sabato 23 luglio 2011

Autobomba nel cuore di Oslo "Come una zona di guerra"

Attacco ai centri del potere, colpito anche un giornale


INVIATO A OSLO
E’ un massacro. Un duplice attacco terroristico che sconvolge la Norvegia. A Oslo un’autobomba che esplode nel centro della capitale, andandosi a schiantare esattamente a metà tra il palazzo del governo e quello del quotidiano VG, uccide sette persone e ne ferisce altre cento, trasformando piazza Einar Gerhardsens in un innaturale angolo di Afghanistan. Il governo precisa che il primo ministro Jens Stoltenberg, uno dei possibili obiettivi dell’attentato, è salvo e si trova al sicuro in un luogo imprecisato. La dinamica dell’assalto fa pensare ad Al Qaeda, ma sono molti i dettagli che non tornano.

Poche ore più a tardi a Utoya, a meno di cinquanta chilometri dalla capitale, un uomo bianco, alto un metro e novanta, vestito da poliziotto, apre il fuoco su seicento ragazzi tra i 15 e i 16 anni arrivati sull’isola per l’annuale raduno dei giovani laburisti. Usa una pistola e un fucile automatico. Spara ad altezza d’uomo. È una macchina. Un animale programmato per uccidere. I ragazzi fuggono. E’ il caos. I morti sono almeno cinque, ma più di un testimone racconterà di avere visto galleggiare venti cadaveri a pochi metri dalla spiaggia.

Chi semina il terrore tra i cinque milioni di abitanti di una della nazioni più ricche del mondo per petrolio e gas naturale? Gli estremisti di destra, che chiedono la cacciata degli immigrati o i terroristi islamici che non perdonano alla Norvegia le vignette satiriche su Maometto e la partecipazione alle guerre in Afghanistan e in Libia?

Oslo, 15,26, l’esplosione fa tremare i palazzi. Centinaia di finestre vanno in frantumi scatenando una pioggia di vetro dal cielo. Un tornado fatto di detriti di cemento, pezzi di legno, resti di automobili e panchine di acciaio invade le strade, mentre il fumo disegna il suo arabesco sprezzante nell’aria satura di paura. Kjesti Vedun è una stagista che lavora ne palazzo di VG, il quotidiano più venduto del Paese. Non riesce a fermare il tremore delle gambe e si sdraia sul marciapiede tenendosi le mani sulla testa. Dice che per un istante ha creduto che fosse il terremoto. «Poi ho capito che era una bomba. L’odore del fumo era insopportabile. Mi sono guardata intorno. C’era molto sangue, ma tutti hanno reagito con calma. Siamo usciti dal palazzo ordinatamente. Le ambulanze sono arrivate subito». Gira la testa. Guarda la signora anziana seduta di fianco a lei. E’ una maschera di sangue. Ma è lucida. Dice: «Sono stati i terroristi islamici. Non possiamo più vivere con loro». Non c’è rabbia nelle sue parole. E’ come se avesse avuto una visione. Sirene dappertutto, mentre l’esercito circonda la piazza e la isola. C’è il timore di nuove esplosioni. Manuel Eriksson chiama casa con il cellulare. Ha la testa spaccata. La giacca, la camicia, i pantaloni, ogni singolo centimetro della sua pelle, tutto è pieno di sangue. Un infermiere lo fa accomodare su una barella. Il nastro isolante della polizia circoscrive la zona, Hildegal Soodal racconta meccanicamente il suo film dell’orrore. «Stavo bevendo un cappuccino. C’era un uomo di fianco a me. Poi ho sentito l’esplosione. Ho visto le fiamme. Ho pensato all’11 settembre. Sono scappata, ma il mio compagno di colazione era sdraiato per terra. Non aveva più le scarpe. Non so se fosse vivo o morto». Un gruppo di venti ragazzi corrono verso una camionetta della polizia pieni di rabbia: «Cacciamo gli islamici, basta con questa vergogna». E’ un inferno. Fisico, emotivo. L’odio scatena odio. Sul forum jihadista Shmukh, Abu Sulayman Al Nasir, leader del gruppo Ansar Jihad Al Alami, rivendica l’attentato. «E’ solo l’inizio. L’Europa piangerà lacrime amare. Non potevate immaginare di attaccare l’Islam senza pagarne le conseguenze». Non è l’unica rivendicazione della giornata. «Prenderemo i colpevoli e li metteremo di fronte alle loro responsabilità. Ma è presto per dire chi sia stato davvero», spiega Stoltenberg. Eric Carlson, primario all’University Hospital di Oslo, racconta alla tv di Stato Nrk che i feriti sono almeno cento. «Non eravamo preparati. Ma abbiamo risorse di sangue sufficienti. E’ un calvario». Dietro di lui si sentono grida strazianti. «Ho tanto lavoro da fare» e si incurva le spalle come un uomo senza impermeabile sorpreso da un temporale. I vigili del fuoco continuano la ricerca di superstiti nei palazzi sventrati del centro.

A Utoya, alle cinque del pomeriggio, un uomo vestito da poliziotto si presenta al servizio d’ordine. «Mi hanno mandato per rinforzare la sicurezza dopo la bomba». Lo fanno entrare. Ringrazia e apre il fuoco. La parlamentare laburista Adija Taijk dice: sparava ai ragazzi come si fa con i bersagli del luna park.

ANDREA MALAGUTI

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