sabato 30 marzo 2013

Auguri di Buona Pasqua

Auguri di Buona Pasqua

 

È morto Franco Califano

Il cantante si è spento nella sua casa ad Acilia. Aveva 74 anni. Era malato


roma
È proprio una Pasqua tragica per la musica italiana. Venerdì Enzo Jannacci, sabato Franco Califano. Nell’arco di 24 ore se n’è andato prima un simbolo di Milano, poi uno di Roma, «er Califfo». Nel mondo anglosassone per descrivere uno come Califano si usa l’espressione «larger than life» (più grande della vita), lui di sé diceva: «ero bello esagerato». Er Califfo, ma la cerchia dei suoi fan lo chiamava «il maestro», è stato un autore di classici della canzone, un interprete di successo, un poeta, un attore, un protagonista delle cronache per le sue amicizie pericolose e le sue rischiose abitudini.

I suoi ultimi anni sono stati difficili: aveva sperperato un patrimonio, il fisico, cui aveva sempre chiesto molto, cominciava a cedere e finì sui giornali perché aveva richiesto l’aiuto della legge Bacchelli. Il 18 marzo aveva cantato al Sistina di Roma. Ma proprio quando la sua vicenda si stava avviando al declino, è stato riscoperto dalla nuove generazioni, Fiorello gli ha dedicato una delle sue imitazioni più popolari, i Tiromancino hanno registrato con lui, come hanno fatto jazzisti importanti come Stefano Di Battista. Al di là delle sue vicende legali, Franco Califano stava all’Italia come i personaggi portati sullo schermo da Jean Paul Belmondo e Alain Delon dei tempi d’oro stanno alla Francia. Un fuori classe della seduzione dal fascino maledetto e dall’ironia devastante che dagli anni ’60 in poi, cominciando come attore di foto romanzi, si è lanciato in una vita vissuta pericolosamente. Califano ha firmato alcune dei più bei titoli della canzone italiana, come «Minuetto», «La musica è finita», «E la chiamano estate», «Una ragione di più», ha scritto per gli interpreti più prestigiosi, a cominciare da Mina, ha composto «Gente de borgata».

Ma se c’è un titolo che sintetizza la sua vita e la sua carriera è «Tutto il resto è noia», un caso di scuola di brano che diventa un manifesto esistenziale. Scriveva poesie ed era autore e interprete di monologhi che oscillavano tra il comico e il dramma, istantanee di vita alla deriva (il giocatore di Nun me porta’ a casa) che si affiancavano a storie di travestiti o gravidanze inaspettate. Le sue vicende giudiziarie, la sua vocazione alla trasgressione e l’insofferenza verso le convenzioni hanno sicuramente aiutato a far nascere il mito dello chansonnier maledetto ma sicuramente non hanno aiutato la sua carriera (nel 1984 ha inciso l’album «Impronte digitali» agli arresti domiciliari). È stato un personaggio scomodo, controverso, che ha messo in scena la sua vita al massimo e che, forse, ha amato davvero soltanto la musica.  

venerdì 29 marzo 2013

Mafia, cambia la geografia delle cosche: ma non è stato individuato un capo


Relazione della «DiA». Nella nuova geografia territori storici hanno perso il loro predominio a vantaggio di altri

 
  di ENZO GALLO
AGRIGENTO.  E' cambiata la geografia mafiosa sul territorio assieme ai rapporti di forza a causa delle ultime operazioni delle forze dell'ordine e soprattutto degli arresti di Gerlandino Messina e Giuseppe Falsone. Ad affermarlo sono i vertici della Dia nella periodica relazione sulle "Organizzazioni di tipo mafioso autoctone". «La più recente ed attendibile suddivisione mafiosa nel territorio agrigentino -scrivono gli investigatori della DIA- emerge dall'operazione "Nuova cupola" e consente di annoverare 8 mandamenti».
 
Nella nuova geografia, territori storici hanno perso il loro predominio a vantaggio di altre. L'elenco si apre con il mandamento di "Campobello di Licata cui fanno capo le famiglie di Canicattì/Licata, Ravanusa, Camastra, Castrofilippo, Grotte che torna ad inglobare pure Comitini-Racalmuto". A seguire "Giardina Gallotti cui fanno parte le famiglie di Porto Empedocle, Siculiana, Lampedusa; Burgio con le famiglie di Lucca Sicula, Villafranca Sicula e Caltabellotta; Ribera cui fanno capo le famiglie di Cattolica Eraclea, Montallegro e Calamonaci; Santa Margherita Belice che ingloba le famiglie di Montevago e Menfi". Sempre nelle zone interne ed in particolare il mandamento di Sambuca di Sicilia scopriamo ingloba la famiglia di Sciacca mentre Cianciana comprende un territorio molto vasto diviso tra l'area montana e la bassa Quisquina con poco meno di un terzo dei comuni dell'intera provincia cioè le famiglie di Bivona, Santo Stefano Quisquina, Alessandria della Rocca, Casteltermini, Aragona, Cammarata, San Giovanni Gemini, Ioppolo Giancaxio, Raffadali, Sant'Angelo Muxaro, San Biagio Platani e Santa Elisabetta. A chiudere il mandamento di Agrigento che controlla le famiglie della città e frazioni ma anche quelle di Favara, Palma di Montechiaro e Naro.
 
La DIA nella sua relazione ribadisce che "cosa nostra condiziona lo sviluppo della provincia soprattutto nel campo dell'imprenditoria e delle opere pubbliche con una percentuale fissa del 2 per cento sull'importo complessivo di ogni appalto a vantaggio dei clan locali". Dopo l'operazione "Alta mafia" ed "Agorà" solo per citarne alcune resta confermato che "il tessuto sociale è spesso caratterizzato da connessioni tra mafia-imprenditoria-politica tanto che alcuni consigli comunali sono stati sciolti ed, in ultimo, il 23 marzo 2012 quello di Racalmuto" oggi affidato ad una triade prefettizia. Le grandi famiglie nell'agrigentino continuano a prediligere di agire in maniera sommessa e senza clamore. Si ammazza o si fa sparire qualcuno quando non c'è altra via e il danno che ne deriverebbe all'organizzazione sarebbe maggiore. "Le altre attività delle famiglie mafiose -per la Dia- riguardano la grande distribuzione, lo smaltimento dei rifiuti ed il mondo che gira intorno agli appalti, senza disdegnare le estorsioni" e secondo altri canali investigativi sempre più di recente le attività del gioco (slot machine e on line), quello di trasferimento denaro e di compravendita d'oro ed argento. "Una delle attività di maggior successo nel contrasto alle organizzazioni resta lo strumento del sequestro e della confisca dei patrimoni illeciti". Ancora ci sono sul territorio gruppi di "stiddari" che però hanno raggiunto un'intesa con "cosa nostra" di cui accetterebbero le direttive a non configgere.

