lunedì 28 febbraio 2011

Palermo,patenti facili: si allarga l'inchiesta

La Procura della Repubblica sta per iscrivere nel registro degli indagati i titolari di due autoscuole della città. Entrambi sono stati chiamati in causa da Antonino Nobile, il funzionario della Motorizzazione arrestato a gennaio scorso per un giro di mazzette insieme ad altre cinquanta persone

PALERMO. Si allarga l'inchiesta sulle patenti facili alla Motorizzazione civile di Palermo. La Procura della Repubblica sta per iscrivere nel registro degli indagati i titolari di due autoscuole della città. Entrambi sono stati chiamati in causa da Antonino Nobile, il funzionario della Motorizzazione arrestato a gennaio scorso per un giro di mazzette insieme a cinquanta titolari di autoscuole e agenzie di disbrigo pratiche. Nobile, che nei giorni scorsi ha confessato davanti al sostituto procuratore Amelia Luise, ha fatto i due nomi nuovi dopo averli riconosciuti nei filmati delle telecamere piazzate dai poliziotti della sezione reati contro la pubblica amministrazione della Squadra mobile. Adesso sono in corso le procedure di identificazione da parte degli agenti.

Ambulante morto, nessun aiuto dalle immagini

Nessuna indicazione rilevante sul gesto di Noureddine Adnane è arrivata dall'analisi delle telecamere a circuito chiuso di via Ernesto Basile dove l'11 febbraio il venditore marocchino si è dato fuoco


PALERMO. Nessuna indicazione rilevante sulla morte di Noureddine Adnane è arrivata dall'analisi delle immagini registrate dalle telecamere a circuito chiuso di via Ernesto Basile dove l'11 febbraio il venditore ambulante marocchino si è dato fuoco, dopo essersi cosparso di benzina, per protestare contro l'ennesimo controllo dei vigili urbani. Le indagini del procuratore aggiunto di Palermo Maurizio Scalia e del pm Gianluca De Leo si concentrano adesso sui testimoni per capire quanti controlli avesse subito l'ambulante prima di darsi fuoco. Intanto la Procura ha richiesto la copia del documento di licenza che aveva Noureddine Adnane per il lavoro di ambulante.

Agguato a Partinico, ferito un pregiudicato

Rosario Mirabella, 51 anni, colpito all’occhio e a un braccio da alcuni colpi di fucile. Non è in pericolo di vita. Indaga la polizia


PARTINICO. Un pregiudicato, Rosario Mirabella, di 51 anni, è rimasto ferito ieri sera in un agguato avvenuto a Partinico, a 20 km. da Palermo. L'uomo, raggiunto all'occhio e a un braccio da alcuni colpi di fucile, si è presentato al pronto soccorso dell'ospedale di Partinico sostenendo di essere stato ferito mentre era alla guida della sua auto, una Smart, e di non avere visto chi ha sparato.

Mirabella, che ha precedenti penali per tentato omicidio e reati legati allo spaccio di stupefacenti, è stato trasferito per precauzione all'ospedale Civico di Palermo ma non è in pericolo di vita. Sono in corso indagini della polizia.

Agguato a Paola, pastore crivellato di colpi

Il cadavere di Guido Serpa è stato trovato poco distante dalla stalla dove l’uomo accudiva i suoi animali, in una zona molto impervia e difficile da raggiungere.
 
 
I familiari di Guido Serpa nel pomeriggio, avevano lanciato l'allarme denunciando l’assenza del congiunto agli agenti del Commissariato di polizia di Paola. Il corpo della vittima, trovato riverso a terra, a pancia in giù, a ridosso di una scarpata, in zona di montagna è stato rinvenuto nel cuore della notte di ieri, dal fratello. Il cadavere si presentava crivellato da quattro colpi d’arma da fuoco, esplosi a distanza ravvicinata contro parti vitali del corpo, tra cui la testa. Guido Serpa, pregiudicato e pastore di 41 anni, è stato ucciso a pochi metri dal suo podere, in Località Cozzo Castagna (nella foto il luogo dell'omicidio). Si tratta di una zona impervia, nei pressi della Palombara, a circa 2 chilometri e mezzo dalla Statale 107, la Paola – Cosenza.


L’attività investigativa procede con accurati controlli, tra cui la prova dello stub, su alcuni individui sospetti, la gran parte pregiudicati della zona. Secondo gli inquirenti l’uomo non sarebbe legato ad organizzazioni criminali. Si attende l'autopsia sul corpo ma ciò che invece si evince dai primi rilievi è che la vittima è stata raggiunta da quattro proiettili di una pistola calibro 7.65, precisamente al capo, ad una scapola, ad un fianco e sotto un’ascella. Si deduce, quindi, che i killer abbiano sparato col solo intento di uccidere. Si potrebbe dunque configurare l’ipotesi di reato di omicidio premeditato, ma per la certezza non rimane che attendere il decorso della magistratura inquirente.

Movente e dinamica dell’omicidio difficili da ricostruire. La vittima potrebbe essere stata raggiunta nella sua proprietà di montagna dai killer, oppure aveva dato loro un appuntamento per un chiarimento, ignaro del loro progetto di morte. L'uomo che era sposato, secondo quanto emerso, nel '99 era stato arrestato, a seguito di un diverbio con un altro pastore che era rimasto ferito gravemente, con l’accusa di tentato omicidio e detenzione e porto illegale di armi. Nel 2009 era stato denunciato per lesioni mentre nel 2000 aveva subito l'incendio della propria automobile.

Affittopoli a Milano, la Procura indaga per truffa aggravata e abuso d'ufficio

Di Pietro: la compagna di Pisapia chiarisca


MILANO - La Procura di Milano intende far luce sulla vicenda degli appartamenti concessi in affitto a prezzi di favore a cosiddetti vip. Il procuratore aggiunto Alfredo Robledo e il pm Maurizio Romanelli hanno aperto un fascicolo per truffa aggravata e abuso d'ufficio, per ora a carico di ignoti. L'affittopoli milanese è esplosa nei giorni scorsi al Pio Albergo Trivulzio e poi si è allargata ad altri enti pubblici della città, dopo un esposto presentato al Palazzo di Giustizia.


Gli inquirenti puntano a fare chiarezza non soltanto sui contratti d'affitto del Pio Albergo Trivulzio, il cui elenco è stato consegnato nei giorni scorsi alla Commissione Casa e Demanio del Comune, ma anche su quelli di alcuni immobili ceduti in locazione dalla Fondazione Policlinico, o assegnati dall'Aler (l'azienda milanese che si occupa di edilizia popolare) e dall'azienda servizi alla persona Golgi-Radaelli. I pm si sono messi in contatto con la Procura della Corte dei Conti, che nelle scorse settimane ha avviato un'indagine per verificare eventuali profili di danno all'erario.

Nella lista degli oltre mille immobili della Baggina affittati a canoni di favore sono spuntati i nomi di molti inquilini vip, come Carla Fracci, il direttore generale del Milan Ariedo Braida e Piero Testoni, parlamentare del Pdl e nipote del presidente emerito Francesco Cossiga. Nella lista del Policlinico, tra gli altri, figurava l'ex assessore regionale lombardo Pier Gianni Prosperini, finito in carcere alla fine del 2009 per tangenti (con pena poi patteggiata), che per tre cespiti di 700 metri quadrati a Vernate, nel Milanese, paga un affitto di meno di mille euro al mese.

Oggi, a 19 anni di distanza dall'arresto di Mario Chiesa, allora presidente del Pio Albergo Trivulzio, Antonio Di Pietro, si è presentato davanti al Pat per un presidio di protesta. L'ex pm di Mani Pulite ha fatto riferimento anche alla compagna del candidato per il centro-sinistra milanese, Giuliano Pisapia, la giornalista Cinzia Sasso, che compariva nell'elenco degli inquilini della Baggina. «Deve dare le sue giustificazioni come tutti gli altri», ha detto Di Pietro.

Caserta, 5 arresti al Villaggio dei ragazzi

Bimbi abusati e maltrattati dagli educatori «Prof simulò rapporto sessuale in classe»

CASERTA - Quattro educatori ed una professoressa della struttura «Il Villaggio dei Ragazzi» di Maddaloni (Caserta) sono stati arrestati. Gli educatori sono indagati per maltrattamenti su minori di età compresa tra gli undici e i sedici anni; la docente della scuola media è indagata per abuso sessuale ai danni di due alunni di undici anni.


Il Villaggio dei ragazzi è un'istituzione di assistenza e beneficenza che ha lo scopo di promuovere iniziative in favore dell'infanzia.

Maltrattamenti fisici, psicologici; «sistematico ricorso a metodi brutali ed umilianti da parte degli educatori». E poi, ancora, violenza sessuale nei confronti di due undicenni messa in atto da un'insegnante; «Uso della violenza per mortificare le vittime» e in alcune occasioni anche «percosse che hanno riportato lesioni».

È questo lo scenario descritto dagli inquirenti e subito da alcuni minori della Fondazione il «Villaggio dei Ragazzi». Le delicate indagini, aviate nell'estate del 2009, sono state svolte dalla Squadra Mobile di Caserta e coordinate dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere. L'ascolto di numerosi bambini e adolescenti ospiti del Villaggio dei Ragazzi ha fatto emergere, spiega il procuratore Corrado Lembo, «uno spaccato molto triste e sconsolante in relazione alla gestione della struttura e al trattamento che gli educatori riservavano ai minori ivi ospitati».

