domenica 23 maggio 2010

Di Gati: “I Panepinto si sono fatti un attentato per sviare i carabinieri”


Di Gati: “I Panepinto si sono fatti un attentato per sviare i carabinieri”

Nel processo Scacco matto, nel corso dell’udienza svoltasi a Bergamo per ascoltare i collaboratori di giustizia si è parlato dei fratelli Panepinto di Santo Stefano di Quisquina, attualmente inquisiti per mafia e molto vicini secondo l’accusa all’ex boss Maurizio Di Gati. Ecco il testo delle dichiarazioni: avv. Tricoli – Sa se Panepinto, di cui lei ha fatto riferimento, per caso, è stato indagato e sottoposto a processo penale per essere l’autore dei danneggiamenti nei confronti di Smeraglia? Di Gati – Di Panepinto so che lui ha fatto due incendi, uno dei propri mezzi vicino a lui, perché in quel momento aveva Forze dell’Ordine che stavano indagando su di lui; e uno a un’altra impresa. Ora se era lo Smeraglia oppure altro non lo so. Avv. Tricoli – Ah, quindi... Di Gati – So che in quella zona, quando c’ero io da latitante, tra lo Smeraglia e il Panepinto c’erano dei contrasti. Avv. Tricoli – Ho capito, va bene. La ringrazio, signor Di Gati. Non ho altre domande, signor presidente. P.M. – Senta, di Smeraglia Biagio ha mai sentito parlare? Ha sentito mai questo nome, Smeraglia Biagio? Di Gati – È un imprenditore vicino a... proprio di Ribera, è la stessa cosa che dove c’era questo Smeraglia nei lavori c’era Giuseppe Capizzi, la famiglia Capizzi in poche parole. P.M. – Cioè lo può chiarire meglio questo concetto? Di Gati – Lui una volta, questo Smeraglia, si voleva inserire nella zona di Santo Stefano Quisquina in quanto c’erano dei grossi lavori. P.M. – Intanto, cos’è un imprenditore? Di Gati – Un imprenditore,
però io non l’ho conosciuto personalmente. P.M. – Un imprenditore edile? Che imprese ha? Di Gati – So che gestiva delle... Aveva un’iscrizione per potere prendere o eseguire dei lavori,e se non sbaglio aveva... gestiva un impianto di calcestruzzo. P.M. – Ma lavori, cosa intende, di movimento terra, scavi? Di Gati – Scavi, per le tubazioni e movimento terra per fare strade, in poche parole. P.M. – Per cui, diceva, si voleva inserire... Di Gati – Si voleva inserire in un lavoro di Bivona, tra Bivona e Santo Stefano Quisquina, ed erano nati dei grossi contrasti con la famiglia Panepinto, allora vicina a me, di Bivona, e quelli mi mandarono
a dire che lo Smeraglia, a nome Capizzi, voleva inserirsi in quel contesto di lavori. P.M. – “Quelli mi mandarono a dire”, chi sono “quelli”? Di Gati –




