sabato 11 dicembre 2010

Le associazioni antiracket e antiusura hanno festeggiato 20 anni di attività

Mantovano: le associazioni sono fondamentali, aiutano i cittadini a non avere paura e a denunciare il pizzo



La Federazione delle associazioni Antiracket e Antiusura italiane (Fai) ha festeggiato ieri il ventennale del movimento antiracket partito nel 1990 con la costituzione della prima associazione, l'Acio di Capo d'Orlando.
Per l’occasione, le associazioni aderenti si sono incontrate nel Salone delle Bandiere del municipio di Messina. Presenti il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano, il commissario straordinario antiracket Giancarlo Trevisone e il ministro della Giustizia Angelino Alfano.


«Le associazioni antiracket – ha dichiarato il sottosegretario Mantovano nel suo intervento - hanno un'importanza fondamentale nella lotta alla mafia perché aiutano i cittadini a non avere paura e a denunciare il pizzo. Li aiutano ad uscire dall'isolamento e li incoraggiano a partecipare ai processi contro i loro aguzzini, dando così un importante contributo per combattere la criminalità».

Il convegno è stato aperto dal presidente nazionale della Fai Giuseppe Scandurra. Sono intervenuti, inoltre, il sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca, il presidente dell'associazione Antiracket della città dello stretto Mariano Nicotra, il presidente dell'Acio Enzo Mammana, il presidente onorario della Fai e presidente dell'Acio nel 1990 Tano Grasso.

Alla manifestazione hanno partecipato anche diversi i protagonisti della costruzione del movimento antiracket, un punto di riferimento per quanti, nonostante la paura, hanno deciso di denunciare.

Proprio grazie a loro, e all’assistenza fornita dagli operatori di giustizia e delle forze dell'ordine, sono evidenti i risultati raggiunti in Sicilia, ma anche in altre regioni del Sud come Campania, Puglia, Calabria.

«Oggi – ha riferito il presidente onorario Tano Grasso - sono molti di più coloro che trovano il coraggio di denunciare i propri estorsori, ma ancora tanto dev’essere fatto, perché per una persona che denuncia, cento preferiscono restare in silenzio».

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