lunedì 31 maggio 2010

'Ndrangheta, 14 arresti tra presunti esponenti cosca di Vibo


'Ndrangheta, 14 arresti tra presunti esponenti cosca di Vibo

La polizia di Vibo Valentia ha eseguito 14 provvedimenti d'arresto emessi dalla Dda di Catanzaro nei confronti di altrettanti presunti esponenti della cosca Lo Bianco, accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso, racket e detenzione di armi da guerra. Continua a leggere questa notizia

Ne dà notizia la polizia di Vibo Valentia, aggiungendo che è stato portato in carcere anche Carmelo Lo Bianco, 78 anni, fino ad oggi agli arresti domiciliari.

L'indagine, partita nel 2008 dopo la denuncia di estorsione da parte di un imprenditore della zona, ha portato anche al sequestro di un'agenzia pubblicitaria e di una ditta di trasporti.

Mafia: arresti Palermo



Mafia: arresti Palermo, ecco chi e' finito in carcere

PALERMO - Beni per un valore complessivo di oltre 150 milioni di euro, riconducibili ad esponenti mafiosi dei mandamenti di Brancaccio e Porta Nuova, sono stati sequestrati dalla Guardia di Finanza di Palermo.

Si tratta di centinaia di immobili, conti correnti e quote societarie che sarebbero il frutto di attività illecite e di riciclaggio. Le persone colpite dal provvedimento patrimoniale appartengono alle nuove leve di Cosa Nostra. L'operazione antimafia è stata denominata in codice "Tifone".

I provvedimenti riguardano le nuove leve del pizzo operanti nei "mandamenti" di Brancaccio e Porta Nuova. Tra gli indagati anche il presunto reggente di "Brancaccio", Antonino Sacco. La borgata della Guadagna - un tempo regno di Pietro Aglieri - sarebbe invece sotto il controllo di Francesco Fascella. Nella zona di Palermo Centro, in particolare al Borgo Vecchio, un ruolo di primo piano sarebbe stato assunto da Elio Ganci e Michele Cordaro.

Nel corso delle indagini è stato accertato che i beni sottoposti a sequestro costituiscono il frutto di attività economiche illecite svolte dagli esponenti mafiosi. In alcuni casi, interfacciando i dati emersi a seguito delle analisi contabili e bancarie con quelli di compravendite mobiliari, immobiliari e societarie, sono state scoperte anche fittizie intestazioni di beni, riuscendo a risalire agli effettivi titolari dei beni risultati legati strettamente al boss Sandro Lo Piccolo.

"La mafia braccio armato dell'altra massoneria"


"La mafia braccio armato
dell'altra massoneria"


I rapporti inediti della stagione
delle stragi: uomini di Cosa nostra
infiltrati nelle logge siciliane
FRANCESCO LA LICATA, GUIDO RUOTOLO


ROMA

Novembre del 2002. Documento della Dia, Divisione investigativa antimafia, alla Procura antimafia di Firenze che indaga sulle stragi del ‘93. «Cosa nostra, storicamente, per raggiungere determinati obiettivi essenziali - condizionamento dei processi e realizzazione di grossi arricchimenti - si è sempre mossa attivando da una parte referenti politico-istituzionali, dall’altra ponendo in essere azioni delittuose, alla bisogna, anche estreme.

Altra determinante leva di pressione è stata sicuramente quell’alleanza con una parte della massoneria deviata, incarnata nelle logge occulte, riferibile, tra le altre, alla loggia del Gran Maestro della Serenissima degli Antichi Liberi Accettati Muratori-Obbedienza di Piazza del Gesù - Maestro Sovrano Generale del Rito Filosofico Italiano - Sovrano Onorario del Rito Scozzese Antico e Accettato, di origini palermitane, di stanza a Torino, il noto prof. Savona Luigi, particolarmente sentito nel decennio Ottanta, in seno a Cosa nostra, per il suo profondo legame con la cosca mazzarese, intrecciato attraverso il mafioso Bastone Giovanni, personaggio di primo piano nel panorama criminale torinese nel periodo succitato, che come si vedrà più avanti ha avuto un ruolo non certo insignificante nella vicenda relativa alla collocazione di un ordigno, non volutamente fatto brillare, nel giardino di Boboli a Firenze».

Il rapporto della Dia si dilunga sui rapporti di Savona con i mafiosi della famiglia Lo Nigro, e più in generale della massoneria deviata con Cosa nostra: «Questo particolare aspetto relazionale deviante della massoneria, viene definito “mafioneria”; una sorta di ordinamento composto da mafiosi e massoni, che trova ambiti ben definiti in un’area oscura della politica, connotata da una perversa logica di potere».

C’è un passaggio dell’informativa della Dia del 2002 che richiama alle polemiche di questi giorni sulla strategia stragista finalizzata a favorire la discesa in campo di nuovi soggetti politici: «L’avvio di una trattativa, nella logica pragmatica mafiosa, con le Istituzioni non poteva che prevedere l’apporto e l’intervento di soggetti asserviti a Cosa nostra... in questo quadro si inserisce il ruolo svolto dall’indagato Vincenzo Inzerillo, ex senatore Dc (poi la sua posizione è stata archiviata nell’ambito del fascicolo sui mandanti delle stragi di Firenze, Roma e Milano, ndr), collegato con la famiglia dominante del quartiere Brancaccio di Palermo, capeggiata all’epoca dai fratelli Graviano, cui l’Inzerillo era asservito».

Inzerillo (condannato in Appello, l’11 gennaio del 2010, a 5 anni e 4 mesi per concorso in associazione mafiosa) in quell’autunno del ‘93 è impegnato nella nascita di un partito politico, Sicilia Libera. «La possibilità di poter disporre di una forza politica da inserire poi in un più ampio raggruppamento, che fosse espressione di un vero soggetto politico, avrebbe consentito a Cosa nostra, secondo il suo progetto, di poter realizzare direttamente e senza alcuna mediazione quegli affari abbisognevoli di appoggi di natura politica, ma anche di poter condizionare con subdoli interventi l’andamento dei processi avviati contro i propri sodali». Sempre la Dia, ma dieci anni prima (10 agosto 1993). Un documento corposo analizza scenari e moventi all’indomani delle stragi di luglio di Roma e Milano: «Lo scenario criminale delineato sullo sfondo di questi attentati ha messo in evidenza da un lato l’interesse alla loro esecuzione da parte della mafia, ma ha lasciato altresì intravedere l’intervento di altre forze criminali in grado di elaborare quei sofisticati progetti necessari per il conseguimento di obiettivi di portata più ampia e travalicanti le eigenze specifiche dell’organizzazione mafiosa».

Si sofferma sul punto il rapporto della Dia: «Si potrebbe pensare a una aggregazione di tipo orizzontale, in cui ciascuno dei componenti è portatore di interessi particolari perseguibili nell’ambito di un progetto più complesso in cui convergano finalità diverse. Un gruppo che, in mancanza di una base costituita da autentici rivoluzionari si affida all’apporto operativo della criminalità organizzata. Gli esempi di organismi nati da commistioni tra mafia, eversione di destra, finanzieri d’assalto, funzionari dello Stato infedeli e pubblici amministratori corrotti non mancano».

Infine un accenno alla massoneria: «Recenti indagini - si legge nel rapporto Dia del 10 agosto 1993 - hanno evidenziato la presenza di uomini di “cosa nostra” nelle logge palermitane e trapanesi, senza dimenticare il ruolo chiave svolto alla fine degli anni ‘70 da Michele Sindona nei contatti tra gli ispiratori di progetti golpisti ed elementi di spicco della mafia siciliana».
Un salto di un anno. Siamo al 4 marzo del 1994. Questa volta si tratta di una informativa all’autorità giudiziaria da parte della Dia. Settanta pagine corpose. Un capitolo importante è dedicato al regime carcerario, al 41 bis: «Solo alcuni giorni prima degli attentati di Milano e Roma, il ministro di grazia e giustizia aveva disposto il rinnovo dei provvedimenti di sottoposizione al regime speciale per circa 284 detenuti appartenenti a organizzazioni mafiose.

La logica che ha fatto considerare vincente l’attuazione di una campagna del terrore deve aver avuto alla base il convincimento che, dovendo scegliere se affrontare una situazione di caos generale o revocare i provvedimenti di rigore nei confronti dei mafiosi, le Autorità dello Stato avrebbero probabilmente optato per la seconda soluzione, facilmente giustificabile con motivazioni garantiste o, come avvenuto in passato, affidando all’oblio, agevolato dall’assenza di nuovi fatti delittuosi eclatanti, una normalizzazione di fatto».

Mafia: Palermo, Gdf sequestra beni per 150 mln euro riconducibili a boss Brancaccio


Mafia: Palermo, Gdf sequestra beni per 150 mln euro riconducibili a boss Brancaccio

Blitz delle Fiamme Gialle a Palermo

Beni per un valore complessivo di oltre 150 milioni di euro, riconducibili ad esponenti mafiosi dei mandamenti di Brancaccio e Porta Nuova, sono stati sequestrati dalla Guardia di Finanza di Palermo. Si tratta di centinaia di immobili, conti correnti e quote societarie che sarebbero il frutto di attività illecite e di riciclaggio. Le persone colpite dal provvedimento patrimoniale appartengono alle nuove leve di Cosa Nostra.

La complessa operazione antimafia è stata denominata in codice "Tifone". Nel dettaglio, il provvedimento di sequestro emesso dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo riguarda centinaia di immobili, attività commerciali del settore della grande distrubuzione, ma anche negozi e ristoranti, decine di rapporti bancari, quote societarie e automezzi.

I beni confiscati sono tutti riconducibili a personaggi emergenti dei due clan, molto attivi nel controllo delle estorsioni. Tra i principali nomi di spicco coinvolti nell'operazione c'è anche quello di Antonino Sacco, ritenuto il nuovo reggente di Brancaccio. Secondo la Guardia di finanza, tra le nuove leve della mafia emergono anche nella zona della Guadagna, un tempo regno di Pietro Aglieri, Francesco Fascella e i suoi familiari mentre al Borgo Vecchio un ruolo di primo piano sarebbe stato assunto da Elio Ganci e Michele Cordaro.

Nel corso delle indagini, interfacciando i dati emersi a seguito delle analisi contabili e bancarie con quelli dei rilevamenti e delle comparazioni di compravendite mobiliari, immobiliari e societarie, sono state scoperte fittizie intestazioni di beni, in modo da risalire agli effettivi titolari, legati strettamente al boss Sandro Lo Piccolo.

sabato 29 maggio 2010

Camorra, arrestato a Madrid Locatelli, latitante dal 1989



Camorra, arrestato a Madrid Locatelli, latitante dal 1989

La polizia spagnola ha arrestato all'aeroporto internazionale di Madrid Pasquale Claudio Locatelli, considerato il principale narcotrafficante della Camorra, latitante dal 1989, quando evase da un carcere francese.

Lo ha annunciato oggi il ministro dell'Interno spagnolo in un comunicato.