Portate alla luce, infatti, «gravi condotte di maltrattamento fisico oltre che psicologico poste in essere da alcuni educatori nei confronti dei ragazzi alloggiati presso la fondazione».

Le dichiarazioni dei minori - ascoltati con l'ausilio di una psicologa - sono apparse «assolutamente convergenti nella descrizione e nella ricostruzione delle modalità con le quali erano stati trattati da alcuni educatori dell'istituto e nella rappresentazione di metodi che - ben lontani dal costituire quella che viene definita semplicemente educazione rigida - integravano invece odiosi atti di maltrattamento volti alla sistematica sopraffazione e vessazione di minori indifesi».

Nella istituzione di assistenza e beneficenza che avrebbe dovuto avere lo scopo di promuovere iniziative in favore dell'infanzia, in realtà, secondo quanto ricostruito dalla Procura di Santa Maria Capua Vetere avveniva ben altro: «voluta mortificazione delle vittime», e anche violenza sessuale. Uno degli episodi più inquietanti tra i tanti emersi dalle indagini, spiega il procuratore Corrado Lembo, «è quello verificatosi nel corso di una lezione presso la scuola media statale del Villaggio dei Ragazzi nel novembre del 2008, allorquando la professoressa colpita ora dall'ordinanza cautelare, con l'uso della forza fisica, aveva fatto stendere supini sul pavimento due alunni, entrambi di undici anni, e si era seduta dapprima sopra l'uno e subito dopo sopra l'altro, all'altezza dei genitali, e, quindi, aveva iniziato a prodursi in movimenti ondulatori e sussultori tipici di un rapporto sessuale».

Gli indagati - Domenico Bellucci (56 anni), Vincenzo Crisci (30 anni), Francesco Edattico (53 anni), Gianluca Panico (33 anni) e Maria Iesu (37 anni) - sono stati sottoposti agli arresti domiciliari.

La direzione della Fondazione del Villaggio dei Ragazzi di Maddaloni in una nota diffusa poco fa, ha espresso piena fiducia nell'operato della magistratura. Nella nota ufficiale si indica che la Fondazione «non c’entra con i supposti episodi di abusi sessuali che si sarebbero verificati durante l’orario scolastico mattutino nella scuola statale (Istituto Comprensivo Statale Villaggio dei Ragazzi ndr), alla quale la Fondazione soltanto affitta i locali e che, dunque, non fa parte delle sue istituzioni. Quindi - si legge nel comunicato - oltre ad essere estranea a qualsiasi responsabilità al riguardo, si considera parte lesa nella vicenda in quanto alcuni suoi assistiti frequentano questa scuola».

«Per quanto riguarda alle accuse contro i quattro educatori del convitto della Fondazione - continua la Fondazione nella nota - si attesta la piena fiducia nella Giustizia e la piena disponibilità a collaborare con essa affinché sia fatta chiarezza sulla veridicità dei fatti e la Fondazione possa serenamente continuare la sua benemerita e prestigiosa opera di assistenza e di educazione».

Inoltre, la direzione «desidera riconoscere pubblicamente e con gratitudine la professionalità e la serietà che caratterizza il personale della Fondazione nello svolgimento del proprio lavoro e che ha permesso negli ultimi anni il raggiungimento di tanti auspicati traguardi e la crescita continua del numero e delle qualità delle scuole paritarie, del numero degli allievi e degli assistiti».

Morto in un agguato dei taleban dopo una missione umanitaria

Afghanistan, il tenente Ranzani colpito con i quattro compagni Berlusconi: «E' un calvario»

 
ROMA

Si chiamava Massimo Ranzani, aveva 36 anni, era di Ferrara, faceva parte del 5° reggimento Alpini di Vipiteno: è stato ucciso oggi in Afghanistan, portando a 37 la triste quota dei militari italiani che hanno perso la vita nella missione internazionale di pace. A colpirlo è stato alle 12.45 ora locale a 25 chilometri a nord di Shindand, l’esplosione di un ordigno improvvisato, che ha coinvolto un veicolo blindato "Lince" della Task Force Center.

Altri quattro militari sono rimasti feriti, ma la loro vita non è in pericolo: sono ricoverati presso l’ospedale da campo «Role 2» di Shindand e le loro condizioni non destano ora preoccupazioni tra il personale sanitario. I quattro hanno riportato traumi e fratture primariamente agli arti inferiori, per due di loro si è reso neceassario un intervento. Per uno dei quattro militari è probqabnile sia necessario anche un intervento oculistico. La pattuglia rientrava da un’operazione di assistenza medica alla popolazione locale.

Il rientro in Italia della salma di Ranzani è previsto per mercoledì. Le esequie del militare dovrebbero essere celebrate giovedì, nella chiesa di Santa Maria degli Angeli, a Roma. Lo ha confermato, dopo le prime indicazione da fonti militari, il Comune di Occhiobello (Rovigo), ove Ranzani risiedeva, precisando che la notizia è arrivata dall’ambasciata d’Italia a Kabul. Il feretro del soldato italiano arriverà con volo militare in partenza da Herat domani presumibilmente alle 21 locali, con arrivo alle 9 circa di mercoledì a Roma-Ciampino.

Unanime il cordoglio per l’ennesima vittima italiana in Afghanistan. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, «appresa con profonda commozione la notizia del gravissimo attentato perpetrato a Shindand, in Afghanistan, contro il contingente italiano impegnato nella missione internazionale Isaf» ha subito espresso «i suoi sentimenti di solidale partecipazione al dolore dei famigliari del caduto e un affettuoso augurio ai militari feriti».

Analoghi messaggi sono stati inviati dai presidenti dei due rami del Parlamento. «Profondo dolore per un’altra vittima che cade immolandosi sull’altare della democrazia», ha dichiarato il presidente del Senato Renato Schifani, ribadendo che «l’Italia non può che rimanere in Afghanistan. Il nostro Paese continua a pagare degli alti prezzi, ma lo fa in piena coscienza e nella consapevolezza che la libertà è un bene da garantire anche al di fuori dei propri confini».

Il presidente della Camera Gianfranco Fini ha rinnovato il suo «apprezzamento per il coraggio, la professionalità e lo spirito di sacrificio con cui i nostri militari svolgono la loro opera in quel tormentato Paese».

Sul fronte del governo, Il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha parlato di «un calvario: ci chiediamo se gli sforzi che stiamo facendo per la democrazia in quel lontano Paese stiano andando in porto». Dal suo canto, il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha ribadito che «in Afghanistan, la nostra linea non cambia di fronte ad un evento luttuoso. Le scelte si fanno a prescindere da questo, tenendo certo conto del sacrificio che tali scelte comportano».

Quindi, ha ricordato la vittima: «Mi inchino alla memoria di questo ragazzo, che va ad aggiungersi dolorosamente ad una lista troppo lunga. Una lista che non possiamo e non vogliamo dimenticare». Quindi, ha spiegato la dinamica dell’attentato: spiegato la dinamica dell’attentato: «Il Lince colpito era il secondo di una colonna di 13 mezzi italiani, compresa un’ambulanza, ed è stato colpito da un ordigno rudimentale».

Il mezzo, informa La Russa, «era dotato di un dissuasore elettronico che impediva l’accensione dell’ordigno a distanza ed evidentemente è stato azionato a mano o con una frequenza non coperta». Anche da parte del ministro dell’Interno Roberto Maroni è arrivato il «cordoglio alla famiglia del tenente Massimo Ranzani, deceduto durante l’espletamento del proprio dovere in Afghanistan».

Con la morte del militare italiano, sale ora a 37 il numero dei nostri soldati vittime in Afghanistan dall’inizio della missione nel 2004 a oggi. Poco più di un mese fa, il 18 gennaio, era rimasto ucciso nell’avamposto di Bala Murghab il caporal maggiore Luca Sanna.

«Davanti a questa Via Crucis di innocenti - ha esclamato monsignor Vincenzo Pelvi, arcivescovo ordinario militare per l’Italia - non abbiamo voglia di parlare ma dal di dentro, da credenti, dobbiamo vivere in modo da far uscire fuori la bellezza della fede che spinge i cristiani a lottare contro il male che non viene da Dio. La risposta da dare è donarsi con tutta l’esistenza perchè l’amore trionfi sull’egoismo».

Il rischio crescente di attacchi terroristici in Afghanistan era contenuto nella relazione dei nostri servizi segreti, trasmessa solo pochi giorni fa dal Dis, il dipartimento per l’informazione e la sicurezza, al Parlamento. «Il quadro della situazione è instabile - si avvertiva - e in particolare la province occidentali del Paese, sede del Regional Command West della missione Isaf, a guida italiana, saranno esposte al crescente rischio di attacchi, specie in relazione al riposizionamento in area di miliziani provenienti dalla regione meridionale, in esito alle operazioni di controinsorgenza avviate nel 2010 dalle forze di sicurezza afghane congiuntamente a reparti di Isaf».

«Quanto al modus operandi - si legge ancora nella relazione del Dis- è verosimile che nell’esecuzione di azioni ostili continuino ad essere privilegiate le tecniche di guerriglia, quali le imboscate e il posizionamento di Ied (Improvised Explosive Devices) lungo le rotabili interessate dal transito di forze internazionali e governative, nonchè l’impiego di razzi e mortai contro le basi militari di Isaf. Non sono da escludere, inoltre, rapimenti di personale occidentale impegnato a vario titolo nel processo di ricostruzione».