I fratelli Panepinto di Bivona. Da allora... da lì stava nascendo una grossa... un grosso contrasto tra me e i Capizzi, nel senso che io appoggiavo i Panepinto e Smeraglia era Capizzi proprio direttamente. Da lì poi si è deciso, tramite insistenza mia, che ho fatto la via di Falsone a insistere, nel senso di dire che lo Smeraglia da lì non ci doveva andare, e da lì lo Smeraglia si è bloccato, in poche parole. Però il Capizzi ci è rimasto abbastanza male. P.M. – Capizzi Giuseppe. Di Gati – Sì, Giuseppe. P.M. – Senta, lei però ha detto: “Io appoggiavo i Panepinto, mentre – se non ricordo male lei ha detto – mentre Smeraglia era proprio Capizzi”. Di Gati – Era proprio Capizzi, la stessa cosa, in quanto dove andava lui per lavori, questo
Smeraglia, c’era il nome dei Capizzi dietro. P.M. – Oltre a questo episodio dei lavori tra Bivona e Santo Stefano di Quisquina
ci sono stati altri episodi che lei ha sentito parlare, è entrato in contatto con questo imprenditore? Di Gati – No, con l’imprenditore
direttamente no, con lo Smeraglia, però una volta ha fatto dei lavori l’impresa Bruccoleri di Favara, il Capizzi mi andò a dire che l’imprenditore si doveva rivolgere... non c’era bisogno che parlava direttamente con il Capizzi stesso, Giuseppe, però andava all’impianto di calcestruzzo dove c’era lo Smeraglia e poteva parlare con lui per mettersi d’accordo sia nella gestione dei lavori e sia per quanto riguardava il lavoro del pizzo... il pizzo che doveva pagare nella zona in quel momento. P.M. – Perché questi lavori si doveva fare a Favara? Di Gati – A Ribera. P.M. – A Ribera. Per cui zona Capizzi. Di Gati – Zona... proprio paese di
Capizzi. P.M. – Per cui l’impresa Bruccoleri si doveva... Di Gati – Rivolgere... P.M. - ...per mettersi posto intendiamo.
Di Gati – Sì, doveva mettere a posto... andava direttamente all’impianto di calcestruzzo dove trovava lo Smeraglia e lo Smeraglia gli diceva tutto quello che doveva fare. P.M. – Ma Lei all’impianto di calcestruzzo di Smeraglia ci è mai stato? Di Gati – No, no, mai. P.M. – Questo episodio di Bruccoleri chi glielo riferì? Di Gati – Ne parlai direttamente con il Capizzi Giuseppe. Questo è stato il primo anno della mia latitanza, diciamo, il primo anno... nel ‘99, inizio 2000. P.M. – Di altri episodi analoghi, simili, che possono in qualche modo richiamare il nome di Smeraglia? Di Gati – Altri episodi credo che ci siano stati, però poi, siccome ci siamo abbastanza allontanati con Capizzi e non... in questo momento non lo ricordo. P.M. – E quando, per esempio, in questa ultima circostanza dice: “Mi sono incontrato con Giuseppe Capizzi per discutere della questione riguardante questi lavori a Ribera della ditta Bruccoleri”, il Capizzi le diede indicazioni precise sul rapporto che legava Capizzi Giuseppe, la famiglia Capizzi a Smeraglia? Di Gati – Mi ha detto: “Manda a dire all’impresa che va all’impianto di calcestruzzo dove c’è Smeraglia che gestisce
tutto”, già lui mi dice tutto, non c’era altro motivo per chiedere per chiedere chi era e chi non era, come io se mandavo qualcuno al mio paese, a Racalmuto, di dire: “Vai a rivolgerti con Beniamino – per esempio con mio fratello – e lui sa quello che deve fare”,
perciò...”. Anche il collaboratore Calogero Rizzuto viene interrogato sui componenti del gruppo Panepinto: P.M. – Senta, Lei conosce i Panepinto imprenditori? Rizzuto –Panepinto? Sì, li ho sentiti dire, e poi l’ho conosciuto a uno, a Maurizio mi sembra, al
carcere dell’Ucciardone. Cioè li sentivosempre dire al Davilla, erano più intimi con Davilla diciamo, erano pure... con qualcuno
dei fratelli erano al nord insieme. Però diquesti Panepinto il Falsone non voleva che... anche perché la storia... si lamentavano pure perché lui praticava a questi Panepinto perché dici che erano stiddara e quindi il Falsone si lamentava che io ero amico di Davilla, che Davilla era amico di ‘sti stiddara. P.M. – Allora, parlando, appunto, del Davilla, entriamo in questo argomento. Falsone si lamentava con lei di questo suo rapporto di amicizia con il Davilla? Rizzuto – Sì, sì, si lamentava di stu rapporto di amicizia che avevo io con il Davilla perché dice che era un poco di buono, era stiddaro, aveva amici stiddara e tutte ‘ste cose. E quindi io ho spiegato al Falsone il motivo perché avvicinavo al Davilla, che cercavo di aiutarlo, perché io quannu appi bisognu iddu m’aiutau. Il
Falsone mi ha detto: “Allora, dato che è così... però non ci dare confidenza, non ci dare cose. Se lo devi aiutare lo aiuti na volta
ca ti avvicinau, che t’aiutau, però non ci dare certe confidenze”.

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