi nel '92 in Sicilia e nel '93 nel Continente.

"Faccio un esempio - aggiunge il mafioso - nel mio passato al primo posto c'era il denaro, oggi c'è la cultura. Sono ragioniere, ho sostenuto 13-14 esami di Economia, sono iscritto alla Sapienza a Roma. Sento l'esigenza di mettere una pietra sopra alle scelte del passato e di impostare un futuro di vita nella legalità".

Graviano aggiunge: "Quando crescerà sarà sempre il figlio di... Quando questo ragazzo sarà laureato quale impresa lo assumerebbe col cognome Graviano? Oppure se facesse un concorso statale o regionale lo assumerebbero? Io penso di no". Il boss spiega di avere una posizione diversa rispetto alla moglie sul futuro del loro figlio che lui vorrebbe far crescere fuori Palermo. Per un periodo il mafioso riuscì a convincere la moglie a trasferirsi a Roma, ma poi la donna volle tornare a Palermo e andò a vivere con la propria famiglia. Per il dissidio sul figlio, spiega Graviano, i rapporti con la moglie si sono interrotti anche se "ci amiamo".

"Il discorso di queste persone, entità, che avrebbero dovuto mantenere l'impegno con noi o con me o con qualcun altro, a me non risultano. Io non ho avuto mai promesse da alcuno e non c'è stato mai nessuno che ha promesso a me qualcosa per alleviare queste sofferenze", ha aggiunto Graviano. Il riferimento è ad accordi che la mafia avrebbe preso con personaggi istituzionali che avrebbero promesso un alleggerimento del regime carcerario e una revisione dei provvedimenti giudiziari. Graviano si rifiuta di rispondere ai pm su domande che riguardano le stragi e sull'organizzazione mafiosa Cosa nostra.

giovedì 26 novembre 2009

Draghi: la mafia affossa l'economia del Sud


Draghi: la mafia affossa
l'economia del Sud


Il monito del governatore della Banca d'Italia: ancora allarmante il divario tra le regioni a Nord e il Mezzogiorno
ROMA
Nuovo allarme del Governatore di Bankitalia Mario Draghi per il Mezzogiorno. In particolare, sulla sua economia «grava il peso della criminalità organizzata» che «infiltra le pubbliche amministrazioni, inquina la fiducia tra i cittadini, ostacola il funzionamento del libero mercato concorrenziale, accresce i costi della vita economica e civile».

In particolare, è la sua analisi, «alla radice dei problemi del sud stanno la carenza di fiducia tra cittadini e tra cittadini e istituzioni, la scarsa attenzione prestata al rispetto delle norme, l’insufficiente controllo esercitato dagli elettori nei confronti degli amministratori eletti, il debole spirito di cooperazione: è carente quello che viene definito ’capitale socialè. Questi elementi richiedono una maggiore attenzione da parte di economisti e statistici». Informazioni accurate su questi fenomeni e la loro evoluzione «sono essenziali per valutare quali innovazioni, anche istituzionali, siano in grado di modificare lo stato delle cose».

Per Draghi, al Sud sono allarmanti anche i ritardi nei servizi. «Il divario tra sud e centro-nord nei servizi essenziali per i cittadini e le imprese rimane ampio. Le analisi che presentiamo oggi rivelano scarti allarmanti di qualità fra centro-nord e Mezzogiorno nell’istruzione, nella giustizia civile, nella sanità, negli asili, nell’assistenza sociale, nel trasporto locale, nella gestione dei rifiuti, nella distribuzione idrica. In più casi - emblematico è quello della sanità - il divario deriva chiaramente dalla minore efficienza del servizio reso, non da una carenza di spesa. Svolgere un’attività produttiva in Italia è spesso più difficile che altrove, anche per la minore efficacia della pubblica amministrazione; nel Mezzogiorno queste si accentuano».

E sempre sul Sud, il Ministro dell’Economia Giulio Tremonti parlando alla Camera ha reso noto che il Governo porterà all’attenzione dei parlamentari la questione della fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno. Credo che sia una cosa ragionevole e compatibile con l’Europa«. Chi investe capitali al sud »per crerare occupazione e lavoro ha l’aliquota più bassa d’Europa, cioè il 5%«, ha spiegato Tremonti. Inoltre, il ministro ha chiesto alla commissione Bilancio di Montecitorio di confermare anche per il 2010 le risorse che il governo intende stanziare per gli ammortizzatori sociali e ha promesso che in finanziaria sarà fatto ancora di più rispetto all’anno precedente. »Sugli ammortizzatori sociali abbiamo concentrato tutte le risorse che avevamo e nella finanziaria vedrete che faremo di più - ha spiegato -. La realtà sul 2010 è ancora da gestire e da valutare con grande attenzione, se c’è bisogno di fare deficit si fa solo sulla cassa integrazione. È questa - ha sottolineato il ministro - l’unica causale che ha una cifra etica e morale condivisibile«.

