giovedì 30 settembre 2010

Omicidio a Siracusa

Prima di spirare la vittima ha fatto i nomi dei due autori del mortale agguato

Risolto in tempo record il giallo dell'agguato mortale ai danni di Vito Grassi, 26 anni, centrato da non meno di otto colpi di pistola nella zona di Mazzarrona. Gli agenti della Squadra Mobile hanno arrestato con l'accusa di omicidio volontario Gaetano Urso, detto 'U Connu, già noto alle forze dell'ordine per avere nel lontano 2002 attentato alla vita di Luigi Perez, che intratteneva una relazione sentimentale con sua madre, e un minorenne. Gli arresti di Urso e del minorenne sono stati convalidati dal Pubblico Ministero Marco Bisogni, che ha disposto l'accmpqgnamento del primo al carcere di Cavadonna e del secondo presso il centro di prima accoglienza del complesso carcerario di Bicocca, a Catania. Secondo quanto è dato sapere per l'individuazione dei killer determnante è risultata la collaborazione della vittima. Grassi, durante un momento di lucidità, avrebbe riferito agli agenti della Squadra Mobile i nomi delle due persone che gli avevano teso l'agguato, specificando anche il mezzo su cui viaggiavano, parlando asseritamente di uno scooter «Chiocciola». Con quelle inidicazioni, provenienti da una persona che era ben cosciente di essere sul punto di morte, i poliziotti si sono messi immediatamente alla ricerca dei due killer e li hanno scovati nelle rispettive abitazioni poco dopo le 3,30. Urso e il minore sono stati trattenuti negli uffici della Questura fino alle 13, ora in cui gli investigatori hanno sciolto le loro riserve sul loro conto e li hanno ufficialmente incriminati per l'omicidio volontario di Vito Grassi. Secondo quanto è dato sapere a determinare l'arresto di Urso e del minore sarebbero stati sia i risultati del guanto di paraffina sia la incongruenze emerse riguardo agli accertamenti effettuati sull'alibi fornito dai due sospetti.


Urso e il minorenne sono stati prelevati dalle rispettive abitazioni a distanza di due ore e mezza dall'agguato, verificatosi intorno all'una e mezza al Largo Luciano Russo, nella zona della Mazzarrona, e a cinque minuti di distanza dal decesso del povero Vito Grassi, che è spirato intorno alle 3,30.

Dei due arrestati dalla Polizia di Stato, il più conosciuto dalle forze dell'ordine è sicuramente Tano Urso, che balzò agli onori della cronaca nera quando era ancora un ragazzo per avere impugnato un fucile e attentato alla vita dell'uomo che stava disonorando suo padre, all'epoca detenuto, intrattenendo una relazione sentimentale con sua madre. Per quel tentato omicidio del panificatore Luigi Perez, Tano Urso, difeso dall'avvocato Matilde Lipri, venne condannato a otto anni di reclusione, ma ne ha scontato soltanto 4 anni e mezzo perchè ha conseguito i benefici di legge dovuti all'indulto e alla liberazione anticipata.

lo scenario
 
Gli inquirenti lo ritenevano un componente del clan mafioso «Bottaro-Attanasio», ma Vito Grassi, 26 anni, dall'unica operazione antimafia in cui era stato coinvolto, quella denominata «Game Over», era uscito a testa alta. In carcere era infatti rimasto per pochissimo tempo, meno di quindici giorni. Il suo fermo, disposto dai magistrati della Procura distrettuale antimafia di Catania, era stato convalidato dal Gip del Tribunale di Siracusa, ma, successivamente, era stato annullato dal Gip del Tribunale etneo, cui erano stati trasmessi gli atti per competenza territoriale. Il Gip etneo, infatti, a tutti gli altri componenti del clan mafioso «Bottaro-Attanasio» ha convalidato il fermo giudiziario, disponendo a loro carico la misura della custodia in carcere, mentre per Vito Grassi, in mancanza di elementi di reità, ha emesso un provvedimento di immediata scarcerazione. E lui, una volta tornato in libertà, ha coronato il suo sogno d'amore, andando a convivere con la ragazza da cui stava per avere una creatura che, lui, purtroppo,.non conoscerà mai. La sua giovane vita è stata spezzata da due killer che gli hanno teso l'agguato sotto casa in Largo Luciano Russo, nel quartiere nuovo della Mazzarrona.

Perchè Tano Urso, detto 'U Connu, e il baby killer hanno ucciso Vito Grassi? Difficile poterlo dire. Sicuramente non per contrasti scaturiti dalle simpatie nutrite dai tre antagonisti con le due contrapposte bande mafiose. Viceversa, pare assai probabile per contrasti sorti per motivi connessi allo spaccio delle sostanze stupefacenti. Non si può, infatti, escludere che sia Vito Grassi, per la sua frequentazione con Giovanni Poliseno e Gabriele Scarrozza, detto 'U Topu, che come appartenenti al clan mafioso «Bottaro-Attanasio» si dedicavano allo spaccio degli stupefacenti, sia Tano Urso, per la sua appartenenza ad un nucleo familiare i cui componenti sono stati coinvolti in operazioni antidroga, possano aver «ereditato» la clientela di amici e parenti e si siano buttati a capofitto nel losco «affaire», finendo con il pestarsi reciprocamente i piedi. Divenendo nemici, a spuntarla è stato quello che già aveva esperienza in agguati omicidiari. Ovvero Tano Urso, 'u Connu.

Cuffaro alla sbarra: "Ripeto, la mafia fa schifo"

Cuffaro alla sbarra: "Ripeto, la mafia fa schifo"

Dichiarazioni spontanee dell'ex governatore siciliano davanti al gup di Palermo per il processo nel quale è accusato di concorso in associazione mafiosa


PALERMO. E' cominciato, davanti al gup di Palermo, Vittorio Anania, il processo all'ex governatore siciliano Salvatore Cuffaro, accusato di concorso in associazione mafiosa. Oggi iniziano le arringhe dei legali dell'imputato, gli avvocati Nino Caleca, Nino Mormino e Oreste Dominioni.
Il processo si celebra in abbreviato. L'ex presidente della Regione, già condannato per favoreggiamento aggravato alla mafia, è accusato di essere stato a disposizione delle cosche durante tutta la sua attività politica.
"Non mi sono mai sottratto al processo, cosa che dimostra il mio grandissimo rispetto nei
confronti della magistratura. E torno a dire che la mafia è un fenomeno schifoso. Anche se pure questo mi e' stato contestato, in passato". Ha esordito così Cuffaro, nel rendere dichiarazioni spontanee. "Il mio rispetto per la magistratura -ha proseguito- non e' venuto meno neppure quando le indagini hanno avuto riflessi su mia moglie e su mio

padre, di 89 anni, totalmente estranei alle mie vicende”.

Rinviato a lunedì l’interrogatorio di Cimino

L’ex assessore regionale sarà sentito dal pm della Dda Fernando Asaro e dall'aggiunto Vittorio Teresi. È accusato da diversi pentiti di aver fatto aggiudicare appalti a imprese in odor di mafia


PALERMO. E' stato rinviato a lunedì alle 9.30, al palazzo di giustizia di Palermo, l'interrogatorio, inizialmente fissato a oggi, dell'ex vicepresidente della Regione Michele Cimino, indagato per concorso in associazione mafiosa. L'esponente del Pdl Sicilia sarà sentito dal pm della Dda Fernando Asaro e dall'aggiunto Vittorio Teresi. Il politico è accusato da diversi pentiti di aver fatto aggiudicare appalti a imprese in odor di mafia. L'interrogatorio è stato spostato per impegni del legale del politico, l'avvocato Nino Caleca.

Falsone, il Riesame annulla in parte l’ordinanza di arresto
 
Il tribunale ha ritenuto insussistenti i gravi indizi di colpevolezza sull'accusa di essere socio occulto in tre aziende agrigentine


AGRIGENTO. Il tribunale del Riesame di Palermo ha parzialmente annullato l'ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti dell'ex capo mafia di Agrigento Giuseppe Falsone.

Accogliendo la richiesta avanzata dal legale dell'ex boss agrigentino, l'avvocato Giovanni Castronovo, il tribunale ha ritenuto insussistenti i gravi indizi di colpevolezza sull'accusa di essere socio occulto in tre aziende di trasformazione e confezionamento di frutta e verdura che operano fra Campobello di Licata e Canicattì.