Locatelli, 58 anni, era ricercato in Francia e Italia, che lo considerano responsabili dell'intermediazione tra i produttori colombiani di cocaina e le organizzazioni europee di narcotraffico. Secondo la nota avrebbe anche rapporti con i trafficanti di hascisc nel nord Africa.

Locatelli è stato arrestato ad un appuntamento con il figlio, che arrivava dall'Italia. Sullo stesso aereo del figlio viaggiavano agenti della Guardia di Finanza napoletana.

Al momento del suo arresto al Terminal 1 dell'aeroporto di Barajas, Locatelli aveva documenti falsi e cinque telefonini.

Sull'uomo, evaso dal carcere di La Grasse 21 anni fa, pendeva un mandato di arresto della Francia e uno dell'Italia, che chiede per lui una pena di 20 anni di carcere per associazione a delinquere per traffico di droga.

Gestione del pentito Sparacio, requisitoria a Catania


Gestione del pentito Sparacio, requisitoria a Catania

CATANIA – L’inizio della requisitoria del pm ha caratterizzato l’udienza, davanti la seconda Corte d’appello di Catania del processo di secondo grado sulla ‘gestione’ del pentito messinese Luigi Sparacio. Imputati sono lo stesso collaboratore di giustizia, l’ex sostituto della Dda di Messina, Giovanni Lembo, il maresciallo dei carabinieri Antonino Princi, e l’ex Gip peloritano Marcello Mondello. I quattro erano stati condannati il 10 gennaio del 2008 dalla prima sezione del Tribunale di Catania. Il capo di accusa di concorso esterno all’associazione mafiosa, ipotizzato dalla Procura etnea per i due magistrati, due anni fa ha retto soltanto per Mondello, condannato a sette anni di reclusione. Per Lembo, al quale sono stati comminati 5 anni, infatti, i giudici hanno riqualificato il reato in favoreggiamento aggravato all’associazione mafiosa. Princi è stato ritenuto colpevole di calunnia e condannato a due anni. L’inchiesta ha trattato anche l’attività dell’imprenditore Michelangelo Alfano, che si è suicidato nel novembre del 2005. L’accusa è sostenuta dai sostituti procuratore della Dda etnea, Antonino Fanara, e generale, Mariella Ledda. La requisitoria è prevista prosegua per altre due udienze, già fissate per il 21 giugno e il 4 luglio prossimi.

"Processi a rischio nel tribunale di Gela"


"Processi a rischio nel tribunale di Gela"

GELA (CALTANISSETTA) - A rischio i processi nel tribunale di Gela che avrà l'organico completo ma con magistrati di prima nomina che non possono fare i giudici monocratici perchè non hanno maturato, come prevede il codice, i quattro di anzianità. L'allarme è stato lanciato, oggi, dal presidente del tribunale penale, Paolo Fiore, 48 anni.

A settembre, il tribunale di Gela si sposterà nel nuovo palazzo di giustizia. A luglio sarà aperto il nuovo carcere. Ma i "giudici ragazzini" non potranno celebrare i processi monocratici. Matureranno l'anzianità ad aprile del 2011, col rischio che nel frattempo gran parte dei duemila processi penali subiscano la paralisi o la prescrizione.

"Su 12 magistrati in servizio, oltre a me e al presidente del tribunale - dice Fiore - otto giudici sono stati già trasferiti. A fine agosto ne resteranno solo quattro e dovranno coprire tutti gli uffici giudiziari: la sezione penale e quella civile".

"Il guaio è - sottolinea - che i giudici ci saranno, ma si tratta di quelli di prima nomina che non possono operare da giudice monocratico. E come conseguenza, da settembre 2010 all'aprile del 2011saranno congelate le udienze. I pochi magistrati in servizio potranno garantire solo i processi con detenuti e tre di loro ('uditori') non saranno, comunque, in condizione di svolgere i compiti di giudice monocratico prima del dicembre 2011".

"A Gela non vuol venire nessuno perchè è considerata sede poco 'appetibile' malgrado gli incentivi economici e di carriera offerti dallo Stato". Per Fiore: "È auspicabile una urgente modifica normativa, in deroga alle recenti disposizioni di legge, come è già avvenuto per gli uffici dei pubblici ministeri, prima che ci sia la paralisi".

Di Pietro a tutto campo "Verità sulle stragi del '92"


Di Pietro a tutto campo
"Verità sulle stragi del '92"


CATANIA - E' un Tonino Di Pietro a tutto campo per il suo ritorno in Sicilia. ll leader di Italia dei Valori, ospite a Catania, ha parlato delle stragi mafiose del 1992 e dell'attuale situazione politica che sta rallentando il lavoro della Giunta regionale.

"Vi sono carte processuali che grondano verità e, purtroppo, sangue. Perché una cosa è certa: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono morti perché lo Stato non è stato vicino a loro. Anzi adesso stiamo scoprendo che pezzi dello Stato erano contro di loro". Lo ha affermato il leader di Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, parlando delle inchieste sulle stragi siciliane di Capaci e via D'Amelio.

"In realtà - ha aggiunto il senatore a margine di un incontro con i giornalisti a Catania - questo lo avevamo scoperto da tempo perché alcuni alti funzionari dello Stato sono stati già condannati.

Ecco perché noi diciamo che questa verità deve venire fuori, nella sua interezza perché - ha concluso Di Pietro - vogliamo sapere per quale ragione i mafiosi ad un certo punto della loro esistenza invece di portare la coppola hanno deciso di mandare qualcuno in Parlamento".

LA FRECCIATA AL PD. Il governo regionale "non ha più la maggioranza" e dunque occorre tornare "al voto per permettere ai cittadini di determinare il proprio governo". È la valutazione di Tonino Di Pietro sul quadro politico e amministrativo alla Regione siciliana.

"Noi siamo contrari a quanto accade alla Regione guidata da Raffaele Lombardo, che, a parte i problemi giudiziari - osserva il senatore dell'Idv - non ha più una maggioranza e per questo deve dimettersi. Ce la prendiamo anche con il Pd siciliano che contrariamente al mandato elettorale fa da stampella a questa giunta. Ecco perché diciamo che tutti devono andare a casa ed i cittadini tornare al voto per determinare il proprio governo".

Gdf denuncia sprechi per oltre 1,5 mld per acquisto farmaci


Gdf denuncia sprechi per oltre 1,5 mld per acquisto farmaci

La Guardia di Finanza ha annunciato questa sera di aver individuato sprechi per oltre 1,5 miliardi di euro nell'acquisto di farmaci, e di aver segnalato 225 persone per danno erariale.

In un comunicato, il Nucleo speciale delle Fiamme Gialle che si occupa di spesa pubblica e repressione delle frodi comunitarie dice di aver individuato, attraverso controlli in ben 165 Aziende sanitarie locali, un "maggiore esborso di oltre 1,5 miliardi di euro a carico del S.S.N. per la mancata attuazione delle misure di contenimento della spesa farmaceutica.

La vicenda è relativa all'acquisto e alla distribuzione dei medicinali che rientravano nel cosiddetto prontuario terapeutico ospedale-territorio (PH-T) nel periodo compreso tra il 2004 e il 2008.

Si tratta di farmaci che servono a garantire la continuità delle cure programmate dagli ospedali per pazienti cronici o che hanno bisogno di certe terapie periodiche, e che vanno per questo tenuti costantemente sotto controllo.

Ospedali e Asl possono acquistare tali farmaci direttamente, con uno sconto del 50% dalla case farmaceutiche. E distribuirli poi tramite le proprie strutture (distribuzione "diretta pura") oppure attraverso farmacie convenzionate, che ricevono una percentuale.

Ma secondo i finanzieri, in realtà, nella maggior parte dei casi i farmaci sono stati distribuiti attraverso il classico canale a rimborso delle farmacie aperte al pubblico. Rinunciando alla distribuzione "diretta pura", ha calcolato la GdF, si è registrata "una maggiore spesa pari a 1.515.655.352".

"Nel caso in cui gli stessi farmaci fossero stati distribuiti attraverso farmacie convenzionate (modalità di distribuzione "diretta per conto"), l'aggravio di spesa sarebbe stato pari a 623.912.593", dice la nota.

La Gdf ha segnalato 225 persone per danno erariale alla Procura della Corte dei Conti, dice ancora la nota.

venerdì 28 maggio 2010

Stragi di mafia, ancora senza nome lo 007


Stragi di mafia, ancora senza nome lo 007

PALERMO – E’ ancora giallo sul signor Franco, lo 007 che, per oltre 30 anni, avrebbe tessuto la trama di mille misteri siciliani. L’uomo che, nell’ombra, avrebbe “vigilato” sulla trattativa tra Stato e mafia, passata attraverso le stragi, non ha ancora un nome. Gli inquirenti smentiscono di averlo identificato grazie a Massimo Ciancimino, testimone e narratore degli incontri dell’agente col padre, l’ex sindaco mafioso di Palermo, protagonista del lungo dialogo tra pezzi delle istituzioni e Cosa nostra. E tanto meno di averlo iscritto nel registro degli indagati. Un no secco, quello della Procura di Caltanissetta, molto preoccupata delle continue fughe di notizie sulle inchieste in corso. Allarme condiviso dai pm di Palermo che, insieme ai colleghi, vagliano le dichiarazioni di Ciancimino tentando di accertare le implicazioni dei Servizi nelle stragi di Capaci e via D’Amelio e nel fallito attentato all’Addaura a Giovanni Falcone, antefatto imprescindibile, questo, per comprendere la lunga stagione stragista culminata nelle bombe del ‘93. ”Piccole porzioni di verità in mezzo a notizie per lo più false che rischiano di inquinare o rendere inefficaci indagini delicate”: così i magistrati definiscono le indiscrezioni recentemente pubblicate. Ultima: quella del riconoscimento del signor Franco, che non sarebbe avvenuto. A Massimo Ciancimino, che aveva detto agli investigatori di avere trovato una foto della rivista Parioli Pocket in cui l’agente sarebbe comparso insieme a un politico, gli inquirenti, nei giorni scorsi, hanno mostrato una pagina del periodico. Si tratterebbe, però, di un’immagine diversa da quella indicata dal teste. Nella foto, che risale al 2006, tra gli altri compaiono Gianni Letta e Bruno Vespa, alla presentazione, in Vaticano di una nuova auto. Davanti al magazine Ciancimino avrebbe mostrato perplessità. “Non credo di riconoscere il signor Franco – avrebbe detto riferendosi a un uomo che si intravede alle spalle di Vespa. Non sono sicuro che sia lui, non lo so”. Incertezze, quelle del teste, che sarebbero incompatibili con qualunque iscrizione nel registro degli indagati. In attesa che il testimone consegni ai pm la sua copia del magazine – quella in cui il signor Franco sarebbe riconoscibile senza alcun margine di dubbio – restano poche perplessità sul coinvolgimento di pezzi dell’intelligence nella stagione delle stragi. Un dato, questo, che il procuratore di Caltanissetta ha più volte ribadito, pur nel riaffermare la segretezza delle indagini. Che la dda nissena, che ha riaperto le inchieste sulle stragi del ‘92, scavi in questa direzione lo conferma l’iscrizione nel registro degli indagati, per concorso nella strage di via D’Amelio, di un funzionario del Sisde, ora in servizio all’Aisi.

