venerdì 4 dicembre 2009

Spatuzza: il lungo giorno della verità


Spatuzza: il lungo giorno della verità

Oggi nell'aula-bunker allestita a Torino testimonierà al processo contro Dell'Utri
GUIDO RUOTOLO
TORINO

E’ il giorno di Gaspare Spatuzza, il dichiarante. Che la procura di Firenze vorrebbe già con la patente di pentito. Che per una parte della maggioranza è un «tragediatore», un pluriomicida che getta fango e discredito sul presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. E fa sapere che la sua domanda per il programma di protezione non dovrebbe essere accolta.

Nell’aula bunker del palazzo di Giustizia, davanti alla seconda sezione della Corte d’appello di Palermo presieduta da Claudio Dall’Acqua, in trasferta a Torino per motivi di sicurezza, questa mattina Gaspare Spatuzza, uomo d’onore della famiglia di Brancaccio, Palermo - è stato anche «reggente» del mandamento, dopo l’arresto dei fratelli Graviano - deporrà nel processo contro il senatore Marcello Dell’Utri, condannato in primo grado a nove anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa.

Nelle motivazioni della condanna di primo grado, i giudici estensori hanno scritto: «La pena (per Dell’Utri, ndr) deve essere ancora più severa, dovendosi negativamente apprezzare la circostanza che l’imputato ha voluto mantenere vivo per circa trent’anni il suo rapporto con l’organizzazione mafiosa (sopravvissuto anche alle stragi del ‘92 e del ‘93, quando i tradizionali referenti, non più affidabili, venivano raggiunti dalla “vendetta” di Cosa nostra)».

Gaspare Spatuzza - che sta «parlando» delle stragi del ‘92 e del ‘93 - è entrato in zona Cesarini nel processo d’appello contro Dell’Utri, quando il procuratore generale stava per concludere la requisitoria con la richiesta di condanna. Le sue dichiarazioni sono, per l’accusa, un’ulteriore conferma dei rapporti tra l’imputato e i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano, i boss di Brancaccio. Le sue dichiarazioni sono ritenute attendibili e (riscontrate) dalla Procura di Caltanisetta, almeno per quanto riguarda la ricostruzione della strage di via D’Amelio (la revisione del processo è ormai nell’ordine delle cose); e convincenti per la Procura di Firenze che indaga sulle stragi di Roma, Firenze e Milano (1993) e ha chiesto che Spatuzza ottenga il programma di protezione.

Accuse devastanti, quelle del dichiarante, che mette a verbale quanto andava dicendo nel gennaio del ‘94 il boss Giuseppe Graviano: «Abbiamo ottenuto quello che volevamo: abbiamo il Paese in mano. E non sono stavolta quei crastazzi dei socialisti, ma persone affidabili». E cioè, deduce Spatuzza, Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri: «Non posso sapere quale fosse il proposito che avessero in mente stringendo questo patto. Berlusconi e Dell’Utri, è una mia deduzione, in un primo momento hanno fatto fare le stragi a Cosa nostra, volendosi poi accreditare all’esterno come coloro che erano stati in grado di farle cessare. E quando poi li vedo scendere in politica, partecipando alle elezioni e vincendole, capisco che sono loro direttamente quelli su cui noi abbiamo puntato tutto». E’ convinto, Spatuzza, che Giuseppe Graviano, «quando fece l’accordo politico con chi doveva risolvere i problemi della mafia, contattò direttamente» Berlusconi e Dell’Utri.

Deduzioni di un aspirante pentito. Che ai fini dell’accusa nel processo d’appello contro Dell’Utri, rappresentano un formidabile riscontro dei rapporti tra l’imputato e i fratelli Graviano che, con il cognato di Totò Riina, Leoluca Bagarella, e il trapanese Matteo Messina Denaro pianificarono e realizzarono la strategia eversiva del ‘93, con le bombe di Roma, Firenze e Milano. Riscontro anche alle dichiarazioni di un altro pentito importante, Antonino Giuffrè, che afferma che anche per Bernardo Provenzano, con la nascita di Forza Italia, Cosa nostra «era in buone mani».

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