Peppino Impastato, spunta una lettera inedita


Il piano per ucciderlo fu deciso un anno prima

Ritrovata per caso in un cassetto tra la biancheria della madre. Un anonimo metteva in guardia il giovane di Cinisi, descrivendo quello che poi sarebbe successo: la colpa doveva ricadere sui fascisti. Ma affiorano anche nomi nuovi: un compagno comunista di Peppino. E un uomo delle forze dell'ordine
 
di MICHELE INSERRA

REGGIO CALABRIA - Il destino di Peppino Impastato era già segnato da almeno un anno. Non è più una semplice ipotesi dopo che ieri pomeriggio è spuntata una lettera inedita da un cassettone all’interno della camera da letto della mamma di Peppino, Felicia Bartolotta. «Ti faranno male» si legge nella missiva di un anonimo amico datata 14 aprile 1977. Oltre un anno dopo faranno tanto male a Peppino: il 9 maggio del 1978 verrà barbaramente ammazzato. Ma ora c'è la conferma: quella decisione era stata decretata tredici mesi prima su ordine del numero uno di Cosa Nostra Tano Badalamenti.

La mamma di Peppino era deceduta il 7 dicembre del 2004. Da quel momento nessuno aveva osato mai “profanare” quella stanza che rappresenta una parte della Casa della Memoria di Cinisi, al corso Umberto 220, nata nel 2005, e riconosciuta a dicembre scorso dal governatore Rosario Crocetta bene di interesse storico-culturale. Ieri, per la prima volta, c’erano lavori in corso. Ed era giunto il momento di svuotare quella stanza colma di ogni cosa e di ogni ricordo. C’era Giovanni, il fratello di Peppino, e Claudio Lacamera, responsabile del progetto “Un ponte della memoria”. Hanno impiegato una intera giornata per “ripulire” armadi e cassetti. E in un cassettone anni Cinquanta tra la biancheria della donna è spuntata una lettera indirizzata a Peppino Impastato. Una missiva mai vista prima e dal contenuto che ha lasciato Giovanni e Claudio Lacamera senza fiato. Il piano per eliminare Peppino e prevedeva che le colpe dovevano ricadere sui fascisti. Parallelamente al piano per fare “tanto male” a Peppino viaggiava anche il piano per bruciarlo politicamente. E il nemico era, come spesso accade, in casa. Spunta infatti il nome di un compagno del partito comunista.

Balza agli occhi anche un consiglio nella missiva: «Guardati bene dai tuoi veri nemici». E c'è il nome di un uomo in divisa tuttora in servizio nel Palermitano.
Per quel delitto sono stati condannati i mandanti ma mancano gli esecutori materiali. Dopo due archiviazioni (nel 1984 e nel 1992), nell’aprile del 1995, l’indagine era stata riaperta. L’11 aprile 2002 Badalamenti fu condannato all’ergastolo ma il 30 aprile 2004, a 80 anni, morì in un centro medico penitenziario di Ayer (Massachusetts). Il 5 marzo 2001, Vito Palazzolo, braccio destro di Badalamenti, anche lui amico degli Impastato, aveva rimediato trent’anni.

L'impero di "don" Musolino: 150 milioni sequestrati al monopolista dell'industria boschiva vicino ai clan

 

Bloccato un patrimonio sconfinato nella provincia di Reggio Calabria: centinaia tra terreni e fabbricati. E diversi milioni di euro sui conti. Un colpo durissimo per l'anziano imprenditore di Santo Stefano d'Aspromonte indagato più volte per 'ndrangheta e ritenuto amico amico dei Serraino, dei Nirta di San Luca e di altre consorterie storiche
 
di GIUSEPPE BALDESSARRO

REGGIO CALABRIA - Gli hanno levato tutto. Ieri mattina sono arrivati i sigilli e gli amministratori giudiziari. Ed è un sequestro preventivo che per entità ha pochi precedenti. Gli hanno tolto decine e decine di terreni, boschi di castagno, agrumeti, vigneti. Gli hanno bloccato il “bosco alto” e il “seminativo”. E poi i capannoni, e gli appartamenti in diversi comuni. A partire da quelli di Reggio Calabria, per arrivare a Molochio e a Santo Stefano d’Aspromonte, suo paese natale.

Gli hanno sequestrato un impero, mettendo mano ad una fortuna sterminata. La fortuna che don Rocco Musolino aveva costruito incontrastato negli anni, creando una sorta «di monopolio dell’industria boschiva». Classe 1927, Rocco Musolino, è stato protagonista di diverse inchieste di ‘ndrangheta. Inchieste e processi, come “Olimpia” che lo hanno visto sempre assolto, pulito. Eppure per i magistrati della Dda di Reggio Calabria, Musolino ha costruito il suo regno milionario facendo leva su rapporti consolidati con gli ambienti mafiosi. Una contestazione che gli era già stata fatta in passato, quando erano stati sequestrati i tanti beni che gli vennero poi restituiti per decisione della Corte d’Appello di Reggio Calabria.Ora però il procuratore aggiunto Michele Prestipino e il pm Stefano Musolino, hanno messo assieme ulteriori elementi. Altre prove da aggiungere a quelle che in una decina di anni addietro non avevano retto. Materiale utile a sostenere un’accusa di “pericolosità sociale”, accolta dalla sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Reggio calabria, che ha quasi per fatta propria la richiesta della procura. Il sequestro riguarda il patrimonio aziendale dell’impresa individuale “Musolino Rocco di Francesco” ed i relativi conti correnti, le quote sociali e il patrimonio aziendale della “Maius Immobiliare”, intestata a Rocco Musolino e alla moglie Caterina Briganti, e poi ancora tutti i conti correnti intestati a Musolino alla moglie e alla figlia Francesca. Un tesoro sterminato cui vanno aggiunti centinaia tra terreni, capannoni, e fabbricati sparsi nell’intera provincia. E si parla di diverse decine di milioni di euro se si pensa che soltanto in un paio di conti correnti sono saltati fuori contanti per 4 milioni e mezzo di euro.Chi è Rocco Musolino lo spiegano i giudici nel provvedimento notificato nella mattinata di ieri.

Provvedimento che nasce dall’agguato che lo stesso Musolino subì il 23 luglio del 2008, quando in compagnia di Agostino Priolo si stava recando in una della sue aziende nel Comune di Santo Stefano d’Aspromonte. Fucilate che per fortuna non andarono a segno, ma sulle quali le forze dell’ordine hanno lavorato per mesi. E’ stato scoperto così che Rocco Musolino, nonostante l’età, se ne andava in giro con una pistola (regolarmente detenuta) con il colpo sempre in canna e con un caricatore di riserva. Dalla perquisizione conseguente saltò fuori anche una lettera di minacce indirizzata alla figlia un anno prima. Una lettera mai denunciata alle forze dell’ordine. Quanto basta a far redigere alla Dia e ai carabinieri fior di informative nelle quali trovano posto anche una serie di intercettazioni recenti.
Musolino era già stato citato nel tempo da pentiti di rango come Giacomo Ubaldo Lauro, Antonino Zavettieri e Paolo Iannò. Dichiarazioni insufficienti secondo i giudici che lo mandarono assolto in Olimpia. Tuttavia a quelle parole sono oggi associate le intercettazioni del 2010 in cui Pasquale Libri (nipote acquisito di Musolino) parla dell’anziano assieme a Carlo Chiriaco (persona arrestata nell’ambito dell’inchiesta Crimine). I due commentano il fatto che Musolino non abbia più la forze di un tempo «nè il vecchio apparato». Per i magistrati è il segno che, quantomeno in passato, quell’apparato esistesse. Secondo i giudici «anche se è vero che Musolino, come sostenuto da Libri, non potesse più contare sulla solida protezione che aveva in passato, ciò nonostante, lo stesso ha continuato ad esercitare, in modo del tutto illecito, la sua auctoritas, specie nei luoghi in cui egli vive ed esercita la propria influenza». E sarebbe proprio grazie a questa influenza che Musolino negli anni sarebbe cresciuto a dismisura conquistando il monopolio dell’industria boschiva.