Minacce di morte a Schifani


Minacce di morte a Schifani
Rafforzate le misure di sicurezza


La lettera con gli avvertimenti è
riconducibile ad ambienti mafiosi.
ROMA
Una lettera anonima, contenente minacce di morte nei confronti del Presidente del Senato Renato Schifani e dei suoi familiari - minacce apparentemente riconducibili, in base al testo, ad ambienti mafiosi - è stata recapitata per posta due giorni fa alla Presidenza di Palazzo Madama.

Schifani ha subito presentato denuncia alle forze dell’ordine. La lettera ha la data «Reggio Emilia, 21 novembre 2009» ed il timbro postale «Bologna cmp» con la stessa data. Nella lettera, ricca di particolari sulle abitudini e sui movimenti del Presidente del Senato, si sostiene che Schifani sarebbe «nell’occhio dei picciotti»; si afferma che durante «un incontro a Reggio Emilia» ci sarebbe stata una non meglio precisata «telefonata», e si lancia un avvertimento al Presidente del Senato: «Stia attento perchè è in pericolo la sua vita e quella dei suoi familiari». La lettera così conclude: «I cosiddetti perdenti sono per la resa dei conti». Secondo quanto si apprende, sono state rafforzate le misure di sicurezza a garanzia del presidente del Senato, soprattutto in Sicilia.

Manifestazioni di solidarietà nei confronti del Presidente del Senato sono giunte in mattinata dalle parti politiche. Il presidente della Camera Gianfranco Fini, ha telefonato a Schifani per esprimergli «solidarietà e vicinanza» riguardo alle accuse del pentito di mafia Gaspare Spatuzza.

Il portavoce del Pdl Daniele Capezzone ha dichiarato: «Mi auguro che la politica sia unita, senza eccezioni e stonature, nell’esprimere solidarietà al Presidente Schifani. Vale per lui e per ogni altro cittadino: è indecente che l’onore, l’identità, l’immagine, la reputazione di una persona possano anche solo per un momento essere appese a calunnie, invenzioni, accuse di criminali, più o meno pentiti». «L’attacco al Presidente del Senato Renato Schifani è vergognoso. - ha aggiunto anche il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo -. A Renato Schifani, di cui conosco ed apprezzo la grande correttezza e l’onestà va tutta la mia solidarietà umana e politica. L’imbarbarimento del clima politico-giudiziario, ha superato i livelli di guardia e rende palese il tentativo di destabilizzare le istituzioni».

Camorra, colpo al clan Sarno: 19 arresti In manette consigliere comunale di Napoli


Camorra, colpo al clan Sarno: 19 arresti
In manette consigliere comunale di Napoli


È Achille De Simone eletto nelle liste del Pdci. Avrebbe impedito
con la violenza la nascita di uno sportello anticamorra a Cercola


NAPOLI (26 novembre) - Questa notte i carabinieri del comando provinciale di Napoli hanno dato esecuzione ad una ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dalla magistratura partenopea a carico di 19 persone ritenute elementi di spicco del clan camorristico dei Sarno operante nel quartiere Ponticelli del capoluogo campano ed in vaste aree della provincia.

Il clan contro le associazioni antiracket.Nel corso di indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia i militari dell'Arma hanno accertato estorsioni perpetrate a tappeto ai danni di imprenditori, commercianti ed ambulanti dell'hinterland est di Napoli nonché le attività illecite attuate dalla moglie di un capo clan che, con la complicità, di un politico locale aveva fatto desistere i promotori di una nascente associazione antiracket dall'aprire uno sportello nel Comune di Cercola.

In manette consigliere comunale del Pdci. Anche un consigliere comunale di Napoli, Achille De Simone del Pdci, residente a Cercola è stato arrestato nell'ambito dell'operazione. Secondo quanto si è appreso, nei suoi confronti l'accusa è di violenza privata per aver impedito la nascita di uno sportello antiracket nel comune di Cercola.

De Simone è stato eletto in Consiglio comunale a Napoli con il Pdci, con un buon successo personale in termini di voti. 69 anni, dipendente della Regione Campania, risiede a Cercola, nel Napoletano, dove è stato consigliere comunale dal '78 al 2001 e assessore comunale in diversi periodi sempre nel comune del Napoletano.

De Simone, pur eletto in uno schieramento di sinistra al Comune di Napoli, contemporaneamente ha fatto parte, per un periodo, di una giunta di centro destra a Cercola. È accusato di violenza privata: era in casa di Patrizia Ippolito, moglie del boss Vincenzo Sarno, collaboratore di giustizia. Nell'abitazione fu convocata una persona che voleva aprire un'associazione antiracket. La Ippolito disse che l'associazione non sarebbe stata aperta se l'uomo non avesse riferito alla donna tutte le denunce e le iniziative dell'associazione: dopo l'intervento del clan l'associazione non aprì più.

