domenica 29 agosto 2010

La Ue e «l'ergastolo ingiusto per Setola»


La Ue e «l'ergastolo ingiusto per Setola»
Il capo della Polizia: si difenda in Italia
Saviano: serve legge antimafia europea


di Leandro Del Gaudio

NAPOLI (29 agosto) - Sul ricorso alla Corte europea di Setola si muovono due protagonisti della lotta alla mafia in Italia. In campo, il capo della polizia Antonio Manganelli, uno degli autori del cosiddetto modello Caserta - guerra alla camorra senza soluzione di continuità - e lo scrittore Roberto Saviano, che con il suo «Gomorra» ha il merito di attirare i riflettori sui crimini dei casalesi.

Espressioni differenti, linguaggio diverso, ma contenuti che viaggiano in parallelo: in Italia tutti i cittadini sono garantiti dinanzi alla legge - fa capire Manganelli -, anche chi è accusato di stragi e decine di omicidi.

Se ci sono elementi nuovi da portare in un processo - è il ragionamento del numero uno della polizia -, saranno valutati dall’ordinamento giuridico nazionale e dalle convenzioni internazionali recepite nel nostro paese, ci sarà un nuovo processo e una nuova valutazione. Niente sconti, né verdetti a buon mercato, dunque. Chiara anche la posizione del giornalista scrittore, che chiede dal canto suo sensibilità comune nella lotta alla mafia. Un terreno comunitario fondato sugli stessi cardini giuridici ma anche sulla condivisione delle stesse emergenze.

Per Saviano, il ricorso svolto da Setola contro la giustizia italiana deve far riflettere, deve spingere a ragionare: «Le mafie usano da anni le contraddizioni e i cavilli del diritto europeo per avere vantaggi anche sul piano economico. Basti pensare che in Europa quasi nessuno Stato ha il reato di associazione mafiosa. È il tempo di una giurisprudenza antimafia condivisa altrimenti l’Europa rischia di diventare un’occasione di banchetto per le mafie».

Setola contro l’Italia, il caso resta aperto. Dopo aver incassato una condanna all’ergastolo in via definitiva, Setola sostiene di essere vittima di pregiudizi, tanto da ritenere «aberrante» la sentenza che lo inchioda al primo ergastolo definitivo della sua carriera di detenuto. A cosa punta Setola? Indagato per ben 18 omicidi, perché si affida ai lontani giudici di Strasburgo? Per lanciare messaggi ai suoi - come ipotizza il pm anticamorra Antonello Ardituro - o perché realmente convinto di aver subito un torto?

Spiega al Mattino il capo della polizia Manganelli: «Io credo che al pregiudicato Giuseppe Setola, come a qualsiasi altro cittadino, vadano riconosciuti tutti i diritti previsti dall’ordinamento giuridico nazionale e dalle convenzioni internazionali recepite dal nostro Paese. Per quanto riguarda il caso specifico, peraltro, va sottolineato che il suo ricorso è stato soltanto ricevuto, non anche accolto, dalla Giustizia Europea e che l’approfondimento di una vicenda processuale italiana in un consesso di esperti di tutti i Paesi dell’Unione è comunque un fatto di civiltà giuridica».

Il capo della polizia Manganelli aggiunge: «Nel nostro Paese le sentenze passano in giudicato dopo ben tre gradi di giudizio, che danno le necessarie garanzie all’imputato e a chi lo accusa; le valutazioni della Giustizia Europea difformi dalla sentenza italiana comunque non la modificano; anche dopo la sentenza definitiva che ha stabilito la colpevolezza di un imputato, il nostro ordinamento, di fronte ad elementi nuovi che vengano da lui portati per dimostrare la propria innocenza, prevede che il processo possa essere riaperto. Credo, quindi, che gli imputati abbiano sufficienti garanzie nel nostro sistema, anche quelli che hanno seminato sangue e terrore nella terra dove vivono i veri Casalesi.

Già, perché per Casalesi si devono intendere gli abitanti di una bella cittadina del Casertano, persone oneste e giovani straordinari, da anni assai sensibili ai temi della giustizia e della legalità e non certo i delinquenti parassiti che ne hanno sporcato l’immagine». Chiaro il ragionamento: fare ricorso è un diritto di ogni cittadino, ma in Italia e in Europa i delitti non sempre restano impuniti.

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