venerdì 5 agosto 2011

Buone vacanze

Catania: due feriti in due agguati

CATANIA - Due persone sono state ferite ieri sera a Catania con colpi di pistola in un agguato e un tentativo di rapina, avvenuti tra le 9 e le 22.30 in due differenti zone della città, in viale Castagnola, nel quartiere di Librino, e in piazza Mazzini, nel centro storico del capoluogo etneo. Secondo i carabinieri i due episodi non sono collegati tra di loro. Nel primo caso indagano per tentativo di omicidio, nel secondo per tentativo di rapina e lesioni personali.


Nell'agguato nel quartiere di Librino, intorno alle 9, è stato ferito con un colpo di pistola a un fianco un disoccupato di 29 anni che viaggiava su uno scooter. I carabinieri hanno ricevuto una telefonata al 112 che segnalava una sparatoria a Librino e poco dopo la vittima si è presentata nel pronto soccorso dell'ospedale Vittorio Emanuele, dove è stato medicata e giudicata guaribile in 15 giorni. I carabinieri hanno raccolto alcune testimonianze di alcuni presenti nella zona che avevano visto l'uomo cadere dallo scooter.

Intorno alle 22.30 un pasticcere incensurato di 22 anni si è presentato nel pronto soccorso dell'ospedale Vittorio Emanuele con una ferita da arma da fuoco di striscio in un tallone. Il giovane, anch'egli giudicato guaribile in 15 giorni, ha raccontato di essere stato ferito durante un tentativo di rapina.

Danno erariale, condannato manager regionale

PALERMO - Il ragioniere generale della Regione siciliana, Enzo Emanuele, dovrà versare all'amministrazione 292.416 euro come risarcimento per danno erariale. Lo ha deciso la sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Sicilia con la sentenza n. 2881 depositata il 29 luglio scorso con la quale ha condannato il super-dirigente.


La Procura contabile aveva contestato ad Emanuele un danno erariale di oltre 780 mila euro.

La vicenda riguarda il contratto stipulato dal super-dirigente della Regione con la società Dbi Srl di Bagheria (Pa) per la realizzazione di una banca dati: spesa complessiva 4,2 milioni di euro. L'accordo, che risale al 2005, impegnava la società a cedere definitivamente alla Regione la banca dati denominata 'Legislazione regionale sicilianà nell'arco di tre anni e ad assicurare l'aggiornamento dei dati e la formazione del personale regionale per consentire alla scadenza del termine contrattuale la gestione in autonomia dell'archivio da parte della Regione.

Secondo quanto accertato dalla Guardia di Finanza di Palermo e dai funzionari istruttori della Procura contabile nonostante la società Dbi abbia sollecitato la Regione a individuare i soggetti da formare, il termine contrattuale triennale è scaduto senza che l'ente pubblico beneficiasse della formazione.

Dal 15 agosto del 2008, inoltre, la Dbi ha continuato ad aggiornare la banca dati sulla base di un contratto, autorizzato sempre da Enzo Emanuele, stipulato tra la stessa società e Sicilia e-servizi, la Spa mista a prevalente partecipazione regionale per la gestione dei servizi informatici: il contratto prevedeva un corrispettivo di oltre 780 mila euro sino al 31 dicembre del 2009 per aggiornare la banca dati e formare il personale di Sicilia e-servizi spa. I giudici di primo grado, tuttavia, hanno considerato come danno erariale l'esborso da parte della Regione dei 292.416 euro.

Camorra, si riaccende la faida

Altri due uomini uccisi in un'agenzia di scommesse di Miano


NAPOLI - Due uomini sono stati uccisi poco fa in un agguato avvenuto in una agenzia di scommesse sportive (e non in una sala giochi come si era appreso in un primo momento) alla periferia di Napoli, in via Miano 119. Le vittime sono Salvatore Scognamiglio, 46 anni, e Salvatore Paolino, di 34. Sul duplice omicidio indaga la polizia.


Ancora poco o quasi nulla si sa sulla dinamica del delitto. Secondo quanto ricostruito al momento dalla squadra mobile, diretta dal vicequestore Andrea Curtale, due o forse più sicari sarebbero entrati nella sede dell'agenzia Premium avvicinandosi a passo sicuro a Salvatore Scognamiglio e Salvatore Paolino, ammazzandoli sul colpo. Sul luogo dell'agguato si è radunata una folla di parenti e amici delle vittime. Presente anche un ingente spiegamento di forze dell'ordine.

La polizia sta ricostruendo il profilo delle due vittime, ed è in corso di verifica l'ipotesi di legami di uno dei due uomini uccisi con il clan Lo Russo. Se tale ipotesi fosse confermata, l'agguato potrebbe essere collegato all'omicidio avvenuto nella tarda serata di ieri a Casavatore, comune dell'hinterland poco distante dal luogo della sparatoria di oggi, dove è rimasto ucciso Emilio Forino, 29 anni, ritenuto vicino a una nuova ala dei cosiddetti 'scissionisti'. E quindi questo duplice delitto potrebbe essere un prodromo di una nuova faida.

Salvatore Scognamiglio, una delle due vittime dell'agguato, era ritenuto dagli investigatori vicino al clan Lo Russo: pluripregiudicato, arrestato più volte, era finito nel mirino della giustizia per varie accuse, dall'associazione camorristica alla rapina, dalla ricettazione al possesso abusivo d'armi.

La seconda vittima, Salvatore Paolillo (e non Paolino come scritto in precedenza), ha a suo carico piccoli precedenti per ricettazione, truffa, uso di documenti falsi. I due risiedevano entrambi in via Cupa Capodichino, a Napoli. Secondo quanto si è appreso, nella zona dell'agguato esiste un impianto di videosorveglianza: la polizia sta esaminando le immagini alla ricerca di dettagli utili sull'identità dei sicari.

Via Miano, dove i killer hanno sparato e ucciso questo pomeriggio, è una strada trafficata della periferia di Napoli vicinissima sia al quartiere di Secondigliano sia a quello di Scampia, che furono insanguinati negli anni scorsi dalla lotta tra il clan Di Lauro e gli 'scissionisti', nota come la faida di Secondigliano per il controllo del traffico di droga e delle altre attività illecite nel territorio.

Bloccati a Taranto pannelli fotovoltaici «made in China» per un valore di 27mln


TARANTO – I funzionari dell’Ufficio delle Dogane di Taranto, con la collaborazione dei militari della Guardia di Finanza, hanno sequestrato 19.656 pannelli fotovoltaici, per un valore commerciale di 27.000.000 di euro, nascosti all’interno di 39 containers. La merce, di origine cinese, prodotta da una delle più importanti ditte del settore fotovoltaico, era stata dichiarata in importazione per la diretta realizzazione di una centrale fotovoltaica, al fine di poter beneficiare dell’aliquota IVA agevolata del 10%. Dalle accurate indagini svolte si è accertato che il carico era destinato alla commercializzazione e quindi doveva essere assoggettato ad un’aliquota IVA del 20%. La comunicazione di notizia di reato è stata trasmessa alla competente Procura della Repubblica di Taranto per violazione della normativa riguardante l’imposta sul valore aggiunto.


I pannelli fotovoltaici di produzione cinese sequestrati al porto di Taranto perchè dichiarati in importazione definitiva, scontando un’aliquota Iva del 10% invece di quella dovuta del 20%, erano destinati ad essere installati in un complesso industriale di Fano. I rappresentanti legali della società avevano attestato falsamente che i pannelli erano destinati alla installazione diretta di impianti fotovoltaici. A completamento dell’opera, la centrale realizzata avrebbe dovuto erogare una potenza elettrica nominale pari a 13,5 megawatt.