Presa la moglie del boss Sarno. Gestiva le attività del clan. Tra i destinatari dei provvedimenti anche la Ippolito, che durante questo periodo - secondo l'accusa nei suoi confronti - ha gestito le attività estorsive. È a casa sua che sarebbe stato convocato uno dei commercianti che aveva deciso di avviare un'associazione antiracket. L'uomo sarebbe stato minacciato, e avrebbe avuto il via libera, secondo quanto è emerso, ad avviare l'attività ma solo se avesse poi riferito al clan tutti i dettagli di quanto deciso dall'associazione che poi non fu più costituita.

'Ndrangheta, 37 ordinanze contro clan del Crotonese


'Ndrangheta, 37 ordinanze contro clan del Crotonese

La polizia sta eseguendo 37 provvedimenti restrittivi nei confronti di presunti appartenenti a cosche della 'Ndrangheta crotonese, in un'operazione che vede impegnati 400 poliziotti tra Crotone, Pavia e Reggio Emilia, come si legge in un comunicato.

"L'impegno degli organismi investigativi, da tempo sostenuto nel capoluogo calabrese, ha portato alla cattura di numerosi esponenti di spicco delle cosche della Ndrangheta, determinando lo smantellamento delle loro strutture verticistiche", dice la nota della polizia, precisando che all'operazione "Pandora", coordinata dal Servizio centrale operativo (Sco), partecipano la Squadra mobile di Crotone e la Sezione criminalità organizzata di Catanzaro.

L'operazione "colpisce soggetti, a vario titolo, responsabili di associazione di tipo mafioso, omicidi, traffici di sostanze stupefacenti ed armi, estorsioni ed altri gravi reati".

Le indagini che hanno portato all'esecuzione delle 37 ordinanze - 13 delle quali emesse nei confronti di persone già detenute - hanno permesso di disarticolare le famiglie mafiose più influenti della provincia di Crotone e storicamente contrapposte, Arena e Nicoscia, operanti nella zona di Isola Capo Rizzuto "con pericolose propaggini anche nel Nord Italia".

I due clan, precisa la nota, hanno compiuto molte estorsioni, "esercitate anche in forma violenta, nei confronti di imprenditori del settore edile, nonché di esercizi commerciali diversi".

Grazie alle indagini si è inoltre risaliti ai responsabili di tre omicidi e due tentati omicidi risalenti al periodo 2004-2006. Sono poi state colpite "le articolazioni della cosca Nicoscia in Lombardia ed Emilia Romagna".

Nell'ambito dell'operazione sono stati effettuati sequestri per circa 40 milioni di euro nel Crotonese, a Reggio Emilia, in Lombardia e in Trentino.

GIRODIVITE DIGNITA’ E (R)ESISTENZA- I delitti Vaccaro Notte e un briciolo di giustizia dieci anni dopo








DIGNITA’ E (R)ESISTENZA- I delitti Vaccaro Notte e un briciolo di giustizia dieci anni dopo

martedì 24 novembre 2009, di Giuseppe Tramontana


Forse il 21 ottobre scorso qualcuno a Sant’Angelo di Muxaro, Agrigento, lontana periferia di questo scalcinato impero, ha gioito o, al contrario, ha santiato. Quel giorno la Corte di Assise di Agrigento ha condannato i mafiosi Stefano Fragapane, Giuseppe Fanara e Giovanni Aquilina all’ergastolo. Ma perché, chi sono? Per capire chi sono occorre raccontare una storia. Un’atroce, disperata storia del Sud. Ma non basta. E’ anche una storia assurda, nella quale amore per la propria terra, dignità e morte si fondono. Insomma, nello specifico, è una storia profondamente siciliana. Punto. Anche perché, come accade spesso nell’isola, appartiene a quel novero di vicende che si dispiegano quasi senza senso. O meglio, si parte da un dato assodato e si arriva – non si sa perché e non si sa per come – ad un risultato enorme, esageratamente sproporzionato.

Eppure, se sfogliate i grandi racconti di mafia, le storie più ricche, corpose, puntuali su Cosa Nostra, gli excursus storici, le ricostruzioni documentali, questa vicenda non la trovate. Io c’ho provato. Nisba. Tutto muto. Proviamo a ricostruirla noi, allora. Tutto inizia con due fratelli, anzi tre. I fratelli Vaccaro Notte. Vincenzo, detto Enzo, Salvatore, detto Totò, e Angelo, il più giovane. I tre sono nati e vivono a Sant’Angelo di Muxaro, Agrigento, quasi mille e settecento anime arroccate su un monte ai confini della Valle del Platani.


