domenica 27 giugno 2010

Umiliati dai boss e dallo Stato


Umiliati dai boss e dallo Stato
Luigi e Giuseppina Orsino, la coppia costretta a vivere di carità

Denunciarono il racket, imprenditori napoletani in miseria: «Le istituzioni ci hanno abbandonati»

FRANCESCA PACI
C’è il sole alto sul Golfo di Napoli che s’intravede dai vicoli di San Sebastiano al Vesuvio, la Svizzera partenopea dove professionisti e uomini d’affari ristrutturano ruderi da 4 mila euro al metro quadrato. Ma in casa Orsino le luci sono accese. Luigi e la moglie Giuseppina, 56 e 51 anni, aspettano con le persiane serrate l’ufficiale giudiziario che da un giorno all’altro verrà a cambiare la serratura della villa in cui vivono dal 1979, come se trincerarsi dentro l’ultima delle proprietà rimasta loro dopo l’assedio di camorristi, usurai, creditori, ritardasse almeno un po’ la consapevolezza d’aver perduto la guerra cominciata 18 anni fa. «Non finiremo a rovistare nella spazzatura, c’è un limite all’umiliazione della dignità umana: se vengono a buttarci fuori ci facciamo saltare in aria» dice Luigi, camicia gialla e jeans lisi, seduto nel salone senza più quadri né suppellettili dove un paio di computer Ibm Ps2 e un sofisticato mangianastri d’epoca pre-cd rivelano il momento esatto in cui le sue finanze, fino ad allora cospicue, hanno smesso di prosperare.

L’orologio è fermo al 1992: «Lavorando sodo avevamo trasformato un negozio di mobili di Portici da 50 mq in uno spazio venti volte più grande, ad avviarne un altro a Sant’Anastasia, più tre punti vendita abbigliamento». Sono anni di passaggio. Sebbene il boom economico italiano cominci a sgonfiarsi e Maradona sia già un eroe del passato, gli affari vanno e gli Orsino, oltre ai locali commerciali e l’abitazione di San Sebastiano, vantano una villa a Diamante, una barca da dieci metri, un loft a Roccaraso. Non resterebbe loro che da godersi la vita se in agguato non ci fosse Gomorra, il regno delle tenebre di cui il tredicenne Saviano inizia a prendere coscienza. A ripensarci ora sembra un film. Luigi versa il tè freddo, lusso estivo del pacco Caritas che don Enzo gli consegna ogni mattina in parrocchia: «Un giorno un sedicente amico mi propone l’acquisto dei 180 mq con parco al centro di Ercolano cedutigli da un mio parente che aveva un debito con lui e io, per non lasciare in mezzo alla strada quel poveretto, sborso subito trecentotrenta milioni di lire in contanti». I vampiri fiutano il sangue: «Dopo una settimana vengono da me due gorilla dei Vollaro, un clan potente e feroce che fino allora mi aveva ignorato. Sapevo che tanti commercianti pagavano in silenzio anche un milione di lire al mese». Omertà obbligata: la legge a sostegno degli imprenditori sotto usura sarebbe arrivata solo sette anni dopo. Il tempo di morire: «Un pizzo contenuto l’avrei sopportato, ero benestante. Ma quelli chiedono subito 5 milioni, 10, 15, un’escalation con raffiche di mitra sulle vetrine e nel giardino di casa, dove una sera trovo morto il nostro cane pastore Dark. In pochi mesi eccomi ostaggio del mio ex amico, ormai rivelatosi uno strozzino, che dopo avermi consigliato di non oppormi ai Vollaro si offre di prestarmi i soldi a tassi fino al 300%». Il gioco si fa duro, Luigi Orsini prova a giocare ma è stretto tra estorsori e usurai, le forze svaniscono rapidamente con il patrimonio. Prima che decida di rivolgersi alla Procura di Nola passano 12 anni durante i quali, incalzato dalla rate, cede una dopo l’altra tutte le attività, licenzia i 19 dipendenti, con la pistola puntata firma finti atti di trasferimento di proprietà delle ville di Ercolano, Diamante e Roccaraso: «Impossibile opporsi. Un pomeriggio dopo che avevano minacciato mio figlio all’uscita da scuola mi portano a casa del boss Vollaro, un tipo con la vestaglia di seta e i capelli impomatati. Ho preso schiaffi, pugni, sono stato gettato dalle scale, nel 2001 ho avuto un infarto e oggi ho 3 bypass. Pensavo che denunciando, come mi incoraggiava a fare lo Stato, sarei riemerso, invece sono solo».

La legge segue il suo corso. Intanto le banche chiudono i conti degli Orsini, i fornitori ricorrono al pignoramento, il listino dell’asta fallimentare svende negozi e case compresa l’ultima - la villa adorna di sfacciatamente rigogliosa bouganville dove abitano mamma, papà, l’unico figlio prossimo alla laurea in Economia con le tasse universitarie pagate dal sindaco Giuseppe Capasso e due gatti macilenti - venduta il 13 ottobre scorso nonostante, grazie all’associazione antiracket di Portici, la Prefettura avesse avviato la procedura di sospensione del sequestro prevista dalla legge 44. Causa burocrazia, l’ok arriva il 25 novembre: troppo tardi per il giudice che, a discrezione, ordina agli ufficiali giudiziari di procedere. Fosse vissuto a Londra, meno di tre ore d’aereo a nord della stessa Europa, sarebbe bastato che Luigi Ursini dichiarasse bancarotta per lasciarsi i creditori alle spalle e ripartire. Qui gli resta solo di raccomandarsi al Paternostro che sta nei cieli perché gli rimetta i suoi debiti. Almeno lui. Luigi stringe a se la moglie che una volta a settimana accompagna le vecchine in chiesa per 5 euro l’ora: «Se un imprenditore sbaglia investimento è colpa sua, ma quando cade perché la criminalità controlla il territorio al posto dello Stato è diverso. Avrei voluto poter lavorare come fossi nato a Bergamo o a Torino». Ma è nato sotto il Vesuvio e , giura, ci resterà: «Con gli ultimi soldi ho comprato due taniche di benzina, se siamo condannati a morte, facciamo da soli».

2 commenti:

  1. a serve denunciare se poi ti finisce una mano davanti e una dietro e poi anche morto ammazzato
    lo stato se ne fotte siete stupidi in sicilia si una dire chi sta spranza dandri pignata u ni mitti.

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  2. VI CAPISCO SONO NELLA STESSA SITUAZIONE , FORSE NON COME VOI PERCHE' NON HO MAI CHIESTO SOLDI A STROZZINI ECC ECC MA SOLO ALLE BANCHE E A QUALCHE AMICO CHE POI TALE NON SI E RIVELATO MA VI CAPISCO IL MONDO DIVENTA NERO E LA MORTE SI ATTANAGLIA DENTRO PERCHE SI VEDE SOLO LA FINE

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