Una parabola ascendente, incontrastata e incontrastabile. Don Rocco era amico dei Serraino, dei Nirta di San Luca e di altre consorterie storiche della ‘ndrangheta, al punto da far scrivere ai magistrati che sono tanti «gli indizi di appartenenza alla ‘ndrangheta già presi in considerazione (in passato, ndr)», cui la Procura «ne ha offerti di ulteriori e diversi, che consentono di poter affermare che il proposto nel corso degli anni, sfruttando le proprie relazioni illecite, si sia inserito a pieno, e con ruolo assolutamente verticistico, nel panorama criminale reggino, riuscendo ad intessere strette, solide e perduranti relazioni con i più importanti gruppi criminali, divenendone interlocutore illustre e privileggiato».

Traffico internazionale di droga, a Genova

Genova 29 mar. - Quattro ordinanze di custodia cautelare per traffico internazionale di droga sono state eseguite dalla polizia di Genova. Per gli inquirenti il perno del gruppo è Francesco Raschellà, catanzarese di 39 anni residente a Genova, con a carico precedenti per droga. Gli arresti al termine di un’indagine della Sezione Antidroga della Squadra Mobile coordinata dal pm Biagio Mazzeo, a seguito di due episodi avvenuti all’estero: la morte di un marittimo genovese durante un volo di linea sulla rotta Costa Rica-Italia e l’arresto, effettuato dalla polizia di frontiera Usa di un’italiana, pure lei marittima genovese, proveniente dal Costa Rica e diretta in Italia sorpresa con mezzo chilo di cocaina occultato nel bagaglio. (AGI)
(AGI) - Genova 29 mar. - Gli accertamenti autoptici hanno dimostrato che la morte del marittimo italiano era avvenuta a seguito dell’ingestione di numerosi ovuli di cocaina. L'inchiesta, condotta in stretta collaborazione tra la Mobile di Genova e la polizia statunitense (l'H.S.I., Homeland Security Investigation) ha consentito di acquisire negli Stati Uniti riscontri probatori utili ad accertare la responsabilità penale di Raschellà per i reati di traffico internazionale di sostanze stupefacenti e per la morte del corriere, mentre per altre due persone è scattata l’imputazione per traffico internazionale di stupefacenti. 

Scattano arresti: il perno era un catanzarese

L'inchiesta era scattata dopo la morte di un marittimo in servizio tra la Costa Rica e l'Italia: si è scoperto che a ucciderlo è stata un'overdose legata a ovuli di cocaina che aveva ingerito. Dalle indagini è emersa una rete che fa riferimento a un calabrese di 39 anni




GENOVA - Quattro ordinanze di custodia cautelare per traffico internazionale di droga sono state eseguite dalla polizia di Genova. Per gli inquirenti il perno del gruppo è Francesco Raschellà, catanzarese di 39 anni residente a Genova, con a carico precedenti per droga. Gli arresti al termine di un’indagine della Sezione Antidroga della Squadra Mobile coordinata dal pm Biagio Mazzeo, a seguito di due episodi avvenuti all’estero: la morte di un marittimo genovese durante un volo di linea sulla rotta Costa Rica-Italia e l’arresto, effettuato dalla polizia di frontiera Usa di un’italiana, pure lei marittima genovese, proveniente dal Costa Rica e diretta in Italia sorpresa con mezzo chilo di cocaina occultato nel bagaglio.

Gli accertamenti autoptici hanno dimostrato che la morte del marittimo italiano era avvenuta a seguito dell’ingestione di numerosi ovuli di cocaina. L'inchiesta, condotta in stretta collaborazione tra la Mobile di Genova e la polizia statunitense (l'H.S.I., Homeland Security Investigation) ha consentito di acquisire negli Stati Uniti riscontri probatori utili ad accertare la responsabilità penale di Raschellà per i reati di traffico internazionale di sostanze stupefacenti e per la morte del corriere, mentre per altre due persone è scattata l’imputazione per traffico internazionale di stupefacenti. 

Spacciavano davanti ai figli arrestati marito e moglie

E' accaduto in provincia di Cosenza, dove la polizia ha tratto in arresto Alessandro Biondi, di 43 anni, e Stefania Gazzaneo, di 40, i quali avrebbero venduto la droga davanti ai giovani minorenni. In casa trovati due chilogrammi di hashish, 240 grammi di cocaina, 300 grammi di marijuana

DIAMANTE (Cosenza) - Alessandro Biondi, di 43 anni, e Stefania Gazzaneo, di 40, marito e moglie, sono stati arrestati dagli agenti della polizia di Stato a Diamante per detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Lo spaccio, secondo quanto accertato dai poliziotti del Commissariato di Paola, avveniva anche davanti ai due figli minorenni della coppia. 
Gli investigatori hanno compiuto numerosi appostamenti durante i quali è emerso che Biondi e Gazzaneo venivano contattati da numerosi tossicodipendenti. Nell’abitazione della coppia i poliziotti hanno trovato due chilogrammi di hashish, 240 grammi di cocaina, 300 grammi di marijuana, due bilancini di precisione, sostanze chimiche per tagliare la droga e 12 mila euro in contanti. Sono stati trovati anche alcuni bossoli e proiettili calibro 7.65. Biondi è stato portato in carcere, mentre alla moglie sono stati concessi gli arresti domiciliari.

Incontri sessuali con una dodicenne, arrestato un quarantenne

Prima di andare a scuola la giovane andava a casa dell'uomo

 
 
Operazione dei carabinieri di Belvedere Marittimo che hanno ricostruito la vicenda grazie ai controlli predisposti sul territorio. La zona dove avvenivano gli incontri, infatti, era presidiata per la presenza di spacciatori e tossicodipendenti, ma i militari hanno notato i movimenti sospetti della ragazzina

BELVEDERE MARITTIMO (Cosenza) - Un quarantenne disoccupato di Belvedere Marittimo, di cui non sono state rese note le generalità, è stato arrestato dai carabinieri con l'accusa di avere abusato di una dodicenne come lui residente nella cittadina del Tirreno cosentino. L’uomo è stato sorpreso in atteggiamenti inequivocabili dai militari in compagnia della minore in una abitazione di campagna alla periferia del paese spesso usata anche da tossicodipendenti. In base a quanto ricostruito dagli investigatori, gli incontri andavano avanti da tempo e si svolgevano di mattina, prima che la ragazzina entrasse a scuola dove frequentava la seconda media. Al momento dell'arresto l'uomo è stato trovato in possesso d'un lenzuolo con cui copriva alla meno peggio lo sporco materasso sul quale avrebbero consumato i rapporti sessuali.