Coltivano marijuana coperti da calzamaglie: famiglia in cella a Riesi
 
Arrestati dai carabinieri Giuseppe Giaquinta, 48 anni, il figlio Angelo, di 22, e il cugino di quest'ultimo Rosario, 23 anni. Sequestrati 1.400 arbusti


RIESI. Coltivavano una piantagione di marijuana, con 1.400 arbusti, coprendosi il volto con calzamaglie per non essere identificati.

Un escamotage che non ha evitato a tre persone, imparentate tra loro, di essere scoperte e arrestate da carabinieri del reparto territoriale di Gela. Sono Giuseppe Giaquinta, 48 anni, suo figlio Angelo, di 22, e un cugino di quest'ultimo, Rosario Giaquinta, di 23 anni.

Per evitare 'sorprese' i tre coltivavano la piantagione, allestita nelle campagne di Riesi, di notte e si servivano di un impianto di videocamere per controllare la crescita delle piante e l'eventuale arrivo di 'intrusi'. Carabinieri della stazione di Riesi e del comando territoriale di Gela sono entrati in azione nella notte e hanno sorpreso i tre che, con il volto coperto da calzamaglie, stavano tagliando gli arbusti ormai maturi per metterli ad essiccare. Secondo gli investigatori la marijuana, una volta immessa nel mercato dello spaccio di droga, avrebbe avuto un valore complessivo di circa un milione di euro.

Le indagini dei militari dell'Arma sono state coordinate dal sostituto procuratore di Caltanissetta Edoardo De Santis che ha disposto il trasferimento in carcere dei tre arrestati.

Bomba al pg di Reggio, quattro arresti

Bomba al pg di Reggio, quattro arresti

Maxi operazione contro la cosca Serraino: in manette 22 persone

REGGIO CALABRIA

Sono stati arrestati i presunti esecutori e mandanti delle intimidazioni al Procuratore Generale di Reggio Calabria. Il movente dell’attentato fatto il 3 gennaio scorso contro la sede della Procura generale sarebbe stato legato ai contrasti interni all’ufficio . Dall’inchiesta condotta dalla Procura della Repubblica di Catanzaro è emerso, infatti, che l’attentato sarebbe da ricondurre ad una reazione della cosca "Serraino" dopo che il procuratore generale Salvatore Di Landro, poco dopo il suo insediamento, avvenuto nel novembre del 2009, aveva deciso di revocare alcuni fascicoli processuali al sostituto Francesco Neri.

Nel corso delle prime ore dell’alba, i carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria unitamente a quelli del Ros della città dello stretto hanno eseguito 22 arresti su ordine del Gip del Tribunale di Reggio Calabria, nei confronti di altrettante persone appartenenti alla cosca «Serraino» egemone nella città di Reggio Calabria.

L’accusa per tutti è: associazione di tipo mafioso, estorsione aggravata, danneggiamento e minaccia aggravata, porto e detenzione abusiva di armi, intestazione fittizia di beni e oltraggio. Nel corso dell’operazione sono stati sequestrati beni mobili, immobili ed attività commerciali, per un valore di oltre 1.500.000. euro, oltre a perquisizione personali e domiciliari. Nel corso dell’ operazione Epilogo, dei carabinieri di Reggio Calabria i carabinieri del comando provinciale di Reggio Calabria per delega della Procura della Repubblica di Catanzaro,hanno notificato a quattro degli indagati arrestati, appartenenti alla cosca Serraino , nell’ambito del procedimento penale sull’attentato dinamitardo perpetrato il 3 gennaio scorso in danno della Procura Generale di Reggio Calabria , un’informazione di garanzia poiché indagati di aver organizzato ed eseguito il grave fatto delittuoso.

Inoltre la Procura di Catanzaro ha disposto dieci decreti di perquisizione domiciliari e locali, nei confronti dei predetti quattro indagati ed altri appartenenti allo stesso sodalizio, finalizzati all’assicurazione di fonti di prova per lo stesso delitto. L’indagine ha consentito di individuare una componente organica della cosca Serraino, operante nel quartiere San Sperato di Reggio Calabria e nel comune di Cardeto, centro montano alla periferia ovest di Reggio Calabria, di definirne gli interessi criminali e di far luce su alcuni fatti delittuosi perpetrati sul territorio. Sono state individuate le responsabilità per il danneggiamento, perpetrato il 5 febbraio 2010, in danno del giornalista Antonino Monteleone, a cui ignoti avevano incendiato l’automobile.

Delitto a Siracusa, il sicario ha 17 anni

Delitto a Siracusa, il sicario ha 17 anni
SIRACUSA - È stato un diciassettenne a ferire mortalmente con colpi di pistola Vito Grassi, 26 anni, assassinato la notte tra il 28 e il 29 settembre scorsi nei pressi dell'abitazione della vittima, nel rione Mazzarrona. È la ricostruzione fornita dalla polizia che ritiene il minorenne l'esecutore materiale del delitto. Il diciassettenne avrebbe agito assieme ad un complice maggiorenne, Gaetano Urso, 26 anni, anche lui arrestato. I due sono accusati di omicidio volontario con l'aggravante del fatto di mafia.



L'agguato, secondo quanto si à appreso, sarebbe maturato nell'ambito di una faida all'interno della stessa cosca mafiosa, quella del clan Attanasio. Grassi è morto ieri dopo essere stato sottoposto a un delicato intervento chirurgico all'ospedale Umberto. Le indagini sono state eseguite dalla Squadra mobile di Siracusa, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia e dalla Procura per i minorenni di Catania.

La svolta nelle indagini è venuta dalle informazioni fornite da un localizzatore satellitare gps che era stato installato sulla moto di Urso nell'ambito di un'altra indagine coordinata dalla Procura distrettuale antimafia di Catania su alcuni danneggiamenti di esercizi commerciali a Siracusa. Leggendo quelle informazioni gli investigatori della Mobile hanno potuto accertare che la moto di Urso, una Honda Sh, era in via Luigi Cassia sul luogo del ferimento mortale nel momento in cui si verificava l'agguato, e che nei giorni precedenti altre volte era stata localizzata in quello stesso posto, probabilmente per una ricognizione in vista dell'agguato.

Gli investigatori hanno anche recuperato l'arma del delitto, una pistola semiautomatica Browning, calibro 22, che era stata rubata. Le tracce del localizzatore satellitare hanno infatti consentito di giungere fino a un'abitazione diroccata di Ortigia, nel centro storico di Siracusa, dov'è stata trovata nascosta l'arma. Nascosti all'interno di un televisore, sono stati trovati un passamontagna e delle pallottole.

"È una risposta immediata, un'operazione che fa giustizia e rende più sicura la città", afferma il questore di Siracusa, Domenico Percolla. "Non abbiamo avuto indicazioni - sottolinea il questore - ma l'identificazione dei due sospettati è arrivata soltanto grazie a una operazione di investigazione pura attuata con perizia e altissima professionalità dalla Squadra mobile di Siracusa.

La risposta al delitto è stata immediata da parte della polizia di Stato che ha uomini in grado di intervenire prontamente con altissima professionalità e grandissima passione e impegno per il proprio lavoro".

Omicidio a Siracusa, due arresti

Svolta nelle indagini sull’assassinio di Vito Grassi. Polizia in azione nella notte: in manette anche un minorenne

SIRACUSA. La squadra mobile di Siracusa ha arrestato la notte scorsa due persone, compreso un minorenne, con l'accusa di aver avuto un ruolo nell'omicidio di Vito Grassi, il ventiseienne indicato come affiliato al clan Attanasio di Siracusa, assassinato ieri in un agguato nel popoloso rione di Mazzarona. Le indagini della polizia della questura di Siracusa sono state coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura di Catania. I particolari sull'operazione saranno resi noti in un incontro con la stampa che si terrà alle 11 in Questura a Siracusa.

mercoledì 29 settembre 2010

«Salvatore Giuliano era vivo e Padre Pio sapeva del sosia»





Dopo sessant’anni, il mito di «Turiddu», Salvatore Giuliano, torna a calamitare l’attenzione di storici, ricercatori e giornalisti. Si discute, infatti, se il corpo crivellato di corpi la notte tra il 4 e il 5 luglio 1950 e fatto trovare a Castelvetrano, nel cortile dell’abitazione dell’avvocato De Maria sia stato davvero quello del «re di Montelepre» come i giornali avevano preso a chiamare Salvatore Giuliano il più noto bandito d’Italia accusato di aver eseguito, insieme agli uomini della sua banda, la strage («la prima strage di Stato», si dirà in seguito) di Portella della Ginestra, avvenuta il 1maggio del ’47.