C’è una foto molto significativa di Enzo e Totò. E’ la foto di due signori sulla quarantina. Si assomigliano come due gocce d’acqua, benché uno sia palesemente più giovane dell’altro. I due sono a cavallo. Montano due bellissimi bai, possenti, lucidi, il petto, i garretti segnati dal turgore della muscolatura, gli zoccoli saldi. I fantini hanno capelli ricci, stivali e pantaloni stretti. Quello che sembra il più anziano, Totò, indossa un gilet nero su una camicia cilestre e una cravatta rossa. Enzo una blusa gialla. Sorridono lievemente. Sembrano sereni. Tranquilli. Magari qualche preoccupazione ce l’avranno, ma dalla foto non trapela. Sereni come chi ha la coscienza a posto, pulita, nulla da rimproverarsi e nessuno da ingraziarsi.
A testa alta. Quella foto è stata scattata nel settembre dell’ ’87, durante la Festa dell’Addolorata. Probabilmente si trovano a Sant’Angelo per le ferie, perché loro, in realtà, stanno in Germania, dove vivono e lavorano ormai da più di dieci anni. Ma è chiaro che il paese natio, a loro, piace e ci tornerebbero volentieri a vivere. Sono andati via perché non c’era lavoro.

Solo speco della vita nell’attesa di favori, contando le mattonelle in piazza. Che vita è? Basta, hanno detto, e se ne sono andati. Prima a Spotorno, vicino Savona, poi in Germania, a fare i Ristoratori. Il terzo fratello, Angelo, invece un lavoro ce l’ha: è Imprenditore. L’unica alternativa possibile tanto all’allevamento delle bestie che all’arruolamento nelle cosche. In Germania si danno da fare. Sognando il ritorno. Da trionfatori. Avendo da mangiare per sé e per i propri figli, non chiedendo nulla a nessuno. Senza padroni, a testa alta. Fatica e nostalgia, sotto il corrusco cielo teutonico. Il sole, il caldo, il passeggio, lo struscio in piazza o nel corso, lo scirocco che, come un capriccioso amante, viene dall’Africa per accarezzare i capelli delle donne, delle santangelesi. E poi la granita al limone e il vino buono, la salsiccia che come quella del paese non ce n’è da nessuna parte del mondo e le pesche di Bivona che fanno impazzire dal profumo. Alzarsi presto, imparare quelle quattro parole di tedesco giusto per capire i clienti, tenere duro, non lamentarsi. E guardare lontano. Con speranza. Conoscono un mondo civile, però, un mondo fatto di sacrifici, ma anche di rispetto per chi lavora, senza baciamolemani e vossignoria. Solo la libertà di dire ancora e la necessità di dire basta. Il paese. E’ lì che si vuol tornare. E un giorno ce la fanno. Siamo all’inizio degli anni Novanta e loro sono pronti per tornare. Da vincitori, come volevano.

Portando un prezioso bagaglio, un bagaglio di libertà. E la dignità di chi sa che può contare su bene che non lo abbandonerà mai: il sudore della propria fronte. Certo, i pericoli ci sono. Primo fra tutti, la mafia che si incarna, a Sant’Angelo, in una cosca, la “cosca dei pidocchi”, scassapagghiari convertitisi in rispettati mafiosi, parassiti che maramaldeggiano per diventare padroni. Ma loro, i fratelli, non hanno paura. Deve avere paura chi ne ha motivo, non gli onesti, pensano. La paura è un corvo che volteggia nell’aria finché non trova un ramo su cui appollaiarsi o un cadavere da becchettare. Solo che la paura cerca un animo pavido che dia riparo, non un ramo. E, poi, se uno non ha paura e non vuole essere servo, sta sicuro che padroni non ne trova: come si dice?, ad ogni schiavu ‘nu bonu patruni… Con il gruzzolo accumulato in Germania mettono su un’agenzia di pompe funebri e altre attività commerciali. Aspettano sei anni per avere le autorizzazioni, le certificazioni, le dichiarazioni, le autorizzazioni sulle autorizzazioni, i nulla osta sulle attività, le delibere del Consiglio comunale che approvano, concedono, riconoscono. Sei anni. Ma la legalità è anche questa. Ora, c’è da specificare che, la loro, non è l’unica agenzia del paese. Ce n’è un’altra. Senza autorizzazioni, senza nulla osta, senza certificazioni. Ma non per questo ha mai avuto problemi. Appartiene ai fratelli Angelo e Alfonso Milioto, che già esercitavano, in regime di assoluto monopolio e senza le dovute concessioni e/o autorizzazioni , l’attività di pompe funebre.

I tre fratelli VACCARO NOTTE , avvicinati da criminali del posto, meglio conosciuti come la “COSCA DEI PIDOCCHI”, cosca dei Fragapane di Santa Elisabetta, paese confinante. A Sant’Angelo c’è aria pesante. Si sente, si avverte. Qualcuno è scontento e non lo nasconde. I Vaccaro Notte intuiscono, si sentono osservati, come intrusi, elementi disturbatori. Abituati a vivere, lavorare, darsi da fare in Germania, ritornare in paese è come muoversi in un acquario pieno di pece. Tutto è cupo, ambiguo, torbido. E vischioso. Pericolosamente incrinato rispetto alle norme della legalità, ottuso. E’ un paese in cui la storia e la civiltà hanno davanti un muro. Il muro della paura e dell’omertà. Il muro della mafia.

