venerdì 24 febbraio 2012

I tentacoli delle cosche sui lavori per la 106, fermate 5 persone

Provvedimento della Dda di Reggio Calabria contro le cosche Ficara, Latella e Iamonte che si sarebbero infiltrati nelle opere per il tratto della statale tra nei pressi di Melito Porto Salvo. Sequestrati beni per 20 milioni
 
'Ndrangheta ed appalti pubblici. L'operazione “Affari di famiglia”, portata a termine stamani dai Carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, conferma gli interessi malavitosi sulle grandi opere pubbliche. Infatti, i militari dell'Arma hanno eseguito un provvedimento di fermo, emesso dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio, nei confronti di cinque persone indagate per i reati di associazione di tipo mafioso, concorso in associazione di tipo mafioso e tentata estorsione aggravata dall'aver favorito un sodalizio mafioso. I cinque sono accusati di appartenere alla 'ndrangheta di due distinte articolazioni territoriali, operanti nell'area metropolitana e jonica. L'operazione ha documentato l'infiltrazione delle cosche in un appalto per la realizzazione di un tratto della statale 106.


Il decreto di fermo di indiziato di delitto, eseguito dai Carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, Melito di Porto Salvo e Montebello Ionico, riguarda tutti appartenenti alle cosche Ficara-Latella e Iamonte, operanti nel “mandamento di Reggio” ed in particolare nei comuni di Reggio Calabria, Melito di Porto Salvo e Montebello Ionico. In particolare, dalle indagini è emerso che le cosche si sarebbero infiltrate nella realizzazione delle opere di ammodernamento e di messa in sicurezza della statale 106, nel tratto compreso tra Reggio Calabria e Melito di Porto Salvo, più nello specifico tra i KM 6+700 e 31+600. Contestualmente all'esecuzione del provvedimento restrittivo i Carabinieri stanno eseguendo un decreto di sequestro preventivo di beni ritenuti patrimonio delle cosche Ficara-Latella e Iamonte per un valore complessivo di 20 milioni di euro circa emesso dalla Dda reggina.

Sempre sulla statale 106, l'11 gennaio scorso, l'operazione Bellu Lavuru 2 aveva già accertato l'infiltrazione delle cosche Morabito, Bruzzaniti, Palamara, e Maisano, Rodà, Vadalà e Talia nei cantieri della zona di Palizzi. Tra i ventuno arrestati, in manette erano finiti anche tre dirigenti della "Condotte", uno dei più importanti gruppi italiani nel settore costruzioni, il capo cantiere Pasquale Carrozza, di Melito Porto Salvo, l'impiegato amministrativo Rinaldo Strati, di Siderno, il direttore di cantiere Antonino D'Alessio, di Vico Equense (Napoli), il project manager Sebastiano Paneduro (51), di Catania, il direttore tecnico Cosimo Claudio Giuffrida, di Catania e un ex direttore dei lavori dell'Anas, Vincenzo Capozza di 55 anni, di Locri (Reggio Calabria).

Le intercettazioni.
«Come mai avete iniziato questi lavori senza le dovute presentazioni? Adesso dovete pagarci il disturbo!» oppure: «dite al vostro responsabile che prima di continuare i lavori si deve mettere a posto». Frasi come questa, intercettate dai Carabinieri nell’ambito dell’operazione «Affari di famiglia» che stamani ha portato al fermo di cinque persone per infiltrazioni mafiose nei lavori per la costruzione di alcuni tratti della ss 106, erano spesso rivolte dai»picciotti» delle cosche Ficara – Latella e Iamonte al responsabile dei lavori per il rifacimento della ss 106 nel tratto Reggio Calabria-Melito Porto Salvo. Spesso le richieste erano più esplicite: «Noi siamo i referenti della zona. Per il vostro quieto vivere dovete darci il 4% dell’intero importo dei lavori relativo alla posa delle barriere e del rifacimento del manto stradale. Un’impresa come la vostra non è che mo si perde per 60.000 euro». I malfattori «sconsigliavano» alle imprese di rivolgersi ad altre ditte per la fornitura di servizi e di opere, perchè i subappalti dovevano essere affidati a ditte vicine alla cosca: «Le ditte a cui avete richiesto i preventivi, come quella di Bovalino, non vanno bene», era la frase che i titolari delle imrese si sentivano dire. Quando, infine, il responsabile del cantiere specificava che ancora erano in corso dei semplici lavori di messa in sicurezza e che le opere di ammodernamento non erano ancora iniziate, gli interlocutori lo congedavano con un eloquente «ci faremo risentire noi».

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