Nel maxi processo alla 'ndrangheta vibonese

Chiesti 379 anni per i boss e i clan satelliti

La Dda ricostruisce la rete criminale che fa capo a Luigi e Giuseppe Mancuso e presenta un conto salatissimo per 28 persone accusate di far parte a vario titolo del sodalizio criminale di Limbadi, Galati e Prostamo di Mileto, Soriano di Filandari, Morfei di Dinami
 
 
VIBO VALENTIA – Pene per complessivi 379 anni di carcere sono stati richiesti dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia dal procuratore della Dda di Catanzaro, Giuseppe Borrelli e dal pm antimafia Simona Rossi, al termine requisitoria nel maxiprocesso nato dall’operazione «Genesi» che vede imputate 43 persone accusate di far parte dei clan Mancuso di Limbadi, Galati e Prostamo di Mileto, Soriano di Filandari, Morfei di Dinami. Si tratta del più consistente procedimento contro la ndrangheta del Vibonese. E tra le richieste di condanna spiccano quelle per due delle figure apicali del clan dominante, quelle di Luigi e Giuseppe Mancuso. Tutta la loro famiglia subirebbe un duro colpo se la sentenza desse ragione all'accusa. E pesanti sono anche le richieste per le altre persone, considerate ai vertici delle 'ndrine satelliti dei Mancuso.
 
In particolare, le richieste di condanna riguardano 28 imputati, mentre per gli altri 15 è stata avanzata richiesta di assoluzione. Le richieste di assoluzione, per quanto riguarda gli imputati della provincia di Vibo, interessano: Pantaleone Mancuso (cl. '47), detto «Vetrinetta», di Limbadi, Roberto Piccolo, di Nicotera, Vincenzo Barbusca e Fortunato Nardi, entrambi di Monsoreto di Dinami, Gaetano Galati, Francesco Mesiano, Francesco Elia, Andrea Currà, tutti di Mileto, Gaetano Soriano, Domenico Soriano, Francesco Soriano, tutti di Filandari. Per quelli residenti in provincia di Reggio Calabria, le richieste di assoluzione riguardano: Antonio Albanese di Candidoni, Francesco Nesci e Antonio Fazzari, entrambi di San Pietro di Caridà.
 
Queste, invece, le singole richieste di condanna: Luigi Mancuso, 27 anni; Giuseppe Mancuso, 27 anni; Diego Mancuso, 26 anni; Pantaleone Mancuso (agosto '61), detto «Scarpuni», 25 anni; Salvatore Mancuso (cl. '72), 25 anni; Francesco Mancuso, 7 anni; Giovanni Mancuso, 7 anni; Pantaleone Mancuso (settembre '61), detto «L'Ingegnere», 7 anni; Roberto Cuturello, 13 anni. Tali imputati sono tutti di Limbadi. Le richieste di pena riguardano poi: Salvatore Cuturello, 13 anni, Antonio Prenestì, 13 anni, Raffaele Reggio, 13 anni, tutti di Nicotera; Nazzareno Prostamo, di San Giovanni di Mileto, 19 anni; Pasquale Pititto, di San Giovanni di Mileto, 18 anni; Antonio Angiolini, di Dimani, 13 anni; Mauro Campisi, di Monsoreto di Dinami, 8 anni e 9mila euro di multa; Antonino De Vito, di San Gregorio d’Ippona, 13 anni; Ottavio Galati, di Mileto, 14 anni; Michele Silvano Mazzeo, di Mileto, 13 anni; Alessandro Morfei, di Monsoreto di Dinami, 7 anni e 7mila euro di multa; Domenico Antonio Oppedisano, di San Pietro di Caridà, 13 anni; Giuseppe Oppedisano, di San Pietro di Caridà, 13 anni; Giuseppe Santaguida, di Sant'Onofrio, 7 anni; Leone Soriano, di Pizzinni di Filandari, 10 anni e 50mila euro di multa; Michele Tavella, di Mileto, 11 anni e 7.500 euro di multa; Nicola Zungri, di Rosarno, in provincia di Reggio Calabria, 10 anni e 6.300 euro di multa.
 
Per il collaboratore di giustizia Michele Iannello, di San Giovanni di Mileto, già definitivamente condannato per l’omicidio del piccolo Nicolas Green (ucciso sull'A3 nel settembre del 1994 in un fallito tentativo di rapina), la richiesta di pena è di 3 anni di reclusione. Per gli imputati per i quali è stata richiesta la condanna, la pubblica accusa ha poi chiesto delle assoluzioni per alcuni specifici capi d’imputazione. Associazione mafiosa, traffico di stupefacenti, usura, estorsioni, rapine, detenzione di armi i reati, a vario titolo, contestati. Oltre 40 i collaboratori di giustizia ascoltati durante il processo che va avanti dal 2004, mentre l’operazione è scattata nell’agosto del 2000. 

Napoli, spari e terrore vicino alla scuola


 Colpo di pistola contro papà di un bimbo
Avvocato colpito da un proiettile dopo aver accompagnato il figlio a scuola. Il testimone: "Bimba ha pensato ai fuochi d'artificio"



NAPOLI - Attimi di puro terrore questa mattina a Napoli dove a poca distanza della scuola Rossini, ai Colli Aminei, il papà di un alunno - un avvocato civilista di 48 anni - è stato ferito con un colpo di pistola proprio mentre alcuni bambini stavano per entrare nell'istituto. L'uomo - M.I. - aveva appena accompagnato il figlio a scuola che si trova in Via Del Capricorno, un istituto privato aperto anche oggi. È stato colpito ad un polpaccio da due uomoni arrivati a bordo di uno scooter.

>>> LA TESTIMONIANZA. LA VITTIMA HA DETTO: "NON SONO UN CAMORRISTA" - ASCOLTA

Solo per miracolo nessun alunno e nessun genitore è stato colpito dai proiettili. L'avvocato è stato soccorso e portato al vicino ospedale Cardarelli: le sue condizioni, secondo quanto si apprende, non sono gravi ed è stato sottoposto ad un intervento chirurgico.

>>> IL LUOGO DELLA SPARATORIA - LE FOTO

Sul posto sono giunte alcune pattuglie della polizia e auto dei carabinieri mentre la scientifica è al lavoro per ricostruire l'esatta dinamica. Al momento non si esclude alcuna ipotesi, anche se sembra allontanarsi quella della rapina. I due uomini armati, infatti, non hanno chiesto né detto nulla all'uomo, secondo le informazioni diffuse dalla polizia.

