lunedì 27 giugno 2011

La 'ndrangheta anche in Liguria dodici persone in manette

Dodici persone sono state arrestate all’alba in Liguria dai carabinieri del Ros, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare richiesta dalla Dda di Genova e firmata dal gip del capoluogo ligure

Un’associazione per delinquere di stampo mafioso radicata sul territorio e riconducibile alla 'ndrangheta calabrese. Dodici persone sono finite in manette estato e i provvedimenti sono correlati alla maxioperazione «Crimine» che nel luglio del 2010 portò all’arresto di trecento persone in tutta Italia e a quella conclusasi con diciannove arresti nel Basso Piemonte risalente a dieci giorni fa. Le ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite nelle province di Genova, Imperia e La Spezia, e scaturiscono da un’articolata manovra di contrasto, avviata dal Ros nel 2008, che ha portato a scoprire l’esistenza e le attività dei «locali» (cellule operative distaccate della 'ndrangheta) liguri di Genova, Lavagna (GE), Ventimiglia (IM) e Sarzana (SP) che, mutuando il modello organizzativo dell’area calabrese di origine, operavano sull'intero panorama ligure sotto il coordinamento criminale del capolocale di Genova, Domenico Gangemi, arrestato il 13 luglio dello scorso anno nell’ambito dell’operazione Crimine. Gangemi avrebbe diretto e organizzato il sodalizio assumendo le decisioni più rilevanti, comminando sanzioni agli altri associati a lui subordinati, dirimendo i contrasti interni ed esterni al sodalizio e curando i rapporti con le altre articolazioni dell’organizzazione.


L'indagine ribattezzata «Maglio 3», documenta inoltre, la dipendenza dalla Camera di Controllo ligure del locale del «basso Piemonte», recentemente colpito da una simile attività investigativa sempre condotta dal Ros, con provvedimenti eseguiti nella Provincia di Alessandria, Cuneo ed Asti.

Le proiezioni 'ndranghetiste colpite, spiegano gli inquirenti in una nota stampa, sono caratterizzate da tutti gli elementi tipici dell’organizzazione di riferimento:struttura verticistica, ordinata secondo una gerarchia di poteri, di funzioni e di una ripartizione dei ruoli degli associati; pratica di riti legati all’affiliazione dei membri dell’associazione ed all’assegnazione di «doti» o «cariche»; comunanza di vita e di abitudini, scandita dall’osservanza di «norme interne».

In particolare, il ruolo del capo locale emerge in modo significativo anche in relazione ad aspetti della vita privata degli associati, come in occasione del tradimento coniugale subito da un affiliato. In tale circostanza, il capo locale prende atto di dover riferire in Calabria l’accaduto per la risoluzione della questione secondo le regole 'ndranghetiste. Altri elementi tipici della struttura sono la forza di coesione del gruppo che assicura omertà e solidarietà nel momento del bisogno, nonchè assistenza agli affiliati arrestati o detenuti e sussidi economici ai loro familiari; impermeabilità verso l’esterno ottenuta grazie all’adozione di linguaggi convenzionali; disponibilità di armi. Per quanto attiene gli aspetti organizzativi e rituali, è stato confermato come l’ingresso e il conferimento di gradi all’interno dell’"onorata società» avvenisse attraverso l'attribuzione delle «doti», espressione di potere e di prestigio in seno all’organizzazione, il cui conferimento avveniva in un aurea di «solenne» ritualità mafiosa e la cui importanza è testimoniata dalla partecipazione oltre che dei sodali affiliati al locale, di delegazioni di esponenti dei gruppi confinanti. È stato inoltre scoperto che l’attività di mantenimento delle famiglie degli affiliati detenuti, avveniva attraverso una ramificata attività usuraia praticata impiegando metodi violenti in caso di mancata riscossione dei «premi».

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