Il carico, costituito da 19.656 pannelli fotovoltaici stipati all’interno di 39 container, era stato importato da una società di commercializzazione che ha sede a Milano, appartenente ad un gruppo societario con sede a Nantong (Cina), che ha costituito cinque società italiane, una delle quali destinata ad operare in Puglia quale 'project company'. Secondo la normativa vigente, tuttavia, la società 'Puglia' non poteva essere considerata il destinatario finale dei pannelli fotovoltaici perchè gli stessi erano oggetto di una successiva fornitura alla società installatrice, attuale titolare dell’impianto fotovoltaico.

A Gomorra è guerra: tre omicidi in 24 ore

I killer in azione nei quartieri già colpiti dalla faida di Scampia


NAPOLI
Tre omicidi in meno di 24 ore fanno tornare lo spettro della faida di camorra nei quartieri della periferia nord di Napoli, insanguinati negli anni scorsi dalla guerra tra il clan Di Lauro e gli «scissionisti» per il controllo dei proventi milionari del traffico della droga. Tutte e tre le vittime avevano precedenti penali, e almeno due di loro erano inserite, secondo gli investigatori, nella geografia delle cosche che si stanno riposizionando per cercare nuove posizioni di potere in un’area storicamente tra le più «calde» della città.

Il primo delitto è avvenuto ieri sera a Casavatore, comune dell’hinterland poco distante dai quartieri napoletani di Secondigliano e Scampia che furono epicentro della faida cominciata nel 2004. Vittima Emilio Forino, 29 anni, già noto alle forze dell’ordine, ritenuto vicino al gruppo Amato-Pagano degli «scissionisti»: contro di lui sono stati esplosi ben dodici colpi di arma da fuoco. Oggi pomeriggio, sicari nuovamente in azione. Due uomini, con il volto protetto da caschi integrali, entrano in una agenzia di scommesse sportive in via Miano, alla periferia di Napoli: i proiettili, anche in questo caso numerosi, colpiscono a morte Salvatore Scognamiglio, 46 anni, pluripregiudicato per associazione camorristica e altri reati, e Salvatore Paolillo, di 34 anni, noto alle forze dell’ordine per una lunga serie di accuse minori, dalla ricettazione alla truffa. I due vivevano nella stessa strada, in via Cupa Capodichino, e gli investigatori della Squadra mobile di Napoli stanno verificando quali fossero i loro rapporti reciproci.

Del clan risultava esponente Scognamiglio, clan finito recentemente sotto i riflettori della cronaca anche per l’inchiesta sull’ex capo della Mobile partenopea, Vittorio Pisani. Tra le accuse nei confronti del poliziotto ci sono proprio i rapporti «pericolosi» con Salvatore Lo Russo, ex superboss della cosca e poi collaboratore di giustizia. La prima ipotesi è che il duplice omicidio nell’agenzia di scommesse sia la risposta al primo delitto, ma gli scenari investigativi sono ancora tutti da delineare. La polizia sta visionando i filmati di un impianto di videosorveglianza che potrebbe aver ripreso i killer al loro ingresso nell’agenzia. Da sfondo restano gli equilibri malavitosi da ridefinire in una terra dove il traffico di droga è tra i business da sempre più redditizi per le cosche, e dove nel recente passato la guerra tra i clan ha mietuto decine di vittime.

Vigilessa ubriaca tampona auto Gdf guinness dei primati


Vigili urbani, guardia di finanza e polizia coinvolti in un

incidente stradale. E' successo a Firenze, dove una vigilessa
ubriaca ha tamponato con la propria Yaris un finanziere in
scooter.
Nello scontro e' stata danneggiata l'auto in sosta di
un poliziotto. I primi a intervenire sono stati i vigili che,
per correttezza, per i rilievi hanno chiamato l'unica forza non
coinvolta: i carabinieri.

Sequestrate case e ville a boss dei Casalesi

Confiscati beni per oltre 110 milioni di euro. Sigilli anche a una villa da oltre 4mila metri quadrati

Beni per un valore complessivo di 110 milioni di euro sono stati confiscati dalla Dia di Napoli e dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (Caserta) al boss dei Casalesi Salvatore Belforte, 50 anni. La confisca riguarda oltre 60 immobili: interi stabili con decine di appartamenti, 8 appezzamenti di terreno, 8 società e una megavilla da oltre 4mila metri quadrati in località Vaccheria, una zona panoramica di Caserta.


La confisca di 110 milioni di euro al gruppo Belforte, ora in carcere, del clan dei Casalesi, sottolineano alla Dia, rappresenta "un importante risultato nell'azione di aggressione ai patrimoni illecitamente costituiti dalle organizzazioni mafiose". Rappresenta la confisca più pesante mai inflitta ai clan in Campania.

Il clan camorristico Belforte, alias "Mazzacane", è considerato un gruppo di primo piano nella realtà criminale casertana, attivo nei territori di Marcianise e dei Comuni limitrofi.

In particolare, le indagini hanno consentito di svelare il ruolo dell'imprenditore Salvatore Tartaglione.

Attraverso accertamenti patrimoniali, gli uomini della Dia di Napoli hanno dimostrato che il boss Salvatore Belforte reimpiegava i proventi illeciti in acquisti di beni immobili e di attività commerciali, attribuendoli fittiziamente, per eludere la normativa antimafia, a Tartaglione ed ai suoi familiari.

giovedì 4 agosto 2011

Intimidazione per Giuseppe Catanzaro "Con lo Stato, costi quel che costi"

Le fiamme hanno lambito gli uffici dell’impresa di Siculiana del numero due di Confindustria Sicilia. "Me l’aspettavo. Comprendiamo di avere un conto aperto con i mafiosi: sappiano però tutti che non c’è alcuno spazio per tornare indietro o mediare"

AGRIGENTO. Fuoco nelle notte a Siculiana, a lambire gli uffici dell’impresa di Giuseppe Catanzaro, il numero due di Confindustria Sicilia, che in contrada Matarana gestisce una delle più importanti discariche della Sicilia. L’incendio ha causato pochi danni. Ma avrebbe potuto crearne di più ingenti se solo le fiamme avessero raggiunto alcune taniche con dentro del carburante. Sarebbe stata una catastrofe.

Solo che i metronotte in servizio di sorveglianza se ne sono accorti appena in tempo. Hanno dato l’allarme e spento le fiamme. Sul posto si sono recati polizia e carabinieri, sulla vicenda vige il massimo riservo.

I danni sono molto contenuti: un cancello annerito, un mezzo bruciato, erba e sterpaglia in fumo. Ma spente le fiamme resta grande la tensione.

«Abbiamo sventato un attentato tipicamente di matrice mafiosa. Ci sono indagini in corso e non posso rendere pubblici i dettagli. Gli elementi che conosciamo suffragano inequivocabilmente la matrice mafiosa del tentato atto intimidatorio. L’attentato costituisce l’ennesimo “segnale” dei mafiosi che tentano di intimidirci: purtroppo lo aspettavamo».

Presidente Catanzaro, perché dice che ve lo aspettavate? Avete ricevuto altri avvertimenti nei giorni scorsi?

«Basta leggere la cronaca giudiziaria e non solo per capire i ruoli e le dinamiche che abbiamo determinato in questa realtà. Tra l’altro il luogo dove è avvenuto è simbolico: Siculiana. Il segnale arriva in un momento di relativa calma estiva, periodo nel quale è più facile che un atto intimidatorio passi inosservato all’opinione pubblica e non solo...».

Cosa vuol dire «non solo»?
«Abbiamo tutto scritto nella denuncia. Oltre - comprenderà - non posso andare. Il tentato atto intimidatorio ovviamente produrrà altri effetti contro i mafiosi, per quanto ci riguarda. Da tempo abbiamo intrapreso una strada irreversibile: ci siamo affidati allo Stato ed ai suoi uomini. Costi quel che costi. Comprendiamo di avere un conto aperto con i mafiosi: sappiano però tutti che non c’è alcuno spazio per tornare indietro o mediare».