E nessuno fiata, ché lu trivulu e lu beni, cu ci l’havi si li teni. Tutti ci stanno dentro. Gli impiegati che girano sottobraccio ai mafiosi, i politici locali che danno e si fanno dare del ‘cuscì’ (cugino) o del ‘cumpà’ ai delinquenti, assessori che gozzovigliano gomito a gomito con i malavitosi e i loro ruffiani. E tutto per i voti e un piatto di lenticchie. E’ stato molto pesante il prezzo pagato dai Vaccaro Notte per avere scelto di rompere la diffusa cultura dell’omertà, della sottomissione e del silenzio in un territorio profondamente caratterizzato dalla presenza delle organizzazioni criminali spesso conniventi con parte del mondo istituzionale e politico corrotto.

Come in altri mille posti d’Italia, a dire il vero. Come a Palermo, a Catania, ad Agrigento, a Napoli, a Roma. Nulla di strano, in fondo. Scandaloso sì, ma strano proprio no. Eppure Enzo , Totò e Angelo ci credono, all’onestà. O si illudono. Tappezzano i muri del paese di manifesti pubblicitari: “Per i vostri funerali – c’è scritto – rivolgetevi a noi, siamo gli unici autorizzati. Prezzi convenienti. Non si fa così dappertutto? La pubblicità non è l’anima del commercio? E, allora, che c’è di male? Si pubblicizza onestamente la propria attività, la gente vede, valuta, sceglie. Se è contenta ritorna, sennò adios. Liberamente. Ecco qua: liberamente. E’ questa parolina che a Sant’Angelo non funziona.

Qui – come in tanti altri posti – chi è libero è un nemico. E come tale va trattato. A questo punto i ‘pidocchi’ si fanno vivi. Uno di loro, uno che si fa passare per imprenditore, ha quasi il loro stesso cognome – Giuseppe Vaccaro . Una sera, in piazza, avvicina Enzo. Con il solito fare ammiccante, tra detto e non detto, fa capire che è meglio, per loro, non insistere. Anzi, è meglio darci un taglio. Quella è zona coperta. E anche quel settore delle pompe funebri. Insomma, non bisogna dar fastidio. Loro, il fastidio lo danno, invece. Pretendono di lavorare senza tutele di padrini o uomini d’onore, vogliono persino fare loro i prezzi. Ora persino la pubblicità. Amici belli, qui non siamo in Germania. Lì, certo, funziona diversamente, ma qua le regole sono altre e vanno rispettate. Qua le regole le facciamo noi. Così è sempre stato.

Gli altri le rispettano e basta. Enzo è turbato, ma non lo dà a vedere poichè non teme la Mafia e i suoi "picciotti-pidocchi". Parla con Totò e Angelo. Non hanno paura, loro. Male non fare, paura non avere. E loro, di male, non ne stanno facendo a nessuno. Anzi, sono convinti di portare un soffio rinfrescante su quell’acqua stagnante. Si va avanti. Arrivano così i primi avvertimenti. Una notte qualcuno si avvicina alla casa di Angelo. Ha dodici cani a cui tiene particolarmente come fossero suoi figli. Sono belli, cani lupo, pastori tedeschi incrociati con Dogo e Pitbull. Quella notte, tre vengono uccisi e due feriti. Che fare? Angelo è uomo coraggioso non teme la mafia e i pidocchi, è uno dei pochi imprenditori onesti. Sporge denuncia contro ignoti. Che tali resteranno per legge. I santangelesi osservano. Osservano tutto. E parlano. Nei bar, dai barbieri, nelle autofficine. Col cinismo di chi la sa lunga ed il sottile piacere di chi, essendosi piegato, non sopporta che altri restino integri, pretendendo di passare per diversi, migliori.

Si parla dei Vaccaro Notte. Si fanno scommesse su di loro. Su come andrà a finire. Pochi hanno dubbi: come vanno a finire certe cose? Male. Chi credono di essere quei beccamorti? Le minacce aumentano e proporzionalmente si accresce anche la determinazione di Enzo, Totò e Angelo. E così accade ciò che tutti hanno pronosticato. La sera del 3 novembre 1999, un commando armato avvicina Enzo. Gli sparano a bruciapelo. Non ha neanche il tempo di un sospiro. In piazza. Sotto gli occhi opachi, indifferenti di un’umanità senza nome, che pensa solo a defilarsi. Nessuno parlerà. Nessuna testimonianza, manco un bah. Pupille di vetro e lingue di basalto in facce di bronzo. E’ Angelo che va dai carabinieri. Racconta. Racconta delle intimidazioni, degli abboccamenti, delle parole sussurrate e delle minacce palesi. Fa i nomi e i cognomi, ricostruisce fatti e circostanze, indica luoghi e tempi.