Proprio gli Ied sono i nemici più insidiosi della forze della coalizione, usati per una vera e propria strategia militare che colpisce a freddo, senza avvisaglie. Contrastare e prevenire gli attentati condotti con gli ordigni esplosivi improvvisati, è divenuta una priorità per le forze alleate in Afghanistan. Se ieri "artiglieria" significava esplodere un proiettile per colpire un obiettivo lontano che stava fermo, oggi il bersaglio si muove e l’ordigno sta lì ad aspettarlo, per scoppiare quando gli passerà vicino.

Gli Ied sono ordigni realizzati in maniera artigianale tramite l’impiego di parti di ordigni convenzionali, recuperati per via fortuita o di contrabbando il loro utilizzo, nonostante gli importanti progressi svolti da Isaf per contrastarne la minaccia, rappresenta una delle modalità di azione tra quelle utilizzate dagli insurgent. Le forze di sicurezza Isaf svolgono una continua attività per prevenire questo genere di minaccia, con l’obiettivo di migliorare le condizioni di sicurezza e garantire uno sviluppo sociale ed economico in Afghanistan.

«Gheddafi ultima chiamata deve lasciare la Libia»

Sanzioni Onu: embargo e blocco beni

Formato dall'opposizione il Consiglio nazionale libico. L'Unhcr: uno tsunami di migranti al confine con la Tunisia
 
 
ROMA - Barack Obama chiede esplicitamente al colonnello Muammar Gheddafi di lasciare il potere «per il bene del suo Paese». Nello stesso tempo, anche le Nazioni unite si mobilitano formalmente contro il rais. Il consiglio di Sicurezza ha approvato all'unanimità sanzioni contro il suo regime e i membri della sua famiglia. Mentre a Tripoli si teme lo scoppio di una guerra civile, la Casa Bianca e il Palazzo di Vetro rompono gli indugi e, di concerto con l'Unione europea, sanciscono nei fatti l'isolamento internazionale del dittatore libico. Approvato anche il deferimento alla Corte dell'Aja di Gheddafi.


Ancora scontri ad al-Zawiyah. Violenti combattimenti si sono registrati la scorsa notte nella città occidentale di al-Zawiyah: la città è ancora in mano ai ribelli ma nella periferia sono presenti le truppe fedeli a Gheddafi. Secondo il quotidiano arabo "al-Quds al-Arabi" «le forze fedeli a Gheddafi hanno sferrato un duro attacco provocando il ferimento di molte persone. A sparare erano soldati mercenari che hanno usato le armi pesanti per bombardare la città». Dall'inizio della rivolta sarebbero una cinquantina le persone uccise in quella zona.

Tsunami di migranti al confine con la Tunisia. Lo dice la portavoce dell'Unhcr, Liz Eyster, che in un'intervista con la Bbc parla di circa 50mila persone provenienti dalla Libia. Tra questi circa la metà sono egiziani. La priorità al momento è provvedere per ognuno a cibo ed accoglienza e per questo sono in arrivo 10mila tende e cibo altamente proteico. Il passo successivo è spostare la gente dalle frontiera e per questo si stanno organizzando navi e aerei, ha detto ancora la portavoce di Unhcr. (La portavoce dell'Unhcr ha affermato che l«Oim (Organizzazione mondiale per le migrazioni) sta provvedendo ad organizzare navi per trasportare i cittadini egiziani, mentre circa 130 somali si imbarcheranno su un volo charter che li porterà in Somalia. Liz Eyster ha inoltre elogiato le autorità locali per gli sforzi effettuati nel fornire soccorso al flusso di persone proveniente dalla Libia.

Quanto sta avvenendo è colpa degli «stranieri e di al Qaeda», ha ribadito Gheddafi in una intervista alla tv serba. Il colonnello ha confermato che intende restare in Libia. La situazione a Tripoli è tranquilla e l'Onu non può verificarlo, ha detto Gheddafi, condannando il Consiglio di sicurezza per le sanzioni e la possibilità di una inchiesta per crimini di guerra nei suoi confronti. La risoluzione è nulla e «non ha alcun valore. E' strano che al Consiglio di sicurezza non vedano le manifestazioni in mio favore».

L'opposizione a Bengasi ha anunciato di aver formato un Consiglio nazionale libico precisando che non si stratta di un governo ad interim e descrivendolo come espressione della rivoluzione. Un portavoce ha detto che non c'è spazio per alcun negoziato con il governo di Gheddafi. In una conferenza stampa, convocata dopo una riunione per discutere della formazione del Consiglio che possa sostenere il movimento per far cadere il regime di Gheddafi, gli oppositori hanno detto che quello definito dall'ex ministro della Giustizia Mustafa Abdeljalil come governo ad interim è «la sua visione personale». Nel Tribunale di Bengasi si sono insediati i comitati che gestiscono la città dopo la liberazione.

La risoluzione Onu prevede sanzioni dirette contro Gheddafi, otto dei suoi figli, due cugini e undici esponenti del regime di Tripoli, 22 persone in tutto. Nel documento si impone ai 192 Paesi che fanno parte delle Nazioni Unite di «congelare senza ritardo tutti i fondi, le disponibilità finanziarie e le risorse economiche di questi individui». Oltre all'embargo sulle forniture di armi, la bozza prevede un deferimento alla Corte penale internazionale dell'Aja, competente per giudicare i crimini di guerra contro l'umanità. Secondo i Quindici, oltre a Gheddafi, primo responsabile dell'eccidio in qualità di «comandante delle Forze Armate», vanno colpiti anche due suoi cugini, Ahmed Mohammed Ghedaf al-Daf, artefice di «operazione contro i dissidenti libici all'estero e coinvolto direttamente in attività terroristiche», e Sayyid Mohammed Ghedaf al-Daf, «coinvolto in una campagna di assassini di dissidenti e probabilmente di una serie di uccisioni in giro nell'Europa».

Presi di mira anche il capo delle Forze Armate, il colonnello Masud Abdulhafiz, il ministro della Difesa, generale Abu Bakr Yunis, il capo dell'antiterrorismo, Abdussalam Mohammed Abdussalam, oltre ad altri vertici dell'intelligence e dei comitati rivoluzionari. Infine, come ha indicato l'ambasciatrice degli Stati Uniti, Susan Rice, la risoluzione fa riferimento all'articolo 7 della Carta delle Nazioni Unite, che non esclude un intervento internazionale se necessario.

Prima che il consiglio di Sicurezza definisse gli ultimi dettagli, Ban Ki Moon ha chiamato Silvio Berlusconi. Ban «ha discusso le opzioni disponibili per risolvere la crisi e ha chiesto il continuo appoggio dell'Italia e un suo ruolo attivo per un'azione decisiva». Un ruolo assicurato da Berlusconi che, dal canto suo - informa una nota di Palazzo Chigi - «ha sottolineato il ruolo centrale dell'Onu nel promuovere una reazione efficace della comunità internazionale, sottolineando l'impegno dell'Italia a cooperare in tutti i fori multilaterali per una soluzione rapida e pacifica della crisi». Con Ban il premier ha inoltre «condiviso la necessità di porre termine alle violenze sui civili e alle violazioni del diritto umanitario e internazionale e quella di garantire un futuro di stabilità e integrità della Libia». E proprio per ottenere questa «azione decisiva», per porre fine alla repressione e allo spargimento di sangue nelle strade di Tripoli, i quindici del consiglio di Sicurezza, in linea con la Ue, trovano l'accordo per imporre un embargo sulle armi, il blocco dei beni del Colonnello e dei suoi familiari, oltre al divieto di viaggiare nell'Unione europea.

La situazione in Libia è a un «punto di non ritorno», è «inevitabile» che Gheddafi se ne vada. Lo ha detto il ministro degli Esteri, Franco Frattini: «Non avevamo mai visto situazioni in cui il capo di un regime dà ordine di uccidere i suoi stessi fratelli e le sue stesse sorelle, assoldando addirittura dei mercenari. Siamo arrivati a un punto di non ritorno».

Ashton: repressione Gheddafi avrà conseguenze. La repressione in Libia compiuta da Gheddafi avrà conseguenze, ha detto oggi l'alto rappresentante per la politica estera della Ue, Catherine Ashton, chiedendo di nuovo la fine immediata delle violenze. «Gheddafi e le autorità libiche sanno che le loro azioni inaccettabili e scandalose avranno conseguenze - si legge in un comunicato della Ashton - Le violazioni dei diritti umani devono cessare immediatamente». L'Alto rappresentante per la politica estera dell'Ue sottolinea poi la necessità che i responsabili degli attacchi contri i civili siano assicurati alla giustizia: «L'impunità contro i crimini commessi non sarà tollerata».

domenica 27 febbraio 2011

Catania, ucciso un uomo

Giuseppe Gianguzzo, 46 anni, è stato colpito da numerosi colpi di pistola in un agguato avvenuto in via Platania, nel quartiere di San Cristoforo


CATANIA. Un uomo di 46 anni, Giuseppe Gianguzzo, è stato ucciso a Catania con numerosi colpi di pistola in un agguato avvenuto in via Platania, nel quartiere di San Cristoforo. L'uomo è stato raggiunto da una diecina di colpi di pistola, due dei quali alla testa. Sono intervenuti i carabinieri; la vittima è stata trasportata nell'ospedale Vittorio Emanuele.

Secondo una prima ipotesi investigativa l'agguato potrebbe essere maturato nel mondo
criminale della droga. Giuseppe Gianguzzo in passato era stato denunciato per spaccio di sostanze stupefacenti e frequentava esponenti della cosca Santapaola del rione San Cristoforo. Carabinieri del reparto operativo del comando provinciale di Catania, che indagano sull'omicidio, ritengono probabile che la vittima, assassinata vicino la sua abitazione, conoscesse chi ha sparato. Gianguzzo è stato ucciso con sei colpi di pistola al torace: sul posto non sono stati trovati bossoli e questo fa ritenere agli investigatori che sia stata utilizzata una rivoltella o chi ha sparato era all'interno di una vettura.