Giuseppe Catanzaro, presidente di Confindustria della provincia di Agrigento, da due anni è anche il vice di Ivan Lo Bello. Imprenditore con interessi anche internazionali è nativo, come la sua famiglia, di Siculiana. La sede centrale dell’azienda da alcuni anni si è, però, trasferita ad Agrigento.

Portano la firma di Giuseppe Catanzaro le denunce che hanno portato in carcere estortori e mafiosi vicini al boss Gerlandino Messina, arrestato nell’ottobre scorso a Favara dopo oltre dieci anni di latantanza.

Il blitz «Marna» scattò, tra Siculiana, Realmonte, P. Empedocle ed Agrigento, nell’ottobre del 2007. Appena un mese prima, il 15 settembre, un incendio aveva danneggiato le pareti esterne dell’impianto di trattamento rifiuti che l’impresa Catanzaro ha realizzato nella zona industriale di Agrigento. Era l’avvertimento «inutile» all’imprenditore che, stanco di pagare, si era rivolto allo Stato e denunciato il racket. Un anno dopo, l'11 ottobre 2008, una guardia giurata ha trovato sul muro di recinzione dell’ azienda una teca in vetro con una croce su un piano di velluto rosso e dei fili elettrici. Come se si trattasse di un ordigno, finto come finto doveva apparire l’incendio si ieri notte.

Da anni nel mirino, Giuseppe Catanzaro non ha mai arretrato di un passo, sul suo esempio hanno rotto il muro di omertà altri imprenditori agrigentini.

«Noi - dice Giuseppe Catanzaro - siamo per il libero mercato. Libero dall’oppressione mafiosa che finora ha mantenuto il nostro territorio in uno stato di sottosviluppo. E noi non arretreremo di un passo. Costi quel che costi».

ALFONSO BUGEA

Omicidio Agostino, lettera aperta di Addiopizzo



Caro cittadino,

può bastare una tua firma. Hai la possibilità di dare il tuo contributo perché venga fatta luce su un omicidio commesso 22 anni fa, ancora irrisolto.

Molti sono i dubbi, pochi i punti fermi, nessuna verità, né giudiziaria né storica. L'uccisione dell'agente di polizia, Nino Agostino, il 5 agosto 1989, resta un mistero. A distanza di ventidue anni non si è ancora giunti a una verità su questa storia.

Nino Agostino e Ida Castelluccio, al quinto mese di gravidanza, vennero uccisi, giovanissimi, mentre si stavano recando presso l’abitazione estiva della famiglia Agostino, a Villagrazia di Carini, per festeggiare il compleanno della sorella di Nino. Proprio davanti l'abitazione vennero raggiunti da colpi di arma da fuoco per mano mafiosa.

Sull'omicidio si conoscono solo alcuni indizi. Elenchiamoli.

Un ex poliziotto, oggi in pensione, svolse le indagini immediatamente dopo il duplice delitto. Il suo nome è Guido Paolilli. Un’intercettazione lo incastra: Paolilli confessa al figlio di aver distrutto una mole ingente di carte contenute nell’abitazione privata di Nino Agostino. Il padre dell’agente ucciso, Vincenzo Agostino, in pubblico aveva citato più volte le parole scritte su un biglietto trovato nel portafogli di Nino: «Se mi succede qualcosa, andate a cercare nell’armadio di casa». L’armadio fu trovato vuoto.

All’interno di Cosa nostra un solo pentito ha raccontato qualcosa. È Oreste Pagano, che ha affermato: «Ero al matrimonio di Nicola Rizzuto, in Canada. C’era un rappresentante dei clan palermitani, Gaetano Scotto. Alfonso Caruana mi disse che aveva ucciso un poliziotto perché aveva scoperto i collegamenti fra le cosche ed alcuni componenti della questura. Anche la moglie sapeva, per questo morì».

C’è un altro punto oscuro: Nino Agostino svolgeva o meno attività antimafia all'interno del Sismi (Servizio per l'informazione e la sicurezza militare)? I servizi segreti italiani hanno sempre negato questa ipotesi, riaccesa però dal ritrovamento di nuovi documenti nell'archivio della Squadra Mobile che attesterebbero l’attività di antimafia del poliziotto tra le fila dei servizi segreti. Si è inoltre parlato di un coinvolgimento di Nino Agostino nell’episodio del fallito attentato del 1989 ai danni del giudice Falcone, presso la sua residenza estiva all’Addaura. Nino ed un altro agente, Emanuele Piazza, avrebbero contribuito attivamente a sventare quell’attentato. Entrambi furono uccisi, fra il 1989 e il 1990. Quali sono i motivi? Le loro morti sono collegate a quell’episodio?

Vincenzo Agostino ha promesso di non tagliare più la propria barba finché non otterrà quello che gli spetta: giustizia per il figlio, per la nuora Ida e per la nipote mai nata. Augusta Schiera, madre di Nino Agostino, condivide la lotta ed il dolore del marito, portando avanti con lui la lotta per il raggiungimento della verità. Lo fa in maniera silenziosa e dignitosa, ma con una forza inimmaginabile. Chi la conosce o l’ha incontrata personalmente, lo sa bene.

Per sostenerli, alcune associazioni e gruppi spontanei di cittadini palermitani portano avanti con loro questa battaglia. Il Comitato Addiopizzo, l'associazione Libera, il movimento Agende rosse ed il comitato Cittadinanza per la magistratura, hanno deciso di dare il proprio contributo, collaborando alla raccolta firme portata avanti affinché lo Stato faccia chiarezza su questo caso. È possibile, inoltre, sottoscrivere la petizione on-line, sul sito di Salvatore Borsellino www.19luglio1992.com.

Sia raccontato cosa è successo in Italia per decenni, quali sono stati i legami con poteri occulti antidemocratici. È giunta l'ora che si conosca la reale storia del nostro Paese, qualunque essa sia. La menzogna, qualunque verità essa tenti di celare, non può costituire la giusta via per la costruzione di un Paese democratico, forte e legittimato agli occhi dei suoi appartenenti. Verità, responsabilità e partecipazione sono indispensabili affinché la nostra democrazia possa definirsi realmente tale.

Comitato Addiopizzo
Associazione Libera
Movimento Agende Rosse
Comitato Cittadinanza per la magistratura

NOMINA E MOVIMENTO DI PREFETTI



http://www.interno.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/21/0391_movimento_prefetti.PDF

Il Consiglio dei ministri approva definitivamente il Codice antimafia

Maroni: «Un importante provvedimento che giunge dopo un lungo lavoro di concerto tra i ministeri dell'Interno e della Giustizia». Deliberati anche movimenti e nomine di prefetti

«Abbiamo approvato definitivamente il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione». E' quanto ha riferito il ministro dell'Interno Roberto Maroni questa mattina alla conferenza stampa tenuta insieme al ministro della Giustizia Nitto Palma al termine del 149° Consiglio dei ministri a palazzo Chigi.

«Il decreto contiene anche nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia - ha aggiunto Maroni - e l'attuazione di due deleghe del Piano straordinario contro la criminalità organizzata approvato un anno fa dal Parlamento dopo un lungo lavoro di concerto tra ministero dell'Interno e ministero della Giustizia».

Il Consiglio dei ministri ha anche approvato «un ampio movimento» di prefetti e la nomina di «venti prefetti a maggioranza donne» come riferito dallo stesso ministro Maroni.