Due accreditati studiosi come Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino, che da anni si occupano di rapporti tra mafia e politica hanno consultato migliaia di documenti desecretati negli archivi americani e londinesi e sono giunti alla conclusione che il corpo senza vita fatto trovare nel cortile De Maria non era quello di Salvatore Giuliano, ma di un suo sosia. Una messinscena per «proteggere » l’espatrio clandestino di Turiddu negli Usa per evitare che in Italia potesse svelare segreti inconfessabili sugli apparati statali.

E non deve trattarsi di una semplice ipotesi di studio, quella di Casarrubea e Cereghino, visto che la stessa Procura di Palermo ha aperto un apposito fascicolo a seguito di una formale segnalazione fatta dai due al questore palermitano e poi giunta nelle mani del procuratore aggiunto, Antonio Ingroia, il dinamico magistrato che si occupa di scottanti inchieste sulla mafia.

La polizia scientifica sta quindi lavorando su alcune foto che, dieci anni, fa sono state rinvenute in un archivio privato dal giornalista della Rai Franco Cuozzo. Quelle foto ritraggono il cadavere del bandito di Montelepre nel cortile di de Maria e poi quando viene portato all’obitorio. Tra quelle immagini ci sarebbero delle discrepanze; le stesse sulle quali sta lavorando il prof. Alberto Bellocco, docente di Medicina legale alla Cattolica di Milano, che è stato già sentito dai magistrati. Gli stessi magistrati che, se potessero, ascolterebbero, come persona informata dei fatti, nientemeno che Padre Pio.

Il santo del Gargano, infatti – come certificò per prima la «Gazzetta del Mezzzogiorno» attraverso testimonianze dirette e contenute nello «speciale» sui trent’anni dalla morte del Frate stigmatizzato, pubblicato il 23 settembre 1998, pag.13 – senza mezzi termini aveva parlato di un sosia, «un povero figlio di mamma» fatto morire al posto del bandito siciliano.

Il quale Turiddu, secondo i ricercatori Casarrubea e Cereghino, essendo organico alla destra in funzione anticomunista s’incontrava spesso a Roma con il principe Junio Valerio Borghese, capo della Decima Mas. Pasquale Sciortino, cognato d Giuliano, in un libro del 1985, rivela che un giovane di Altofonte, sosia di Giuliano, veniva pagato per farsi vedere in giro e confondere le acque. Ed è lo stesso che è ritratto in una foto a fianco a Junio Valerio Borghese e davanti a Mauro De Mauro, il giornalista foggiano che, quando lavorava a «L’Ora» di Palermo, fu rapito e ucciso il 16 settembre del 1970 (per quei fatti è in corso a Palermo il processo contro un unico imputato: Totò Riina).

Ma torniamo a Padre Pio. E’ ancora vivente un testimone di quei giorni. Si chiama Giovanni Siena, scrittore e giornalista. Le sue parole sono inequivocabili: «Per una ventina di volte mi sono trovato davanti alla scena, diciamo, in un salottino del convento, e Padre Pio, ogni volta che individuava fra i presenti un siciliano, un palermitano, gli poneva la questione: se lui era dell’avviso, secondo quanto pubblicato dai giornali, che Giuliano era morto. E quelli rispondevano: “Ma sì, è tanto evidente. L’abbiamo crivellato di colpi, sul catafalco, la mamma che piangeva disperatamente sul figlio morto”. Ma Padre Pio si burlava di questa versione facendo capire che sotto c’era una cosa losca, una messa in scena. Quella della cattura e dell’uccisione di Giuliano, diceva, era una messa in scena che era costata la vita a un povero innocente che gli somigliava. Salvatore Giuliano non è morto, aggiungeva. Lui ora se ne sta in America».

Evidentemente, la «santa arrabbiatura » del Frate dovette giungere in alcune stanze della Capitale, e l’allora ministro Mario Scelba giunse a San Giovanni Rotondo, voleva parlare col Frate. «Padre Pio – spiega Siena – non volle riceverlo. Si diede malato». Anche Mariannina, la sorella di Giuliano, confidandosi con Padre Pellegrino, il Cappuccino che assistette in punto di morte il Frate stigmatizzato, disse che suo fratello si trovava in America: «Gli è stato detto di tacere, altrimenti a tanti troppi pezzi grossi potrebbe nuocere».

Per un momento, quindi, la vita di un santo si è incrociata con quella di un fuorilegge, fino al punto che – come rivelò Padre Pio allo scrittore Pier Carpi – lo stesso Turiddu scrisse una lettera al Frate offrendogli l’incarico di cappellano della propria banda. E non era certo un sosia quello che, travestito da Cappuccino, giunse a San Giovani Rotondo. Era Turiddu. Possibile? «Di questo, in famiglia se ne parlava spesso», sostiene Giuseppe Sciortino Giuliano, nipote del bandito che a Montelepre gestisce l’albergo-ristorante dal nome «Giuliano’s castle».

di LELLO VECCHIARINO

Vice Capitaneria Barletta arrestato perché teneva per sè i beni sequestrati

Vice Capitaneria Barletta arrestato perché teneva per sè i beni sequestrati

BARLETTA – E' accusato di essersi appropriato per almeno cinque-sei anni i beni sequestrati dall’ufficio circondariale marittimo a Barletta, dove era nostromo, vice comandante del porto: per questo, con l’accusa di peculato, è finito in manette Savino Di Feo, 58 anni, di Margherita di Savoia (Barletta-Andria-Trani). Le indagini, dirette dal pm della procura di Trani Ettore Cardinali, sono partite dalla denuncia di alcuni colleghi e sottoposti di Di Feo.

Di Feo, inoltre, era responsabile degli accessi al porto dei custodi e dell’organizzazione del lavoro e anche della distribuzione dei pass: così, secondo l’accusa, riusciva a gestire i suoi interessi. «Io sono l’oste e questa è la mia osteria»: così – a quanto è stato reso noto in procura – il nostromo rispondeva a chi gli chiedeva che fine avessero fatto oggetti, strumenti per la pesca, reti e tutto quanto sequestrato sulle imbarcazioni o a pescatori che agivano in maniera irregolare.

E quando gli si chiedeva che fine avessero fatto reti o altro, secondo gli investigatori, qualcosa tornava al suo posto ma non i pezzi originali: se, per esempio, si trattava di reti, quelle sequestrate venivano sostituite con altre usurate e vecchie.

Per accertare i reati che sarebbero stati compiuti da Di Feo, gli investigatori – le indagini sono state compiute da personale delle capitanerie di Barletta e di Bari – hanno compiuto servizi di appostamento per accertarsi di quanto accadeva, a uno dei quali – a quanto è stato reso noto – ha partecipato anche il pm.

«Ricostituita la Scu» I «Ros» in azione tra Puglia e Albania Preso boss Prudentino

«Ricostituita la Scu» I «Ros» in azione tra Puglia e Albania Preso boss Prudentino

ROMA - I carabinieri stanno eseguendo nella provincia di Brindisi e in Albania, un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa su richiesta della procura distrettuale antimafia di Lecce, nei confronti di 11 indagati, per associazione mafiosa, estorsioni aggravate dal metodo mafioso e associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.

Al centro delle indagini condotte dal Ros, le molteplici attività criminali dei clan della Sacra Corona Unita operanti a Mesagne e in altri comuni brindisini, dal controllo del locale mercato della droga, ad una diffusa attività estorsiva, ai remunerativi interessi nel gioco lecito.

Gli arrestati avevano ricostituito la struttura di vertice della Sacra Corona Unita fondata da Giuseppe Rogoli, al quale continuavano a far riferimento.

Nel corso dell'operazione è stato arrestato Albino Prudentino, esponente della Sacra Corona Unita: viveva e lavorava da anni in Albania.

Su richiesta della procura distrettuale antimafia di Lecce, era stata emessa un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, nei confronti di 11 indagati, per associazione mafiosa, estorsioni aggravate dal metodo mafioso e associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti.