Delitto Campagna, Alberti jr torna in cella


Delitto Campagna, Alberti jr torna in cella

MESSINA – I carabinieri hanno arrestato a Falcone (Messina) in esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare Gerlando Alberti Junior, 62 anni, condannato all’ergastolo per essere uno degli autori, insieme a Giovanni Sutera, dell’omicidio di Graziella Campagna, che a 17 anni fu uccisa il 12 dicembre 1985 a Forte Campone, poco distante dal capoluogo peloritano. L”ordine di carcerazione è stato emesso dal procuratore generale della della Corte d’Appello di Messina, Antonio Franco Cassata. A dicembre 2009 il Tribunale di Sorveglianza di Bologna aveva concesso ad Alberti i domiciliari per lo stato di salute del detenuto, già in carcere dal marzo 2008 a seguito della condanna di secondo grado da parte della Corte di Assise di Appello di Messina. Il provvedimento cautelare scaturisce dalla pronuncia della Corte di Cassazione che ha annullato la precedente ordinanza emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna. Gerlando Alberti Jr è stato oggi pomeriggio portato nel carcere di Gazzi a Messina. Graziella Campagna fu uccisa con cinque colpi di pistola perché sospettata di aver visto un’agenda con numeri di telefono compromettenti, dimenticata dal boss, che in quel periodo viveva da latitante a Villafranca Tirrena, nella tasca di una giacca che aveva portato nella lavanderia dove la diciassettenne lavorava come stiratrice.

giovedì 27 maggio 2010

Maxi evasione da 112 milioni


Maxi evasione da 112 milioni
I "furbetti" traditi dal telepass


Le indagini a Olgiate Comasco

MILANO


Un’evasione fiscale di oltre 112 milioni di euro è stata scoperta dai militari della guardia di finanza di Olgiate Comasco, in provincia di Como, al termine di due controlli eseguiti nei confronti di altrettante società con sede in Svizzera, operanti nel commercio all’ingrosso di tessuti e abbigliamento. Verifiche, analisi di banche dati e spostamenti in autostrada, nulla è stato lasciato al caso.

Proprio i telepass montati sulle auto riconducibili alle società hanno fornito agli investigatori i passaggi ai caselli autostradali dei responsabili della società elvetica. Un continuo via vai, da Napoli fino a Torino, Piacenza, Bergamo, Roma, per concludere affari che ha permesso di rilevare una presenza abituale del direttore in Italia, al punto da attribuirgli la figura di «stabile organizzazione personale» riconducibile alle società svizzere le quali, di conseguenza, assumono l’obbligo di presentazione la dichiarazione dei redditi.

Per l’amministratore unico delle due società è scattata la denuncia per l’omessa dichiarazione di redditi prodotti in Italia. Redditi per 112 milioni di euro che saranno sottoposti alla tassazione del fisco nostrano.

Busta con proiettili al Procuratore di Caltanissetta


Busta con proiettili al Procuratore di Caltanissetta

CALTANISSETTA – Buste con dei proiettili sono state recapitate al procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, al presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello e ad Antonello Montante, presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta e delegato in Confindustria per i rapporti con le istituzioni preposte al controllo del territorio. La notizia è stata confermata da fonti investigative nissene. L’indagine su queste intimidazioni è condotta dalla Digos di Caltanissetta e di Palermo. Lari è stato sentito oggi dal Copasir nell’ambito dell’inchiesta che la procura sta conducendo sul ruolo di esponenti dei servizi segreti nel fallito attentato a Giovanni Falcone all’Addaura. Lo Bello e Montante sono stati negli anni scorsi, i promotori del provvedimento di espulsione da Confindustria degli imprenditori che non denunciavano le richieste di pizzo.In ognuna delle buste oltre ai proiettili vi erano le foto di Lari, Lo Bello e Montante, ritagliate da alcuni giornali con disegnate delle croci. E anche dei messaggi con minacce di morte. Le tre buste sono state recapitate alla procura di Caltanissetta e alle sede di Confindustria di Palermo e di Caltanissetta.



Solidarietà a Lo Bello, Montante e Lari


ROMA - Dalla criminalità sono arrivate "minacce gravissime che testimoniano quanto sia vero il nostro impegno contro l'illegalita". Lo dice la presidente di Confidustria, Emma Marcegaglia, che aggiunge: "Noi non ci faremo intimidire".

Un riferimento alle minacce ricevute dal procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, dal presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, ed Antonello Montante, presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta e delegato in Confindustria sul fronte della sicurezza. Marcegaglia lo ha detto all'assemblea degli industriali, accolta da un forte applauso della platea.

"Compiere il proprio dovere con serietà e coscienza è il primo e fondamentale passo per liberare la Sicilia dalla piaga mafiosa. E uomini come Sergio Lari, Ivan Lo Bello e Antonello Montante sono minacciati per evitare che continuino a fare il loro dovere. A loro va la solidarietà dell'intera giunta di governo della Regione siciliana e mia personale". Lo afferma il presidente della Regione siciliana, Raffaele Lombardo.

mercoledì 26 maggio 2010

Senza slip

Nude in Pubblico

Caserta, operazione antidroga: 18 arresti


Caserta, operazione antidroga: 18 arresti
Sgominato gruppo legato ai casalesi


CASERTA (26 maggio) - La Polizia di Caserta ha eseguito, nel corso di una vasta operazione, 18 delle 20 ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip nei confronti di un gruppo di malavitosi - dediti soprattutto alla detenzione e allo spaccio di sostanze stupefacenti - che aveva stretto legami con esponenti del clan dei Casalesi.

Le indagini del commissariato di Castel Volturno e delle squadre mobili di Caserta, Napoli, Milano, Udine, Ancona, Reggio Calabria e Benevento, coordinate dal servizio centrale operativo, hanno consentito di smantellare un'organizzazione criminale familiare dedita al traffico e allo spaccio di cocaina, operante prevalentemente tra i comuni di Qualiano, Giugliano, Marano, Melito, Villaricca, ma che talvolta si estendeva anche nella zona del Casertano e precisamente a Castel Volturno, Casal di Principe e di Trentola Ducenta.

Dalle indagini è emerso che l'organizzazione aveva stretti contatti con esponenti del clan dei Casalesi. Nel corso dell'operazione, che ha visto impiegati circa 150 uomini della Polizia di Stato, sono state sequestrate schede telefoniche usate per le conversazioni e un ingente quantitativo di sostanze stupefacenti. Alcuni arresti sono stati eseguiti anche in Lombardia, in Friuli Venezia Giulia, nelle Marche e in Calabria.

«Stasera occorre acquistare una camera da letto», oppure, «ho comprato 10 cd e 3 dvd, adesso occorre provarli». Così le persone arrestate la scorsa notte dalla polizia a Caserta cercavano di mascherare le conversazioni telefoniche che si riferivano a modalità di acquisto e spaccio di cocaina. Frasi e termini che variavano di volta in volta, ma che non hanno impedito alle forze dell'ordine di comprendere il reale significato e di bloccare e mettere in manette i componenti di un'organizzazione legata al clan dei Casalesi.

Per tutti, l'accusa è di associazione per delinquere finalizzata al traffico ed allo spaccio di sostanze stupefacenti. Eseguite 18 delle 20 ordinanze di custodia cautelare (15 in carcere e 5 agli arresti domiciliari) emesse dal tribunale di Napoli su richiesta dei pm della DDA partenopea, Giovanni Conso, Federico Cafiero de Raho e Maurizio De Marco. Quattro delle persone finite in carcere sono donne.

Mancano all'appello Gaetano Brancato, morto nel 2008 e fratello di Mariano, ritenuto a capo del sodalizio criminale, e un autotrasportatore del beneventano, attualmente all'estero per lavoro. Dei provvedimenti, 4 sono stati notificati ad altrettanti indagati nelle carceri di Milano, Reggio Calabria, Ancona e S.Angelo dei Lombardi.

L'operazione messa a segno in nottata dalla polizia conclude 4 anni di indagini coordinate dalla DDA di Napoli, scaturite da un'intercettazione telefonica.

Camorra, imponevano pizzo a vincitori Superenalotto: 5 arresti


Camorra, imponevano pizzo a vincitori Superenalotto: 5 arresti

Ai vincitori del Superenalotto avevano imposto di versare una parte della vincita, per il mantenimento dei carcerati appartenenti al clan e di conseguenza delle loro famiglie.

E' quanto hanno fatto, secondo gli inquirenti, cinque persone considerate elementi di spicco del clan Cava-Genovese, colpiti oggi da un'ordinanza di custodia cautelare in carcere nel corso di un'operazione dei carabinieri di Avellino, che ne hanno dato notizia in una nota.

Secondo gli inquirenti, alcune delle trenta di persone che avevano vinto 33 milioni di euro giocando un sistema presso un esercizio commerciale di Ospedaletto d'Alpinolo, invece di potersi godere serenamente la vincita avevano ricevuto intimidazioni da appartenenti ai clan Cava-Genovese che pretendevano una parte della vincita per finanziare il clan.

I carabinieri del comando provinciale di Avellino, dopo due anni d'indagini, sono riusciti ad identificare i responsabili degli atti intimidatori e delle richieste estorsive ai danni dei vincitori. E stamattina, i carabinieri del Nucleo investigativo di Avellino hanno eseguito le ordinanze di custodia cautelare in carcere emessa dal gip del Tribunale di Napoli, Nicola Miraglia Del Giudice, su richiesta dei pm Francesco Soviero, della Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, e Rosario Cantelmo, che ha condiviso gli elementi raccolti nel corso delle indagini dai carabinieri.

Colpiti dai provvedimenti, cinque persone ritenute di primissimo piano del Clan Cava-Genovese.

A finire in manette, dicono gli investigatori, anche il figlio di Modestino Genovese, capo indiscusso dell'omonimo clan, che, essendo minorenne all'epoca dei fatti, è stato oggetto di un decreto di fermo di persona sottoposta ad indagini emesso dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minorenni di Napoli.

Marco Antonio Genovese è anche accusato di minaccia nei confronti di giovani del luogo e del titolare di una ditta che si era rifiutato di assumere un suo protetto.

Secondo gli inquirenti, il gruppo deve rispondere di alcune estorsioni in danno di esercenti e piccoli imprenditori dell'area del Partenio, storicamente area d'influenza del clan Genovese.

Per dare maggiore sostegno alle richieste estorsive alcuni degli arrestati, forti della collaborazione di esponenti del clan Cava, disponevano anche di armi, munizioni ed esplosivo, utilizzate per intimorire le vittime. Per la prima volta inoltre, dalle indagini è stata chiarita la confluenza e la convergenza di interessi del clan Genovese, operante nella zona del Partenio, con il più famoso clan Cava, protagonista da anni di una sanguinosa faida con il clan Graziano di Quindici.