Adesso lo Stato – pensa – interviene per fare giustizia. Ma lo Stato non interviene. Anzi, si comporta come un tanghero, un fellone. Non solo non viene assegnata nessuna protezione ai fratelli superstiti, ma la notizia delle dichiarazioni di Angelo filtra, la gente si dilegua, prende le distanze.

E nel vuoto si può essere colpiti più facilmente, si sa, lo sanno. Ma non importa. Totò e Angelo vanno avanti. Anche senza Enzo c’è una dignità da difendere. Anzi, proprio per lui. Il vuoto, il silenzio ed i borbottii, le occhiate in tralice ed i giri larghi della gente tradiscono la loro solitudine. Sono soli e nessuno può aiutarli. O cedono o vanno via. O muoiono, naturalmente. Niente di questo vogliono loro, benché isolati e indomiti. Ma anche vulnerabili. Il 5 febbraio 2000 un altro commando assassino scorazza per la piazza del paese. Scovano Totò e gli sparano due colpi di lupara in testa. Lo sfigurano come una bestia feroce. Così deve morire chi non si arrende, chi vuole l’onestà.


I miei FRATELLI Salvatore e Enzo Vaccaro Notte


Dopo quel giorno, Angelo deve seppellire il secondo fratello e la speranza. Il 30 marzo lascia la Sicilia, l’Italia e va in Argentina. Ci resterà quasi un anno e mezzo, poi ritorna. Per sfidare i boss. Si rivolge alla magistratura, è un testimone di giustizia che grazie alla denuncia ed alla testimonianza ha dato la possibilità allo Stato di aprire numerose ed importanti inchieste ed indagini che hanno portato alla sbarra pericolosi latitanti ( alcuni di essi si sono successivamente pentiti), killer spietati, affiliati senza scrupoli ed associati alla organizzazione mafiosa criminale denominata “COSA NOSTRA”.

La collaborazione del VACCARO NOTTE Angelo con le forze dell’ordine iniziò il 4 novembre del 1999 allorquando, il giorno precedente 3 novembre, venne barbaramente ucciso il di lui fratello, VACCARO NOTTE Vincenzo di appena 48 anni.
Sin da subito egli indicò agli inquirenti i presunti assassini del fratello, le modalità dell’uccisione nonché il movente. Angelo Vaccaro Notte vuole sottolineare il lavoro svolto con i piedi da un demente che all’epoca dei fatti gli era stato affidato il caso il dott. Carmine Olivieri un incapace che grazie a lui e stato commesso il secondo omicidio…… Non riesce a capire come mai questo magistrato con scarsa conoscenza della lingua italiana sia venuto a finire proprio ad Agrigento in una provincia calda dove la mafia è come il caffè ( lo si trova e si beve ovunque ).

Passano sei anni. Sei anni di passione per Angelo, che deve ricominciare da zero. La sua attività è bloccata. Bloccata come la giustizia. Così pare, almeno. Giorno dopo giorno ripensa ai fratelli caduti. Alla loro volontà di non piegarsi. Alla loro onestà, alle scelte coraggiose pagate a caro prezzo, alla loro determinazione incrollabile. Sei anni pensando che quel posto, Sant’Angelo, è stato la loro bara. Il posto che più al mondo hanno amato, agognato. E che invece li ha traditi, inghiottiti. Senso di sconfitta, senso di sgomento, rabbia e delusione. E’ dura riattaccare. E dove, poi? I giorni rotolano come macigni dentro la testa di Angelo, senza pace, senza tregua. Ma lentamente qualcosa spunta. E’ l’intraprendenza di due magistrati agrigentini, Annamaria Palma e Costantino De Robbio, a fare la differenza tra giustizia e impunità, mafia e legalità. Siamo nel maggio del 2006. I giudici hanno fatto posizionare microspie in due punti caldi: la masseria dei fratelli Stefano e Francesco Fragapane, a Santa Elisabetta, e la casa in campagna di Pietro Mongiovì, a Sant’Angelo. Quando gli inquirenti ascoltano le registrazioni vanno in solluchero. C’è dentro di tutto: traffico di droga e di armi, estorsioni a tappeto, gare d’appalto truccate e pilotate, copertura di latitanti eccellenti, indicazioni per eliminare esponenti di famiglie rivali. Insomma, la sagra del delitto mafioso.