L'arresto di Prudentino a Valona è stato reso possibile grazie alla collaborazione con le autorità albanesi. Per la sua cattura infatti sono stati impegnati, oltre alla Procura e alla polizia, anche i servizi segreti albanesi. Prudentino, secondo fonti di polizia contattate dall’Ansa, gestiva in Albania un attività commerciale, legata ai giochi d’azzardo. L’esponente della Sacra Corona Unita, era proprietario di due sale giochi: una a Tirana ed una a Valona.

«Grazie alle donne e agli uomini della Polizia che ogni giorno garantiscono la nostra sicurezza»

«Grazie alle donne e agli uomini della Polizia che ogni giorno garantiscono la nostra sicurezza»

È il messaggio rivolto dal ministro Maroni a tutti i poliziotti durante l'ultima giornata di manifestazioni in onore del patrono della Polizia San Michele Arcangelo, a Lecce. Gran finale con la consegna del Premio intitolato al santo

Un grazie personale del ministro dell'Interno rivolto anche a nome del Governo e di tutti i cittadini «alle donne e agli uomini della Polizia e delle Forze dell'ordine che quotidianamente garantiscono sulle strade d'italia la nostra sicurezza. Un lavoro difficile che richiede impegno e dedizione, una missione vera e propria di cui siamo assolutamente riconoscenti».

Nelle parole del ministro Maroni, pronunciate ieri a Lecce durante la giornata conclusiva dei festeggiamenti in onore del patrono della Polizia San Michele Arcangelo, c'è anche la soddisfazione per quello che Polizia e magistratura insieme hanno fatto e stanno facendo nella lotta alla criminalità organizzata, che ha portato come risultato più recente la cattura del latitante Franco Li Bergolis, frutto del lavoro di un gruppo investigativo specializzato.

Maroni, insieme al capo della Polizia Antonio Manganelli e ai sottosegretari all'Interno Alfredo Mantovano e Michelino Davico ha passato il pomeriggio nel capoluogo salentino per partecipare ai due momenti clou delle manifestazioni celebrative, la Messa celebrata alle 18 nella cattedrale dall'arcivescovo metropolita Domenico D'Ambrosio e, più tardi, alle 21, la consegna del Premio San Michele Arcangelo nel corso di uno spettacolo al Politeama Greco, che sarà trasmesso in differita sabato 2 ottobre alle 10.30 su Rai Uno.

Il premio, alla sua seconda edizione, è stato dedicato dal capo della Polizia ai due poliziotti che hanno perso la vita in servizio la settimana scorsa a Bitonto (Bari) in un incidente stradale. È assegnato a chi nella sua professione si è distinto per solidarietà e rispetto della legalità, ed è andato quest'anno ai poliziotti autori del libro 'Parole d'anima in divisa', a Luciana Canonico, giovane pianista non vedente di Benevento, e all'anchorman Pippo Baudo.

Le manifestazioni del 26 settembre

Le manifestazioni per San Michele Arcangelo si erano aperte domenica 26 con una giornata full immersion nella quale poliziotti e cittadini si sono mescolati in piazza Sant'Oronzo all'insegna dello slogan 'C'è più sicurezza insieme', simbolo e spiegazione del modello di sicurezza partecipata che si declina anche con queste iniziative di incontro. In piazza, stand informativi, simulazioni di interventi, esibizioni delle unità cinofile e di reparti a cavallo e iniziative dedicate ai bambini come il Pullmann azzurro, con a bordo videogiochi che ricreano la guida di un veicolo per imparare, giocando, a guidare in sicurezza nel rispetto delle regole. A fine giornata, la Banda musicale della Polizia di Stato si è esibita nel suggestivo anfiteatro romano della città.

Nel resto d'Italia, in occasione della festa del patrono dei poliziotti, tutte le questure hanno aperto le porte alle famiglie per far conoscere il proprio lavoro quotidiano durante il cosiddetto Family day che da 5 anni, con tante iniziative diverse da questura a questura, accompagna questa ricorrenza.

'Ndrangheta. Mantovano: «I clan non devono più profanare Polsi»

'Ndrangheta. Mantovano: «I clan non devono più profanare Polsi»

Il sottosegretario alla Giustizia, Alfredo Mantovano, presente a Polsi alla cerimonia in onore di San Michele Arcangelo, ha rimarcato come «i clan non devono più profanare il santuario di Polsi»

29/09/2010 «Deve finire da parte della 'ndrangheta la profanazione di questi territori». Lo ha detto questa mattina il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano partecipando a Polsi, nel santuario della Madonna della Montagna, alla cerimonia in onore di san Michele Arcangelo, Patrono della polizia. La cerimonia quest’anno si è svolta nel cuore dell’Aspromonte, in territorio di San Luca, per iniziativa del questore di Reggio Calabria Carmelo Casabona. «Questa iniziativa – ha sottolineato Mantovano – è la conferma di quanto il Governo stia facendo per la legalità, pre condizione per qualsiasi ipotesi di sviluppo. La scommessa è alta e per vincerla lo Stato utilizzerà al massimo i beni confiscati che rappresentano un momento particolare per sconfiggere la mafia». Il luogo di culto mariano, che annualmente produce un grande momento di fede e di aggregazione socio – religiosa, è anche caro ai vertici della cosce della 'ndrangheta che, nel segno della tradizione ereditata dalla vecchia «onorata società», nel mese di settembre – come evidenziano le cronache giudiziarie – si riuniscono nella zona per assumere decisioni e tracciare le strategie da portare avanti nell’esclusivo interesse delle singole 'ndrine e della holding mafiosa. Da Polsi è partito un messaggio da parte dello Stato democratico che, come ha evidenziato il questore Carmelo Casabona «è rivolto soprattutto ai giovani che vogliono avviare una vita nuova. Siamo qui, assieme alla Chiesa, per fare quadrato attorno a questo luogo sacro che tale dovrà rimanere». Il vescovo di Locri, Giuseppe Fiorini Morosini, che ha officiato il rito religioso, parlando di S. Michele Arcangelo ha evidenziato quanto sia importante nell’uomo la presenza di valori per il «primato del bene e della lealtà nei confronti delle istituzioni che tale bene promuovono. Una verità, questa, radicalmente contraria a chi giura su questa immagine nei riti di iniziazione di alcune associazioni criminali». Il vescovo ha poi concluso sostenendo che non bloccherà l’attività religiosa di Polsi «per paura che qui avvengono tali incontri o per protestare contro di essi». Mons. Morosini ha ribadito senza mezzi termini che non impronterà «la condanna del crimine allo stile delle piazze e spesso dei media». Alla festa di San Michele Arcangelo hanno preso parte sindaci, amministratori locali, rappresentanti del mondo

Mafia, giovane ucciso in agguato nel Siracusano

Mafia, giovane ucciso in agguato nel Siracusano

La vittima è Vito Grassi, di 26 anni, ritenuto dagli investigatori affiliato al clan mafioso Attanasio

SIRACUSA. Un giovane, Vito Grassi, di 26 anni, ritenuto dagli investigatori affiliato al clan mafioso Attanasio, è morto a causa delle ferite riportate in un agguato avvenuto la notte scorsa in Largo Luciano Russo, nel popoloso rione di Mazzarrona, alla periferia di Siracusa.


Secondo una prima ricostruzione un sicario lo ha avvicinato mentre stava rientrando nella sua abitazione, sparandogli diversi colpi di pistola calibro 22, lo stesso tipo di arma utilizzata negli ultimi mesi in altri fatti di sangue avvenuti nel siracusano.

Il giovane è stato trasportato nell'ospedale Umberto I di Siracusa, dove è morto dopo essere stato sottoposto a un intervento chirurgico. Vito Grassi era stato arrestato il 15 maggio del 2008 nell'operazione "Game Over".

Sono stati almeno 6 i colpi andati a bersaglio, due alle braccia e quattro al dorso, che hanno portato alla morte Vito Grassi. Questo è quanto emerso dalla prima ricognizione cadaverica esterna. Per l'autopsia occorrerà ancora qualche giorno: l'indagine, infatti, avviata dalla procura della Repubblica di Siracusa verrà proseguita dalla Direzione distrettuale antimafia di Catania.

La polizia ha intanto ricostruito la possibile dinamica del delitto: Vito Grassi ieri sera intorno all'una ha prima lasciato un amico con il quale era uscito in moto e poi ha parcheggiato il suo mezzo non distante da casa. Avrebbe appena avuto il tempo di sfilarsi il casco che il sicario è entrato in azione scaricandogli addosso un intero caricatore di pistola.