Falso cieco scoperto mentre legge


Falso cieco scoperto mentre legge

Napoli, percepiva invalidità dal '96

Dipendente del Monaldi, faceva il fisioterapista a casa.
Con la pensione di invalidità aveva accumulato 100mila euro.
Furbo e fannullone, secondo il comunicato della Procura. Con la pensione aveva accumulato 100mila euro.


Un falso cieco è stato sorpreso a leggere il giornale. E' accaduto a Napoli, dove la Squadra mobile ha arrestato in flagranza di reato un uomo di 47 anni, che ora risponderà dell'accusa di truffa aggravata. Oltre alla pensione di invalidità civile ottenuta nel 1996, l'uomo da 7 anni aveva ottenuto anche l'indennità di accompagnamento. Il 47enne inoltre era solito allontanarsi dall'ufficio facendosi timbrare il cartellino dai colleghi.

Il falso cieco, Mario Graziano, è stato scoperto grazie all'attività investigativa coordinata dalla Sezione Reati contro la pubblica amministrazione. Per verificare le false dichiarazioni dell'uomo gli agenti lo hanno pedinato realizzando anche delle riprese video. Graziano è stato visto mentre leggeva il giornale, mentre guidava il passeggino del suo bambino in mezzo al traffico da solo e mentre tentava di prendere un autobus.

Insomma, secondo quanto appurato dagli inquirenti, l'uomo conduceva una vita assolutamente incompatibile con la condizione di cecità. L'indennità di accompagnamento in quanto "persona con necessità di assistenza continuativa globale e permanente", ammonterebbe a circa centomila euro.

martedì 25 maggio 2010

Palermo, le vittime del pizzo collaborano: 4 arresti


Palermo, le vittime del pizzo collaborano: 4 arresti

PALERMO – I carabinieri del comando provinciale di Palermo hanno fermato quattro presunti esponenti del clan mafioso di Resuttana. Sono accusati di associazione mafiosa ed estorsione. Il provvedimento di fermo, emesso dalla Dda di Palermo, si è reso necessario per interrompere l’attività estorsiva degli indagati e la loro possibile fuga. Tra gli aspetti importanti del blitz, la collaborazione di numerose vittime del racket che, rompendo il tradizionale muro di omertà, hanno ammesso di avere subito le richieste di denaro, fornendo anche nuovi spunti agli inquirenti. Tra le vittime degli estortori anche l’ex giocatore del Palermo Gaetano Vasari, che ora gestisce un panificio.

L’inchiesta. L’inchiesta, condotta dal nucleo investigativo del reparto operativo dei carabinieri, è la prosecuzione di una più ampia attività di indagine che, negli ultimi mesi, ha portato all’arresto di 33 tra boss e gregari del mandamento mafioso di Resuttana e al ritrovamento dell’arsenale dei capimafia Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Un importante contributo all’indagine è stato dato dal neocollaboratore di giustizia Manuel Pasta che ha aiutato i carabinieri a ricostruire la mappa delle estorsioni nel mandamento. L’inchiesta è stata coordinata dai pm della Dda Lia Sava, Marcello Viola, Francesco Del Bene, Anna Maria Picozzi e Gaetano Paci.

Gli arrestati. In cella sono finiti Marcello Campagna, 43 anni, dipendente di una società di vigilanza; Massimo Di Fiore, 36 anni; Pietro Pipitone, 30 anni; e Diego Ciulla, 49 anni, commerciante che, secondo gli inquirenti, riscuoteva il pizzo per conto del clan.

Vittime “eccellenti”. C’era anche l’ex giocatore del Palermo Gaetano Vasari, che ora gestisce un panificio, tra le vittime del racket delle estorsioni gestito dal clan mafioso di Resuttana. Il particolare, rivelato agli investigatori dal neo pentito Manuel Pasta, emerge dall’indagine dei carabinieri che oggi ha portato al fermo di 4 presenti esponenti della cosca. L’estorsione, svelata dal collaboratore di giustizia, è stata confermata dall’ex ala del Palermo che ora ha un’attività commerciale vicino allo stadio. Il giocatore, che ha negato di avere subito danneggiamenti dalla mafia, ha però, raccontato di avere ricevuto la visita di due persone che gli avrebbero chiesto i soldi per i familiari dei detenuti, classica formula usata dal racket del pizzo. Vasari, temendo ritorsioni, gli avrebbe dato 1.000 euro.

lunedì 24 maggio 2010

Lari conferma: “Indagine sul ruolo dei servizi nelle stragi”


Lari conferma: “Indagine sul ruolo dei servizi nelle stragi”

CALTANISSETTA- ‘Le indagini prefigurano un filo conduttore che dall’Addaura arriva fino a via D’Amelio’. L’ha detto il procuratore capo di Caltanissetta, Sergio Lari, in un’intervista andata in onda stamane al Gr1. Il procuratore – rispondendo alla domanda se l’inchiesta riguarda il ruolo dei servizi segreti – ha aggiunto che ’sarebbe ipocrita negarlo’.
Lari ha confermato l’importanza del pentito Spatuzza nella ricostruzione di quegli eventi legati alle stragi e ha aggiunto che ‘le difficolta’ sono enormi, ma i fatti dimostrano quale sia il nostro impegno, non soltanto nelle indagini sulle stragi dove si sono avute svolte direi notevolissime’.
Il procuratore di Caltanissetta ha poi lanciato un messaggio alla stampa: ‘Nel mio ufficio – ha detto – siamo demoralizzati a causa delle anticipazioni sulle nostre indagini, che danneggiano le indagini stesse’.

Mafia e agguati, quattro arresti a Lentini


Mafia e agguati, quattro arresti a Lentini

LENTINI- Provvedimenti restrittivi nei confronti di quattro presunti esponenti del clan mafioso Nardo di Lentini, collegato alla ‘famiglia’ Santapaola di Catania, sono stati eseguiti da carabinieri del comando provinciale di Siracusa nell’ambito di inchieste su un omicidio e due tentativi di omicidio nei confronti di rivali della cosca.
Militari dell’Arma hanno arrestato Giuseppe Pistritto, di 58 anni, indagato solo per estorsioni a imprenditori siracusani; notificato in carcere, dove erano gia’ detenuti, il provvedimento del Gip di Catania a Alessandro Scandurra, di 39 anni, e a Giuseppe Giampapa, di 57; e eseguiti gli arresti domiciliari per il pentito Vincenzo Piazza, di 49 anni.
Secondo le accuse mosse dalla Dda della Procura di Catania, il pentito e Giampapa, assieme a due sicari a loro volta successivamente uccisi, avrebbero avuto un ruolo nell’assassinio di Francesco Corso, avvenuto a Agusta nel luglio del 1989, eliminato perche’ ostacolava il piano di espansione del clan Nardo. Per lo stesso motivo la cosca avrebbe tentato di uccidere due volte, nel novembre del 1992 e nell’aprile dell’anno successivo, Angelo Marino.
L’operazione dei carabinieri e’ il seguito della vasta inchiesta Gorgia della Dda della Procura di Catania che ha portato, complessivamente, all’arresto di 42 presunti appartenenti al clan Nardo.

Operazione antimafia a Gela


Operazione antimafia a Gela

Sette arresti, colpita Cosa Nostra

GELA (CALTANISSETTA) - Cosa nostra gelese, nel settembre del 1998, avviò la sua penetrazione nel mondo dello sport e in quello degli appalti nel petrolchimico dell'Eni, attraverso il tentativo di controllo della locale squadra di calcio e del Cns, uno dei consorzi facente capo alla Lega delle Cooperative, che fungeva da 'centro servizi' e raggruppava alcune imprese e società della cooperazione operanti nello stabilimento.

Ma il suo presidente dell'epoca, l'ingegnere Fabrizio Lisciandra, che era anche consigliere comunale e massimo dirigente della Juveterranova, squadra di serie C2, si rifiutò sia di dimettersi sia di collaborare con il boss Daniele Emmanuello, il quale (d'intesa con due faccendieri della cosca mafiosa)diede l'ordine di ucciderlo.

Per sua fortuna, nell'agguato tesogli davanti allo stadio comunale, l'arma del killer si inceppò dopo il primo colpo e Lisciandra se la cavò con una ferita a una gamba. A distanza di 12 anni la Squadra mobile ha identificato mandanti ed esecutori dell'agguato, eseguendo in nottata sette ordini di custodia cautelare in carcere emessi dal gip del tribunale di Caltanissetta, Gianbattista Tona, su richiesta della Dda nissena. Devono rispondere, a vario titolo, di associazione mafiosa, tentato omicidio, estorsioni, tentate estorsioni, danneggiamenti e rapina.Tra gli arrestati figura anche un medico, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.

L'operazione è stata denominata in codice "Leonina Societas". Alcuni degli imputati avrebbero anche aggredito, picchiato e rapinato di 15 milioni di vecchie lire un imprenditore. Questi i nomi dei sette arrestati: Giuseppe Alabiso, 56 anni, medico odontoiatra, che al momento dell' arresto ha avuto un malore ed è stato portato in ospedale; Angelo Cavaleri, 38 anni; Gianluca Gammino, 36 anni; Paolo Portelli, 42 anni; Emanuele Sciascia, 68 anni; Filippo Sciascia, 63 anni e Giuseppe Stimolo, 34 anni, tutti di Gela.

Le accuse, a vario titolo, associazione mafiosa, tentato omicidio, estorsioni, tentate estorsioni, danneggiamenti e rapina. Giuseppe Alabiso, considerato medico compiacente, è cognato di Filippo Sciascia. L'accusa ritiene che il professionista abbia fornito alla mafia preziose informazioni sulle disponibilità economiche delle persone da sottoporre ad estorsione.

domenica 23 maggio 2010

Capaci, Grasso: difenderemo indipendenza magistratura


Capaci, Grasso: difenderemo indipendenza magistratura

Il capo della Procura nazionale antimafia Piero Grasso ha detto oggi che i magistrati difenderanno la loro indipendenza dal potere esecutivo, valore che -- secondo il ministro della Giustizia Angelino Alfano -- non è mai stato messo in discussione. Continua a leggere questa notizia

"Nel ricordo di (Giovanni) Falcone e (Paolo) Borsellino, noi magistrati proseguiremo la loro opera difendendo quei principi e quei valori per cui hanno perso la vita e che rappresentano valori e patrimonio insostituibile per la difesa della democrazia", ha detto Piero Grasso a Palermo nel corso delle celebrazioni del 18esimo anniversario della strage di Capaci, nella quale Falcone, sua moglie e tre uomini della scorta persero la vita in un attentato esplosivo sulla Palermo-Mazara del Vallo.

Paolo Borsellino -- che con Falcone aveva dato vita al maxiprocesso di Palermo contro Cosa Nostra -- fu ucciso poco tempo dopo, il 19 luglio del 1992, nell'attentato di Via d'Amelio.