Gela, ritrovato il corpo del contadino disperso dopo un nubifragio

Dopo 25 giorni è venuto alla luce il cadavere di Nunzio Incardona, il bracciante di 40 anni di cui non si avevano notizie dal primo febbraio

GELA. Ritrovato dopo 25 giorni a Gela il corpo senza vita di Nunzio Incardona, il contadino di 40 anni di cui non si avevano notizie dal primo febbraio, dopo un nubifragio abbattutosi sulle campagne a est della città.

Il corpo dell'uomo era coperto da fango e detriti, alla foce del torrente Valle Priolo, in contrada Bulala, quasi sulla spiaggia, a poche centinaia di metri dalle torce di sicurezza dello stabilimento petrolchimico dell'Eni. Sono stati alcuni cacciatori (impegnati nelle ricerche, insieme con i carabinieri e alla protezione civile) a notare una scarpa che fuoriusciva dal terriccio tra un cumulo di canne e arbusti trascinati dalla piena, dopo che un cane aveva fiutato la presenza del cadavere. Il luogo si trova poco più di un chilometro in linea d'aria da contrada Spina Santa, dove fu ritrovata l'automobile del contadino. Sono in corso le operazioni di recupero della salma.

La moglie, Grazia Granvillano, abbracciata ai due figli gemelli di sette anni, aveva rivolto, giovedì sera, un nuovo appello perché venissero intensificate le ricerche. Le associazioni dei cacciatori avevano subito aderito, annunciando una massiccia perlustrazione a partire da questa mattina, alle 7,30. Alle 10 il ritrovamento.

Tar Calabria. In crescita i ricorsi su sanità e parchi eolici Migliora la situazione dell'arretrato sui ricorsi al Tar.

Questo il dato che emerge dalla relazione del presidente Giuseppe Romeo che chiarisce come aumentino i ricorsi su sanità e eolico

 Si riduce l’arretrato dei ricorsi complessivamente pendenti davanti al Tribunale amministrativo della Calabria; crescono i ricorsi presentati in materia di sanità e di realizzazione di parchi eolici. Sono questi i dati salienti della relazione del presidente del Tar Calabria, Giuseppe Romeo, per l’inaugurazione dell’anno giudiziario che si è tenuta oggi a Catanzaro, davanti a numerose autorità, tra le quali il presidente del Consiglio di Stato, Pasquale De Lise. Statistiche confortanti, dunque, secondo il presidente del Tar, dal momento che sono state 400 le sentenze di merito pronunciate in più rispetto all’anno precedente, con una riduzione dell’arretrato di circa 1.500 ricorsi sui 24.457 in giacenza. Dati confermati, per grandi linee, anche per la sede staccata di Reggio Calabria, dove l’arretrato esistente è diminuito di circa 1.200 ricorsi. Il contrasto crescente tra pubblico e privato si palesa, invece, nel settore della sanità: «E' il piano di rientro – ha sostenuto il presidente Romeo – la radice del contrasto, tra la necessità delle risorse disponibili, e quelle della logica della rimuneratività del servizio reso. Al momento le principali questioni poste hanno avuto una soluzione solo in sede cautelare ed hanno suscitato problematiche che investono il rapporto tra pubblico e privato, che, nella specie, risulta caratterizzato dai condizionamento dovuti alla ristrettezza dei mezzi finanziari che non sono idonei a soddisfare le richieste delle strutture private che, assieme a quelle pubbliche, concorrono a fornire un servizio fondamentale alla collettività». L’altro settore dove aumentano i contrasti amministrativi è quello dell’eolico, per il quale Romeo ha dichiarato che si tratta di «un gruppo di sentenze che manifesta una precisa linea interpretativa seguita da questo tribunale, relativo alle controversie nelle quali si è denunciata la deviazione del modello procedimentale disegnato dalla legge 241 del 1990. Mi riferisco alle numerose sentenze emesse in materia edilizia, di realizzazione di impianti eolici e di occupazione di suolo demaniale marittimo». Nella relazione il presidente Romeo ha anche richiamato l’attenzione sulla mancata esecuzione delle sentenze del Tar da parte della pubblica amministrazione: «Devo purtroppo dire – ha affermato - che l’invito rivolto l’anno scorso non è stato raccolto e devo anche confessare pubblicamente che mi sfugge la ragione per cui, penso alle ottemperanze sui decreti ingiuntivi, le Amministrazioni non soddisfino i loro obblighi. Le Amministrazioni sono poi costrette a soddisfarle in modo coatto e con un aggravio di spese».

Colpo clamoroso in provincia di Avellino Ladri portano via la cassaforte del Comune

AVELLINO - Nuovo audace colpo dei ladri di casseforti. Dopo quella del Monte Paschi di Siena di qualche mese fa, ad essere presa di mira, questa volta, è stata la cassaforte del Comune di Lioni. All’interno 15mila euro in contanti e 500 carte di credito in bianco.

I malviventi, nottetempo, si sono introdotti nell'edificio attraverso un cancelletto che si affaccia su di un’attigua stradina e superato un atrio sono entrati nel comune agevolati da una finestra incautamente lasciata aperta. Si sono diretti negli uffici amministrativi, dove, presumibilmente, pensavano o sapevano di trovare la cassaforte. L'hanno trascinata prima lungo il corridoio e poi fatta scivolare lungo una scalinata interna a più rampe che porta ad un’uscita laterale.

Una volta fuori l'hanno caricata su di un automezzo (furgone o camioncino con gruetta) e si sono dileguati. Visto il volume e il peso, non meno di quattro quintali, si presume che ad agire siano state non meno di quattro persone. Primi ad accorgersi del furto sono stati, all'orario di apertura, gli impiegati degli uffici amministrativi. Subito sono stati allertati i vigili urbani ed i carabinieri della stazione di Lioni.

«È una vicenda brutta e sgradevole - dice il sindaco Rodolfo Salzarulo - non tanto per il contenuto in valori e che è ben poca cosa, ma soprattutto per il fatto che al suo interno c'erano ben 500 carte di identità di cui solo 4 erano state compilate e che dovevano essere consegnate già in mattinata a chi ne aveva fatto richiesta.

Le altre in bianco, si presume, serviranno ai malviventi per «regolarizzare» quei tanti clandestini che in questi giorni stanno arrivando in massa in Italia. Sono amareggiato soprattutto - continua il primo cittadino - per il fatto che nell'edificio si possa entrare con troppa facilità. Questo noi lo sapevamo e più volte avevamo fatto richiesta, con progetti, di una opportuna ed adeguata videosorveglianza: purtroppo sempre bocciati dalla burocrazia che lega l'approvazione al numero di abitanti. Lioni non ha i 70.000 richiesti».

Il sindaco riferisce, inoltre, che nonostante tutto si stavano dotando, in maniera autonoma di una rete di allarmi e videosorveglianza che fra quattro giorni sarebbe entrata in funzione. I ladri, forse sapendo, li hanno battuti sul tempo. La cassaforte rubata era stata donata al comune di Lioni nel 1981 da una banca toscana.

Paolo Ciccone

Napoli, truffa ai poveri per finti sussidi Posto garantito in graduatoria? 50 euro


NAPOLI - Se Robin Hood rubava ai ricchi per dare ai poveri, loro fanno l’esatto contrario. In quella parte di mondo alla rovescia che si può trovare anche a Napoli succede pure questo: che i poveri rubino ai più poveri, e che non si tratti di finzioni divertenti come certe scene de «Il mattatore» o di «Totò truffa», ma di fatti veri che vedono protagonisti autentici delinquenti, gente senza un briciolo di umanità.

È l’ultima truffa messa a segno nel capoluogo campano: quella per ottenere l’una tantum prevista dalla legge in favore delle fasce sociali più deboli; un contributo di 400 euro erogato dal Comune di Napoli con finanziamenti garantiti dal fondo nazionale per le Politiche della famiglia. Soldi veri che vorrebbero garantire una boccata d’ossigeno a chi patisce per le proprie non floride condizioni economiche i morsi di una crisi che non accenna a mollare la presa.

Ma ricostruiamo i fatti. Il bando comunale viene reso pubblico a fine dicembre 2010, e - com’è ovvio - subito attira l’attenzione di tantissima gente, suscitando in loro l’aspettativa di un finanziamento. Il guaio è che si mettono in moto immediatamente anche i truffatori: i quali intuiscono di avere tra le mani un’occasione irripetibile. E la sfruttano. Stampano, tanto per cominciare, false schede per poter partecipare al bando. I fogli appaiono perfettamente contraffatti, e riuscirebbero a trarre in inganno persino gli impiegati del Comune di Napoli addetti alla raccolta e all’esame dei requisiti, se non fosse per un piccolissimo dettaglio: rispetto ai moduli scaricabili dal sito di Palazzo San Giacomo, il falso documento messo in circolazione contiene - tra i requisiti richiesti - alcune voci diverse (per esempio, tra le condizioni di accessibilità vi sono un titolo di studio, l’aver preso parte a dei corsi di formazione, il rientrare in categorie assimilabili a soggetti che soffrono o hanno sofferto di tossicodipendenze).