Il racket a Pasqua chiede di più, idea di Addiopizzo

In piazza la prossima settimana per firmare il manifesto «Pago chi non paga». Pistorino: «E chi vuole denunciare siamo pronti a tutelarlo»

 

di ANTONIO CAFFO
MESSINA. A Pasqua aumentano le estorsioni e Addiopizzo lancia la proposta: "pago chi non paga". Il comitato, sabato 6 aprile e domenica 7, scenderà in piazza per chiedere ai cittadini di firmare il Manifesto del consumo critico (ovvero acquistare prodotti dai negozianti che non pagano) ma anche agli imprenditori di denunciare. Enrico Pistorino del comitato Addiopizzo spiega: "L'iniziativa è rivolta principalmente ai consumatori ma è ovvio che se si avvicineranno commercianti li inviteremo alla denuncia nei modi più riservati possibili per la loro incolumità". Secondo Addiopizzo nel periodo pasquale aumentano le richieste estorsive con la scusa dell’offerta per aiutare i parenti dei carcerati o semplicemente per la “messa a posto” annuale. La Procura di Messina ha sottolineato nella relazione 2011 sullo Stato della Giustizia: “Alla Sicilia il pizzo costa 1,3 punti del Pil; le tangenti risultano più elevate nella provincia di Messina rispetto a Palermo dove la tangente media per il commercio al dettaglio è di 400 euro al mese; a Messina le indagini hanno rivelato che le estorsioni vengono richieste a tappeto; tutte le attività economiche vengono assoggettate a questo crimine". Il Comitato Addiopizzo Messina invita gli operatori economici a denunciare ogni tentativo di estorsione, in particolare in questo periodo, rivolgendosi alle Associazioni Antiracket o direttamente alle Forze dell’ordine. Il Manifesto del Consumo Critico “pago chi non paga” potrà essere firmato sabato 6 aprile alle 17 a Piazza Cairoli e domenica 7 aprile alle 10 a Piazza Lo Sardo (ex piazza del Popolo, presso Mercato del Contadino).

«Il 15 per cento delle vetture non sono assicurate»



CATANIA. Stimato intorno al 13% il volume delle auto in circolazione senza copertura assicurativa. Lo rileva l’ultima verifica del Compartimento della Sicilia orientale della Polizia stradale, che ha effettuato a distanza di tre mesi una ulteriore verifica nelle cinque province di competenza (oltre Catania, Enna, Messina, Ragusa e Siracusa). Complessivamente sono stati effettuati 16 posti di blocco nei punti nevralgici della viabilità ordinaria, impegnando 27 equipaggi, che hanno controllato 390 veicoli (a Catania 55) e accertato 191 infrazioni (28 quelle in ambito provinciale etneo). Di queste 52 hanno riguardato la mancanza di assicurazione per la responsabilità civile con la conseguenza del sequestro del veicolo: 8 i casi nel catanese. All’operazione ha fornito un contributo l’Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici  che collabora sistematicamente, attraverso il proprio Ufficio Antifrode, con gli operatori della Stradale per tutti i provvedimenti necessari a stabilire l’eventuale falsità dei documenti assicurativi, oltre che per un riscontro immediato nelle specifiche banche dati informatiche. O.C.

Omicidi di mafia a Catania: blitz con sette arresti

Nel mirino appartenenti al clan Santapaola-Ercolano. Loro sono: Maurizio Zuccaro, Orazio Magrì, Fabrizio Nizza, Carmelo Puglisi, Lorenzo Saitta, Mario Strano e Francesco Crisafulli. Al centro delle indagini le dinamiche e i moventi di quattro delitti commessi tra il 1995 ed il 2009. L'inchiesta si basa su attività di riscontro dei carabinieri di Catania alle dichiarazioni del boss Santo La Causa

 
CATANIA. Faide tra cosche rivali, ma anche all'interno dello stesso clan per contrasti economici o di potere. Sono i moventi dei quattro omicidi, e uno tentato, commessi tra il 1995 e il 2009, le cui dinamiche e cause sono state svelate dal boss pentito di Cosa nostra di Catania, Santo
La Causa. Dopo i riscontri eseguiti alle dichiarazioni del collaboratore sono eseguiti sette ordinanze cautelari, tra mandanti ed esecutori, da parte dei carabinieri del reparto operativo del comando provinciale etneo. I provvedimenti sono stati emessi dal Gip di Catania su richiesta della locale Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica. Tra i destinatari dei provvedimenti Maurizio Zuccaro, 52 anni, elemento di spicco di Cosa nostra etnea, già condannato per omicidio, ma sottoposto alla detenzione domiciliare perchè affetto da malattia incompatibile con la detenzione. Gli altri sono: Orazio Magrì, 42 anni, Fabrizio Nizza, 38, Carmelo Puglisi, 49, Lorenzo Saitta, 38, Mario Strano, 48, Francesco Crisafulli, 50. La Causa ha fatto luce sull'uccisione di Vito Bonanno, assassinato il 19 ottobre del 1995, perchè era del gruppo di Giuseppe Pulvirenti, 'U Malpassotu, il boss che si era da poco pentito. Pietro Giuffrida sarebbe stato eliminato, il 22 agosto del 1999, dallo stesso clan Zuccaro a cui apparteneva, per contrasti su giri di usura e traffico di droga. Franco Palermo, esponente di spicco dei Cursoti, morì, il 27 settembre del 2009, per vendetta: era ritenuto l'autore dell'omicidio di Giuseppe Vinciguerra, cugino di Magrì, assassinato il 7 aprile del 2009.  L'omicidio di Salvatore Pappalardo, il 30 ottobre 1999, per cui sono stati già condannati all'ergastolo Alessandro Strano e Carmelo Giustino, nasce da contrasti per la leadership del gruppo del rione Monte Po di Cosa nostra per il controllo del racket delle estorsioni nella zona industriale di Misterbianco. Nell'agguato rimase ferito l'autista di Pappalardo, Francesco Tropea, reato per cui si procede per tentativo di omicidio.

giovedì 28 marzo 2013

Ragazza polacca vuole arrivare ad avere 100mila partner sessuali

Ania Lisewka ha aperto un sito dove pubblicizza la sua impresa e cerca volontari che la aiutino. La ragazza, o chi per lei, dimostra di avere fiuto per gli affari: sulle sue pagine online e sulle magliette che indossa capeggia l'indirizzo di un sito di peep show. E la visibilità di questi giorni, dopo che la notizia ha fatto il giro del mondo, le sta assicurando un'ottima resa pubblicitaria.

 
 
 


Cosa non si farebbe per entrare nel Guinness dei primati? Dopo aver letto questa notizia, verrebbe da dire: praticamente qualunque cosa. La ragazza che vuole entrare tra i primatisti delle imprese più particolari della storia, inoltre, sembra che voglia rimanerci per sempre dato che il record che si è imposta difficilmente potrà mai essere battuto, sempre che lei ci riesca. 


Si tratta di Ania Lisewka (nella foto), una ragazza polacca che vuole entrare nel Guinness come la donna al mondo che ha fatto sesso con più uomini. Se in passato c'erano state iniziative analoghe, come quella di Shannya Tweeks, una pornostar che al fine di raccogliere soldi per la lotta all'Aids aveva annunciato che avrebbe fatto sesso con 999 uomini, questa di Ania sembra alquanto ambiziosa. 


