domenica 23 maggio 2010

"Lettera a Svetonio", i pizzini dell'amico-spia


"Lettera a Svetonio", i pizzini dell'amico-spia

Ecco tutte le parti di un articolo sui boss che la nuova legge ci costringerebbe a cancellare
Lunedì quindici marzo viene arrestato il fratello del «padrino» Matteo Messina Denaro. Con lui vengono arrestati diciotto fedelissimi che coprivano la sua latitanza. La Stampa pubblica in prima pagina la cronaca dell’arresto. Assieme pubblica, a firma di Francesco La Licata, un retroscena: sono i pizzini che il capoclan, per due anni, ha scritto a un uomo del Sisde. Un uomo che usava, nel carteggio, il nome in codice di «Svetonio», mentre Matteo Messina Denaro era «Alessio». Un documento di notevole importanza, che apre uno squarcio sul carteggio fra il boss latitante e un uomo dei Servizi. Il boss latitante infatti aveva ed ha una rete costituita anche da insospettabili, incaricati di gestirne la latitanza e di occuparsi degli affari di famiglia. Attraverso questo documento venivano anche rivelate le raccomandazioni che il superlatitante faceva al confidente, e che La Stampa aveva regolarmente pubblicato. Ora con l’approvazione del Ddl sulle intercettazioni in discussione in questi giorni, i giornali non potranno riportare nessun atto fino all’udienza preliminare. Quindi non avremmo potuto scrivere tutto quello che abbiamo scritto poco più di due mesi fa, su di un argomento di grande e drammatica importanza, che ha attraversato la nostra storia. Così per dare l’idea di che cosa diventerà l’informazione in Italia dopo l’approvazione del ddl abbiamo deciso di ripubblicare quell’articolo sulla mafia, gli intrecci, i doppi giochi, evidenziando le parti che non potranno essere più pubblicate.

"Lettera a Svetonio", i pizzini dell'amico-spia
«Svetonio», lo 007 che scriveva al boss Come ogni agente segreto che si rispetti, aveva il suo nome in codice che - ironia della sorte - gli era stato imposto dalla sua stessa preda. Era stato Matteo Messina Denaro, il boss di Cosa nostra «attenzionato» dall’insospettabile spia, a chiamarlo «Svetonio». Proprio come l’autore del «De viris illustribus». Per sé, invece, aveva scelto lo pseudonimo di Alessio. E così per due anni Svetonio e il superlatitante Alessio si sono scambiati una alata quanto clandestina corrispondenza puntualmente finita sulle scrivanie degli analisti del Sisde, che ne traevano spunti per la possibile cattura di Matteo Messina Denaro. Oggi il prezioso e molto interessante, dal punto di vista antropologico oltre che investigativo, carteggio si può trovare nel fascicolo che ieri ha dato luogo all’operazione «Golem II», nel Trapanese. Protagonista della Spy Story alla siciliana è Antonino Vaccarino, strano personaggio nato a Corleone nel 1945 ma da tempo residente a Castelvetrano dove ha fatto l’insegnante di lettere ed è stato consigliere comunale, assessore ed anche sindaco. Certo l’ambiente non è dei più adatti a mantenere intatta la passione per i libri, tra l’altro condivisa con la moglie, Gisella, professoressa di filosofia. Castelvetrano, come d’altra parte Corleone, è da sempre una specie di brodo di coltura della mafia. Il cortile di via Mannone dell’avvocato Gregorio De Maria, dove, il 5 luglio del 1950, fu inscenato il falso conflitto a fuoco che si concluse con la morte sospetta di Salvatore Giuliano, nel tempo è diventato l’icona dell’ambiguità delle vicende di mafia. Ecco, forse il professor Vaccarino ha risentito di un certo condizionamento ambientale, se è vero che qualche problemino giudiziario se l’è procurato. Finito sotto osservazione anche per la sua passione esoterica (Loggia Francesco Ferrer), si fece notare anche per la carica pubblica all’interno della cooperativa «Agricola Mediterranea». Nulla, per usare un termine attuale, di penalmente rilevante. Solo la vicinanza di personaggi del calibro di Francesco Messina Denaro, padre (ora scomparso) di Matteo e Salvatore e del boss Filippo Guttadauro. Comunque il peggio doveva arrivare nel 1997, quando fu condannato a 6 anni e mezzo per traffico di stupefacenti. In quell’occasione fu anche prosciolto dall’accusa di associazione mafiosa. Una volta tornato in libertà, lo troviamo a gestire il cinema Marconi, l’unico di Castelvetrano e a cercare l’avventura spionistica. Così è diventato Svetonio, dopo aver agganciato Matteo attraverso il fratello Salvatore Messina Denaro, suo ex alunno al liceo. «Tutte le persone - gli spiega Alessio - che hanno contatto con me hanno dei nomi convenzionali, il suo è Svetonio».

Le raccomandazioni, poi, riguardano le precauzioni da osservare nello scambio epistolare: rispettare maniacalmente le date che vengono comunicate per rispondere e, soprattutto, bruciare i «pizzini». Quest’ultima osservanza è stata disattesa, visto che il Sisde, nel 2007, ha trasferito alla magistratura l’intero carteggio. E’ diabolica la «captatio benevolentiae», per restare nel latino, adoperata da Svetonio per conquistare con l’adulazione le simpatie del latitante. Gli scrive parole poetiche sul padre morto: il «tuo eccezionale genitore» «ritengo abbia fatto della sua vita l’esaltazione dell’equilibrio». Poi lo blandisce coi discorsi sui «politici indegni» e arriva a spingere Alessio a sbilanciarsi parecchio, come quando il boss definisce «venditore di fumo» il presidente del Consiglio dell’epoca (era Berlusconi). Il doppio gioco di Svetonio oggi è chiaro: ad Alessio fa credere di potergli essere utile politicamente, al Sisde promette l’improbabile cattura del latitante. Tra i due, si intuisce, crede di più in Alessio che percepisce come più forte dello Stato. Tutto questo ed altro è ormai codificato, anche se Svetonio non è neppure indagato nell’indagine Golem perché agiva «per ragion di Stato». Ma i suoi guai, forse, non sono finiti. Il 15 novembre del 2007 ha ricevuto una lettera vera, non un «pizzino». C’era scritto: «.....Ha buttato la sua famiglia in un inferno... la sua illustre persona fa già parte del mio testamento... in mia mancanza verrà qualcuno a riscuotere il credito che ho nei suoi confronti...». Firmato: M. Messina Denaro, proprio lui in persona, non più Alessio.

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