Fatto il modulo falso, è scattato l’inganno. E nei quartieri di Napoli - soprattutto in quelli più popolari - gruppi di malfattori hanno iniziato a girare con i moduli in mano, convincendo centinaia di persone sulla utilità della sottoscrizione. Per ogni modulo compilato i truffatori pretendono dai 30 ai 50 euro. Inutile dire che al Comune quelle richieste non arriveranno mai, e se pure arriveranno verranno dichiarate irricevibili perché si tratta di moduli non autentici, anzi volutamente errati.

Altro che benefattori. È la truffa più odiosa, perché perpetrata ai danni di soggetti deboli e indigenti. Nella rete sarebbero già cadute diverse centinaia di persone. Il fenomeno non è sfuggito ai carabinieri del comando provinciale di Napoli, i quali si stanno muovendo per ricostruire i contorni del fenomeno e, soprattutto, gli autori di un raggiro tanto odioso. E che la truffa abbia cominciato ad assumere contorni ampi lo si comprende anche dal fatto che gli stessi uffici del Comune di Napoli hanno deciso di non accogliere più - come invece accadeva fino a qualche settimana fa - le richieste compilate con i moduli scaricati dal sito web del Comune. Una circolare dirigenziale impone adesso che le domande debbano essere consegnate a mano agli impiegati degli uffici preposti.

Ma chi si nasconde dietro questa truffa? Singoli soggetti, abili nella contraffazione di documenti, oppure una vera e propria organizzazione? È ancora presto per rispondere a questo interrogativo. Ma da oggi questo manipolo di delinquenti potrebbe avere le ore contate.

di Giuseppe Crimaldi

Yara uccisa con sei coltellate "Ha lottato con il suo killer"

I risultati della prima ispezione del cadavere: "Violenza feroce". Il parroco: l'orco in mezzo a noi.Vicino al corpo sim del cellulare, chiavi di casa e iPod. Il questore:trovati elementi importantissimi


CHIGNOLO D’ISOLA (BERGAMO)

Sono elementi «importantissimi» quelli acquisiti dagli investigatori dopo il ritrovamento del corpo di Yara. I primi, fra tutti quelli raccolti finora, veramente determinanti per le indagini. Ora si sa che Yara è stata accoltellata, almeno sei volte e che si è difesa, ha lottato con l’assassino, prima di essere abbandonata in un campo incolto ai margini del comune di Chignolo D’Isola (Bergamo), a pochi chilometri in linea d’aria dal suo paese natale, Brembate Sopra, da dove era scomparsa il 26 novembre scorso, giusto tre mesi fa.

Così, mentre si attendono ancora le certezze relative a queste ipotesi, che potranno essere fornite solo dagli esiti degli esami anatomo-patologici sul cadavere (gli accertamenti cominceranno domani mattina all’Istituto di medicina legale di Milano, dove oggi si sono recati i genitori per il riconoscimento), gli investigatori possono riformulare lo scenario del caso. E a prevalere è, come nelle prime ore dopo la scomparsa di Yara, la tesi del maniaco. «Nelle favole tutto finisce bene ma adesso sappiamo cosa è un orco e siamo preoccupati perchè l’orco è tra noi»: ha detto don Corinno, parroco di Brembate Sopra, nella messa delle 10. «Yara ora è un angelo», ha aggiunto.

Il sorriso dolcissimo della ragazzina, però, quello che compariva su tutte le foto affisse dopo la sua scomparsa, contrasta in modo straziante con la visione dei suoi resti raccontata da un agente. Il corpo di Yara Gambirasio era disteso sulla schiena con le braccia all’indietro. E secondo quanto si è appreso, i resti non erano individuabili da lontano, e nonostante si trovassero senza alcuna copertura, nemmeno parziale, sopra delle sterpaglie, già da pochi passi risultavano praticamente invisibili. Una considerazione che avvalora l’ipotesi che il corpo possa essere stato abbandonato in quel luogo da tempo, forse il giorno stesso dell’omicidio, che sarebbe avvenuto «nell’immediatezza» della scomparsa.

La scena apparsa agli occhi delle prime persone accorse sul posto è stata quella di un cadavere in avanzatissimo stato di decomposizione: disteso sulla schiena, con le braccia all’indietro oltre il capo come nel tentativo di liberarsi da qualcuno di dosso, o forse a causa di un breve trascinamento. Le mani parzialmente coperte dalle maniche del giubbotto, lo stesso che indossava il giorno che è scomparsa, come peraltro gli altri abiti, la felpa, i pantaloni elasticizzati e i guanti. In tasca sono stati trovati alcuni oggetti come la sim card del suo telefonino, un ipod, le chiavi e la batteria del cellulare, che invece manca - molto stranamente - all’appello. Il corpo in alcuni tratti era quasi mummificato e in alcuni punti scarnificato forse per l’intervento di alcuni animali, e presentava dei tagli, uno più esteso e profondo alla schiena all’altezza dei reni, altri all’altezza del collo e del petto.

Dal riserbo degli ambienti investigativi, in serata, è però trapelato un convincimento: Yara è stata accoltellata. È stata colpita dal suo assassino con almeno sei fendenti, alcuni dei quali inferti con molta violenza. L’esame del cadavere avrebbe evidenziato una ferita alla gola, una al polso e ben quattro alla schiena, una delle quali molto profonda all’altezza dei reni. L’ipotesi è che la ragazza sia stata prima colpita al collo, poi al polso, nel tentativo di difendersi, e infine alla schiena. Yara, inoltre, come detto, potrebbe essere stata uccisa subito, probabilmente la stessa sera del 26 novembre o nelle ore immediatamente successive. I capelli di Yara, infatti, erano ancora legati con lo stesso elastico rosso che indossava quando è scomparsa. Gli investigatori della Polizia di Stato, che stamani hanno sequestrato le immagini delle telecamere di sorveglianza dell’ azienda proprietaria del campo, e che confina con esso (tutta la zona, infatti, è video sorvegliata) acquisiranno ora anche i dati registrati dalla cella telefonica che "copre" il campo di Chignolo d’Isola.

L’accertamento ha uno scopo preciso: individuare tutti i telefoni che si sono agganciati alla cella di Chignolo la sera del 26 novembre e nei giorni seguenti. Servirà a verificare se tra tutti i telefoni che hanno agganciato la cella di Chignolo in quelle ore, ve ne siano uno o più che verso le 18.30 del 26 novembre hanno agganciato la cella di Brembate che ’coprè la zona dove si trova la palestra da cui Yara è uscita senza più fare ritorno a casa.

La Spezia, lite per una ragazza finisce in tragedia

Pugnalato un 27enne: un fermo per l'omicidio

Una rissa fra carraresi e spezzini poi la tragedia. Jonathan Esposito, 27 anni, è stato accoltellato dopo un banale diverbio per una parola di troppo rivolta a una ragazza. Un coetaneo fermato dai carabinieri per l'omicidio, quattro denunciati per favoreggiamento
La Spezia - Una rissa scoppiata per un'atavica rivalità tra carraresi e spezzini, incendiata dalle avances ad una ragazza e da qualche bicchiere di troppo: una baruffa da sabato sera fuori da un circolo culturale dopo una festa di carnevale finita in tragedia, con una coltellata in pieno petto a Jonathan Esposito, di 27 anni, padre di un bimbo di due, che si è accasciato sull'asfalto privo di vita.

Il dramma si è consumato in un quartiere della prima periferia, davanti al porto della cittadina ligure. Un omicidio che dopo una giornata di intenso lavoro di ricostruzione ha portato al fermo di un ragazzo di 27 anni, di Carrara (Massa Carrara), Davide Tenerani, e alla denuncia di altre quattro persone per favoreggiamento. Una vicenda che ha avuto ripercussioni anche a livello istituzionale, col ministro della Gioventù Giorgia Meloni che ha annunciato come il suo ministero, assieme a quello dell'Interno e quello della Giustizia stiano "lavorando per rivedere le norme che riguardano le armi improprie e più in particolare le armi da taglio", con l'obbiettivo di "varare una norma che inasprisca le sanzioni penali per chi porta illegalmente armi bianche o altri strumenti atti ad offendere, prevedendo una pena maggiore qualora si tratti di coltelli con lama superiore a 6 centimetri". "Troppo spesso negli ultimi tempi abbiamo visto giovani morire senza senso - afferma Meloni - colpiti in una rissa da armi bianche. Troppi ragazzi portano coltelli che in momenti di rabbia diventano armi letali".

Intanto resta il dolore per questa morte inutile. Jonathan era un meccanico, lavorava con passione alle moto: aveva molti amici, viveva in un appartamento in centro città, nel quartiere di Mazzetta, con la compagna Chiara e il loro bimbo. Tifava per la Juventus, amava il calcio perché lo aveva praticato da ragazzo, ma non era uno scatenato. Ieri sera era intervenuto per prendere le parti di una ragazza spezzina, che sarebbe stata molestata nel locale dal gruppo di giovani di Carrara. Il diverbio era stato messo subito a tacere. Quando è finita la festa, e i ragazzi si sono ritrovati di fronte, è stata la miccia che ha riacceso le antipatie.

Mentre i carabinieri spezzini cercavano di ricostruire la vicenda, a Carrara uno degli aggressori si é presentato in caserma per spiegare che lui c'era ma che non ha ucciso. Gli altri sono stati identificati poco dopo e accompagnati al comando provinciale della cittadina ligure dove nel pomeriggio sono stati ascoltati anche dal sostituto procuratore Maurizio Caporuscio.

