martedì 6 aprile 2010

Mafia, Martelli: Ros agivano di testa loro


Mafia, Martelli: Ros agivano di testa loro
Con Ciancimino avevano rapporti stretti


L'ex ministro della Giustizia: «Mi lamentai con Mancino
Avrei fatto l'inferno se avessi saputo di trattative Stato-mafia»


ROMA (6 aprile) - «Avemmo la sensazione che tra i carabinieri del Ros e Vito Ciancimino ci fossero rapporti stretti»: è questo uno dei passaggi-chiave della deposizione dell'ex ministro della Giustizia, Claudio Martelli, citato come teste al processo per favoreggiamento aggravato alla mafia nei confronti del generale dei carabinieri Mario Mori, ex vice comandate del Ros.

Oggi Il tribunale, accogliendo le richieste delle parti, ha ammesso l'esame di una serie di testi le cui dichiarazioni sono state depositate la scorsa settimana agli atti del processo. Tra questi, l'ex geometra Pino Lipari, ritenuto il consigliori di Bernardo Provenzano. E' slittato l'esame dell'altro teste che avrebbe dovuto deporre oggi: l'ex capo degli affari penali del ministero della Giustizia, Liliana Ferraro, che non ha potuto deporre per questioni di salute. Il processo è stato rinviato al 4 maggio, data in cui verrà sentito uno dei testi ammessi oggi: il colonnello dei carabinieri Massimo Giraudo.

«Mi infuriai: il Ros agiva per conto proprio». Martelli ha raccontato oggi in aula che, alla fine di giugno '92, l'allora direttore degli Affari penali del Ministero, Liliana Ferraro, gli disse che aveva incontrato il capitano Giuseppe De Donno, allora braccio destro di Mori, e che l'ufficiale le aveva riferito di avere preso contatti con il figlio di Ciancimino, Massimo, con lo scopo di incontrare il padre per fermare le stragi. «Ferraro - ha detto Martelli - mi raccontò di avere invitato De Donno a rivolgersi a Borsellino. Praticamente Ferraro mi fece capire che il Ros voleva il supporto politico del ministero a questa iniziativa. Io mi adirai perché trovavo una sorta di volontà di insubordinazione della condotta dei carabinieri. Avevamo appena creato la Dia, che doveva coordinare il lavoro di tutte le forze di polizia e quindi non capivo perché il Ros agisse per conto proprio».

«Dare credibilità a Ciancimino era un delirio». Infuriato, Martelli avvertì nella circostanza l'ex capo della Dia, il generale Taormina, e l'allora ministro dell'Interno. Il testimone, che ha dichiarato di non sapere se dopo l'invito della Ferraro il Ros si rivolse a Borsellino, ha raccontato di un secondo incontro tra De Donno e l'ex direttore degli Affari penali. «Nell'ottobre 1992 - ha detto - Ferraro mi disse di avere visto de Donno e che questi le aveva chiesto di agevolare alcuni colloqui investigativi tra mafiosi detenuti e il Ros e se c'erano impedimenti a che la procura generale rilasciasse il passaporto a Vito Ciancimino». Anche questo secondo racconto della Ferraro fece adirare l'ex ministro che disapprovava l'indipendenza del Ros e riteneva Ciancimino «una delle menti più raffinate di Cosa nostra. Dare credibilità a Ciancimino per cercare di catturare latitanti - ha aggiunto - era un delirio. Per questo chiamai l'allora procuratore generale di Palermo, Bruno Siclari, esprimendogli la mia contrarietà alla storia del passaporto». Martelli ha specificato, inoltre, che Ferraro gli riferì di aver informato Paolo Borsellino del colloquio avuto con De Donno a giugno del 92. «Non seppi però - ha aggiunto - di commenti del magistrato».

«Se avessi saputo di una trattativa avrei fatto l'inferno». «Se avessi avuto sentore che c'era una trattativa in corso tra pezzi dello Stato e la mafia, avrei fatto l'inferno - ha detto l'ex ministro della Giustizia - Invece l'iniziativa del Ros finalizzata a contattare Vito Ciancimino mi parve solo un atto di insubordinazione, quindi trattai la questione riferendone alle persone competenti come l'ex capo della Dia e l'allora ministro dell'Interno». Rispondendo al pm Nino Di Matteo che gli chiedeva perché avesse riferito solo dopo 17 anni quanto sapeva sui contatti tra il Ros e l'ex sindaco mafioso Vito Ciancimino, Martelli ha aggiunto: «All'epoca non c'erano indagini sulla trattativa, non se ne parlava neppure e mi sembrò opportuno risolvere quelli che mi sembravano atti di insubordinazione del Ros nelle sedi competenti».

«Mori e De Donno agivano di testa loro». «Non ho mai pensato che Mori e De Donno fossero dei felloni, ma che agissero di testa loro - ha detto l'ex ministro della Giustizia - Che avessero una sorta di presunzione o orgoglio esagerato. Sono convinto che lo scopo del Ros, fermare le stragi, fosse virtuoso, ma che il metodo usato, contattare Ciancimino senza informare l'autorità giudiziaria, fosse inaccettabile».

«Mi lamentai dei Ros con Mancino». «Mi lamentai del comportamento del Ros col ministro dell'interno dell'epoca. Ora, alla luce delle date e ricordando meglio, credo si trattasse di Mancino» ha detto Martelli, che ha riferito di aver informato Mancino dei contatti tra i carabinieri del Ros e Ciancimino. Contatti stretti, dopo la strage di Capaci, senza informare l'autorità giudiziaria e la Dia. «Mi lamentai di questa iniziativa indipendente del Ros, che mi parve insubordinata» ha detto Martelli.

«Il generale Delfino mi prennunciò la cattura di Riina». «Il generale dei carabinieri Francesco Delfino, nell'estate del '92, vedendomi preoccupato, mi disse che dovevo stare tranquillo perché mi avrebbero fatto un bel regalo di Natale, e aggiunse che Riina me lo avrebbero portato loro» ha raccontato Martelli. All'epoca del dialogo con Delfino, che era comandante della Regione dei carabinieri in Piemonte, Riina era latitante e sarebbe stato arrestato dopo pochi mesi. «Lì per lì - ha aggiunto Martelli - mi parve solo un auspicio».

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