"Perseguiremo quei valori esercitando i principi cardine di una magistratura indipendente dal potere esecutivo che crede fermamente che nel nostro Paese si possano ancora processare, oltre ai boss, ai killer di cosa nostra, anche i colletti bianchi, gli infiltrati nelle istituzioni, i collusi, coloro che investono in società pulite il denaro sporco delle cosche", ha detto Grasso nell'aula bunker del carcere di Palermo.

Alfano, anch'egli presente alla cerimonia, ha replicato che "autonomia e indipendenza della magistratura non saranno mai messe in discussione".

"Volontà di questo governo è fare squadra, in una parola Stato, con tutte le compenti delle istituzioni dalla magistratura alle forze dell'ordine al Parlamento alla società civile per proseguire l'opera di contrasto alla criminalità organizzata", ha proseguito.

IMPEGNO EROICO E APPASSIONATO



Anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha voluto ricordare Falcone, esprimendo sostegno alle indagini ancora in corso sugli aspetti oscuri del periodo stragista.

"A diciotto anni dal barbaro agguato di Capaci, il ricordo dell'appassionato, eroico impegno di Giovanni Falcone nella difesa delle istituzioni e dei cittadini dalla sopraffazione criminale resta indelebile in tutti noi", ha detto Napolitano nel messaggio inviato in occasione delle celebrazioni, letto nell'aula bunker da Maria Falcone.

"Ed è anche per questo motivo che meritano il massimo sostegno le indagini tuttora in corso su aspetti ancora oscuri del contesto in cui si svolsero i fatti devastanti di quel drammatico periodo", continua il messaggio del capo dello Stato.

Alla cerimonia hanno partecipato anche i ministri dell'Interno Roberto Maroni e dell'Istruzione Maria Stella Gelmini, oltre a moltissimi studenti, bambini e semplici cittadini.

Nei giorni scorsi la procura di Caltanissetta ha riaperto l'inchiesta sul fallito attentato davanti alla villa di Falcone all'Addaura nel 1989, e sei persone appartenenti al clan mafioso Madonia -- una delle quali deceduta -- sono state iscritte nel registro degli indagati.

Il gip ha autorizzato l'incidente probatorio su una muta da sub e un paio di pinne ritrovati sulla scogliera, dalle quali verranno prelevati campioni di Dna per confrontarli con quelli di due agenti dei servizi segreti, Emanuele Piazza e Antonino Agostino, uccisi poco tempo dopo.

L'ipotesi è che una "talpa" nei servizi avesse collaborato all'attentato, per il quale erano stati piazzati sulla scogliera 20 chili di esplosivo, e che Piazza e Agostino fossero stati chiamati a disinnescare l'ordigno.

Caserta, latitante del clan Amato-Pagano


Caserta, latitante del clan Amato-Pagano
preso nella notte: era nascosto in una villa


CASERTA (23 maggio) - Latitante da oltre un anno e considerato affiliato di spicco del clan Amato-Pagano, è stato arrestato Salvatore Roselli. Le manette per il 34enne, soprannominato «Frizione», sono scattate a Sessa Aurunca , in provincia di Caserta, grazie agli agenti della Squadra Mobile di Napoli, con la collaborazione di personale della Squadra Mobile di Caserta.

L'uomo era all'interno della sua villa e al momento del bltiz stava dormendo; presenti anche i figli, la sorella ed i nipoti del latitante. Il provvedimento della magistratura partenopea contesta a Roselli i reati di associazione mafiosa ed associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.

Secondo quanto accertato dagli inquirenti, rivestiva un ruolo rilevante anche nel sottogruppo del clan Amato-Pagano, gestito da Enzo Notturno detto «Vector». L'arresto è scattato in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Napoli il 30 marzo 2009; provvedimento che, oltre Roselli, riguarda altre 103 persone di cui solo una decina sono ancora latitanti

Falcone, 2500 studenti in arrivo a Palermo


Falcone, 2500 studenti in arrivo a Palermo

CIVITAVECCHIA – Partita. La nave della legalità (un traghetto della Snav ribattezzato, per l’occasione, “Giovanni” Falcone) con a bordo oltre 1.500 studenti provenienti da tutta Italia, ha lasciato verso le 17 il porto di Civitavecchia con destinazione Palermo. In contemporanea altri 1.000 giovanissimi salperanno dal porto di Napoli su un’altra nave, la “Paolo” Borsellino: anche la loro sarà una missione di legalità; anche loro domani mattina arriveranno nel capoluogo siciliano per ricordare il giudice Giovanni Falcone, la moglie e i tre agenti della scorta che 18 anni fa persero la vita nell’attentato di Capaci e per urlare a gran voce: “no alla criminalità organizzata, sì alla legalità”. Lo sbarco a Palermo, ha sottolineato Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia, sul molo di Civitavecchia prima di lasciare il porto, “non sarà uno sbarco di conquista” ma di solidarietà: “Incontreremo ragazzi come voi a Palermo ai quali dobbiamo dare solidarietà e ai quali dobbiamo stare vicini perché vivono una realtà diversa”. I 2.500 studenti delle 250 scuole, selezionate attraverso un concorso nazionale indetto dal ministero dell’Istruzione e dalla Fondazione Falcone, parteciperanno alla cerimonia di commemorazione nell’Aula Bunker del carcere palermitano dell’Ucciardone, dove nel 1986 si celebrò il primo maxi processo alle cosche istruito proprio dal magistrato che perse la vita sull’autostrada, all’altezza di Capaci. Prenderanno quindi parte al dibattito “Legalità e lotta alla mafia: giovani e istituzioni insieme”, a cui interverranno tra gli altri il procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, che si é imbarcato assieme ai ragazzi partiti da Civitavecchia, e i ministri dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, della Giustizia, Angelino Alfano, e dell’Interno, Roberto Maroni, che invece li raggiungeranno sul posto. Nel frattempo, questa sera, i giovani “ambasciatori di legalità” partiti da Civitavecchia potranno confrontarsi sul tema della legalità con Grasso e il responsabile Legalità di Confindustria, Antonello Montante (RPT Antonello Montante). Chi é partito da Napoli, viaggerà invece con il presidente di Libera, don Luigi Ciotti, e il prefetto di Palermo, Giancarlo Trevisone. Prima della partenza da Civitavecchia, dalla poppa del traghetto sono state srotolate due gigantografie dei magistrati, mentre sul molo la fanfara della città intonava l’inno nazionale e 1.500 ragazzi, con addosso magliette e cappellini bianchi, stavano a guardare col naso all’insù. “Domani a Palermo ci aspettiamo tanti ragazzi: per una giornata la città sarà animata da scuole” contro la mafia – ha detto il capo dipartimento per la programmazione del Miur, Giovanni Biondi, “quest’anno le navi sono due, magari l’anno prossimo saranno tre e Palermo non riuscirà più a contenere il nostro entusiasmo”. Assieme alle navi domani mattina arriverà a Palermo anche una squadra di 7 poliziotti ciclisti tedofori, partita tre giorni fa da Aosta portando con se la “fiaccola della legalità”.

Di Gati: “I Panepinto si sono fatti un attentato per sviare i carabinieri”


Di Gati: “I Panepinto si sono fatti un attentato per sviare i carabinieri”

Nel processo Scacco matto, nel corso dell’udienza svoltasi a Bergamo per ascoltare i collaboratori di giustizia si è parlato dei fratelli Panepinto di Santo Stefano di Quisquina, attualmente inquisiti per mafia e molto vicini secondo l’accusa all’ex boss Maurizio Di Gati. Ecco il testo delle dichiarazioni: avv. Tricoli – Sa se Panepinto, di cui lei ha fatto riferimento, per caso, è stato indagato e sottoposto a processo penale per essere l’autore dei danneggiamenti nei confronti di Smeraglia? Di Gati – Di Panepinto so che lui ha fatto due incendi, uno dei propri mezzi vicino a lui, perché in quel momento aveva Forze dell’Ordine che stavano indagando su di lui; e uno a un’altra impresa. Ora se era lo Smeraglia oppure altro non lo so. Avv. Tricoli – Ah, quindi... Di Gati – So che in quella zona, quando c’ero io da latitante, tra lo Smeraglia e il Panepinto c’erano dei contrasti. Avv. Tricoli – Ho capito, va bene. La ringrazio, signor Di Gati. Non ho altre domande, signor presidente. P.M. – Senta, di Smeraglia Biagio ha mai sentito parlare? Ha sentito mai questo nome, Smeraglia Biagio? Di Gati – È un imprenditore vicino a... proprio di Ribera, è la stessa cosa che dove c’era questo Smeraglia nei lavori c’era Giuseppe Capizzi, la famiglia Capizzi in poche parole. P.M. – Cioè lo può chiarire meglio questo concetto? Di Gati – Lui una volta, questo Smeraglia, si voleva inserire nella zona di Santo Stefano Quisquina in quanto c’erano dei grossi lavori. P.M. – Intanto, cos’è un imprenditore? Di Gati – Un imprenditore,
però io non l’ho conosciuto personalmente. P.M. – Un imprenditore edile? Che imprese ha? Di Gati – So che gestiva delle... Aveva un’iscrizione per potere prendere o eseguire dei lavori,e se non sbaglio aveva... gestiva un impianto di calcestruzzo. P.M. – Ma lavori, cosa intende, di movimento terra, scavi? Di Gati – Scavi, per le tubazioni e movimento terra per fare strade, in poche parole. P.M. – Per cui, diceva, si voleva inserire... Di Gati – Si voleva inserire in un lavoro di Bivona, tra Bivona e Santo Stefano Quisquina, ed erano nati dei grossi contrasti con la famiglia Panepinto, allora vicina a me, di Bivona, e quelli mi mandarono
a dire che lo Smeraglia, a nome Capizzi, voleva inserirsi in quel contesto di lavori. P.M. – “Quelli mi mandarono a dire”, chi sono “quelli”? Di Gati –