Tra gli interrogativi, che riecheggiano anche sulla bacheca del un gruppo di Facebook "giustizia per Jontahan", ci si chiede perché l'assassino sia uscito di casa con un coltello, sapendo che sarebbe dovuto andare ad una festa. "Ragazzi era un mio amico - si legge in un messaggio - spero che giustizia sia fatta, non ho parole, lascia la moglie e un bambino, in che mondo viviamo".

sabato 26 febbraio 2011

Trovato il cadavere di Yara Gambirasio

Era abbandonato in un campo incolto, tra l'erba alta, vicino a Brembate
Il cadavere di Yara Gambirasio è stato ritrovato abbandonato in un campo, nell'erba alta, in località Bedeschi a Chignolo d’Isola, al confine con il comune di Madone, a una decina di chilometri da Brembate. Potrebbe essere stata abbandonata lì già la sera stessa della scomparsa, il 26 novembre, 3 mesi fa proprio oggi.

Lo si apprende da fonti investigative, secondo le quali l’ipotesi sarebbe supportata dalle condizioni in cui è stato trovato il cadavere, vestito e in stato di grave decomposizione. Saranno comunque gli accertamenti scientifici che saranno eseguiti nei prossimi giorni a confermare o smentire questa possibilità.

Il riconoscimento del corpo è avvenuto anche grazie al rinvenimento dell’apparecchio per ortodonzia che la giovane aveva. Un particolare questo che, unito all’abbigliamento, ha convinto gli investigatori di trovarsi di fronte al cadavere della ragazzina.

A scoprire il corpo della tredicenne nascosto tra la fitta vegetazione di un campo incolto, sempre secondo quanto si apprende, sarebbe stato un uomo che stava portando il cane a passeggio e si trovava nella zona per caso; non avrebbe alcun ruolo nella vicenda. L’uomo ha immediatamente chiamato gli investigatori, che hanno identificato Yara, con indosso i resti dei vestiti che aveva la sera della scomparsa.

Il campo dove è stato trovato il corpo di Yara è stato isolato dalle forze dell’ordine. La zona è industriale, ci sono molti capannoni, alcuni in costruzione, e il campo, molto esteso, si sviluppa proprio al termine degli edifici. La via di accesso è stata chiusa e molte persone, tra giornalisti e curiosi accorsi dal paese vicino, sono tenuti a distanza di oltre 200 metri dal campo.

Uomini della polizia scientifica, assieme al medico legale, stanno effettuando i primi rilievi sul
cadavere. Sul posto, oltre alle forze dell’ordine e al magistrato, si trovano anche i vigili del fuoco, che hanno illuminato con le cellule fotoelettriche il campo dove è stato rinvenuto il corpo, in modo da consentire gli accertamenti.

Su richiesta della famiglia, dal 29 gennaio, sulla vicenda era calato il silenzio stampa. Ma, a Brembate Sopra, nella Bergamasca, ricerche e indagini da parte di polizia e carabinieri non si erano mai interrotte. Ogni giorno una quarantina di persone tra polizia (entrati in azione anche gli uomini del reparto mobile di Padova), polizia provinciale, Protezione civile, i carabinieri del III battaglione di Milano e della stazione di Ponte San Pietro e i volontari degli alpini hanno perlustrato divisi in due gruppi le zone intorno a Brembate Sopra: campi, boschi, ruderi e casolari abbandonati. L’attenzione della gente (anche di chi vive lontano da Brembate Sopra) non è mai calata, e si concentrava intorno al parroco don Corinno Scotti (dal quale gli stessi giornalisti sono andati a confessarsi e a raccontare i loro problemi, anche relativi al modo in cui sono stati toccati dal dramma).

Tra medium e mitomani, anche storie toccanti. Un mese fa una coppia di Milano ha consegnato a don Corinno 5.000 euro da consegnare alla famiglia di Yara, ma la madre (che dalla scomparsa della figlia non è mai tornata al lavoro) ha detto al parroco di tenerli da parte per «quando faremo festa per la bambina». Un uomo ha telefonato al sacerdote dalla Sicilia due volte la settimana e gli raccontava del figlio 16enne assassinato due anni fa. Ma ci sono stati anche i malintenzionati, come quello che si è presentato come agente dei servizi segreti, ha rivelato al parroco che Yara sarebbe tenuta prigioniera in Romania, poi in Bulgaria, poi in Kosovo. Alla fine ha chiesto del denaro.

Sequestrata, violentata e ignara protagonista di un home video porno

BRINDISI . Dopo essere stata protagonista a sua insaputa di un video porno, e' stata sequestrata e violentata dall' uomo che aveva promesso di aiutarla a recuperare il filmato messo in vendita dal suo ex fidanzato. E la brutta avventura capitata a una studentessa (della quale non e' stato reso noto il nome) a San Pancrazio Salentino, nell' entroterra brindisino. Entrambi gli uomini sono stati arrestati e accusati di sequestro di persona, estorsione, violenza carnale, produzione e commercializzazione abusiva di immagini pornografiche. Si tratta dell' ex fidanzato della giovane, Antonio Ciurlia, 25 anni, parrucchiere, e di Amleto Lezzi, 49 anni, pregiudicato, senza lavoro. Entrambi sono sposati. Nella casa di Ciurlia i carabinieri hanno recuperato le videocassette e munizioni per pistola detenute illegalmente. La ragazza si e' lasciata ingannare per amore e per ingenuita' . L' anno scorso, attraverso un amico (e' stato denunciato), conobbe Antonio Ciurlia e se ne innamoro' . Il parrucchiere finse di corrispondere e, dopo averla corteggiata per qualche tempo, la invito' in casa sua. In una villetta sul mare, Ciurlia aveva preparato un "nido d' amore" attrezzato persino con uno specchio segreto per consentire a complici non ancora identificato di filmare gli incontri amorosi. L' ambiente veniva appositamente arricchito con articoli da porno shop. La relazione risale ad alcuni mesi fa: nel frattempo, dopo diversi incontri durante i quali la ragazza aveva continuato a non avere sospetti, e' pero' finita. Sono invece rimasti in commercio gli home video prodotti da Ciurlia. Alla fine, anche la studentessa ha saputo dell' esistenza della pornocassetta di cui si e' ritrovata protagonista: veniva venduta a 100 150 mila lire. La storia d' amore ormai finita si e' cosi' trasformata in un incubo per la studentessa che ha cercato di recuperare le videocassette con ogni mezzo. Attraverso l' amico che a suo tempo l' aveva presentata a Ciurlia, la giovane era cosi' entrata in contatto con Amleto Lezzi, che le aveva promesso aiuto. Con questo pretesto l' uomo l' aveva invitata a casa sua, l' aveva sequestrata, costretta ad avere rapporti con lui e infine minacciata: se avesse raccontato la violenza subito, la studentessa sarebbe stata costretta a prostituirsi. Nel frattempo, fortunatamente, le indagini avviate dai carabinieri avevano permesso di identificare la ragazza attraverso le immagini girate a sua insaputa. La giovane, cosi' rintracciata, ha quindi denunciato l' accaduto, e consentito il seguito dell' inchiesta e i due arresti.

"Rischio terrorismo in Europa"

ROMA - L'Europa e l'Italia corrono seri rischi dopo l'esplosione delle rivolte in nord Africa: veder arrivare sul proprio territorio un'ondata di migranti di proporzioni mai viste e trovarsi a due passi da casa gli estremisti islamici.

L'analisi dei servizi di informazione, contenuta nella relazione consegnata dal Dis al Parlamento, conferma che quel che sta succedendo sull'altra sponda del Mediterraneo avrà conseguenze dirette sull'Italia per gli anni futuri. Senza dimenticare che il nostro paese e l'Ue sono "sempre più esposti al terrorismo di matrice jihadista" sia come serbatoio di reclutamento e retrovia logistico-finanziario, sia come teatro di attentati.

Ma gli scenari potrebbero essere addirittura peggiori di quelli ipotizzati dagli 007 visto che la Relazione è relativa all'attività del 2010 e dunque non tiene conto, se non in forma sommaria, degli ultimi sviluppi della crisi nel Maghreb.

Quello che comunque era già chiaro agli uomini dell' intelligence prima che implodessero Tunisia, Egitto ed, ora, Libia, è che "i fermenti sociali e le forti aspirazioni al cambiamento, amplificati e condivisi sul web, potrebbero far registrare nuovi picchi di contestazione" nei quali potrebbero inserirsi "tentativi di strumentalizzazione in chiave islamista" e di "natura terroristica".

Insomma, al di là della propaganda di Gheddafi, il rischio che formazioni vicine ad Al Qaeda possano tentare di approfittare delle rivolte è reale. È evidente dunque che la "stabilità e la sicurezza" dell'intera area nordafricana saranno "condizionate dagli sviluppi dei processi di transizione" in corso. Che non sono affatto scollegati tra loro.

Nel primo paese a sollevarsi, la Tunisia, ad esempio, la protesta è stata alimentata "dall'insofferenza di larghi strati della popolazione verso un'amministrazione accusata di essere illiberale e corrotta" ma ha espresso "un disagio socio-economico diffuso e particolarmente avvertito nell'intero quadrante" tanto da "innescare e rivitalizzare istante anti-governative in varie realtà dell'area nordafricana e mediorientale, sino a deflagrare nel contesto egiziano".

E l'Egitto, dicono gli 007, non è un paese qualunque perchè rappresenta un contesto "particolarmente rilevante per la stabilità regionale e la pace in Medio Oriente". La rivolta che ha abbattuto Mubarak ha aperto una "fase di passaggio" che non è dunque "priva di criticità".