Piana degli Albanesi, a fuoco uffici del Comune

Il sindaco Gaetano Caramanno parla di "una precisa strategia criminale che non ci intimidisce". L'incendio ha distrutto archivi cartacei, postazioni informatiche, server e arredi e reso l'edificio inagibile. Le fiamme appiccate in tre stanze diverse


PIANA DEGLI ALBANESI. La notte scorsa a Piana degli Albanesi, in provincia di Palermo, ignoti hanno dato fuoco agli edifici comunali che ospitano l'ufficio tributi, che è andato completamente distrutto, e l'ufficio urbanistica, che è stato parzialmente danneggiato. A renderlo noto è stato il sindaco Gaetano Caramanno, che parla di una "precisa strategia criminale".

L'incendio ha distrutto archivi cartacei, postazioni informatiche, server e arredi e reso l'edificio inagibile. Il personale è stato trasferito nei locali adibiti a biblioteca.Le fiamme sarebbero state appiccate in tre stanze diverse da ignoti che sono entrati nell'edificio forzando un portone. "L'attentato - ha aggiunto Caramanno - è grave e preoccupante. Sono convinto che le forze dell'ordine e gli inquirenti sapranno fare chiarezza sull'accaduto. Le autorità di sicurezza sanno bene che i comuni, e specialmente gli uffici tributi, sono presidi istituzionali sensibili per le attività di accertamento che svolgono. Siamo già al lavoro per ripristinarne la normale funzionalità e non siamo per niente intimiditi". "Serve anche che i miei concittadini che hanno potuto notare movimenti sospetti- ha proseguito il sindaco - riferiscano alle forze dell'ordine. Può essere decisiva anche la più piccola segnalazione". Caramanno ha sottolineato che l'Ufficio tributi "é al centro di una vasta azione di recupero di evasione ed elusione fiscale giunta nella fase della recapitazione degli avvisi".

"La battaglia per il recupero dell'evasione - ha sottolineato Caramanno - è una battaglia di legalità, equità e giustizia sociale. Scovare i furbi che evadono sistematicamente le tasse è un dovere morale, politico e amministrativo oltre a rappresentare una misura necessaria per non continuare a gravare sugli stessi contribuenti. Perciò continueremo il nostro lavoro più determinati di prima".

Catanzaro, gestione rifiuti sequestrati beni per 90mln di euro

Il provvedimento ha interessato alcuni imprenditori che operano nel settore della gestione dei rifiuti e dei vertici dell’ufficio del commissario per l’emergenza ambientale della regione Calabria

Beni per un valore di 90 milioni di euro sono stati sequestrati dalla Guardia di finanza di Catanzaro, nell’ambito di un’operazione sulla gestione dei rifiuti che ha interessato diverse regioni italiane. Nell’inchiesta sono coinvolte sei persone accusate di sottrazione fraudolenta di imposte. Il sequestro dei beni è stato disposto dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Catanzaro, Maria Rosaria Di Girolamo, che ha accolto la richiesta del sostituto procuratore della Repubblica Carlo Villani che dirige le indagini della guardia di finanza.


I finanzieri hanno scoperto che i tre imprenditori, titolari della società che gestisce la discarica di Alli di Catanzaro, avevano costituito una serie di nuove aziende per evitare di pagare le imposte all’erario. Alle nuove società venivano ceduti crediti e le attività da svolgere mentre i debiti restavano nelle vecchie aziende. Alle nuove società, pur non avendo le specifiche competenze, l’ufficio del commissario per l'emergenza ambientale ha comunque liquidato ingenti somme di denaro.

Tra gli indagati figurano anche l'assessore regionale all’ambiente, Francesco Pugliano (in foto a sinistra), in qualità di ex sub commissario delegato per l’emergenza ambientale, e l’attuale commissario per l’emergenza ambientale in Calabria, Graziano Melandri.

In particolare l’accusa contesta a Pugliano di aver emesso una serie di ordinanze con le quali ha liquidato alla società Enertech, che gestisce la discarica di Alli di Catanzaro, la somma complessiva di 1 milione e 642 mila euro. La società avrebbe incassato i fondi pur non avendo alcuna competenza per la gestione della discarica. La Enertech, secondo l’accusa, era una delle società costituite per consentire evadere le imposte.

Al commissario per l’emergenza ambientale della Calabria, Graziano Melandri (in foto a destra), viene contestato di aver emesso quattro ordinanze con le quali ha liquidato sempre alla società Enertech la somma complessiva di 1 milione e 335 mila euro.

Nell’inchiesta è coinvolto anche un funzionario dell’Ufficio del commissario per l’emergenza ambientale, Domenico Richichi. A quest’ultimo la procura contesta, nella qualità di responsabile unico del procedimento della gestione della discarica di Alli (Catanzaro), di aver proposto l’adozione delle ordinanze firmate da Pugliano e Melandri. I tre imprenditori coinvolti nelle indagini sono Stefano Gavioli, 64 anni, di Treviso; Loris Zerbin 50 anni, di Campolongo Maggiore (Venezia) e Giovanni Faggiano, 52 anni, di Brindisi. L’accusa sostiene che i tre imprenditori hanno costituito una serie di società attraverso le quali evadevano il pagamento delle imposte.

Rossano. Agguato ad Antonio “Tom Tom”si è costituito Giovanni Scorza

Restano ancora tanti punti da chiarire nella vicenda sul ferimento di Antonio Manzi, 50 anni, detto «Tom Tom», considerato un elemento di spicco della criminalità locale, e di suo figlio Francesco, 21 anni, incensurato


E' stato un duplice tentato omicidio organizzato in famiglia, l’agguato dell'11 agosto dello scorso anno compiuto sul lungomare di Rossano, nel Cosentino, quando due persone armate di pistola hanno ferito gravemente Antonio Manzi, 50 anni (nel riquadro), detto «Tom Tom», considerato un elemento di spicco della criminalità locale, e suo figlio Francesco, 21, incensurato.


Ieri mattina nella caserma dei carabinieri rossanese s'è costituito Giovanni Scorza, 26 anni, residente nella cittadina ionica, già noto alle forze dell’ordine. Gli investigatori ritengono sia stato egli a sparare quella notte assieme al padre, Francesco Scorza, 64 anni, arrestato il 23 luglio a Imola dopo essere stato fermato lungo l’autostrada A14 alla guida d’una Mercedes con a fianco la moglie e dietro il figlio quindicenne.

In un doppiofondo della vettura, inoltre, i militari hanno trovato una valigetta contenente 180 mila euro in contanti. A Giovanni Scorza è stato subito notificata l'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip cittadino Letizia Benigno su richiesta del pm Simona Rizzo. Il giovane dovrà rispondere di concorso in tentato omicidio aggravato, concorso in detenzione e porto illegale di arma comune da sparo clandestina, concorso in ricettazione di arma comune da sparo clandestina. I due Manzi furono raggiunti da numerosi colpi di arma da fuoco attorno alla mezzanotte dell’11 luglio dinanzi alla loro abitazione sul lungomare di Rossano rimanendo in pericolo di vita per giorni.

Nei giorni successivi all’agguato dell’11 luglio, nella zona dell’azione i carabinieri hanno ritrovato una pistola calibro 9 con matricola abrasa, di fabbricazione belga, usata per il duplice ferimento assieme a una calibro 22 ancora sconosciuta. Durante la conferenza stampa che ha chiarito i dettagli dell’arresto di Francesco Scorza in Emilia Romagna, il colonnello Francesco Ferace, comandante provinciale dell’Arma dei carabinieri, ha inquadrato l’agguato contro i Manzi come uno scontro nella criminalità organizzata di Rossano. Ed ha aggiunto che Scorza è stato identificato come uno dei possibili killer grazie anche a tracce biologiche riscontrate sul luogo del ferimento dei Manzi.