Gli investigatori non escludono che il killer avesse un complice. Grassi, ancora in vita, è stato trasferito con un'ambulanza del 118 al pronto soccorso dell'ospedale Umberto I di Siracusa, dove è morto nella notte, dopo essere stato sottoposto a un delicato intervento chirurgico.

“Arresto illegale”, l’avvocato chiede la scarcerazione di Falsone

“Arresto illegale”, l’avvocato chiede la scarcerazione di Falsone

Secondo il legale del boss agrigentino le autorità francesi non potevano fermare il suo assistito. Entro domani la decisione del tribunale del Riesame


AGRIGENTO. L'autorità giudiziaria francese "non poteva arrestare Giuseppe Falsone", l'ex numero uno di Cosa nostra Agrigentina, "perché non era autorizzata". L'ha detto Giovanni Castronovo, difensore dell'ex boss agrigentino, che ha eccepito le modalità d'arresto del suo assistito durante l'udienza al tribunale del Riesame.

Il legale ha chiesto l'annullamento del mandato di cattura a carico di Falsone emesso nell'ambito dell'operazione antimafia 'Apocalisse' "per l'assenza di riscontri esterni alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Sardino".

Il tribunale, presieduto da Fabio Cosentino, a latere Di Maida e Gaeta, si è riservato di decidere entro domani


martedì 28 settembre 2010

'Ndrangheta, operazione contro la cosca Tegano

'Ndrangheta, operazione contro la cosca Tegano cinque provvedimenti di fermo
 
Eseguite anche perquisizioni e controlli nei confronti di persone collegate al clan Tegano
 
28/09/2010 Operazione della Polizia di Stato a Reggio Calabria per l’esecuzione di cinque provvedimenti di fermo emessi dalla Dda contro altrettanti affiliati alla cosca Tegano. L’operazione, condotta dalla Squadra mobile e dallo Sco, riguarda elementi di spicco del gruppo criminale, che ha subito un colpo determinante con l’arresto, il 26 aprile scorso, dopo 23 anni di latitanza, del suo capo storico, Giovanni Tegano, considerato uno degli esponenti di maggiore rilievo della 'ndrangheta. I cinque fermati sono accusati di associazione per delinquere di tipo mafioso. Nell’ambito dell’operazione Squadra mobile di Reggio e Sco stanno eseguendo una serie di perquisizioni e controlli nei confronti di persone collegate alla cosca Tegano, con consistente impiego di personale e mezzi.

Tra le cinque persone fermate l'accusa di associazione per delinquere di tipo mafioso, c'è anche il genero del boss Giovanni Tegano, Michele Crudo, di 33 anni. Crudo, secondo quanto riferito dagli investigatori, era il reggente della cosca Tegano dopo l’arresto nell’aprile scorso di Giovanni Tegano. Le persone contro le quali la Dda ha emesso i cinque provvedimenti di fermo, che sono stati tutti eseguiti, sono accusate di avere attuato una serie di estorsioni ai danni di alcuni imprenditori, tutti non calabresi, impegnati in rilevanti attività economiche a Reggio Calabria.

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Arrestato l'avvocato dei boss che minacciò la Capacchione, Saviano e il giudice Cantone

Arrestato l'avvocato dei boss che minacciò la Capacchione, Saviano e il giudice Cantone

NAPOLI (28 settembre) - L'avvocato Michele Santonastaso, che durante il processo di appello Spartacus lesse il proclama contro Roberto Saviano, Rosaria Capacchione ed il giudice Raffaele Cantone, è stato arrestato questa mattina dagli agenti della Dia di Napoli assieme a Michele Bidognetti (foto), fratello del boss Francesco e al capoclan del quartiere Vomero Luigi Cimmino. In particolare, il legale avanzò istanza di ricusazione del Collegio giudicante leggendo una lettera, a nome dei suoi assistiti, capi del clan dei Casalesi e imputati nel processo, secondo la quale la Corte si lasciava influenzare dalle opinioni dello scrittore, della giornalista e del magistrato.


La lettera fu interpretata come minatoria e da allora sono state intensificate le misure a tutela dei tre. I tre arrestati di questa mattina sono accusati di corruzione, falsa testimonianza e falsa perizia nell'ambito di un'inchiesta coordinata dai pm Antonello Ardituro, Francesco Curcio e Alessandro Milita.

L'inchiesta verte sugli espedienti adoperati per agevolare affiliati alle organizzazioni criminali Bidognetti, Cimmino e La Torre; quest'ultimo clan è attivo nella zona di Mondragone in provincia di Caserta

Truffa, raffica di arresti alle Cinque Terre

In manette il sindaco di Riomaggiore Gianluca Pasini e il presidente del Parco Franco Bonanini. Le accuse vanno dall’ associazione a delinquere, al falso e all’abuso d’ufficio

LA SPEZIA
Il sindaco di Riomaggiore Gianluca Pasini e il presidente del Parco delle Cinque Terre Franco Bonanini, sono stati arrestati nell’ambito di un’inchiesta condotta dalla squadra mobile di La Spezia e coordinata dalla procura spezzina per una serie di reati contro la pubblica amministrazione.

Secondo quanto si apprende, le accuse vanno dall’ associazione a delinquere alla truffa ai danni dello Stato, dal falso all’abuso d’ufficio. Oltre al primo cittadino Pasini e a Bonanini, presidente del Parco dichiarato patrimonio dell’umanità dall’Unesco dal 997, sono stati arrestati anche il comandante della polizia locale di Riomaggiore e il capo dell’ufficio tecnico. Complessivamente sono state emesse 8 ordinanze di custodia cautelare in carcere e 4 agli arresti domiciliari.

lunedì 27 settembre 2010

'La ndrangheta nel Milanese, 12 arresti per estorsione

'La ndrangheta nel Milanese, 12 arresti per estorsione

La cosca Valle, affiliata ai De Stefano di Reggio Calabria, attiva nel territorio milanese, nel campo delle estorsioni e dell'usura

27/09/2010 Dodici persone, tra cui nove già in carcere, sono state raggiunte oggi da ordinanze di custodia cautelare nel prosieguo dell'inchiesta sulle attività di un clan di 'ndrangheta attivo in Lombardia e che all'inizio del mese di luglio aveva portato all'arresto di altre 15 persone nonchè a numerose perquisizioni e sequestri di immobili. Tra gli arrestati anche un legale e una vittima di usura. In manette è finito l’avvocato Luciano Lampugnani, 55 anni, di Rho (Mi), indagato per tentata estorsione e riciclaggio. Secondo quanto accertato dalle indagini Lampugnani avrebbe fatto pressioni sulle vittime di usura. Una di loro è stata arrestata con le accuse di favoreggiamento e false dichiarazioni. Si tratta di un panettiere di 54 anni che si era sempre rifiutato di collaborare e aveva consigliato ad altre vittime di non rispondere alle domande degli inquirenti.


Gli arresti seguono dunque l'operazione che a luglio ha preso di mira in particolare il gruppo della famiglia Valle, attivo a Milano, colpito tra l'altro col sequestro di immobili per otto milioni di euro. I Valle sarebbero legati al clan dei De Stefano, ritenuto responsabile di un grosso giro di usura e racket nel campo degli immobili.

I prestiti a usura a piccoli imprenditori in difficoltà per la crisi economica sarebbero stati la specialità del gruppo, con a capo, ha scritto il gip Gennari a luglio, il 73enne Francesco Valle e i figli Fortunato e Angela. L'organizzazione aveva come base una masseria equipaggiata come un bunker, dove i debitori venivano "intimiditi e picchiati", aveva scritto il gip nell'ordinanza. L'associazione criminale aveva stabilito la base logistica nella proprietà 'La Masseria', a Cisliano; una sorta di bunker, munito di sofisticate apparecchiature di sicurezza (telecamere, sensori, impianti di allarme, etc.) in modo da impedire l'accesso a terzi e di prevenire qualunque intrusione da parte delle forze di polizia.

domenica 26 settembre 2010

Francia, colpo grosso alla 'ndrangheta: preso boss tra i 100 latitanti più pericolosi

Francia, colpo grosso alla 'ndrangheta: preso boss tra i 100 latitanti più pericolosi

GENOVA (26 settembre) - I carabinieri della sezione anticrimine del Ros di Genova, coadiuvati dal personale della Gendarmeria francese, hanno arrestato in Vallauris (Francia), Roberto Cima, 52enne, affiliato al sodalizio «Palamara» di Ventimiglia (Im), collegato alla cosca Piromalli, operante a Gioia Tauro (Rc). L'uomo, catturato ieri sera all'interno di un appartamento, era inserito nell'elenco dei 100 latitanti più pericolosi, ricercato dal 2003 in quanto condannato alla pena definitiva anni 21 e mesi 6 per omicidio.