"A pochi mesi da una scadenza elettorale che avrebbe dovuto sancire un avvicendamento al vertice nel segno della continuità - è scritto non a caso nella relazione - la protesta popolare ha disvelato un fronte del dissenso trasversale e composito, reclamando una rottura con il passato".

C'è poi il secondo "rischio" paventato dagli 007, che riguarda l'Europa e in particolare l'Italia. Lo stesso di cui parla da una settimana il ministro dell'Interno Roberto Maroni: l'arrivo sulle nostre coste di un'ondata di migranti in fuga dal nord Africa.

"Una nuova spinta migratoria - afferma infatti l'intelligence - potrebbe registrarsi nel Maghreb in relazione ad acuite condizioni di disagio socio-economico destinate a perdurare nei prossimi mesi". Migliaia e migliaia di disperati in mano a "sempre più qualificati e competitivi sodalizi egiziani, siriani, iracheni e turchi" che interagiscono con le organizzazioni operanti nell'area balcanica, in quella caucasica e asiatica.

Dopo gli accordi dell'Italia con la Libia che hanno ridotto drasticamente gli sbarchi, questi trafficanti di esseri umani hanno utilizzato come "opzione privilegiata" per far entrare i clandestini in area Schenghen, la Turchia. Ma se la Libia implode, sono pronti a ripercorrere le vecchie rotte.

Patenti facili, Nobile fa i nomi di complici e colleghi

Le tangenti sarebbero state pagate per tutto: pratiche d'esami, collaudi e immatricolazioni. Accusati titolari di autoscuole, esaminatori e funzionari della Motorizzazione


PALERMO. «Prendono soldi. Sono colleghi miei che erano soliti prendere soldi dai titolari di autoscuole». Con queste parole, Antonino Nobile, il funzionario della motorizzazione di via Onorato, ha confessato tutti gli illeciti che gli venivano contestati, accusando altri personaggi che non erano stati coinvolti nella maxi inchiesta sulle «patenti facili». Uno di loro è Emanuele Lo Cascio, arrestato il mese scorso e adesso ai domiciliari. Ma ci sono anche due titolari di autoscuole, cinque sono esaminatori vicini a titolari di agenzie automobilistiche e tre funzionari della Motorizzazione. Le tangenti venivano pagate per tutto: velocizzare pratiche d’esame, collaudi amministrativi, immatricolazioni. E, secondo Nobile, tutti lo sapevano.

«Sergio Cinà e Salvatore Di Benedetto (titolari di autoscuole), mi davano soldi per velocizzare le pratiche. – ha dichiarato l’indagato - Ho chiesto di far passare i loro candidati agli esami nel mio verbale, ossia di far passare a me i candidati che dovevano essere esaminati da un altro collega». Un altro responsabile di agenzia, Giuseppe Pagano, avrebbe pagato per un motivo diverso. «Mi dava soldi, 150-200 euro per registrare le pratiche di collaudo Gpl». Mazzetta obbligatoria perfino per un gancio di traino. «Salvatore Nave mi dava 50 euro per una pratica di collaudo amministrativo di un mezzo. Si trattava di un gancio traino che si doveva verificare se montato o meno». Stessa regola per le immatricolazioni. «Giuseppe Licata (altro titolare di autoscuola) mi dava soldi, tre episodi per un totale di 800 euro. Me lo portò Pagano per pratiche di immatricolazione con omologazioni particolari del Ministero. Feci fare una relazione tecnica da un ingegnere che è andato a Gela per vedersi i mezzi. A lui ho dato 450 euro e per me ho trattenuto 150 euro».

Gli investigatori sono al lavoro per trovare i necessari riscontri a queste accuse. Intanto, il gip Piergiorgio Morosini, ha deciso di tenere Nobile ancora in carcere convinto che non avrebbe detto tutto quello che sa. Un altro interrogatorio è fissato per la prossima settimana.

Il re delle “patenti facili” confessa: così gli assenti superavano l’esame
 
 
Antonino Nobile, il funzionario della motorizzazione al centro dell’inchiesta, ha spiegato il meccanismo di corruzione che era in atto negli uffici. “Bastava pagare, da 50 a 100 euro”



PALERMO. Oltre 100 episodi di corruzione avvenuti. Li ha ammessi Antonino Nobile, in arte mister 100 euro, il funzionario della Motorizzazione, al centro dell’inchiesta sulle “patenti facili”. Il meccanismo era semplice: bastava pagare dai 50 ai 100 euro e, in alcuni casi, non bisognava nemmeno presentarsi all’esame. La confessione è avvenuta nel corso di un interrogatorio durato 4 ore, con il pm Amelia Luise.

Nobile ha parlato della corruzione che dilagava negli uffici di via Onorato, ha fatto i nomi di tre colleghi, tra cui quello di Emanuele Lo Cascio, già in cella. Ha descritto il rapporto tra funzionari e autoscuole, le quali spesso sembra che avessero un “esaminatore preferito”. Il prezzo da pagare per ogni tornata di esame era di 1.000 - 1.500 euro. Ma le mazzette venivano incassate per tutto: patenti, immatricolazioni, revisioni e carte di circolazione. E si pagava anche quando capitava di avere candidati non preparati. «Lorenzo Gambino mi diede soldi perché il suo alunno era mediocre - afferma l’indagato - ha pagato 2-3 volte sempre per esami anche spontaneamente e dunque per rispetto, pur essendo un tirchio unico».

Ma c’è di più. L’esame, infatti, a detta di Nobile, poteva essere superato anche senza presentarsi. «Francesco Armanno e il figlio Massimo mi davano soldi, 50 euro sempre, e 4-5 volte hanno fatto esami con me, che ho dato loro pure il correttore di esami, come si vede nel video - dice Nobile - ricordo che una volta ho finto che un alunno, neppure presentatosi, aveva effettuato l’esame per il conseguimento della patente». Gli inquirenti, però, non credono che abbia detto veramente tutto e, per questo, il gip Piegiorgio Morosini ha respinto ieri la richiesta di arresti domiciliari della procura, decidendo di sentirlo personalmente la prossima settimana.

venerdì 25 febbraio 2011

Manganelli in Sicilia: Messina Denaro sarà il prossimo successo

Il capo della Polizia, oggi a Patti per ricevere la cittadinanza onoraria: la latitanza del boss è compressa dalla forza dello Stato. Sulle immigrazioni denuncia: rischio infiltrazioni terroristi


PATTI. «Ci sono in campo le migliori intelligenze, le migliori energie dell'Arma dei carabinieri e della polizia di Stato. La latitanza di Matteo Messina Denaro è comunque compressa dalla forza dello Stato che é già riuscito a catturare favoreggiatori, è già riuscito ad essere invasiva in quell'area di protezione del latitante. Io ritengo che sarà tra i successi dello Stato, spero prossimi». Lo ha detto il capo della polizia, Antonio Manganelli, oggi a Patti, in provincia di Messina, per ricevere la cittadinanza onoraria dall’amministrazione comunale.

Sulle preoccupanti migrazioni che si stanno verificando in questi giorni dalla Libia, il prefetto ha dichiarato: «Quello a cui stiamo assistendo è una fuga da guerre civili e non il fenomeno dell'immigrazione che abbiamo conosciuto finora. È l'esodo, speriamo non biblico, di popolazioni che cercano rifugio. E non può essere escluso il rischio d'infiltrazione di terroristi internazionali: ci sono paesi in cui i detenuti evadono in massa». «Tra questi detenuti evasi - ha aggiunto - ci sono persone accusate di terrorismo. E' evidente che il loro arrivo in Europa non può che creare condizioni di pericolo». «Noi - ha concluso - stiamo lavorando d'intesa con le polizie degli altri paesi, perché attraverso il confronto delle impronte digitali, la corretta identificazione delle persone che sbarcano si possano isolare quelle eventualmente ricercate per questi motivi».

Droga, a Sciacca 12 condanne per 45 anni di carcere

Gli imputati coinvolti lo scorso anno in un’operazione che fece luce su un vasto giro di stupefacenti tra la Sicilia e il Piemonte e la Lombardia


SCIACCA. Condanne per un totale di quasi 45 anni di carcere e 170 mila euro di multa sono state emesse dal gup di Sciacca Michele Guarnotta nei confronti di 12 imputati, giudicati con il rito abbreviato, coinvolti lo scorso anno nell'operazione antidroga denominata "Bacchanalia", che fece luce su un vasto giro di stupefacenti - cocaina, eroina, hashish ed ecstasy - tra la Sicilia e il Piemonte e la Lombardia.

La pena più alta (otto anni e sei mesi di reclusione e 26 mila euro di multa) è stata inflitta a Francesco Notaro. Pene più lievi a carico degli altri imputati: cinque anni a Vincenzo Orsini; quattro anni e 20 giorni a Francesco Pecora; quattro anni e quattro mesi ciascuno a Calogero Cammarata e Giovanni Titone; tre anni a testa a Claudio Montalbano e Vito Mirabile; due anni e otto mesi ciascuno ad Antonella Chillà, Maria Luisa Mergola, il nordafricano Kitar Kamel e Francesco Miceli; due anni e quattro mesi a Salvatore Caruso. Secondo le accuse gli imputati avevano messo su un vasto mercato di droga tra Sciacca, Palermo, Trapani, Biella, Varese e Vercelli, mercato che registrò una impennata durante il Carnevale di Sciacca del 2009. Durante i festeggiamenti gli spacciatori si ritrovarono improvvisamente a corto di ecstasy e colorarono banali pillole di anti infiammatorio acquistate in farmacia pur di soddisfare la grossa richiesta di quei giorni. Tra gli altri indagati già giudicati in precedenza c'é Calogero Puleo, che aveva patteggiato una pena a tre anni e sei mesi di reclusione. L'uomo è stato arrestato ieri dai carabinieri di Sciacca per scontare la sua pena.