Regione Puglia, ecco chi sono i furbetti del rimborso



BARI - Ebbene sì, è arrivata a quota 54 la lista dei «furbetti del rimborsino», gli ex e attuali consiglieri regionali che, forti di una sentenza della Consulta, pretendono la restituzione di tutte le differenze tagliate dalle indennità dal 2006 in poi.

La «black list» è saltata fuori, nonostante le barricate dell’ufficio di presidenza. E non manca di svelare sorprese. Mentre fuori i palazzi infuria la buriana sui costi della politica, qui in Puglia - dove pure siede uno dei consigli regionali meno costosi d’Italia - non ne vogliono proprio sapere di rinunciare - a destra e a sinistra - a quei 63mila euro ciascuno (la cifra è inferiore, ovviamente, per i consiglieri eletti alle ultime regionali del 2010) che la Corte Costituzionale gli ha riconosciuto come un diritto. Una stangata di 5 milioni di euro (se la lista dovesse fermarsi a quota 70, ma non è affatto detto) potrebbe, dunque, spiovere sulle tasche dei pugliesi (e sulle magre casse del Bilancio della Regione), il tutto nonostante il parere contrario dell’Avvocatura regionale e l’appello del governatore Nichi Vendola a mollare la presa, in tempi di crisi e di famiglie col portafogli vuoto.

A nulla, dunque, potrebbe valere la mossa del taglio da 70 a 60 dei consiglieri (e da 14 a 12 degli assessori) nel lontano 2015, così come prevede la legge appena approvata nell’Aula di via Capruzzi e in seconda lettura a settembre, se nel frattempo cresce il numero dei «rimborsini» da erogare. E a destare più scalpore sono i consiglieri di centrosinistra, non fosse altro per l’impeto col quale il presidente della Regione aveva bacchettato tutti, invitando alla rinuncia. Zitti zitti quatti quatti, dalla sua maggioranza infilavano la richiesta di restituzione nella «buca» dell’ufficio di presidenza del consiglio, a cominciare dal capogruppo del suo partito, Sel, Michele Losappio, l’unico di marca strettamente vendoliana a mandare la richiesta e uno dei pochi, subito dopo l’ira del «Capo» (che lo strigliò per telefono), a ritirarla. Altri «scudieri dell’austerità» - che dalle fila della maggioranza avevano annunciato di non voler chiedere il rimborso - nella lista, invece, ci sono rimasti eccome. In barba alle indicazioni del capogruppo Pd Decaro, che aveva annunciato la rinuncia di tutto il gruppo dei suoi consiglieri, Gerardo Degennaro, Giovanni Epifani, Filippo Caracciolo (tutti dell’area «malpancista» che fa capo a Emiliano e che spesso se ne impipa di Vendola), insieme a Dino Marino, Pino Romano, Donato Pentassuglia e l’ex assessore Mario Loizzo (che costano di più, perché già eletti nella precedente legislatura), pretendono il «maltolto». Con loro una schiera di ex consiglieri Pd non più rieletti, da Pina Marmo a Sergio Povia all’oggi sindaco di Manfredonia Angelo Riccardi, ma c’è anche Luciano Mineo, che pure - da vicepresidente del Consiglio - aveva caldeggiato nel 2006 quel taglio alle indennità e appoggiato la scelta dell’allora presidente dell’Aula Pietro Pepe.

Che dire, poi, di Marco Barbieri? L’ex assessore esterno, «defenestrato» dalla giunta Vendola nel rimpasto del luglio 2009, pretende il risarcimento, vista la mancata approvazione di una legge regionale (che avrebbe evitato pasticci). E nella sua richiesta, c’è anche quella delle differenze sulla «diaria» spettante agli assessori eletti (lui, da tecnico, ha preso il 30% in meno). Sfoglia e sfoglia e trovi pure Vito Bonasora, l’ex segretario del Consiglio transitato dall’Idv al Pd e poi ai vendoliani, così come il comunista Mino Borraccino, tra gli ex 8 consiglieri che hanno fatto ricorso per la mancata rielezione con il premio di maggioranza. Non rimediano una figura migliore i dipietristi: ha ritirato la domanda il capogruppo Orazio Schiavone, ma c’è il presidente di commissione Aurelio Gianfreda. I socialisti? Ecco la richiesta dei non più rieletti Franco Visaggio e Beppe Cioce. Pino Lonigro, pure intenzionato, è stato bloccato sulla porta: aveva pure chiesto l’anticipo della liquidazione, com’è noto maturata già dopo 30 mesi per la legge sui vitalizi del 2004. Infine, la «chicca»: mentre battagliava nell’Aula di Palazzo Madama per la richiesta di arresto della Procura, anche Alberto Tedesco - l’ex assessore alla sanità e oggi senatore più noto d’Italia - infilava nella buca la sua richiesta di arretrati. Perché o vale per tutti o per nessuno.

BEPI MARTELLOTTA

La lista dei 55 con 7 rinunce

Arriva a quota 55 la «black list» dei «furbetti del rimborsino», i consiglieri regionali che rivendicano le indennità arretrate. Si dividono tra 24 ex consiglieri (dei quali 3 sono diventati parlamentari) e 29 consiglieri dell’attuale legislatura, equamente sparsi tra destra e sinistra. Tre gli ex assessori della giunta Vendola.

Di seguito, in evidenza, i nomi dei 7 che sinora hanno ritirato la richiesta notificata all’ufficio di presidenza.

PD - Filippo Caracciolo; Gerardo Degennaro; Giuseppe Dicorato; Giovanni Epifani; Mario Loizzo; Dino Marino; Pina Marmo; Luciano Mineo; Donato Pentassuglia; Sergio Povia; Angelo Riccardi; Pino Romano; Alberto Tedesco


PDL - Antonio Barba; Michele Boccardi; Antonio Camporeale; Massimo Cassano; Gianfranco Chiarelli; Giovanni Copertino; Giandiego Gatta; Domi Lanzillotta; Giuseppe Marinotti; Roberto Marti; Roberto Ruocco; Michele Saccomanno; Donato Salinari; Nicola Tagliente; Lucio Tarquinio; Sergio Tedeschi; Mario Vadrucci; Gianmario Zaccagnino; Ignazio Zullo.


VENDOLIANI - Marco Barbieri; Vito Bonasora; Mino Borraccino; Michele Losappio.
SOCIALISTI - Beppe Cioce; Franco Visaggio
IDV - Orazio Schiavone; Aurelio Gianfreda
PUGLIA PRIMA DI TUTTO - Luigi Caroppo; Francesco Damone; Tato Greco.
MPA - Simone Brizio; Gigi Loperfido; Enrico Santaniello
MODERATI E POPOLARI - Antonio Buccoliero; Nicola Canonico; Giacomo Olivieri
UDC - Angelo Cera; Giannicola De Leonardis; Carlo Laurora; Antonio Scalera.
I PUGLIESI - Davide Bellomo
FLI - Gianmarco Surico

Omicidio Sarah traccia di sangue nell’auto di Cosima


TARANTO - C’è una traccia ematica nell’auto di Cosima Serrano. L’hanno rilevata, nel corso degli accertamenti, i carabinieri del Ris di Roma che stanno svolgendo una serie di indagini tecniche sui reperti sequestrati alla famiglia Misseri. Lo si apprende da fonti investigative.

Sarebbe proprio questa la ragione per cui solo pochi giorni fa, i carabinieri hanno notificato a Michele Misseri, a sua figlia Sabrina, alla moglie Cosima Serrano e a Carmine Misseri e Cosimo Cosma, rispettivamente fratello e nipote del contadino di Avetrana, un avviso di accertamenti tecnici non ripetibili nell’ambito delle indagini sull’omicidio della quindicenne Sarah Scazzi, la ragazzina uccisa il 26 agosto dell’anno scorso.