Su Roberto Cima pende una condanna della Corte d'assise d'appello di Milano a 21 anni di reclusione per l'omicidio, avvenuto nel 1989 a Ventimiglia, di Aurelio Corica. Cima, insieme ad un complice, Maurizio Chiappa, uccise l'uomo nell'ambito della guerra in atto, a cavallo tra il 1980 e il 1990, tra le famiglie criminali calabresi presenti in provincia di Imperia per il controllo del traffico di sostanze stupefacenti. Nel processo di primo grado i due imputati erano stati assolti, dopo la ritrattazione dei testimoni, ma l'ostinazione degli investigatori consentì, anche con le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, di presentare un quadro probatorio che portò alla condanna definitiva di entrambi, resisi latitanti dalla fine del 2003, quando la sentenza divenne esecutiva. Chiappa, 55 anni, è stato arrestato nel 2008 in Costa Azzurra.

Arrestato il latitante Franco Li Bergolis

Arrestato il latitante Franco Li Bergolis

Era tra i 30 più pericolosi d'Italia

È stato arrestato dai carabinieri del comando provinciale di Foggia e dei Ros Franco Li Bergolis, di 32 anni, di Manfredonia, superlatitante della mafia garganica e condannato all’ergastolo in primo e secondo grado. Era inserito nell’elenco dei 30 più pericolosi latitanti d’Italia. Franco Li Bergolis era latitante da un paio di anni, dopo che nell’estate del 2008 era stato scarcerato per scadenza dei termini di custodia cautelare nel maxi-processo alla mafia garganica.

Il processo si è concluso poi per lui con una condanna all’ergastolo il 7 marzo del 2009 dalla corte di assise di Foggia e il 15 luglio 2010 dalla corte di assise di appello di Bari. Benchè abbia solo 32 anni, è considerato ormai al vertice della mafia garganica, a maggior ragione dopo gli ultimi cruenti agguati che nel giro di poco più di un anno hanno eliminato un paio dei capi storici dei clan garganici e dopo che il 30 agosto scorso è morto l’ultimo capoclan dei Romito, un tempo strettamente alleati dei Li Bergolis e da qualche anno in guerra con loro.

Nell’ambito di questa guerra dall’aprile del 2009 a oggi si contano sei omicidi e due agguati falliti. L’ultimo omicidio è stato compiuto a Manfredonia il 30 giugno 2010: venne ucciso Leonardo Clemente, nonno del veccgio capoclan dei Li Bergolis, ’Ciccillo', ucciso il 26 ottobre 2009 a Monte Sant’Angelo. Pochi giorni dopo l’ultimo cruento agguato, il 12 luglio scorso si svolse a Manfredonia un vertice sulla sicurezza presieduto dal ministro dell’interno, Roberto Maroni.

sabato 25 settembre 2010

No 'Ndrangheta, bambini e giovani in corteo

No 'Ndrangheta, bambini e giovani in corteo Un segno di speranza e di voglia di riscatto
 
Nonostante la pioggia sembra che il tempo abbia dato una tregua e il corteo è già partito dal piazzale della Libertà
 
25/09/2010 Ha iniziato il suo cammino il corteo a Reggio Calabria per dire "No" alla ndrangheta, organizzato dal Quotidiano della Calabria e dal direttore del giornale calabrese, Matteo Cosenza. Nonostante le avvisaglie del maltempo sembra che la pioggia abbia lasciato spazio alle schiarite, quasi come se fosse un segnale di luce in una giornata che vuole cancellare il buio che la 'ndrangheta rappresenta per il territorio e per i calabresi. In marcia, oltre ai rappresentanti politici, ai gonfaloni dei comuni e delle istituzioni, anche moltissimi bambini e studenti, identificabili dal simbolo antimafia della gerbera gialla, e provenienti da tutta la Calabria. Tra gli slogan e la musica delle bande musicali presenti, sono proprio i giovani che stanno colorando con i loro striscioni una manifestazione che ha il sapore della rivalsa, della voglia di riscatto rispetto al potere della criminalità.


A Reggio Calabria in marcia per dire "No 'ndrangheta"
 
Oggi il grande corteo a Reggio Calabria contro la 'ndrangheta e i poteri criminali delle cosche
 
25/09/2010 Numerosissime le adesioni alla manifestazione organizzata per questa mattina dal "Quotidiano della Calabria" e dal direttore del giornale, Matteo Cosenza. Il raduno dei manifestanti è previsto per le 9.30 nel Piazzale della Libertà e si snoderà passando per il Museo Nazionale, Corso Garibaldi per concludersi in piazza Duomo a Reggio Calabria. Proprio a Reggio negli ultimi mesi si sono consumati gli episodi che hanno mostrato il volto più spavaldo della ‘ndrangheta. La bomba posizionata davanti la Procura, l’auto carica di armi ritrovata il giorno della visita del presidente Napolitano, e poi le ripetute minacce ai magistrati, l’ordigno sotto l’abitazione del procuratore Di Landro. Tutti segnali precisi, lanciati dalle cosche, nel tentativo di rispondere con la forza dell’intimidazione ad una massiccia attività di contrasto messa in campo dalla magistratura e dalle Forze dell’ordine.

E l'iniziativa di oggi è stata decisa e pensata per dare un segnale, per manifestare una voglia di riscatto da parte della Calabria e dei calabresi che oggi grideranno il proprio “no alla ‘ndrangheta”. Per l'occasione è stato anche stilato un documento che in un punto recita: «Solo se la Calabria sarà compatta e impegnata a fare la sua parte ogni giorno, realizzando una rete che vada oltre la manifestazione del 25 settembre, essa potrà avere più forza al di là dei suoi confini». E conclude: «Ognuno faccia la sua parte, mantenga il suo punto di vista e le sue opinioni: di questa pluralità c’è necessità perché essa è ricchezza e non debolezza. Insieme ce la possiamo fare».

L’elenco delle adesioni è arrivato ieri sera a quota 581. Durante il corteo non ci saranno sigle né stemmi alle spalle di chi parlerà, che porterà solo un messaggio di lotta alla ’ndrangheta e alla mentalità mafiosa. Su tutti, il procuratore Salvatore Di Landro, contro il quale le cosche hanno concentrato la loro azione di prepotenza. E poi un imprenditore e un commerciante vessati, un sindaco intimidito, un sacerdote impegnato in prima linea, un sindacalista minacciato. Ci saranno pure i genitori del piccolo Dodò Gabriele, che proprio un anno fa è morto dopo essere stato colpito nella sparatoria al campo di calcetto di Crotone. E ci saranno tanti calabresi che ogni giorno affrontano la sfida per la legalità. Per una volta saranno insieme, al di là delle ideologie, delle posizioni, delle appartenenze sociali. Tutti uniti in un grande “no” alla 'ndrangheta.


Schianto a Bitonto muoiono due agenti e una giovane donna

Schianto a Bitonto muoiono due agenti e una giovane donna


di Enrica D'Acciò


BITONTO - Avrebbero dovuto prendere servizio dopo appena 20 minuti. I colleghi che li avevano preceduti in un'altra macchina li aspettavano al bar vicino al commissariato di Bitonto, per il caffè prima del turno pomeridiano. Forse l'asfalto, forse la velocità o forse ancora la semplice fatalità ha deciso diversamente. Sono morti così sulla strada statale 156, che collega l'aeroporto di Bari Palese a Bitonto gli agenti di Polizia Gabriele Schino, 55 anni, ispettore capo di Bari, sposato e padre, per la seconda volta, da poco più di un mese e Adriano Epifani, assistente capo di 37 anni, originario di Seclì, nel leccese, sposato, con un figlio. Ferito in modo grave ma, secondo i medici ormai fuori pericolo, il terzo agente che viaggiava sul sedile posteriore, Filippo De Maso, 45 anni di Bari.