Inchiesta "Cosa Mia", dall’autostrada il pizzo ai boss

Le prove delle tangenti versate dagli imprenditori alla ’ndrangheta. Le regole della spartizione dettate da Umberto Bellocco dopo un accordo con i clan all’interno del carcere

Il vecchio boss Rosarno, Umberto Bellocco, decideva chi aveva diritto a ricevere la tangente del 3% sui lavori della Salerno Reggio Calabria e in che misura. Soldi che le grandi aziende del nord versavano ai boss locali per la “Sicurezza sui cantieri” dell’A3. E’ uno spaccato impressionante quello che esce fuori dalle carte dell’indagine “Cosa mia”. Una mole di documenti della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, sui quali si baserà la richiesta di rinvio a giudizio per i vertici dei clan Gallico-Morgante-Sgrò-Sciglitano, boss e picciotti del “locale” di Palmi, e per i Bruzzise-Parrello del “locale” di Barritteri e Seminara.


I magistrati della Dda di Reggio Calabria sostengono che Bellocco, non solo guidava saldamente la propria famiglia, ma «manteneva rapporti con i rappresentanti delle altre consorterie operanti nella fascio Tirrenica della provincia reggina detenuti nelle stesse carceri in cui era ristretto lui». Il boss, tra l’altro «stabiliva a quale consorteria spettasse il diritto di ricevere una parte delle tangenti, prendendo accordi in questo senso con la cosca Bruzzise, e disponendo che le somme fossero consegnate ad un esponente della stessa cosca». I Bruzzise, dal canto loro, rafforzati dalla benedizione di Umberto Bellocco, ricevevano la quota della tangente del quinto macrolotto dell’A3 (per il tratto compreso tra Gioia Tauro e Scilla), che il contraente generale (Consorzio Scilla, formato da Impregilo e Condotte), versava ad un rappresentante della ‘ndrangheta. Questi a suo volta «ripartiva le quote ai vari rappresentanti delle cosche legittimate a incassare l’estorsione».

Minacce alle ditte che "lavorano sulla terra nostra", ma l'inchiesta non è riuscita a quantificare la tangente versata, ma ricostruisce i diversi passaggio che i soldi facevano per arrivare nelle tasche dei boss.

La regola della tangente era praticamente imposta ad ogni livello, valeva per le grandi aziende del nord, ma anche per i piccoli esercizi commerciali.

La consorteria mafiosa non si compone solo di uomini perchè anche le donne sono a parità implicate; 14 risultano nell’avviso conclusioni indagini. Alcune con ruoli di primissimo piano nell’organizzazione.

Terremoto Sanità «Arrestate Tedesco»

BARI - Una richiesta d’arresto (che la giunta delle autorizzazioni del Senato esaminerà martedì) per il parlamentare pd Alberto Tedesco. Il carcere per Mario Malcangi, componente della segreteria dell’ex assessore regionale alla Salute. I domiciliari per un agente della scorta di Nichi Vendola, Paolo Albanese, per il manager della Asl di Lecce, Guido Scoditti, e gli imprenditori di Bisceglie Diego Romano Rana, e Giovanni Leonardo Garofoli. Il filone politico delle inchieste sulla sanità pugliese arriva agli arresti ma in un certo senso si sgonfia, anche perché il gip demolisce buona parte dell’impianto accusatorio cancellando l’associazione a delinquere.
E così, mentre per molti degli stessi reati la procura ha chiesto l’archiviazione di Nichi Vendola e di altre 11 persone, a carico di Tedesco e soci reggono solo le imputazioni minori. Resta però il sospetto che, in un periodo dal 2005 al 2009, un pezzo delle nomine e degli appalti della sanità pugliese sia stato asservito agli interessi di una corrente di partito.

I reati ipotizzati a vario titolo dai pm Desirèe Digeronimo, Marcello Quercia e Francesco Bretone sono: falso, concussione, corruzione, abuso e rivelazione di atti d’ufficio, truffa e turbativa d’asta. L’accusa di associazione a delinquere non ha retto all’esame del gip Giuseppe De Benedictis, che ha salvato solo alcuni (non tutti) i «reati-fine». Gli episodi contestati sono numerosi e vedono indagate complessivamente 39 persone. La procura aveva chiesto l’applicazione di misure per 24 e ne ha ottenute appena sette: ci sono infatti anche l’interdizione del primario oculista di Terlizzi, Antonio Acquaviva, e del direttore sanitario della Asl di Bari, Alessandro Calasso.

A Paolo Albanese, poliziotto della scorta di Vendola, è contestato insieme ad altri l’intervento sul direttore dell’ospedale di Terlizzi per far trasferire un’infermiera sua parente in altro reparto. Tra gli indagati c’è mezzo management della sanità pugliese. Il direttore generale e quello amministrativo della Asl Bat, Rocco Canosa e Felice De Pietro, l’ex direttore sanitario della Asl di Lecce, Franco Sanapo, il direttore amministrativo del «De Bellis» di Castellana, Tommaso Stallone (sarà interrogato martedì: rischia l’interdizione). C’è anche il capogruppo Pd alla Regione, Antonio Decaro, indagato insieme a suo padre: sono accusati di aver fatto ottenere a un parente, tramite Tedesco, le tracce di un concorso all’Arpa.

Il perno resta Tedesco, cui vengono contestati da solo o in concorso 14 capi di imputazione. L’ex assessore è accusato di aver pilotato la sanità pugliese «in modo da dirottare le gare d’appalto e le forniture verso imprenditori a lui legati da vincoli familiari (Rubino e Balestrazzi) o da interessi economici ed elettorali (Columella e Petronella». Tedesco avrebbe imposto ai vari manager le scelte dei direttori amministrativo e sanitario della Asl di Taranto e Lecce, quelle di due primari a Terlizzi, e sarebbe intervenuto per far assumere un bibliotecario a Castellana Grotte.

In generale, la valutazione complessiva del gip è molto dura. «La prassi politica dello spoil system - scrive De Benedictis - era, di fatto, talmente imperante nella sanità regionale da indurre il governatore Nichi Vendola, pur di sostenere alla nomina a direttore generale di un suo protetto, addirittura a pretendere il cambiamento della legge per superare, con una nuova legge ad usum delphini, gli ostacoli che la norma frapponeva alla nomina della persona da lui fortemente voluta». Ma il confine tra lo spoil system e la «concussione ambientale» è ciò che differenzia la posizione di Vendola (per il quale pende da undici mesi la richiesta di archiviazione: il gip Di Paola potrebbe esprimersi a breve) da quella di tutti gli altri.

E sull’episodio della nomina del direttore sanitario della Asl di Lecce, secondo il gip, la procura «contesta agli odierni ex coindagati del presidente Vendola proprio quella condotta criminosa che non era stata ritenuta sussistente al momento della richiesta di archiviazione per il governatore». Le rimozioni o le nomine ordinate da Vendola, insomma - sottolinea il gip - sono un’applicazione dello spoil system, quelle di Tedesco discendono invece dalla necessità di badare ai propri interessi economici ed elettorali: è questa l’accusa da cui il senatore dovrà difendersi.

di Giovanni Longo

di Massimiliano Scagliarini
 
 
Inchiesta Sanità, ecco tutti i nomi

Sono 16 le persone per le quali il gip del Tribunale di Bari non ha concesso le misure interdittive richieste dalla procura.

Richiesta di arresto inviata al Senato: Alberto Tedesco, senatore Pd, 62 anni.



IN CARCERE:

Mario Malcangi, 51 anni di Ruvo di Puglia.

AI DOMICILIARI:

Paolo Albanese, 50 anni di Terlizzi;
Diego Romano Rana (imprenditore), 52 anni di Bisceglie;
Giovanni Leonardo Garofoli (imprenditore), 65 anni di Trani;
Guido Scoditti (direttore generale Asl Lecce), 68 anni di Lecce.

INTERDETTI:

Alessandro Calasso (direttore sanitario Asl Bari), 63 anni di Bari;
Antonio Acquaviva (medico oculista), 55 anni di Bari.

INDAGATI A PIEDE LIBERO:

Paolo Emilio Balestrazzi, 57 anni di Bari;
Giuseppe Borracino, 63 anni di Barletta;
Rocco Canosa (direttore generale Asl Bat), 61 anni di San Costantino Albanese;
Antonio Colella (funzionario Asl Bari), 63 anni di Molfetta;
Carlo Dante Columella (imprenditore), 67 anni di Altamura;
Michele Columella (imprenditore), 44 anni di Altamura:
Rita Dell'Anna (funzionario Asl Lecce), 56 anni di Lecce;
Nicola Del Re (funzionario Asl Bari), 62 anni di Mola;
Felice De Pietro (direttore amministrativo Asl Bat), 61 anni di Molfetta;
Domenico Marzocca (imprenditore), 61 anni di Bari;
Francesco Petronella (imprenditore), 54 anni di Altamura;
Vitantonio Roca (imprenditore), 63 anni di Bisceglie;
Elio Rubino (imprenditore), 39 anni di Bari;
Francesco Sanapo (manager Asl Lecce), 61 anni di Specchia;
Tommaso Antonio Stallone, 47 anni di Bisceglie;
Filippo Tragni (funzionario Asl Bari), 52 anni di Altamura.
Antonio Decaro (ex assessore e capogruppo Pd alla Regione)