I difensori dei cinque indagati, insieme con i consulenti tecnici di parte, sono stati convocati per questa mattina a Roma nella sede del Ris, per «attività tecniche biologiche di natura non ripetibile – come si legge nello stesso avviso -, sul materiale in reperto».

Gli indagati dovranno effettuare la comparazione del loro Dna con quello della traccia ematica rilevata nell’auto di Cosima. La vettura, una Opel Astra station wagon, è sotto sequestro insieme ad altro materiale acquisito dai carabinieri nel corso delle indagini. Il nuovo accertamento tecnico è stato richiesto dal pubblico ministero Mariano Buccoliero che, insieme con il collega, il procuratore aggiunto Pietro Argentino, conduce l’inchiesta sull’omicidio della piccola Sarah.

L’esame comparativo dei Dna affidato al Ris, arriva dopo la chiusura dell’inchiesta. Alla fine di luglio, infatti, erano state depositate presso la cancelleria del gup del tribunale di Taranto le richieste di rinvio a giudizio per 13 dei 15 indagati nell’ambito dell’inchiesta sul delitto di Avetrana. L’udienza preliminare sarà fissata probabilmente per la fine del mese di agosto, ma, nel frattempo, le difese degli indagati serrano le fila. Gli avvocati Franco Coppi e Nicola Marseglia, difensori di Sabrina Misseri (accusata con la madre, Cosima Serrano, dell’omicidio della cugina Sarah Scazzi), hanno depositato oggi in procura una riserva sull’accertamento tecnico che si dovrebbe tenere questa mattina a Roma e che è stato disposto proprio dalla stessa procura. I difensori della Misseri chiedono che l’esame venga effettuato nella forma dell’incidente probatorio.

La procura avrebbe già chiesto al Ris se l’eventuale rinvio dell’accertamento potrebbe influire sul risultato dello stesso esame, ricevendo assicurazioni in tal senso. Questo significa che l’accertamento fissato per oggi potrebbe essere rinviato e a quel punto la richiesta di eseguirlo nella forma dell’incidente probatorio verrebbe formulata dai difensori di Sabrina nell’udienza preliminare, la cui data però, come si diceva, non è stata ancora fissata.

Maristella Massari

Il preside contro i prof fannulloni della facoltà di Medicina di Bari



BARI - Nessuno li ha mai visti nei laboratori, ignorano i programmi di ricerca e non appaiono sulle riviste di settore. Sono gli imboscati della facoltà di Medicina di Bari. Studiosi sulla carta, improduttivi nella pratica, il loro contributo al progresso della scienza è pari a zero. Dati alla mano, il trentasei per cento dei docenti, tra professori ordinari, associati e ricercatori, non ha pubblicato nessun lavoro a livello internazionale, cioè nel mondo della ricerca che conta. In particolare, proprio i ricercatori sono i più latitanti, perché il 47% di loro è nullafacente. I dati si riferiscono al 2009, con 408 docenti complessivamente in organico, e sono i più recenti finora elaborati dalla facoltà di Medicina.

La qualità della ricerca (per chi lavora) è migliorata, rispetto al 2008, è stabile la percentuale dei docenti attivi, ma è aumentato il numero dei ricercatori fantasma. La situazione è talmente grave che il preside, Antonio Quaranta, ha scritto una lettera a tutti i colleghi, prendendo spunto dall’ultimo rapporto del Censis sulle università italiane. Come ogni anno, l’istituto di ricerca ha pubblicato la classifica degli atenei e delle facoltà. Di 37 istituzioni mediche considerate, la facoltà barese è scivolata al penultimo posto, dopo avere occupato la 32esima posizione lo scorso anno accademico e la 31esima quello precedente. La diagnosi è inappellabile: la facoltà è penalizzata proprio dai docenti improduttivi.

«La valutazione dei parametri analizzati dal Censis - scrive il preside Quaranta nella lettera - evidenzia un miglioramento della produttività (per esempio numero di studenti e laureati in corso, ndr), la stabilità dei rapporti internazionali (studenti baresi che partecipano a viaggi studio all’estero e stranieri ospitati, consistenza dei finanziamenti per collaborazioni internazionali tra atenei), un decremento nelle attività didattiche (percentuale di docenti di ruolo ed esterni, posti aula, età media dei professori) ma, soprattutto, un significativo peggioramento della ricerca (progetti finanziati in ambito nazionale ed europeo)».

La missiva, pacata nel tono ma chiarissima nei contenuti, è stata inviata anche al rettore, Corrado Petrocelli. Nel richiamare i docenti ai propri doveri, Quaranta esprime anche il rammarico per non aver trovato collaborazione in un numero tanto elevato di colleghi, proprio sul piano, tanto delicato, della ricerca. «Già nel rapporto sullo stato della nostra facoltà 2007-2009 (con dati fino al 2008), questa presidenza aveva posto in rilievo il disinteresse verso la ricerca scientifica di un numero troppo alto di professori e ricercatori. Prendo purtroppo atto - ne deduce il preside - che il mio invito ad a un maggiore impegno non è stato recepito».

Non a caso, il seguito della lettera è dedicato ai temi strategici della formazione medica a Bari. Innanzitutto, il protocollo d’intesa tra l’Ateneo e la Regione, scaduto da anni, necessario a mettere nero su bianco l’organizzazione dell’azienda mista, ospedaliero universitaria, del Policlinico.

Luca Barile

Nuove accuse per Papa coinvolta anche la moglie

Concorso in concussione per le consulenze a Tiziana Rodà



NAPOLI
Momenti di panico, di sospetti, di inquietudine, ieri mattina in Tribunale. Per i pm Woodcock e Curcio è come se dovessero buttare e ripensare le strategie processuali. Tribunale del Riesame. Si discute il ricorso di Alfonso Papa, detenuto a Poggioreale, che chiede la scarcerazione. Uno dei suoi avvocati annuncia: «Al mio collega non è stata notificata la convocazione dell’udienza». Difetto di notifica, quanto basta per la scarcerazione del deputato Pdl. Panico. Ricerca affannosa dell’ufficiale giudiziario che doveva consegnare la convocazione. Non si trova. Per un paio d’ore si dà per certa la scarcerazione di Papa entro sabato a mezzanotte. Poi, finalmente, si materializza l’ufficiale e la ricevuta: era stato il portiere dello stabile dello studio del legale a firmare l’avvenuta notifica. Il Riesame respinge l’istanza della difesa ed entro sabato dirà la sua sulla scarcerazione di Papa.

Ma intanto la posizione processuale del deputato Pdl si aggrava con due novità delle ultime ore. La prima è che lui e la moglie, Tiziana Rodà, sono stati iscritti sul registro degli indagati per concorso in concussione, per la vicenda delle consulenze professionali (la moglie è avvocato) ottenute da Tiziana Rodà all’Enel e all’Eni.

La seconda, è che uno degli imprenditori vessati dal deputato, che in cambio di informazioni di natura giudiziaria spillava soldi e regali dalle sue vittime, Marcello Fasolino, risentito nei giorni scorsi dai pm, ha messo a verbale: «Ho conosciuto Alfonso Papa intorno al 2000 tramite l’avvocato Vincenzo Grimaldi». Quand’è che inizia lo stillicidio dei versamenti? «Ricordo che l’euro era appena entrato in vigore, e che Papa lavorava al ministero di Giustizia con Castelli. Il primo versamento avvenne nell’androne del suo palazzo: 1000/1500 euro. Un’altra volta nella Galleria Colonna. E ancora: mentre camminavamo a piedi nel vicolo sulla destra dopo il negozio di cravatte di Marinella alla Riviera di Chiaia (Napoli, ndr). Complessivamente, gli ho versato 10.000 euro».

