giovedì 26 maggio 2011

Boss donna a capo della cosca per annientare i rivali catanesi

CALTANISSETTA - Una forte contrapposizione tra clan, tra il 2007 e il 2008, rischiò di sfociare in una guerra di mafia per la definizione dei nuovi assetti mafiosi a Catenanuova. È quanto emerge dalle indagini dei carabinieri del comando provinciale di Enna che hanno arrestato dieci persone, compresa una donna, Agata Cicero, moglie del presunto boss Leonardi, per associazione mafiosa.


L'ordinanza di custodia cautelare è stata emessa dal Gip di Caltanissetta su richiesta della Dda della Procura Nissena. Secondo l'accusa, del clan avrebbero fatto parte l'imprenditore agricolo Giuseppe Pecorino, di 69 anni; Salvatore Leonardi, di 45, già detenuto, Prospero Riccombeni, di 39, disoccupato, residente a Milano; Agata Cicero, di 45, agli arresti domiciliari; Filippo Passalacqua, di 31; l'allevatore Maurizio Prestifilippo Cirimbolo, di 32; Antonino Mavica, di 46, gia detenuto; il meccanico Giuseppe Girasole, di 51; l'operaio Masssimo Grasso, di 31.

Arrestato anche un consigliere comunale di Maniace (Ct), Salvatore Galati Muccilla, 49 anni, allevatore, che deve rispondere solo di detenzione e porto abusivo di armi da fuoco. Le indagini dei carabinieri hanno riguardato anche due agguati: quello del 20 febbraio 2007 in cui rimase gravemente ferito il pregiudicato Prospero Riccombeni, e l'uccisione a colpi di kalashnikov di Salvatore Prestifilippo Cirimbolo, 47 anni, fratello dell'arrestato Maurizio, in quella che e stata definita la strage di Catenanuova, del 15 luglio 2008, in cui rimasero ferite altre cinque persone.

Riorganizzare la cosca e annientare i clan dei "catanesi" e dei loro alleati, in particolare quelli del clan Cappello. Era il compito che, secondo gli investigatori, il boss Leonardi avrebbe affidato alla moglie, Agata Cicero.

Il ruolo della donna è stato sottolineato dal procuratore capo di Caltanissetta, Sergio Lari, e dal procuratore aggiunto Amedeo Bertone, che hanno condotto l'inchiesta che ha svelato l'assetto mafioso a Catenanuova, dopo il periodo di reggenza da parte della famiglia di Enna, che faceva capo a Gaetano Leonardo, conosciuto come "u Liuni", e che aveva affidato il controllo del territorio prima a Salvatore Leonardi, arrestato nel '8 e poi ad Antonino Mavica e Prospero Riccombeni, arrestati nel 2002 per associazione mafiosa e condannati con sentenza definitiva.

Secondo gli inquirenti Riccombeni, tornato in libertà, avrebbe ripreso il controllo del territorio ma, malgrado fosse un uomo d'onore di Cosa nostra ennese, avrebbe chiesto l'appoggio al clan Cappello di Catania per gestire le attività illecite. Riccombeni, accusato di una cattiva gestione degli affari e per questo vittima nel 2007 di un tentativo di omicidio, fu sostituito, per imposizione del clan catanese, da Salvatore Prestifilippo Cirimbolo.

Quest'ultimo però si sarebbe rivelato poco affidabile, quindi eliminato nel corso della cosiddetta "strage di Catenanuova" e sostituito da Filippo Passalacqua, legato alla figlia di Giuseppe Salvo, ergastolano, considerato esponente di spicco del clan Cappello.

Cinque condanne e un patteggiamento al processo con rito abbreviato contro i presunti appartenenti alla cosca mafiosa di Aidone (Enna). Elena Caruso, 42 anni, compagna del presunto capo del piccolo ma agguerrito clan, è stata condannata a 5 anni di reclusione, per estorsione: il Gup l'ha assolta dall'accusa di associazione mafiosa. Per lei l'accusa aveva chiesto 9 anni di reclusione.

Il compagno di Caruso, Vincenzo Scivoli, 43 anni, è stato condannato a 10 anni, 10 mesi e 20 giorni di carcere; a Riccardo Abati, 48, anni, di Piazza Armerina, il Gup ha inflitto 11 anni ed 8 mesi, contro i 14 chiesti dal Pm Condorelli; 9 anni e 20 giorni a Ivano Antonio Di Marco, catanese di 38 anni, infine 6 anni per Marco Gimmillaro, 37 anni di Piazza Armerina.

Caruso e Scivoli sono inoltre stati condannati al risarcimento del danno, liquidato dal Gup in 21 mila euro, in favore dell' impresa edile costituitasi parte civile al processo e dovranno inoltre rifondere le spese di costituzione alla stessa impresa, quantificate in poco meno di 5 mila e 500 euro.

Nel corso della stessa udienza è stato ratificato il patteggiamento a 1 anno e 10 mesi per Giuseppe Donato, 47 anni, al quale non era stata contestata l'associazione per delinquere di stampo mafioso. Secondo le risultanze delle indagini coordinate dalla Dda di Caltanissetta e condotte dalla Squadra mobile di Enna, gli imputati avrebbero gestito il racket delle estorsioni tra Aidone e Piazza Armerina.

Il pizzo sarebbe stato imposto ad imprese, commercianti, operatori economici, ma anche per la restituzione di armi trafugate durante furti commessi soprattutto nelle zone rurali, venivano chieste somme di denaro, anche di poche centinaia di euro, per la restituzione.

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