Scatta la prima operazione ‘Sicania’, a cui ne seguirà una seconda. Tra i dodici mandati di arrestato spiccati, uno si posa sulla capoccia di Stefano Fragapane, già in carcere dal luglio 2002, quando i carabinieri interruppero un bel summit mafioso in un casolare nei pressi di santa Margherita Belice. Ma, come si dice, non tutti ci sono, non tutti lo sono. Se è vero che non tutti i siciliani sono mafiosi, è anche vero che non tutti i mafiosi sono in Sicilia. Così, nel corso delle due operazioni, ‘Sicania’ e ‘Sicania 2’, due arresti eccellenti vengono effettuati a Piove di Sacco, Padova, più di mille e cinquecento chilometri a nord di Sant’Angelo. Vengono acciuffati Giuseppe Vaccaro, quello che aveva ‘consigliato’ di desistere, e Pietro Mongiovì. Entrambi ufficialmente imprenditori edili, ché la stampigliatura ‘mafioso’ sulle carte di identità non è ammessa. Giuseppe Vaccaro è accusato di essere il mandante dell’omicidio di Enzo. Valuta. Decide che gli conviene collaborare. Ammette di aver fatto parte della "Cosca dei Pidocchi" del gruppo di fuoco che ha ucciso entrambi i fratelli Vaccaro Notte.




Dello stesso gruppo faceva parte anche Pietro Mongiovì. Anche lui inizierà a collaborare, ma il 23 aprile 2007 decide di dimettersi da questa vita menzognera. Chiuso in una cella del carcere ‘Due Palazzi’ di Padova, fa un cappio resistente con le lenzuola in dotazione e s’impicca.

Angelo, ora, vive in una imprecisata località del Nord. Lavora e dà lavoro. E’ attivissimo sul fronte antimafia. Ha messo su tre blog visitatissimi, sicania.spazioblog.it e vaccaronotte.spazioblog.it. http://liliumjoker-liliumjoker.blogspot.com . Ed ha fatto l’abitudine a non arrendersi. Non perde occasione per insultare i mafiosi. Ironizza ferocemente su di loro, sulla loro supposta ‘mascolinità’. Vengono definiti ‘pulci’, ‘pulci inutili’, ‘pidocchi’, ‘scoglionati’, ‘lampe da 5’ cioè lampadine di pessime qualità e luminosità.

E fa presente che tra coloro che hanno beneficiato della protezione degli amici santangelesi vi sono galantuomini come Maurizio Di Gati, Gerlandino Messina, uno dei più feroci killer agrigentini, e Luigi Putrone, arrestato nel 2003 a Praga e coinvolto nel sequestro del piccolo Giuseppe Di Matteo, undicenne figlio del pentito Santino, strangolato da Giovanni Brusca e sciolto nell’acido. Ora la sentenza del 21 ottobre, che ha comminato i tre ergastoli, ma ha prosciolto altri. La sentenza non ha, invece, riguardato Giuseppe Vaccaro, la cui posizione è stata stralciata perché collaboratore. Lui, i suoi trent’anni, confermati definitivamente in Cassazione, se li è visti assegnare a parte. Angelo intanto continua a lottare. Ed a sostenere che la storia, in realtà, non è finita. A suo avviso, tra quanti hanno partecipato agli omicidi dei suoi fratelli, ce ne sono altri che aspettano di essere identificati ed assicurati alla giustizia.

E lui non ha intenzione di mollare. L’ha promesso ad Enzo e Totò. E si sa, come insegna Durenmatt, una promessa è una promessa. Soprattutto quando si è davvero uomini d’onore e non ignobili parassiti e pidocchi come i mafiosi.

Processo ''Scacco matto"


Processo ''Scacco matto"

Requisitoria PM
I Pubblici ministeri della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, a conclusione della requisitoria nel giudizio abbreviato, hanno chiesto condanne per 300 anni di carcere a carico di 21 dei 33 imputati nell’ambito dell’inchiesta antimafia cosiddetta ‘’ Scacco matto ‘’, su mafia e appalti nella zona compresa tra il versante agrigentino della Valle del Belice, Sciacca e Ribera. 20 anni di reclusione sono stati chiesti per Gino Guzzo, di Montevago. 18 per Raffaele Sala, di Burgio. 16 per Accursio Dimino, di Sciacca, Salvatore Imbornone, di Lucca Sicula, Antonio Pumilia, di Menfi e Antonino Gulotta, di Montevago. 14 per Michele Barreca e Giacomo Corso, di Menfi. 12 per Girolamo Sala e Pietro Antonio Derelitto, di Burgio, Giuseppe Barreca, di Menfi, Antonino Montalbano e Giuseppe Orlando di Ribera. 2 anni e 6 mesi ciascuno per Leonardo Tavormina, di Menfi, e Michele Giambrone, di Villafranca Sicula, accusati di favoreggiamento. Per l’interga famiglia di Ribera dei Capizzi, 2 di loro si chiamano entrambi Paolo, altri due Giuseppe e uno Francesco, sono stati chiesti in totale 76 anni di carcere. Per Calogero Rizzuto, di Sambuca, che collabora con la Giustizia, i pm hanno chiesto 4 anni. I pm hanno chiesto l'assoluzione per non avere commesso il fatto di tre imputati: Antonio Pumilia, Giacomo Corso e Michele Barreca, tutti di Menfi, accusati di danneggiamento.

mercoledì 25 novembre 2009

Maroni annuncia il 'Piano straordinario antimafia'


Maroni annuncia il 'Piano straordinario antimafia'
Nuovi interventi normativi e organizzativi sono stati presentati dal ministro dell’Interno a Palazzo San Macuto davanti alla Commissione antimafia

Un testo unico contenente tutte le norme antimafia e il potenziamento degli strumenti per l'aggressione dei patrimoni mafiosi: sono due dei punti contenuti nel 'Piano straordinario antimafia' che il ministro dell’Interno Maroni ha presentato oggi in audizione alla ‘Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia e sulle altre associazioni criminali, anche straniere’.