I fratelli Panepinto di Bivona. Da allora... da lì stava nascendo una grossa... un grosso contrasto tra me e i Capizzi, nel senso che io appoggiavo i Panepinto e Smeraglia era Capizzi proprio direttamente. Da lì poi si è deciso, tramite insistenza mia, che ho fatto la via di Falsone a insistere, nel senso di dire che lo Smeraglia da lì non ci doveva andare, e da lì lo Smeraglia si è bloccato, in poche parole. Però il Capizzi ci è rimasto abbastanza male. P.M. – Capizzi Giuseppe. Di Gati – Sì, Giuseppe. P.M. – Senta, lei però ha detto: “Io appoggiavo i Panepinto, mentre – se non ricordo male lei ha detto – mentre Smeraglia era proprio Capizzi”. Di Gati – Era proprio Capizzi, la stessa cosa, in quanto dove andava lui per lavori, questo
Smeraglia, c’era il nome dei Capizzi dietro. P.M. – Oltre a questo episodio dei lavori tra Bivona e Santo Stefano di Quisquina
ci sono stati altri episodi che lei ha sentito parlare, è entrato in contatto con questo imprenditore? Di Gati – No, con l’imprenditore
direttamente no, con lo Smeraglia, però una volta ha fatto dei lavori l’impresa Bruccoleri di Favara, il Capizzi mi andò a dire che l’imprenditore si doveva rivolgere... non c’era bisogno che parlava direttamente con il Capizzi stesso, Giuseppe, però andava all’impianto di calcestruzzo dove c’era lo Smeraglia e poteva parlare con lui per mettersi d’accordo sia nella gestione dei lavori e sia per quanto riguardava il lavoro del pizzo... il pizzo che doveva pagare nella zona in quel momento. P.M. – Perché questi lavori si doveva fare a Favara? Di Gati – A Ribera. P.M. – A Ribera. Per cui zona Capizzi. Di Gati – Zona... proprio paese di
Capizzi. P.M. – Per cui l’impresa Bruccoleri si doveva... Di Gati – Rivolgere... P.M. - ...per mettersi posto intendiamo.
Di Gati – Sì, doveva mettere a posto... andava direttamente all’impianto di calcestruzzo dove trovava lo Smeraglia e lo Smeraglia gli diceva tutto quello che doveva fare. P.M. – Ma Lei all’impianto di calcestruzzo di Smeraglia ci è mai stato? Di Gati – No, no, mai. P.M. – Questo episodio di Bruccoleri chi glielo riferì? Di Gati – Ne parlai direttamente con il Capizzi Giuseppe. Questo è stato il primo anno della mia latitanza, diciamo, il primo anno... nel ‘99, inizio 2000. P.M. – Di altri episodi analoghi, simili, che possono in qualche modo richiamare il nome di Smeraglia? Di Gati – Altri episodi credo che ci siano stati, però poi, siccome ci siamo abbastanza allontanati con Capizzi e non... in questo momento non lo ricordo. P.M. – E quando, per esempio, in questa ultima circostanza dice: “Mi sono incontrato con Giuseppe Capizzi per discutere della questione riguardante questi lavori a Ribera della ditta Bruccoleri”, il Capizzi le diede indicazioni precise sul rapporto che legava Capizzi Giuseppe, la famiglia Capizzi a Smeraglia? Di Gati – Mi ha detto: “Manda a dire all’impresa che va all’impianto di calcestruzzo dove c’è Smeraglia che gestisce
tutto”, già lui mi dice tutto, non c’era altro motivo per chiedere per chiedere chi era e chi non era, come io se mandavo qualcuno al mio paese, a Racalmuto, di dire: “Vai a rivolgerti con Beniamino – per esempio con mio fratello – e lui sa quello che deve fare”,
perciò...”. Anche il collaboratore Calogero Rizzuto viene interrogato sui componenti del gruppo Panepinto: P.M. – Senta, Lei conosce i Panepinto imprenditori? Rizzuto –Panepinto? Sì, li ho sentiti dire, e poi l’ho conosciuto a uno, a Maurizio mi sembra, al
carcere dell’Ucciardone. Cioè li sentivosempre dire al Davilla, erano più intimi con Davilla diciamo, erano pure... con qualcuno
dei fratelli erano al nord insieme. Però diquesti Panepinto il Falsone non voleva che... anche perché la storia... si lamentavano pure perché lui praticava a questi Panepinto perché dici che erano stiddara e quindi il Falsone si lamentava che io ero amico di Davilla, che Davilla era amico di ‘sti stiddara. P.M. – Allora, parlando, appunto, del Davilla, entriamo in questo argomento. Falsone si lamentava con lei di questo suo rapporto di amicizia con il Davilla? Rizzuto – Sì, sì, si lamentava di stu rapporto di amicizia che avevo io con il Davilla perché dice che era un poco di buono, era stiddaro, aveva amici stiddara e tutte ‘ste cose. E quindi io ho spiegato al Falsone il motivo perché avvicinavo al Davilla, che cercavo di aiutarlo, perché io quannu appi bisognu iddu m’aiutau. Il
Falsone mi ha detto: “Allora, dato che è così... però non ci dare confidenza, non ci dare cose. Se lo devi aiutare lo aiuti na volta
ca ti avvicinau, che t’aiutau, però non ci dare certe confidenze”.

Napoli, inaugurato il parco Buglione, intitolato all'edicolante ucciso al Vomero


Napoli, inaugurato il parco Buglione, intitolato all'edicolante ucciso al Vomero

NAPOLI (22 maggio) - È stato inaugurato oggi il parco agricolo-didattico in via Domenico Fontana, intitolato a Salvatore Buglione, il dipendente del Comune di Napoli vittima 4 anni fa di una rapina all'edicola in via Pietro Castellino.
L'apertura dello spazio verde, al quale si accede dal piazzale Tina Pica, ha anche una forte valenza simbolica, poichè si tratta dell'unica area verde del Rione Alto sopravvissuta alla cementificazione degli anni '60-70. Al taglio del nastro hanno preso parte il sindaco e il vice sindaco di Napoli Rosa Russo Iervolino e Tino Santangelo, gli assessori comunali allo Sport ed all'Ambiente Alfredo Ponticelli e Rino Nasti, il vice questore aggiunto Francesco Zunino in rappresentanza del questore Santi Giuffrè, il comandante dei carabinieri Cinque, il presidente della quinta municipalità Mario Coppeto, diversi consiglieri ed assessori del parlamentino del Vomero-Arenella, e la moglie Antonella Ferrigno ed i figli Anna e Stefano di «Sasà», come tutti affettuosamente lo chiamavano.

Nell'area, che si estende su circa 10 mila metri quadri è stato inoltre salvaguardato un antico limoneto mentre alcuni spazi sono stati adibiti ad orti urbani. Nella parte centrale, sfruttando i terrazzamenti esistenti, è stata ricavata una cavea per circa 500 spettatori; proscenio alla piazza, la fontana. «Quella di oggi - ha spiegato il primo cittadino partenopeo - è una splendida iniziativa. I bambini e la gente che già affollano il parco danno l'idea concreta di cosa può essere uno spazio simile in una zona molto affollata. Inoltre non va trascurata la funzione dell'orto didattico, che aiuta i più piccoli a conoscere i nostri prodotti».

La Iervolino si rivolge poi alla famiglia di Salvatore: «I familiari di Buglione sono parte del nostro vivere quotidiano, la figlia Anna è con noi in Comune. Loro sanno quanto dolore ci ha provocato la morte di Sasà, e voglio dire che questo è il modo per dimostrargli che tutti continuiamo a voler bene al loro congiunto e che c'è un impegno forte delle istituzioni - e la presenza qui oggi delle forze dell'ordine è significativa - a favore della legalità perchè drammi del genere non si ripetano più».

Nell'area agricola didattica la quinta municipalità ha realizzato il percorso guidato ed assistito «il giardino del sollievo» in collaborazione con l'associazione italiana malati di Alzheimer. «L'idea di aprire un parco qui - ha raccontato Coppeto - è nata a fine anni '70, poi il terremoto dell'80 ha fatto abbandonare il progetto, che è stato successivamente ripreso in Consiglio comunale e voluto fortemente dalla nostra municipalità. Sono certo che il mio amico Salvatore, col quale sognavo questo parco, oggi sarebbe stato qui. Quindi mi sembra giusto che quest'area dove da bambini giocavamo fosse intitolata a lui».

Commosso il vice sindaco Santangelo mentre Nasti ha annunciato che quello di oggi è il 46esimo spazio di questo tipo che si inaugura in città dal 1993, e che molti saranno aperti nei prossimi mesi con l'obiettivo di far diventare parchi ad energia solare.

"Lettera a Svetonio", i pizzini dell'amico-spia


"Lettera a Svetonio", i pizzini dell'amico-spia

Ecco tutte le parti di un articolo sui boss che la nuova legge ci costringerebbe a cancellare
Lunedì quindici marzo viene arrestato il fratello del «padrino» Matteo Messina Denaro. Con lui vengono arrestati diciotto fedelissimi che coprivano la sua latitanza. La Stampa pubblica in prima pagina la cronaca dell’arresto. Assieme pubblica, a firma di Francesco La Licata, un retroscena: sono i pizzini che il capoclan, per due anni, ha scritto a un uomo del Sisde. Un uomo che usava, nel carteggio, il nome in codice di «Svetonio», mentre Matteo Messina Denaro era «Alessio». Un documento di notevole importanza, che apre uno squarcio sul carteggio fra il boss latitante e un uomo dei Servizi. Il boss latitante infatti aveva ed ha una rete costituita anche da insospettabili, incaricati di gestirne la latitanza e di occuparsi degli affari di famiglia. Attraverso questo documento venivano anche rivelate le raccomandazioni che il superlatitante faceva al confidente, e che La Stampa aveva regolarmente pubblicato. Ora con l’approvazione del Ddl sulle intercettazioni in discussione in questi giorni, i giornali non potranno riportare nessun atto fino all’udienza preliminare. Quindi non avremmo potuto scrivere tutto quello che abbiamo scritto poco più di due mesi fa, su di un argomento di grande e drammatica importanza, che ha attraversato la nostra storia. Così per dare l’idea di che cosa diventerà l’informazione in Italia dopo l’approvazione del ddl abbiamo deciso di ripubblicare quell’articolo sulla mafia, gli intrecci, i doppi giochi, evidenziando le parti che non potranno essere più pubblicate.

"Lettera a Svetonio", i pizzini dell'amico-spia
«Svetonio», lo 007 che scriveva al boss Come ogni agente segreto che si rispetti, aveva il suo nome in codice che - ironia della sorte - gli era stato imposto dalla sua stessa preda. Era stato Matteo Messina Denaro, il boss di Cosa nostra «attenzionato» dall’insospettabile spia, a chiamarlo «Svetonio». Proprio come l’autore del «De viris illustribus». Per sé, invece, aveva scelto lo pseudonimo di Alessio. E così per due anni Svetonio e il superlatitante Alessio si sono scambiati una alata quanto clandestina corrispondenza puntualmente finita sulle scrivanie degli analisti del Sisde, che ne traevano spunti per la possibile cattura di Matteo Messina Denaro. Oggi il prezioso e molto interessante, dal punto di vista antropologico oltre che investigativo, carteggio si può trovare nel fascicolo che ieri ha dato luogo all’operazione «Golem II», nel Trapanese. Protagonista della Spy Story alla siciliana è Antonino Vaccarino, strano personaggio nato a Corleone nel 1945 ma da tempo residente a Castelvetrano dove ha fatto l’insegnante di lettere ed è stato consigliere comunale, assessore ed anche sindaco. Certo l’ambiente non è dei più adatti a mantenere intatta la passione per i libri, tra l’altro condivisa con la moglie, Gisella, professoressa di filosofia. Castelvetrano, come d’altra parte Corleone, è da sempre una specie di brodo di coltura della mafia. Il cortile di via Mannone dell’avvocato Gregorio De Maria, dove, il 5 luglio del 1950, fu inscenato il falso conflitto a fuoco che si concluse con la morte sospetta di Salvatore Giuliano, nel tempo è diventato l’icona dell’ambiguità delle vicende di mafia. Ecco, forse il professor Vaccarino ha risentito di un certo condizionamento ambientale, se è vero che qualche problemino giudiziario se l’è procurato. Finito sotto osservazione anche per la sua passione esoterica (Loggia Francesco Ferrer), si fece notare anche per la carica pubblica all’interno della cooperativa «Agricola Mediterranea». Nulla, per usare un termine attuale, di penalmente rilevante. Solo la vicinanza di personaggi del calibro di Francesco Messina Denaro, padre (ora scomparso) di Matteo e Salvatore e del boss Filippo Guttadauro. Comunque il peggio doveva arrivare nel 1997, quando fu condannato a 6 anni e mezzo per traffico di stupefacenti. In quell’occasione fu anche prosciolto dall’accusa di associazione mafiosa. Una volta tornato in libertà, lo troviamo a gestire il cinema Marconi, l’unico di Castelvetrano e a cercare l’avventura spionistica. Così è diventato Svetonio, dopo aver agganciato Matteo attraverso il fratello Salvatore Messina Denaro, suo ex alunno al liceo. «Tutte le persone - gli spiega Alessio - che hanno contatto con me hanno dei nomi convenzionali, il suo è Svetonio».