Una testimonianza importante, che aiuta la procura di Napoli sulla questione della competenza territoriale, perché radica il primo episodio di corruzione nel lontano 2001 e soprattutto a Napoli il pagamento della prima mazzetta.

Proprio Papa, nel suo interrogatorio di garanzia, si era giustificato dalle accuse degli imprenditori sostenendo che quelle dazioni erano prestiti che lui, successivamente, aveva regolarmente restituiti prelevando i soldi dal suo conto corrente presso l’agenzia del Banco di Napoli di piazza Montecitorio. Scrivono i pm nella loro memoria depositata al Riesame: «Sulla base dell’analisi della documentazione bancaria effettuata dal consulente, non risulta alcuna movimentazione (e specificamente alcun prelievo in contante) compatibile con quanto dichiarato dallo stesso Papa Alfonso in ordine alla presunta restituzione delle suddette somme ai menzionati imprenditori».

Il perito ha elaborato un prospetto dei singoli conti correnti di Papa: a partire dal 31 dicembre del 2006 fino al primo maggio scorso (della indagine che lo riguardava era a conoscenza) sono transitati 52.224,18 euro. Circa cinquanta soggetti pagatori per garantire lo svago a Papa.

Nello stesso periodo, il parlamentare ha prelevato con il bancomat 21.500 euro. Conclude il perito: «Non esiste nessuna correlazione tra le spese sostenute da imprenditori a beneficio del signor Papa (per le più disparate causali) e le uscite di contante rilevate sui conti intestati a quest’ultimo».

GUIDO RUOTOLO

mercoledì 3 agosto 2011

Prostitute infastidite dal viavai dei residenti Temono per i loro affari e chiamano il 113

Roma, gli abitanti del quartiere da tempo protestano contro il "mercato del sesso"

C'era un viavai esagerato di residenti che scoraggiava i potenziali clienti. E così le lucciole che stazionano in zona Prati Fiscali, a nord di Roma, tradizionalmente roccaforte della prostituzione, hanno chiamato il 113 lamentandosi perché i passanti le "infastidivano". Gli agenti sono intervenuti e hanno chiesto a tutti i documenti.

Le "signorine" che stavano esercitando nell'area nord della capitale, vedendo che il passaggio degli abitanti della zona era esageratamente intenso, si sono rese conto infatti che questi passatni stavano mandando in fumo i loro affari. E allora hanno pensato bene di chiedere l'intervento della polizia.

Si tratta dell'ultimo episodio di una guerra tra lucciole e residenti che va avanti da un pezzo. Quanto accaduto l'altra notte è stato raccontato dall'assessore alle Politiche sociali del IV Municipio, Francesco Filini.

Da tempo infatti in quella zona i residenti protestano contro il "mercato del sesso" e improvvisano ronde nelle vie a luci rosse, scoraggiando così i clienti. "Già un mese fa le lucciole di Prati fiscali - racconta l'assessore - vedendo il loro giro d'affari andare in rovina, avevano reagito alla fastidiosa presenza dei cittadini con un tentativo di aggressione insieme ai loro protettori ma l'altra notte gli agenti hanno preso i documenti di tutti, tra la rabbia e l'indignazione della cittadinanza".

"Chiederò al questore Tagliente e al sindaco Gianni Alemanno - conclude l'assessore - di intervenire con la massima celerità".

Catania, carabinieri finti bagnanti catturano latitante

Fermato Salvatore Zito, 50 anni e presunto affiliato al clan Santapaola. L'uomo è stato bloccato all'interno di un villaggio balneare in contrada Vacca Rizzo dai militari che si erano travestiti da villeggianti con tanto di costume e telo da mare




CATANIA. Un presunto affiliato al clan Santapaola, Salvatore Zito, 50 anni, latitante dal marzo scorso, é stato arrestato stamane dai carabinieri a Catania. L'uomo è stato bloccato all'interno di un villaggio balneare in contrada Vacca Rizzo dai militari che si erano travestiti da villeggianti con tanto di costume e telo da mare.

Al momento della cattura, Zito è stato trovato in possesso di una pistola calibro 9X21 con la matricola cancellata completa di otto proiettili. Nei confronti dell'uomo, che ha precedenti penali per associazione mafiosa, rapina, detenzione e porto abusivo di armi e spaccio di stupefacenti, era stato emesso un ordine di carcerazione dalla Procura generale della Repubblica di Catania perché coinvolto, insieme ad altre 24 persone, in un'indagine che aveva permesso di individuare una fitta organizzazione mafiosa dedita alle estorsioni. Dopo la cattura é stato lo stesso latitante a confermare di cambiare nascondiglio ogni settimana e di prediligere in questi periodi di vacanza le località balneari dove era convinto che fosse più facile passare inosservato e confondersi tra i turisti.

Zito era stato condannato nel marzo scorso a 7 anni di reclusione e al pagamento di una multa di 1.200 euro ma l'uomo si era reso latitante. Salvatore Zito, detto Turi malavita, considerato dagli investigatori un militante storico del clan Santapaola, è ritenuto l'attuale "responsabile" del villaggio Sant'Agata. La sua carriera criminale iniziò con una serie di rapine in trasferta ai danni di istituti di credito del nord Italia. Nel luglio del 2008 il fratello Carmelo era stato ucciso in un agguato nel quartiere San Cristoforo.

'Ndrangheta, operazione "Due Torri Connection" contro il clan Mancuso in tutta Italia

Operazione antidroga su scala nazionale e internazionale da parte della Squadra Mobile di Bologna d’intesa con la Direzione distrettuale antimafia. Colpita la cosc Mancuso attiva nella provincia di Vibo Valentia

La Polizia di Stato di Bologna sta eseguendo in varie città italiane, in Spagna e in Austria, una dozzina di ordinanze di custodia cautelare nei confronti di persone, legate alla cosca Mancuso, operante nella provincia di Vibo Valentia, accusate, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di cocaina. Le indagini hanno consentito di accertare che i referenti della cosca, avevano base logistica a Bologna, da dove intrattenevano rapporti con trafficanti colombiani attivi in Spagna e in Sud America.


I provvedimenti restrittivi vengono emessi a conclusione di una indagine, denominata «Due Torri Connection» e durata un anno.

I servizi tecnici posti in essere dagli uomini della Polizia di Stato hanno accertato che tutte le riunioni si tenevano in una sontuosa villa di proprietà di uomini della 'ndrina calabrese e sita nel Comune di Bentivoglio, in provincia di Bologna. Secondo il progetto criminale, fallito grazie alle indagini della Polizia, la cocaina avrebbe «viaggiato» occultata in scatoloni a bordo di aerei privati decollati dall’aeroporto di Quito (EC) oppure all’interno di container stivati su motonavi provenienti dal Sud America e nascosta all’interno di «finti» carichi leciti. Gli arresti e le perquisizioni, in varie regioni italiane e all’estero, sono state effettuate dalla Squadra Mobile di Bologna, in stretta collaborazione con le Squadre Mobili delle Questure di Catanzaro, Teramo, Vicenza e Vibo Valentia.