Il piano che il Governo sta mettendo a punto prevede, secondo quanto illustrato da Maroni, «nuovi interventi sia dal punto di vista normativo che organizzativo» per rendere ancora più efficace la lotta alle organizzazioni criminali, proseguire nel contrasto alle infiltrazioni negli appalti pubblici e potenziare l'aggressione ai patrimoni. «Il meccanismo previsto dalla legge – ha infatti assicurato Maroni - non consentirà che i beni possano essere riacquistati dalla mafia».

Il ministro dell’Interno intende sottoporre nelle prossime settimane il progetto all'esecutivo e, «vista l'eccezionale importanza del piano», ha annunciato che chiederà ai presidenti delle Camere «uno specifico dibattito parlamentare».

Maroni ha poi indicato alcuni dei punti previsti dal piano che, oltre al testo unico contenente tutte le norme antimafia e al potenziamento degli strumenti per l'aggressione dei patrimoni mafiosi, comprende anche la velocizzazione delle procedure per il rilascio del certificato antimafia, un nuovo impulso dalla Direzione investigativa antimafia (Dia) e l'estensione del 'modello Caserta' ad altre realtà territoriali.

Infine, Maroni ha riferito sui risultati ottenuti negli ultimi diciotto mesi di Governo:

377 operazioni di polizia giudiziaria portate a termine (+ 53% rispetto all'analogo periodo precedente)
3.630 arresti (916 per mafia, 751 affiliati alla 'ndrangheta, 1.465 camorristi e 498 esponenti della criminalità pugliese)
282 latitanti arrestati (+ 87%), 15 dei quali inseriti nello speciale elenco dei 30 ricercati più pericolosi (e 37 nella lista dei 100 superlatitanti).

Cosentino, Giunta Camera respinge l'arresto


Cosentino, Giunta Camera respinge l'arresto

ROMA - La giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera ha respinto la richiesta di arresto nei riguardi del sottosegretario Nicola Cosentino. Contro l'arresto hanno votato 11 deputati, in 6 si sono espressi a favore del provvedimento giudiziario, mentre il radicale Maurizio Turco si è astenuto. Ad esprimersi definitivamente sulla richiesta della magistratura sarà l'aula di Montecitorio tra un paio di settimane.

Il relatore Nino Lo Presti (Pdl) ha proposto di respingere la richiesta della magistratura di arresto di Cosentino e la sua relazione è stata votata dal Pdl e da Domenico Zinzi (Udc). L'altro esponente dei Centristi, Pierluigi Mantini, ha invece votato per l'arresto del sottosegretario,e come lui il Pd, compreso il presidente della Giunta Pierluigi Castagnetti, e Idv.

Turco, dicevamo, si è astenuto per "motivi tecnici". "Io sono contrario all'arresto di Cosentino - ha spiegato - ma per ragioni diverse da quelle della maggioranza. L'astensione mi permetterà di poter svolgere in aula una relazione di minoranza e di spiegare la mia posizione".

"Abbiamo voluto aderire alla richiesta del Gip - ha spiegato Marilena Samperi del Pd - perché abbiamo trovato elementi documentali, intercettivi e investigativi nel provvedimento che dimostrano riscontri oggettivi dei gravi indizi di colpevolezza di Cosentino", il che "comporta la custodia cautelare in carcere obbligatoria, trattandosi di 416 bis" e cioè di un reato associativo.

Anche Mantini ha sottolineato "la sussistenza di forti indizi di colpevolezza, che comportano la custodia cautelare obbligatoria". "Da parte del nostro gruppo - ha aggiunto - c'è la massima attenzione verso i fenomeni mafiosi".

"La falange della destra - ha commentato Federico Palomba - ha fatto ancora una volta quadrato attorno al loro uomo, dimostrando una cultura di casta che trasforma l'immunità in impunità". Palomba ha respinto l'accusa di "fumus persecutionis" sollevata dal centrodestra: "la magistratura ha indagato e perseguito uomini di sinistra e di destra".

Il presidente della Giunta Castagnetti ha detto che dalla richiesta del Gip "emergono elementi di gravità e di solidità degli indizi di colpevolezza a carico di Cosentino" e in questo caso "c'è l'obbligo del provvedimento restrittivo, trattandosi di 416 bis".