Anche lo scrittore Chuck Palahniuk non è riuscito a immaginare tanto: nel suo libro Gang Bang aveva infatti immaginato anche lui un record del genere: la protagonista del libro avrebbe fatto sesso con 400 uomini. La giovane polacca mira invece decisamente più in alto: lei vuole farlo con 100mila uomini… Qualcuno sulla rete le ha fatto notare che anche facendo sesso con 50 uomini alla settimana - il che non è poco - avrebbe bisogno di 38 anni per terminare la maratona. Ania Lisewska ha comunque aperto un sito su Internet dove pubblicizza la sua impresa e cerca volontari che la aiutino. La ragazza, o chi per lei, dimostra di avere anche fiuto per gli affari: sulle sue pagine online e sulle magliette che indossa capeggia l'indirizzo di un sito di peep show. E la visibilità di questi giorni, dopo che la notizia ha fatto il giro del mondo, le sta assicurando un'ottima resa pubblicitaria.


C'è da pagare 10 dollari per la camera d'albergo e si avrà diritto a una prestazione da venti minuti. L'instancabile giovane ha cominciato l'impresa lo scorso 24 maggio e vi si dedica ogni weekend (bisogna pur lavorare nella vita…) spostandosi ogni volta in una città diversa della Polonia dove l'aspetta un amante. "Se desiderate partecipare alla mia maratona del sesso e sapere dove mi trovo ogni weekend, iscrivetevi. Così conoscerete il mio indirizzo e riceverete il mio numero di telefono" si legge sul sito in questione. Dà anche una spiegazione pseudo sociologica: "In Polonia il sesso è ancora tabù, chi parla di sesso viene considerato mentalmente malato" dice. Sicuramente dopo la sua maratona del sesso non lo sarà più. Al momento non si sa che numero di rapporti sessuali abbia raggiunto, ma si sa che alcuni hacker buontemponi hanno hackerato il suo sito scrivendoci che dopo tanti rapporti, Ania ha contratto l'Aids. Notizia subito smentita. Ania ha 21 anni e vive a Varsavia. Per chi fosse interessato all'impresa e non è polacco, non scoraggiatevi: la giovane dice che è pronta a recarsi i qualunque città del mondo.

mercoledì 27 marzo 2013

Crocetta “licenzia” Battiato e Zichichi


«Affermazioni inaccettabili, ci scusiamo»
Bufera sull'assessore. Licenziato anche lo scienziato Zichichi: «Non se ne poteva più, parlava di raggi cosmici»

PALERMO - Il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, ha deciso di revocare l'incarico di assessore regionale al Turismo al maestro Franco Battiato. Analoga decisione per l'assessore ai Beni culturali in Sicilia, lo scienziato Antonio Zichichi, sollevato dalla carica. A breve il «licenziamento» di Battiato sarà ufficiale, fanno sapere dall Regione. In una nota ufficiale il presidente Crocetta «prende atto della disponibilità degli assessori Battiato e Zichichi di rinunciare al loro mandato e ha revocato, a partire dalla data odierna, l'incarico assessoriale». «Di Zichichi non se ne poteva più, bisognava lavorare e invece lui parlava di raggi cosmici. Forse, sarebbe stato meglio utilizzarlo come esperto», si legge.

LEGGI: Battiato a Bruxelles: troie in Parlamento Italiano. Boldrini furiosa

Crocetta. «Battiato ha fatto affermazioni gravi e inaccettabili». Così il presidente della Regione Crocetta ha inviato le scuse del governo siciliano per le affermazioni definite «certamente non istituzionali ed offensive», di Franco Battiato nei confronti dei parlamentari italiani. «Quando si sta nelle istituzioni, - ha detto Crocetta - si rispetta la dignità delle istituzioni medesime e, nel caso di Battiato sicuramente si è andati ben oltre e si è violato il principio della sacralità delle stesse. Siamo orgogliosi di appartenere al popolo italiano e di avere un Parlamento, l'espressione della sovranità del popolo e della partecipazione dei cittadini alla vita democratica».

«Quando si offende il Parlamento, si offende tutto il popolo italiano - continua il governatore - e ciò non è consentito a nessun componente delle istituzioni. Mi dispiace veramente molto, sono addolorato. Il Parlamento in questo momento è rappresentato da figure come Laura Boldrini e Piero Grasso, impegnati nel profondo per rinnovare il Paese e all'interno del Parlamento ci sono uomini e donne che cercano di trovare una soluzione in una fase drammatica della vita economica, politica e sociale». Ieri Battiato, nel suo intervento al Parlamento europeo in veste di assessore al Turismo, parlando della compagine politica italiana aveva detto: «Queste troie che si trovano in Parlamento farebbero qualsiasi cosa. È una cosa inaccettabile, sarebbe meglio che aprissero un casino». Poi aveva spiegato che le sue dichiarazioni non si riferivano all'attuale compagine parlamentare.

Gioielliere ucciso a Milano, preso in Spagna il presunto assassino


L'uomo aveva avuto rapporti di lavoro con la vittima. Incastrato grazie alle registrazioni delle telecamere


ROMA - È fermato il presunto assassino di Giovanni Veronesi, l'orefice ucciso il 21 marzo scorso nella sua gioielleria di Brera, a Milano. Recuperata anche parte della refurtiva. L'uomo era già fuggito lontano. I carabinieri del Nucleo investigativo lo hanno infatti catturato in Spagna, dove era giunto scappando attraverso il confine con la Francia. Gli investigatori si trovavano nel Paese iberico già da domenica scorsa. Oggi l'uomo dovrebbe essere interrogato ai fini dell'estradizione.

L'uomo fermato è un impiantista incensurato, che aveva avuto con la vittima rapporti di lavoro. Non era un suo amico o un parente. A lui i carabinieri, coordinati dalla Procura della Repubblica di Milano, sono arrivati velocemente, grazie anche ad alcuni fotogrammi di immagini riprese dalle telecamere. Un risultato che giunge proprio nel giorno, oggi, in cui sono previste le esequie della vittima.

Offensiva della Dda contro il clan Mancuso


Villaggi turistici nelle mani del clan, 38 arresti

 
Nuovo filone dell'operazione "Black Money" portato a termine da polizia, carabinieri e guardia di finanza. Scoperti i risvolti economici della cosca e lo spostamento di denaro con un sofisticato sistema fondato sul rientro di capitali attraverso lo sfruttamento dello “scudo fiscale”
 
 
 
di STEFANIA PAPALEO e GIANLUCA PRESTIA

VIBO VALENTIA - Blackout money 2: continua l'offensiva della Dda di Catanzaro contro la cosca Mancuso. Ancora una volta Polizia di Stato, Carabinieri e Guardia di Finanza sono scesi insieme in campo per eseguire 38 arresti nella provincia di Vibo Valentia. In tasca anche in provvedimento corposo di sequestri di beni per un valore di decine di milioni di euro, sfociato dall'attività investigative coordinate dal procuratore aggiunto della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, Giuseppe Borrelli. Quella portata a termine oggi è l'unificazione di distinte attività investigative portate a termine dalle forze dell'ordine e unificate in un unico blitz.
Dopo il blitz messo a segno attraverso l'operazione Black money, infatti, le indagini hanno ora chiuso il cerchio dal punto di vista fiscale, essendo emerso il pressoché totale controllo da parte della cosca Mancuso di Limbadi di rinomate strutture residenziali e turistiche della costa vibonese. Da lì la strada investigativa che ha portato gli inquirenti (i pm Marisa Manzini, Simona Rossi e Pier Paolo Bruni) ad ipotizzare il riciclaggio dei capitali illeciti, in tal modo maturati, con un sofisticato sistema fondato sul rientro di capitali attraverso lo sfruttamento dello “scudo fiscale”. I dettagli dell’operazione saranno comunque illustrati nel corso di una conferenza stampa che si terrà questa mattina alle 11.30 presso la Prefettura di Vibo Valentia.
 