Gli agenti, tutti del reparto prevenzione crimine della questura di Bari, erano stati inviati a supporto degli agenti del commissariato di Bitonto per i servizi speciali di controllo e prevenzione disposti dal Prefetto dopo gli episodi di mala che hanno insanguinato l'estate bitontina.

Nel terribile impatto è morta anche Mariangela Labianca, 21 anni, bitontina, madre di una bambina di 18 mesi, che viaggiava in direzione di Palese. La sua Peugot 307, per cause ancora da accertare, si è messa di traverso sulla strada, a due corsie e senza guard rail. La BMW di servizio, che proveniva dall'aeroporto, l'ha presa in pieno sul davanti e sul lato passeggero: l'impatto è stato così violento che il motore, il paraurti e numerosi altri pezzi di carrozzeria della Peugoet sono stati sbalzati a diversi metri. L'auto, dopo essersi ribaltata più volte, è finita in un uliveto.

Lamiere accartocciate anche per la potente BMW, che ha fermato la sua corsa sul ciglio della strada. Un'altra auto di agenti di polizia, in quel momento non in servizio, ha prestato i primi soccorsi e ha chiamato le ambulanze. Schino, Epifani e la giovane donna sono morti sul colpo. De Maso ha riportato gravi traumi e fratture, al volto e al torace: trasportato all'ospedale San Paolo di Bari, è stato operato d'urgenza e poi trasferito al Policlinico.

La statale è stata chiusa al traffico per ore, dall'incrocio con la Poligonale di Bitonto all'incrocio con la provinciale per la zona industriale di Modugno. Volti tirati e grande partecipazione fra i numerosi agenti di polizia, in arrivo dalla questura di Bari, e i carabinieri del Comando Provinciale. Cordoglio per la morte dei poliziotti e solidarietà alle famiglie delle vittime anche dalle istituzioni, dal capo della Polizia, Antonio Manganelli, dal Ministro dell'interno, Roberto Maroni, e dal sottosegretario Alfredo Mantovano. «Oggi in Puglia - ha detto Mantovano - la polizia paga un altro pesante tributo umano per la sicurezza di tutti». «Lo strazio di tutti i cittadini baresi – il commento del sindaco di Bari, Michele Emiliano - è pari solo alla gratitudine nei confronti di questi nostri ragazzi». Cordoglio e gratitudine per l'impegno dedicato a Bitonto anche dal sindaco Raffaele Valla che ha espresso, «a nome di tutta la città, il profondo cordoglio per il personale deceduto in servizio durante l'adempimento del proprio dovere a tutela della sicurezza della comunità cittadina». La camera ardente per i due poliziotti è stata allestita presso il Polivalente del San Paolo. Sarà aperta al pubblico a partire dalle 9.30 di questa mattina. I funerali si svolgeranno alle 14, nella Cattedrale di Bari. Prevista la presenza del ministro Roberto Maroni.

Usura. Operazione Cartesio, chiesto rinvio a giudizio per 11 persone

Usura. Operazione Cartesio, chiesto rinvio a giudizio per 11 persone

Tra le 11 persone per le quali è stato chiesto il rinvio a giudizio anche imprenditori, presunti boss, politici e uomini delle istituzioni

24/09/2010 Il pm antimafia Vincenzo Luberto ha chiesto al gup di Catanzaro, Patrizia Maiore, il rinvio a giudizio di 14 persone coinvolte nell’operazione antiusura «Cartesio» che ha colpito gi ambienti delinquenziali del Tirreno cosentino. Tra loro imprenditori, presunti boss, politici e uomini delle istituzioni: Giuseppe Nigro, 49 anni, di Belvedere Marittimo; Franca Coccia, 49, originaria di Roma moglie di Nigro; Agostino Iacovo, 31, di Cetraro; Dino Iacovo, 40, di Cetraro; Gigliola Iacovo, 36, di Cetraro; Settimio Rosario Rugiero, inteso come «ù professore», 49, di Bonifati; Agostino Briguori, detto «Berlusconi», 41, di Bonifati; Franco Abbruzzese, inteso come «Dentuzzo», 40, di Cassano Ionio; Pasquale Imbelloni, detto «Lillino», 59, di Santa Maria del Cedro; Umberto Cairo, 48, di Sangineto; Antonio Pignataro, inteso come «Tonino Cicchitella»; Francesco Amato, di Corigliano, 55 anni, Mario Midaglia, 50, di Acquappesa, del maresciallo dell’"Arma», Leonardo Aversa, comandante della Stazione di Bonifati.

Il sostituto procuratore della Dda di Catanzaro ha chiesto il rinvio a giudizio anche per l’assessore provinciale di Cosenza, Pietro Ruffolo del Pd (in foto), finito sott'inchiesta non per il suo ruolo politico ma per l’attività di bancario. Il suo legale, avrebbe già preannunciato la richiesta di rito abbreviato condizionato all’acquisizione di prove testimoniali.

Durante la sua arringa il pm Luberto, ha sottolineato come l’imputato abbia continuato a mantenere le cariche di assessore provinciale all’Edilizia scolastica e quella di assessore comunale al Bilancio di Rende nonostante la gravità della sua posizione giudiziaria. All’assessore provinciale, la Dda contesta d’aver erogato nel 2007 a una delle persone offese del procedimento, un finanziamento di 35mila euro alle condizioni usurarie stabilite da Settimio Rosario Rugiero, uno dei personaggi principali dell’inchiesta.

L’ipotesi di reato è aggravata dalla circostanza d’aver agito nei confronti di una persona che versava in stato di bisogno.

Il pm antimafia Luberto ritiene il politico pure responsabile di aver istruito, nella veste di funzionario di un istituto di credito di Belvedere Marittimo, una pratica di finanziamento rilasciata, contraffacendo parte della documentazione, in favore di due donne coinvolte in un giro di prestiti privati.

Messina, maxi confisca di beni

Messina, maxi confisca di beni

MESSINA - La polizia ha confiscato beni per un valore complessivo di 20 milioni di euro a persone appartenenti al clan mafioso Trovato, operante nel quartiere Mangialupi.


I beni confiscati ai fratelli Antonino, Salvatore, Franco, Giovanni ed Alfredo Trovato del valore complessivo di circa 20 mln di euro sono 24 immobili, 5 terreni, 9 auto, 6 moto, i patrimoni aziendali di due società e numerosi conti correnti. Si tratta dei beni che erano già stati sequestrati lo scorso maggio ai Trovato.

Sulla confisca durante una conferenza stampa è intervenuto il questore di Messina, Carmelo Gugliotta: "Si tratta di un'importantissima confisca al clan Mangialupi, non è stato facile riuscire ad individuare i loro beni. Nel tempo i fratelli Trovato attraverso diverse attività criminali sono riusciti ad accumulare un ingente patrimonio e a diventare un punto di riferimento per la cirminalità messinese".

"Un'indagine fondamentale - ha aggiunto il procuratore capo di Messina, Guido Lo Forte - perché i fratelli Trovato fanno parte del clan più importante di Messina, quello di Mangialupi e hanno importanti collegamenti: sono molto vicini alla famiglia dei Morabito della 'ndrangheta. La carriera di Trovato è simile a quella di Salvatore Lo Piccolo a Palermo, che da rapinatore è cresciuto fino a diventare un personaggio di primo piano anche attraverso lo spaccio di droga".

venerdì 24 settembre 2010

Maroni: l’azione dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati è già un successo

Maroni: l’azione dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati è già un successo

Lo ha sottolineato il ministro dell'Interno intervenendo al convegno 'Garantire la legalità' che si è tenuto a Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone

L'Agenzia nazionale arriverà a gestire in tempi rapidi i beni sequestrati. Lo assicura il ministro Maroni al convegno 'Garantire la legalità' svoltosi ad Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone. L'evento è stato organizzato dall'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata su un terreno confiscato al clan Arena, ritenuto uno dei più pericolosi della Calabria.

Il ministro dell'Interno ha sottolineato che «l'Agenzia nazionale esiste da meno di un anno ed è comunque già un successo dover lavorare sull'assegnazione dei beni confiscati, il che vuol dire averli sottratti alla disponibilità dei clan».
E' un grande successo - ha proseguito Maroni - quello che stiamo ottenendo perché decine di migliaia di beni sottratti alla criminalità e messi a disposizione in tempi rapidi è quello che ci vuole per vincere la guerra».