Le raccomandazioni, poi, riguardano le precauzioni da osservare nello scambio epistolare: rispettare maniacalmente le date che vengono comunicate per rispondere e, soprattutto, bruciare i «pizzini». Quest’ultima osservanza è stata disattesa, visto che il Sisde, nel 2007, ha trasferito alla magistratura l’intero carteggio. E’ diabolica la «captatio benevolentiae», per restare nel latino, adoperata da Svetonio per conquistare con l’adulazione le simpatie del latitante. Gli scrive parole poetiche sul padre morto: il «tuo eccezionale genitore» «ritengo abbia fatto della sua vita l’esaltazione dell’equilibrio». Poi lo blandisce coi discorsi sui «politici indegni» e arriva a spingere Alessio a sbilanciarsi parecchio, come quando il boss definisce «venditore di fumo» il presidente del Consiglio dell’epoca (era Berlusconi). Il doppio gioco di Svetonio oggi è chiaro: ad Alessio fa credere di potergli essere utile politicamente, al Sisde promette l’improbabile cattura del latitante. Tra i due, si intuisce, crede di più in Alessio che percepisce come più forte dello Stato. Tutto questo ed altro è ormai codificato, anche se Svetonio non è neppure indagato nell’indagine Golem perché agiva «per ragion di Stato». Ma i suoi guai, forse, non sono finiti. Il 15 novembre del 2007 ha ricevuto una lettera vera, non un «pizzino». C’era scritto: «.....Ha buttato la sua famiglia in un inferno... la sua illustre persona fa già parte del mio testamento... in mia mancanza verrà qualcuno a riscuotere il credito che ho nei suoi confronti...». Firmato: M. Messina Denaro, proprio lui in persona, non più Alessio.

Il pentito Calogero Rizzuto non ne aveva mai parlato prima. Altre importanti rivelazioni


Il pentito Calogero Rizzuto non ne aveva mai parlato prima. Altre importanti rivelazioni

Giovanni Derelitto, ritenuto ai vertici della famiglia mafiosa di Burgio, all’interno di Cosa
Nostra venne sospettato di essere stato l’autore della “soffiata” che portò la Polizia di Attilio Brucato,
all’epoca dei fatti capo della Squadra Mobile di Agrigento, a compiere il cosiddetto “Blitz Cupola”, la
retata antimafia che portò in cella una quindicina di boss appena riuniti per eleggere il nuovo capo della
mafia agrigentina. Lo ha rivelato Calogero Rizzuto ai giudici del processo “Scacco matto” nel corso della sua deposizione
resa all’interno dell’aula bunker di Bergamo. Ecco, come, per la prima volta, affronta
la questione: Rizzuto –Mi sono ricordato che c’era pure questa
voce, non ricordavo, però che girava questa voce che addirittura
Giovanni Derelitto aveva fatto questo tradimento, aveva mandato
la Polizia per l’operazione Cupola. Questo è quello... Avv. Tricoli – Quindi lui praticamente,
dopo... Ah, si... riferisca questo contesto. Rizzuto – Si vociferava. Avv. Tricoli – Che? Rizzuto – Che il Derelitto
avrebbe mandato per questa operazione... Avv. Tricoli – Cupola. Perfetto. Benissimo. Continua. Quando è rientrato
dopo questo vocio che c’era all’interno di Cosa Nostra che aveva mandato, il motivo per il quale è stato messo da parte,
quando è rientrato poi ha svolto la funzione di capo? Rizzuto –No. Avv. Tricoli – Quindi dopo gli arresti della
Cupola non svolgeva funzioni di capo. È così? Rizzuto –
No, è stato per un periodo, poi però è stato... Avv. Tricoli La domanda è... Presidente – Aspetti un attimo. Rizzuto –
Non capisco. Presidente – Allora, intervengo io, perché in effetti si sta creando confusione. Allora, mi sembrava che lei
inizialmente avesse detto che dopo gli arresti di Cupola esce fuori Maniscalco e subentra Derelitto. Rizzuto –E subentra... Presidente – Ora, siccome l’avvocato sta chiedendo questo, dice, dopo gli arresti di Cupola...? Rizzuto –
E allora, scusi, è stato... Presidente – Perché sono in contraddizioni le due risposte. Rizzuto – No, mi spiego meglio.
Allora, dopo Maniscalco prende il comando Derelitto, subito dopo nasce qualche cosa, se è questo che si vocifera
il fatto, nasce qualche cosa e viene messo da parte Derelitto e viene
incaricato un altro per la famiglia di Burgio, viene incaricato un altro.
Presidente – Ho capito. Andiamo avanti. Avv. Tricoli – Permane la
contestazione e la faccio integrale rispetto a quello che ha detto a questa
funzione di capo... Presidente – Quello che sta dicendo ora. Avv.
Tricoli – Sì. Perché dice, ribadiamo... Presidente – La legga, avvocato. Avv. Tricoli – “Derelitto so che è stato
messo da parte ma non ne so il motivo, per un periodo è stato messo da parte, che poi è rientrato di nuovo, però non
so il motivo. Sapevo che era messo da parte per un periodo, ma non so il motivo.” Pubblico Ministero: “Quindi poi è
rientrato?” Rizzuto: “Sì, mi hanno detto che Derelitto era rientrato, però non aveva funzioni di capo.” Avv. Tricoli –
Quindi io sto cercando di contestualizzare... P.M. – Mi pare che non ci sia molta difformità da quello che ha detto appena adesso. Presidente – Un attimo solo. No, solo sulla funzione di capo. Su questo discorso, quando poi gli... Avv.
Tricoli – E non mi pare poco, Presidente. Presidente – Quando poi lui rientra, rientra con funzioni di capo o no?
Rizzuto – No, quando rientra no, non rientra come... con funzioni di capo. Presidente – Non rientra più con funzioni
di capo? Rizzuto –No. Presidente – Dopo il periodo in cui viene messo da parte stiamo parlando. Rizzuto – Sì, dopo il
periodo che viene messo da parte. Allora, prima di essere... Presidente – Quindi, se non ho capito male, rientra con funzioni
di capo, dopo che viene arrestato Maniscalco. Rizzuto –Sì. Presidente - Poi viene messo da parte a seguito di quelle voci o per un altro motivo che lei non sa. Rizzuto –Sì. Presidente - Poi rientra di nuovo ma senza funzioni di capo.
Rizzuto – Rientra senza funzioni di capo. Presidente - Perché capo è stato nominato un altro. Rizzuto – Un altro.
Presidente – Che non ha nominato lei, mi pare. Rizzuto – Sì. Presidente – L’ha detto chi era? Rizzuto – No. Non so
se... Presidente – Non lo so, comunque se ci sono indagini in corso io questo non lo posso sapere. Rizzuto – Ci sono
indagini in corso. Un mister x. Presidente – Ma comunque,rientra ma non con funzioni di capo.

Calogero Rizzuto, a ruota libera. Nel processo, rito ordinario, “Scacco Matto”.



Calogero Rizzuto, a ruota libera. Nel processo, rito ordinario, “Scacco Matto”.