EVASIONE FISCALE. Trenta milioni: a tanto ammonta l'imponibile sottratto al fisco con un’evasione di imposta di 14 milioni, accertato dai finanzieri del Gico di Catanzaro nell’ambito di uno dei filoni di inchiesta confluiti nell’operazione condotta stamani insieme a carabinieri e polizia contro la cosca Mancuso di Limbadi. Un’evasione che sarebbe stata possibile dal connubio tra personaggi legati alla cosca Mancuso, tra i quali l’appartenente all’Ira, l’organizzazione terroristica per l’indipendenza irlandese, Henry James Fitzsimons, ed il campano Antonio Velardo, già coinvolto nell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria 'Metropolis' del 5 marzo scorso, e Antonio Maccarone, ritenuto dagli investigatori il «volto imprenditoriale» dei Mancuso, ed alcuni commercialisti, due dei quali, Ercole Antonio Palasciano e Giuseppe Ierace, molto noti a Catanzaro. Per i commercialisti l’accusa contestata è associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale ed al riciclaggio. Dalle indagini condotte dal Gico, infatti, non sono emersi collegamenti o vicinanze personali tra loro e ambienti evidenti della criminalità organizzata. L’attività dei commercialisti, secondo l’accusa, sarebbe stata fondamentale per la costituzione di società fittiziamente residenti all’estero ma in realtà operanti a pieno titolo in Italia e che avrebbero concretizzato la frode fiscale internazionale tramite «estero vestizione». Nel momento dell’arresto, Palasciano ha avuto un malore ed è stato portato in ospedale per accertamenti. Subito dopo i controlli dei medici è stato condotto in carcere.
Dal filone condotto dalla squadra mobile, invece, sono emersi numerosi episodi di usura ai danni di imprenditori delle province di Vibo Valentia e Catanzaro ai quali venivano imposti tassi calcolati al 120% annuo a fronte di somme di danaro prestate in fase di difficoltà economiche delle attività di cui erano proprietari. Il provento dell’usura, secondo l’accusa, costituiva una forma di reinvestimento di capitali riconducibili ad esponenti di spicco della famiglia Mancuso, in particolare a Giovanni Mancuso, indicato come una «figura carismatica» all’interno della cosca.
 
SEQUESTRO BENI. Nell'ambito dell'operazione sono stati sequestrati beni per un valore di 40 milioni circa, tra i quali una società che organizza e gestisce spettacoli ed eventi a carattere nazionale, la CaMo. L’operazione è la sintesi di tre inchieste condotte dai carabinieri del Ros, dai finanzieri del Gico e dalla squadra mobile di Catanzaro e rappresenta il seguito di quella condotta alcune settimane fa sempre contro la cosca Mancuso. Tra gli arrestati del Ros figurano i due imprenditori titolari della CaMo, Nicolangelo Castagna e Filippo Mondella, accusati di concorso in trasferimento fraudolento di valori aggravato dalle modalità mafiose dal momento che la società, secondo l’accusa, era riconducibile ad uno dei boss della cosca Mancuso, Giuseppe. Il filone investigativo seguito dalla Guardia di finanza, invece ha riguardato una maxi evasione fiscale con conseguente attività di riciclaggio a livello internazionale grazie anche ad operazioni cosiddette di «eurovestizione». Si tratta di uno stratagemma che prevede l’apertura di società che operano in Italia, ma fatte passare per società di diritto estero allo scopo di non pagare le tasse in Italia, ma di farlo all’estero con una minore pressione fiscale. In questo filone sono stati arrestati, tra gli altri, anche commercialisti ed avvocati. Nella tranche di inchiesta condotta dalla squadra mobile, infine, è stato arrestato uno dei capi della cosca, Antonio Mancuso, di 75 anni.

Sciolti tre comuni per mafia

 La scure su Melito P.Salvo, Siderno e San Calogero

 
Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’interno, ha deliberato lo scioglimento, ai sensi della normativa antimafia nei tre centri del vibonese e del reggino. Prorogato per 6 mesi lo scioglimento del Consiglio comunale di Nardodipace


CATANZARO - La 'ndrangheta avrebbe avuto influenze dirette sulle attività amministrative. Per questo, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’interno, ha deliberato lo scioglimento, ai sensi della normativa antimafia dei Consigli comunali di Melito Porto Salvo (Reggio Calabria), Siderno (Reggio Calabria), San Calogero (Vibo Valentia), nonchè la proroga per 6 mesi dello scioglimento del Consiglio comunale di Nardodipace (Vibo Valentia).

Gli enti locali sciolti e la proroga decisa riguardano tutti le province di Reggio Calabria e Vibo Valentia dove negli ultimi tempi sono state attuate diverse operazioni delle forze dell'ordine contro la criminalità organizzata, evidenziando anche gli interessi malavitosi sulle amministrazioni.
 
Decisioni assunte a distanza di pochi mesi dalle iniziative dei prefetti calabresi arriva la decisione del Consiglio dei Ministri che ha sciolto i Consigli comunali di Melito Porto Salvo e Siderno, nel reggino, e San Calogero, nel vibonese. Il 25 febbraio scorso il prefetto di Reggio Calabria, Vittorio Piscitelli, aveva sospeso il Consiglio comunale di Melito Porto Salvo ,avviando la procedura per lo scioglimento dell’organismo per infiltrazioni mafiose: il Consiglio era già stato sciolto dopo le dimissioni della maggioranza dei componenti l’organismo che avevano fatto seguito all’arresto, con l’accusa di associazione mafiosa, del sindaco Gesualdo Costantino. Il 28 giugno del 2012 lo stesso Prefetto di Reggio aveva sospeso il Consiglio comunale di Siderno dopo le dimissioni del sindaco Riccardo Ritorto. L’ex sindaco si era dimesso per gravi e importanti motivi di salute, dopo aver però ricevuto un avviso di garanzia nell’ambito dell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria «Falsa politica», che ha svelato i presunti intrecci tra la cosca della 'ndrangheta dei Commisso ed esponenti della politica locale. Nel settembre del 2012, infine, il prefetto di Vibo Valentia, Michele Di Bari, aveva disposto l’accesso antimafia nel Comune di San Calogero al fine di accertare eventuali condizionamenti della 'ndrangheta sull'attività del Comune.