Anche il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, nel messaggio inviato per il convegno, ha evidenziato come sia la confisca dei beni la strategia vincente nella lotta alla criminalità organizzata: «Non è la galera che spaventa il mafioso, che preferisce stare ricco in cella, ma la sottrazione dei suoi beni, perché non ama stare in libertà ma povero».

Il convegno di oggi è stato preceduto dalla firma di un protocollo d'intesa per la gestione dei terreni confiscati alla cosca Arena da parte del direttore dell'Agenzia nazionale Mario Morcone, del presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti, del presidente della Provincia di Crotone Stanislao Zurlo e dei sindaci di Isola Capo Rizzuto e Cirò. Un'associazione temporanea di scopo sarà costituita per rendere produttivi i terreni.

Operazione antidroga nel Cosentino 15 persone in manette

Operazione antidroga nel Cosentino 15 persone in manette
L'operazione colpisce anche alcuni personaggi di spicco della criminalità locale dell'alto tirreno cosentino

24/09/2010 Operazione antidroga questa mattina nella zona dell’alto Tirreno Cosentino compreso tra Cetraro e Scalea, dei Carabinieri del Comando Provinciale di Cosenza per l'esecuzione di 15 misure cautelari, di cui 11 ordinanze di custodia cautelare (7 in carcere e 4 agli arresti domiciliari) e 4 obblighi di dimora.

Le misure cautelari sono state emesse nei confronti di altrettanti soggetti ritenuti responsabili dell’acquisto, del trasporto, della detenzione e della cessione a terzi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, hashish e marijuana. I provvedimenti, emessi dal GIP del Tribunale di Paola, Salvatore Carpino, sono il frutto di un’intensa attività di indagine condotta dalla Compagnia di Scalea, coordinata da Antonella Lauri della Procura della Repubblica di Paola, che ha consentito di documentare numerosissimi episodi delittuosi riconducibili al traffico di stupefacenti, e di sradicare una fiorente attività di spaccio che dal litorale tirrenico cosentino si estendeva sino al capoluogo di provincia e di individuare i canali di approvvigionamento della droga (locali, lombardi e campani).

L'operazione colpisce anche alcuni personaggi di spicco della criminalità locale. Sono in corso una serie di perquisizioni domiciliari con l’ausilio di unità cinofile del G.O.C. di Vibo Valentia.

«Giustizia lumaca» libero presunto killer del boss Stramaglia

«Giustizia lumaca» libero presunto killer del boss Stramaglia

di GIOVANNI LONGO

Oltre un anno trascorso senza che la Dda di Bari avesse messo il gip nelle condizioni di arrivare ad un processo nei confronti di Mario Giovanni Antonio Pancotto. Oppure: oltre quattro settimane (le ultime) trascorse senza che l’uf - ficio gip intervenisse tempestivamente. In un caso o nell’altro il risultato non cambia: il presunto killer del boss Michelangelo Stramaglia, avvenuto a Valenzano il 24 aprile 2009, è tornato in libertà. Fuori dal carcere «per intervenuta scadenza dei termini massima di efficacia della misura cautelare ». Un anno e 24 giorni dopo l’arresto avvenuto in Germania (la misura precedette di un paio di settimane l’estradizione in Italia), Pancotto, 49 anni, di Valenzano, indagato con l’accusa di omicidio volontario aggravato, è un uomo libero. Giovedì scorso ha lasciato il carcere di Rebibbia dove era det enuto.

Il gip del Tribunale di Bari Sergio Di Paola, pur riconoscendo a carico del presunto killer del boss «Chelangelo» Stramaglia sia i gravi indizi di colpevolezza, sia le esigenze cautelari (prima fra tutte il pericolo di fuga), non ha potuto fare altro che constatare l’evidenza: i «termini di fase» non si sono interrotti nè con un rinvio a giudizio, né con un decreto che dispone il giudizio abbreviato, nè con un decreto che dispone un giudizio immediato.

Delle due l’una: o la Dda ha chiesto troppo tardi al gip di valutare se ci fossero le condizioni per accedere a quest’ulti - mo rito alternativo che consente di «saltare» l’udienza preliminare. Oppure l’ufficio gip, già oberato di «carte» non ha proceduto tempestivamente.

Ciò che è certo, è che Pancotto è tornato libertà. In fumo, almeno per ora, il lavoro svolto dai carabinieri che, dopo quattro mesi di latitanza, inseguendo Pancotto per mezza Europa, assicurarono alla giustizia l’uomo arrestato il 23 agosto 2009 a Irschenberg (Baviera, Germania) in collaborazione con l’Interpol e la Polizia tedesca in un’area di servizio dell’autostrada che collega Monaco a Salisburgo, in Austria. Un arresto non facile considerando che l’uomo era sfuggito qualche giorno prima alla cattura in un blitz a Belgrado. Due settimane dopo venne stradato in Italia.

Stramaglia venne ucciso alle 20,30 del 24 aprile 2009 con un proiettile che lo raggiunse al fianco. Secondo i carabinieri e la Direzione distrettuale antimafia «Chelangelo», insieme con un paio di altri fedelissimi, rimproverò Pancotto per alcuni comportamenti ritenuti non ortodossi. La discussione degenerò e gli spallacci di «Chelangelo» avrebbero picchiato l’uomo accusato di omicidio volontario aggravato. Quest’ultimo, spazientito, avrebbe recuperato la sua pistola con cui sparò.

Arrestato a Rimini super latitante clan Romito

Arrestato a Rimini super latitante clan Romito

BARI - I militari del Gico del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Bari hanno arrestato in una camera d’albergo a Rimini il pregiudicato latitante Antonio Arena, 50 anni di Manfredonia, imparentato con il clan Romito del Gargano. Al momento dell’irruzione, l’uomo ha tentato di fornire false generalità ma ha dovuto desistere. I finanzieri, che erano sulle sue tracce dal luglio scorso, conoscevano bene il suo volto e  la sua vera identità.

Arena deve scontare numerose condanne emesse non solo da Tribunali pugliesi (Bari e Foggia), ma anche nel resto d’Italia. Gran parte delle condanne riguardano violazioni degli obblighi di sorveglianza speciale regolate dalla normativa antimafia, resistenza aggravata a pubblico ufficiale e truffe aggravate. Arena, infatti, oltre che essere uno degli esponenti di spicco del clan Romito, si era specializzato nelle truffe a danno di operatori commerciali e finanziari. A Rimini, insieme ad altri due presunti truffatori sorpresi con lui nella stanza dell’albergo, stava organizzando l’ennesimo raggiro. Le vittime della truffa venivano contattate da società, guidate da prestanomi riconducibili ad Arena, che proponevano acquisti di merce di vario genere (dall’abbigliamento all’arredamento) che poi successivamente venivano pagati con assegni falsi.

Arena era riuscito così a creare un’enorme ricchezza economica per sè e per la sua famiglia che, secondo gli investigatori, serviva anche a finanziare il clan di appartenenza, i Romito, da sempre contrapposto al clan Libergolis. Le due organizzazioni mafiose hanno dato vita nel corso degli ultimi decenni a una faida fra le più sanguinose della storia della criminalità organizzata in Italia.

LAUDATI, ANCHE QUESTO ARRESTO E' LA RISPOSTA DELLA PROCURA
“L'arresto di Antonio Arena - ha dichiarato il procuratore Distrettuale Antimafia, Antonio Laudati - è una di quelle risposte che la Procura, attraverso la magistrale opera investigativa della Guardia di Finanza, ha dato ai cittadini del Gargano che da sempre sono 'vittimè di una faida fra le più sanguinose d’Italia. Una vera e propria guerra di mafia che, in passato, è stata anche ridimensionata a una mera disputa tra famiglie di pastori, ma che si è nel tempo rivelata per quella che è. Negli ultimi mesi, però - ha continuato Laudati - l’attenzione investigativa e gli inquirenti sul territorio hanno acceso riflettori che permetteranno a breve di mettere a segno ben altri risultati”.
“Risultati - ha sottolineato Laudati - che questa Procura, a Manfredonia, come a Bitonto, come ad Altamura, non si potrebbero ottenere senza la professionalità e abnegazione degli uomini della Guardia di Finanza, della Polizia e dei Carabinieri, ai quali va il ringraziamento non solo degli Uffici che io guido, ma dei cittadini per l’incessante impegno al contrasto alle organizzazioni malavitose”.