Omicidio a Melicucco, ucciso un pregiudicato finito con un colpo alla testa

La vittima, Francesco Fossari, condannato nel 2008 per spaccio di stupefacenti, con ogni probabilità conosceva il suo assassino

E' stato finito con un colpo in testa Francesco Fossari, il 43enne ucciso nelle prime ore del pomeriggio di ieri a Melicucco, nel Reggino. Secondo la prima ricostruzione dei fatti, pare che l’uomo sia stato attinto da almeno 12 colpi di pistola calibro 9x21. Quattordici, invece, sarebbero i colpi esplosi dal killer. Fossari, condannato nel 2008 per spaccio di stupefacenti, con ogni probabilità conosceva il suo assassino. Gli investigatori, giunti sul luogo del delitto dopo circa 10 minuti dall’agguato (alle 14.10) hanno trovato la sua Audi A1 bianca ancora in moto e il corpo del 43enne a distanza di circa 10 metri dal mezzo. Il luogo del delitto è un’arteria che collega i piccoli centri di Melicucco con quello di Anoia. In quest’ultimo, Fossari gestiva un negozio di infissi insieme ai suoi fratelli. Le indagini sono condotte dagli agenti del commissariato di polizia di Polistena coordinati dalla procura di Palmi. Le indagini sono concentrate negli ambienti della criminalità di Melicucco, ma non si trascura la vita privata di Fossari.

LE INDAGINI

Secondo le prime indagini sull'omicidio di Fossari, a sparare sarebbero state due persone e tale indiscrezione troverebbe riscontro nei bossoli di due calibri rinvenuti sulla scena del delitto. Altro dato emerso nel corso della mattinata è che Fossari, ucciso ieri pomeriggio intorno alle 14 nei pressi del cimitero cittadino, sia stato colpito almeno 4 volte in faccia. Le indagini sono condotte dalla polizia del commissariato di Polistena e coordinate dalla procura di Palmi. In questo momento, le indagini puntano nell’ambito della criminalità locale.

Camorra, la sfida di Castellammare il sindaco: «Deserte le gare per lidi e chalet

Posti di lavoro persi per colpa dei clan»


CASTELLAMMARE DI STABIA - Il Comune indice gare d'appalto pubbliche che vanno puntualmente deserte. Così le organizzazioni criminali condizionano lo sviluppo del territorio a Castellammare di Stabia (Napoli).


È la denuncia del sindaco Luigi Bobbio, magistrato, che ha ingaggiato una strenua battaglia contro l'illegalità e la camorra radicata nelle attività produttive. Dalla gara per la festa popolare dei falò dell'Immacolata, a quella indetta due volte per la gestione degli chalet dell'Acqua della Madonna, per finire all'assegnazione delle spiagge libere, al Comune non giunge alcuna offerta.

L'estate a Castellammare di Stabia, città di mare con vocazione turistica, è stata una occasione mancata di lavoro e di reddito, preziosi per un territorio devastato dalla crisi economica e industriale, con centinaia migliaia di operai licenziati o in cassa integrazione.

I famosi chioschi dell'Acqua della Madonna sono chiusi e quella che fino allo scorso anno è stata considerata dai quartieri popolari una importante fonte di sussistenza sono un filare di strutture vuote e spettrali.

In passato, rivela Bobbio, con la 'distrazionè delle amministrazioni comunali si cedeva alle pressioni della camorra che consentiva le attività di ristorazione alle proprie condizioni. La clientela era numerosa e si lavorava di giorno e di notte con l'offerta della gastronomia tipica dei pescatori proposta ai tavolini vicino al mare. Bobbio è costernato. «Gli Chalet dell'Acqua della Madonna erano da sempre affidati in gestione al di fuori di ogni percorso di legalità formale e sostanziale, al punto che la commissione d'accesso prefettizia mi prescrisse di annullare in autotutela l'ultima gara, attinente all' attività della passata Amministrazione, che risultava pesantemente truccata - spiega il sindaco - Quest'anno è stata bandita e celebrata una gara vera e forte, e la conseguenza è stata che il bando, pubblicato due volte, è stato fatto andare deserto. La prima volta, non era stata presentata alcuna domanda, la seconda volta pochissime domande tutte viziate per varie ragioni e quindi inammissibili. Gli chalet sono stati negati di fatto alla città dalla camorra».

L'altra battaglia per la legalità è stata condotta contro le strutture abusive sorte sulle spiagge libere di Pozzano. «Un altro esempio di questa pesante interferenza lo abbiamo in queste ore con le gare per l'affidamento delle spiagge libere in regime di spiaggia libera attrezzata; su questi lidi, negli ultimi giorni - afferma il sindaco -, ho abbattuto decine e decine di metri cubi di opere abusive che, nei fatti, hanno rappresentato per anni gli stabilimenti balneari della camorra. Anche qui le gare sono andate deserte. Anche questi bandi saranno subito ripubblicati, ma temo che anche questa seconda gara andrà deserta. La gente però sta cominciando a capire e sta apprezzando. Nei prossimi giorni caccerò i parcheggiatori abusivi della malavita dalla zona di Pozzano».

Ucciso e sepolto nel bosco il fratello ritrova il corpo

Giallo nella notte a Rivalba, l'uomo era scomparso sabato


Torino
Un bosco nasconde il giallo del giovane ucciso e sepolto a due passi dalla villa appena comprata all’asta giudiziaria. Paolo Pilla aveva 34 anni, un’avviata professione di consulente informatico, una fidanzata infermiera, una mamma e un fratello che lo adoravano.
Ieri sera è stato trovato senza vita, sepolto tra gli alberi a Rivalba in regione Borgiona 43. Non è ancora chiara la causa del decesso, ma parrebbe essere stato provocato da un forte colpo alla testa. Chi ha ucciso Paolo? E, soprattutto, perché?

Sabato pomeriggio è uscito dall’abitazione che divide con la madre, a Torino, l’ha salutata - «Esco a fare una commissione, torno tra un po’» - è salito sulla sua Ford Fiesta e si è allontanato. A casa sua però non è più tornato. La madre ha presentato la denuncia ai carabinieri lunedì mattina. Ieri sera l’orribile scoperta, resa ancora più terribile e dolorosa dal fatto che il corpo di Paolo è stato ritrovato da suo fratello Giuseppe. Un lembo dei pantaloni del giovane sbucava da sotto un cumulo di terra, in una boscaglia di Rivalba. Giuseppe si è subito insospettito e ha avvisato il 112. Sono arrivati anche i vigili del fuoco che hanno piazzato una cellula fotoelettrica per illuminare l’area.

Il fratello della vittima era andato a Rivalba allertato da un vicino, Carlo Fantino, che gli aveva raccontato di «aver visto salire alla villa Paolo sabato pomeriggio e poi aver notato un’ato chiara scendere ad elevata velocità». Chi era al volante di quell’auto? È forse coinvolto con il delitto? Le persone che vivono nelle case coloniche vicino a quella appena acquistata da Paolo Pilla insieme alla madre, raccontano anche dell’insistente presenza dei vecchi proprietari della villa venduta all’asta giudiziaria. Gli investigatori del Reparto operativo del Comando provinciale dell’Arma e i colleghi della compagnia di Chivasso hanno lavorato fino a tarda notte per raccogliere elementi utili alle indagini. Il luogo dov’è stato rinvenuto Paolo Pilla è stato subito transennato per evitare contaminazioni, ma non è ancora chiaro se l’omicidio sia avvenuto proprio in quel punto.

Un altro vicino della villa, Toni D’Andrea, ricorda che la villa era stata acquistata dai nuovi proprietari circa quindici giorni fa. «Paolo era venuto a presentarsi come nuovo vicino. Era stato molto gentile ed educato». Tra le persone interrogate ieri notte anche la moglie di D’Andrea e la fidanzata della vittima. Anche quest’ultima aveva partecipato alle ricerche non appena aveva saputo della scomparsa di Paolo. Gli interrogativi maggiori, in questa prima fase dell’inchiesta, riguardano lo sconosciuto notato dal vicino sabato pomeriggio. E dire che Paolo era uscito dalla sua casa di Torino senza portafogli, né i due cellulari che solitamente portava sempre con sé. Perché è andato a Rivalba? Con chi aveva appuntamento?

Grazia Longo, Massimo Numa