la sua
memoria si rivela infallibile. E rivela fatti nuovi, approfondisce
episodi e storie vecchie, insomma: parla a raffica. P.M. – Cioè lei ha incaricato Davilla di
dire a Smeraglia di andarsene. Rizzuto – Sì, di dire a Smeraglia di andarsene.
Allora, Davilla dice a Smeraglia che se ne deve andare da Rocco Forte, e
Smeraglia si va a lamentare sicuramente dalla famiglia Capizzi, perché da me
viene poi Imbornone, subito dopo giorni viene Imbornone, e mi dice: “Ma che è la
questione, i picciotti...”, pi i picciotti significava i Capizzi, “Si sono lamentati
di ‘sta situazione, si nn’avi acchianari Smeralia di Roccoforte”, dico: “Sì, di stu
Roccoforte non si sapi nenti completamente, iddi ci travaglianu e nautri ca è u
nostru territorio mancu ci travagliamu? E quindi si nn’avi a ghiri, sennò quanti
mezzi c’ha Biagio Smeraglia tanti mezzi...”. E così è stato l’accordo.
Abbiamo fatto l’accordo con Imbornone, che tanti mezzi aveva lo Smeraglia a
Roccoforte, tanti ne dovevamo avere noi, per portarci rispetto, per non farlo andare
via. L’accordo è stato questo, “Va bene, va bene, a chi si deve rivolgere?”, “Si
rivolge a Lana, se vuole mezzi si rivolge a Lana”. Ho saputo che si è rivolto poi a
Lana. Il Lana ha mandato il camion di nostra proprietà, quello che avevamo con
Guzzo, a lavorare... sapevo che lavorava il Lana lì. Dopo che mi sono incontrato
con Lana, dico: “Tutto a posto? Si lavora a Roccoforte?”, “Sì, si lavora, ma le cose
non stanno come mi hai detto tu”, perché io gli avevo spiegato a Lana, dico: “Vedi
quanti mezzi c’ha Biagio Smeraglia tanti ce ne dobbiamo avere noi”. “Vedi
che solo un mezzo noi ci abbiamo, quello vostro solo, lui ce ne ha tre, quattro, non
lo so quanti ne ha”. Allora io lì ho preso a... e sono andato da Imbornone. Ho
detto a Imbornone che... anzi, ora che mi ricordo bene, è stato lì che io ho fatto
andare via di nuovo... sono andato anzi da Imbornone e gli un detto: “Vedi che io
non sono più responsabile di Biagio Smeraglia”, dice: “Ma che è successo?” e
gli ho spiegato la situazione. “E quindi quello che ci succede io non ne voglio
sapere più. Poi chi vuole venire viene. Io non sono più responsabile di Biagio
Smeraglia”. Lui mi ha detto: “Stai tranquillo, ora sistemiamo la cosa, statti tranquillo
vediamo come stanno le cose”, ma non si è sistemato niente. Poi dice che lui
se ne doveva salire pure, che per ora il lavoro era stretto e quindi non c’era per
tutti il lavoro. Sono passati i mesi e questa è stata la storia con Smeraglia. P.M. –
Però Lei direttamente con i Capizzi non ci ha parlato di Smeraglia? Rizzuto –No,
della questione di Smeraglia. No, no, io poi non ho avuto più incontri con i
Capizzi. E quindi è arrivata tutta questa storia di stu Biagio Smeraglia, è arrivata
pure la storia di un certo Marotta che aveva comprato un coso edile a Sciacca, e
io mi sono lamentato pure di ‘sta situazione, perché a questo Marotta me
nl’avevano raccomandato loro di non farci pagare la tangente a Sciacca. P.M. –
“Loro” chi? Rizzuto – C a p i z z i , I m b o r n o n e , tutti, mi avevano
Raccomandato questo Marotta, che era una cosa sua e quindi non lo dovevo
toccare, non ci dovevamo fare pagare tangente, non ci dovevamo fare pagare
niente. Se avevamo bisogno di materiale, qualsiasi cosa avevamo bisogno ci rivolgevamo
a questo Marotta. È nato un discorso che poi io ho dato incarico... si è
dato incarico... no, io, insieme a Guzzo abbiamo dato l’incarico della famiglia di
Sciacca. Chi rappresentava la famiglia di Sciacca è andato a chiedere il pizzo a
Marotta, e allora quando è chiesto il pizzo a Marotta c’è stata ‘sta discussione,
che sono andati su tutte le furie, sia i Capizzi ch Falsone, dice:
“Come, vi abbiamo detto che era un amico nostro”. Io non la sapevo ‘sta situazione,
sono andato dall’incaricato di Sciacca, gli ho detto: “Ma tu
hai chiesto pizzo a Marotta, così, così?”dice: “Sì”. Giustamente, l’incaricato
di Sciacca perché ha chiesto il pizzo a Marotta? Ha chiesto il pizzo a Marotta
perché ha fatto come ho fatto io con Biagio Smeraglia, dice: “Vediamo, perché
del porto non si sa niente, di Roccoforte non si sa niente, della
Sigenco non si sa niente, insomma non si sa niente di nessuno, anzi della Favara di
Burgio non si sa niente, soldi non se ne vedono, così tocchiamo a quelli che sono
vicino a loro così corrono loro verso di noi”, e così è stato. Quando sono andato parlare con
quello di Sciacca mi disse: “Sì, vero, ci ivu iu per questo motivo, così
vediamo come stanno le cose”. Allora, c’è stato tutto stu discorso, poi hanno rubato
un camion a questo di Sciacca, a questo Marotta, che hanno rubato un camion, e
mi viene Imbornone e mi viene a dire che c’era Falsone che era incavolato di ‘sta
situazione, che si è fatta brutta figura con Marotta, non si doveva toccare, io di
questo camion non ne sapevo niente. Però siccome io da Falsone ci ero andato che
avevano rubato un escavatore al mio socio, al Tabone, e la risposta del
Falsone era stata... perché ho detto: “Vediamo pi stu escavatore, so che c’è
una mano di Catania che rubano, vediamo di dove può essere”, e allora il Falsone mi ha risposto,
dice: “Sai, ora vediamo, però ‘ste cose sono sempre successe, non è
la prima volta” “Ho capito, va bene”. Allora, quando è successo questo discorso
di Marotta io la risposta mia a Imbornone è stata la stessa, dico:
“Purtroppo a me dispiace ca ci arrubbaruno u camion, però ‘ste cose vidi ca hannu
succidutu sempri”. Allora lì dopo c’è stato l’appuntamento, dopo qualche mesetto mi
volevano parlare i Capizzi, e io non sono andato all’appuntamento.
In effetti subito dopo che mi volevano parlare i Capizzi mi
manda a chiamare Falsone, e io mando all’appuntamento a Guzzo, che gli ho detto che avevo impegni e che non potevo andare. P.M. – Perché, se non ricordo
male, Lei prima ci aveva detto che dopo quei contrasti avuti... quei d i s a c c o r d i
avuti nell’incontro con Sardino le era stato detto di non... Rizzuto – Sì, sì, di non avere più rapporti... P.M. - ...che i rapporti li teneva Imbornone. Rizzuto – Sì, di non avere più rapporti con i Capizzi, tutto quello che è lo dovevo discutere con Imbornone. E quindi da lì io ho capito... In effetti a Imbornone io gli ho detto: “Ma il motivo che io devo andare da Capizzi?”, “C’è una questione che sai tu, la devi...”, dico: “Ma se io ho l’incarico e mi ha detto Falsone...” “Sì, però ‘sta questione la deve parlare direttamente con loro”. Io non sono andato, ho preso la calunnia e gli ho detto che poi... perché Imbornone l’indomani è ritornato da me e dice: “Ma all’appuntamento non...” e gli ho detto che mi hanno fermato i Carabinieri, che io avevo un’altra macchina, ho detto una fesseria e non sono andato. Dopo, non so quanto passa, mi fa l’appuntamento con Falsone. Io ho detto a Guzzo che non potevo andare a quell’appuntamento, dico: “C’è l’appuntamento con Falsone”, ed ci è andato il Guzzo all’appuntamento. Tant’è che ho avuto la conferma del Guzzo, che è andato all’appuntamento con Falsone, che quando è ritornato dall’appuntamento, dopo un giorno o due giorni che ci siamo visti, il Guzzo mi ha detto: “Sai, Calogero, ti devo dire una cosa, ho avuto una brutta impressione” “Di cosa?”, dice: “Come se non aspettavano me, ma aspettavano te, aspettavano a te all’appuntamento e non so... però c’è qualcosa che non quadra. Però sono convinto che aspettavano te”, “Ma perché?”, “Perché mentre che parlavamo con Falsone, c’era pure Imbornone, è arrivato Franco Capizzi. È arrivato Franco Capizzi, quando si è presentato davanti la porta, è rimasto, ha visto a me ed è rimasto perplesso”. Subito Falsone dice: “Qua...”, lui dice: “Sì, mi trovavo di passaggio”. Siccome era al bar Falsone, lui si trovava di passaggio e si è fermato. E allora ‘sta cosa a Guzzo... P.M. – Scusi, per la registrazione, “Era al bar” è ironico? Rizzuto – Sì, sì. Mi ha detto il Guzzo. Io già l’avevo intuito questo, però a Guzzo non gli ho detto niente che io avevo capito e avevo mandato all’appuntamento a lui per questa situazione. Unnu facia ammazzari, picchi aspittavanu a mia, nun aspettavanu a Guzzo.

“Cavigliuni” e Guzzo messi alla prova dai favaresi





“Cavigliuni” e Guzzo messi alla prova dai favaresi

Calogero Rizzuto, inteso “cavigliuni”, insieme a Gino Guzzo, sono stati messi alla prova da parte del gruppo
egemone (per quel tempo) dei Capizzi. I riberesi non si fidavano di nessuno e per scoprire se Rizzuto ed il
suo compare Guzzo fossero leali hanno organizzato una messinscena. Ecco come viene rievocata davanti ai giudici: P.M. - Intanto, mi scusi, questi quattro nominativi, Morreale Francesco, Gerlando,
Morreale Stefano e Costanza Calogero, lei li conosce come facenti parte della famiglia mafiosa di Favara? Rizzuto – Calogero,
Francesco e Gerlando sì, e invece Stefano Morreale come avvicinato. Era il padre che
era uomo d’onore, di Stefano. Ma lui era vicino, diciamo... P.M. – Va bene. L’incontro
con Morreale Francesco quando avvenne? Rizzuto – L’incontro con
Morreale Francesco avvenne a Sciacca, insieme con Morreale Stefano, tutti e due
cugini. Che ci aveva chiamato Di Mino, ci aveva detto che... P.M. – Di Mino... Rizzuto
–Di Mino Accursio. C’era andato uno, non so se questo è di Sciacca, forse ha origini di
Sciacca, che aveva una pompa di benzina a Porto Empedocle, aveva avvicinato il Di Mino, e gli detto che c’erano
persone che volevano un contatto con qualcuno della famiglia di Sciacca. Il Di Mino gli ha detto che non ne voleva sapere niente, che non ci interessava parlare con nessuno, e ci ha detto a noi che c’era ‘sta appuntamento, gli ha detto però a quello: “Se io trovo a qualcuno che viene tale giorno all’appuntamento, se trovate a qualcuno lo trovate, se non trovate a nessuno io non...”. Ci ha comunicato ‘sta situazione a me e al Guzzo e siamo andati all’appuntamento alla
pompa di benzina all’uscita di Sciacca. P.M. – Sia lei che Guzzo.? Rizzuto – Sia io che Guzzo. Tra Sciacca e Ribera, e abbiamo incontrato questi due cugini Morreale, dove ci hanno parlato dei lavori che dovevano iniziare alla Sigenco. E lì ho conosciuti lì in quella occasione. P.M. – I lavori della Sigenco intendiamo sempre i lavori della
Strada Statale 115? Rizzuto –Sì, sì. P.M. – E che dissero questi Morreale? Rizzuto – Che avevano il lavoro nelle mani loro, che cercavano un appoggio per stare tranquilli nella famiglia di Sciacca, queste cose. Se avevamo bisogno di fare lavorare a qualcuno,
per la tangente ci pensavano loro e poi ce la facevano avere. Tutto quello che c’era di bisogno, se dovevamo
fare lavorare qualche mezzo, qualche cosa, tutto. Siccome già questo discorso io l’avevo avuto con Capizzi
Giuseppe, quello che è al 41... P.M. – Mi scusi, “Per la tangente ci pensavano loro”, in
che senso? Rizzuto – Ariscuoterla. P.M. –A riscuoter la tangente da quale impresa?
Rizzuto –Dalla Sigenco. P.M. – Dalla Sigenco. Rizzuto – Dalla Sigenco. Siccome
io questo discorso già l’avevo avuto con Capizzi Giuseppe, ne ho parlato poi con
Guzzo, quando abbiamo parlato, dico: “Ma Capizzi mi ha detto che il lavoro ce l’ha in
mano lui, questi dicono che ce l’hanno loro. Ma come stanno le cose?”. E allora io sono
andato all’appuntamento con Capizzi Giuseppe, sono andato a cercare a Capizzi Giuseppe, dove al
Capizzi Giuseppe gli ho spiegato la situazione, e Capizzi Giuseppe si è messo a ridere e mi ha detto, dice: “No, tutto a posto”, mi ha descritto com’erano, addirittura mi ha detto: “Quello più bassino, quello più magro, Francesco...” P.M. – Per Capizzi Giuseppe, quello del 41 bis, ha descritto fisicamente i due Morreale. Rizzuto – Sì,
sì, e poi abbiamo saputo che li avevano mandati loro, perché non avevano fiducia in noi, che noi dicevamo che a Sciacca ancora c’era nessuno incaricato, che Di Mino non ne voleva sapere. E quindi loro hanno fatto questa prova per vedere se noi eravamo sinceri o meno, per vedere se Di Mino era vero incaricato a Sciacca e noi lo tenevamo coperto o meno. Hanno fatto questa prova.