venerdì 17 settembre 2010

Caccia al tesoro nascosto di Brusca


Caccia al tesoro nascosto di Brusca
Il boss pentito continua a delinquere


Il boss che assassinò Falcone
è sottoposto al programma
di protezione: è indagato
per riciclaggio ed estorsione

PALERMO

Il boss Giovanni Brusca, uno degli esecutori materiali della strage di Capaci poi diventato collaboratore di giustizia, è indagato dalla Direzione distrettuale Antimafia di Palermo per riciclaggio, fittizia intestazione di beni e tentata estorsione aggravata. I Carabinieri del gruppo di Monreale stanno perquisendo diverse abitazioni nelle province di Palermo, Roma, Milano, Chieti e Rovigo nell’ambito di un’inchiesta che coinvolge anche familiari e persone vicine al boss.

L’indagine è scaturita da una serie di intercettazioni effettuate dagli investigatori nell’ambito della cattura del latitante Domenica Raccuglia che hanno fatto emergere la disponibilità, da parte della famiglia Brusca, di beni che non sono ancora stati individuati.

Gli investigatori sono alla ricerca del «tesoro» accumulato illecitamente da Giovanni Brusca, che è tuttora sottoposto al programma di protezione, e dai suoi familiari. L’attività di riciclaggio ed estorsione svolta dal clan Brusca è emersa dalle indagini nei confronti del boss di Altofonte Domenico Raccuglia, considerato il numero 2 di Cosa Nostra, arrestato dalla polizia il 15 novembre del 2009 a Calatafimi (Trapani) dopo 13 anni di latitanza.

Giovanni Brusca, capo del mandamento mafioso di San Giuseppe Jato, fu invece arrestato il 20 maggio del 1996 mentre era latitante con la famiglia a Cannatello (Agrigento). Oltre che per la strage di Capaci nella quale persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesco Morvillo e tre agenti di scorta, il boss è stato condannato come mandante del sequestro e dell’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino che insieme a Brusca era tra gli organizzatori dell’attentato a Falcone.

Non è la prima volta che un collaboratore di giustizia finisce nuovamente sotto indagine dopo essere stato sottoposto a programma di protezione. In passato era accaduto anche al boss Totuccio Contorno, uno dei primi a pentirsi subito dopo Tommaso Buscetta: fu arrestato nell’estate del 1988 per il suo «ritorno in armi» a Palermo con l’obiettivo di vendicarsi nei confronti dei clan rivali che gli avevano sterminato la famiglia. Anche Balduccio Di Maggio, un altro pentito «storico» che aveva parlato del presunto «bacio» tra Totò Riina e Andreotti, fu sorpreso dopo essere rientrato a San Giuseppe Jato proprio per regolare i conti con il clan di Giovanni Brusca.

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