Antimafia, la Carovana di Libera in Sicilia


Don Ciotti ricorderà la strage di Pizzolungo Un tour lungo 69 giorni che dal 2 al 6 aprile farà tappa nell'Isola. Appuntamenti a Palermo, Catania e Messina

 
 
PALERMO. Partirà da Tunisi, luogo - simbolo dell'avvio delle primavere arabe, la Carovana internazionale antimafie di Libera e farà tappa in Sicilia dal 2 al 6 aprile, per diffondere i valori della legalità, nel segno della memoria e dell'impegno. Giunta alla sedicesima edizione, la carovana percorrerà circa 70 tappe in un viaggio lungo 69 giorni. Il programma della manifestazione è stato presentato oggi a Palermo, nella sede della Cgil regionale dal comitato promotore di Libera, Arci, Cgil, Cisl e Uil, tutti uniti per ribadire il tema dell'impegno a tutela dei lavoratori delle aziende confiscate.
Si inizia da Tunisi, il 30 marzo, al termine del 'Social forum 2013', per proseguire il 2 aprile in Sicilia, nello stesso giorno della strage di Pizzolungo (Tp) dove nel 1985 un'autobomba uccise Barbara Rizzo Asta e i suoi due figli di 6 anni, Giuseppe e Salvatore. Obiettivo dell'attentato era il sostituto procuratore Carlo Palermo, rimasto illeso.
La mattina del 2 aprile sono previste manifestazioni alla presenza di don Luigi Ciotti nel luogo dove una stele ricorda l'eccidio. Filo rosso della carovana, insieme al tema della memoria, è l'impegno di Libera per il riutilizzo sociale dei beni confiscati, per questo il pomeriggio dello stesso giorno la manifestazione farà tappa alla cooperativa Calcestruzzi ericin, confiscata al boss trapanese Vincenzo Virga e oggi restituita ai cittadini. «È lo Stato a dare lavoro, non la mafia - hanno detto in coro i promotori - oltre il 90 per cento delle aziende confiscate fallisce».
«Le mafie - ha aggiunto Antonio Riolo, della segreteria regionale Cgil - fatturano ogni anno in Italia 150 miliardi. Sconfiggerle è un obiettivo che chiama in causa tutti».
«La prospettiva su cui insisteremo quest'anno - ha spiegato Umberto Di Maggio, coordinatore regionale di Libera - è quella di un Mediterraneo capace di accogliere il mondo e di essere propulsore di legalità e di antimafia».
La sera del 2 aprile ci sarà un concerto dei 'Modena City ramblers', mentre la mattina del 3 aprile la carovana arriverà a Palermo, all'istituto tecnico commerciale 'Duca degli Abruzzì dove i ragazzi scopriranno un murale realizzato da loro e dedicato alle vittime delle mafie. Nel pomeriggio si farà tappa a Caltavuturo (Pa) per ricordare la strage del 1893 in cui furono uccisi diversi contadini. Il giorno seguente la Carovana sarà a Niscemi (Cl) per ribadire il proprio impegno contro la realizzazione del sistema di comunicazioni satellitari Muos. Il 5 aprile ancora una tappa a favore delle aziende confiscate, a Catania, per sostenere i lavoratori dell'azienda 'Riela Group', mentre il 6 aprile la Carovana concluderà il suo percorso in Sicilia a Giardini Naxos (Me) per manifestare contro il rischio di infiltrazioni mafiose nella realizzazione di infrastrutture nell'area del porto. Al termine, la carovana risalirà la Penisola partendo dalla Calabria e concludendo il suo viaggio nelle regioni del Nord.

martedì 26 marzo 2013

Gli imprenditori rassegnati a pagare: il questore: «Denunciate il racket»

Appello di Giuseppe Bisogno a chi rimane vittima di intimidazioni mafiose e richieste estorsive in provincia


AGRIGENTO. Poco e niente è cambiato. Dopo la "Primavera Agrigentina" che aveva spinto gli imprenditori a chiedere aiuto e a denunciare le richieste estorsive, capoluogo e provincia vivono di nuovo immerse nella cappa del silenzio, della paura. Gli attentati intimidatori, fatti col fuoco, si susseguono in crescendo. Il questore Giuseppe Bisogno, ieri, in occasione di una conferenza stampa per tracciare il bilancio dei primi tre mesi di attività della polizia, è tornato a chiedere la collaborazione di chi è vessato. "Il grosso degli attentati incendiari di questa provincia - ha detto - sono per costringere a pagare il pizzo. Siamo preoccupati - ha sottolineato - .

Gli strozzini fanno leva sulle difficoltà che stanno vivendo gli imprenditori e di chiunque abbia una partita Iva. Occorre la collaborazione della gente, la denuncia degli imprenditori. Saremo soddisfatti solo quando verrà sradicata la rassegnazione, l'atteggiamento del "ma che devo denunciare a fare?". Agrigento è sempre stata lo zoccolo duro di Cosa Nostra. E il questore non tralascia nemmeno questo "dettaglio". "La mafia c'è - spiega - dobbiamo combatterla. E' capace di capire il momento storico, di mimetizzarsi ed analizzare, scoprendolo, qual è il versante a lei più favorevole". "L'invito a collaborare rivolto dal questore - ha subito rincarato la dose il presidente della Camera di commercio di Agrigento Vittorio Messina - va non solo raccolto ma rilanciato soprattutto da chi ha la responsabilità di rappresentare le forze economiche e sociali di un territorio. In questa direzione l'ente camerale invitare le vittime del racket e dell'usura ad avere fiducia nello Stato e a denunciare ogni tentativo di condizionamento". Ma ad Agrigento e provincia le macchine, gli scooter vengono bruciati per "ripicca" in liti condominiali, per "sfida" da parte di amanti delusi ma anche per "lavare l'offesa".

"La genesi degli attentati, in questa provincia, è eterogenea: si appicca il fuoco per liti condominiali, per problemi con l'amante, ma il grosso è per costringere a pagare il pizzo". "C'è da lavorare. I problemi ci sono. Mi riferisco - spiega - alle rapine, ai furti in abitazione, ai furti di rame e agli atti intimidatori". "Per i prossimi dieci giorni - il questore volge lo sguardo alle festività pasquali - i poliziotti delle Volanti e quelli dei 5 commissariati intensificheranno i controlli amministrativi e quelli su strada. L'attività di prevenzione servirà a garantire la sicurezza anche per quanto riguarda la prevenzione delle rapine e dei furti in abitazione. Controlli amministrativi negli esercizi pubblici, nei locali pubblici, nei compro oro e nei centri scommesse contribuiranno a diffondere sicurezza".
Nel primo trimestre, 23 sono stati gli arresti in flagranza di reato e 33 - 20 dei quali solo della Mobile - quelli in esecuzione di ordinanze. Ben 221 le denunce, di cui ben 46 solo del commissariato "Frontiera" di Porto Empedocle; 27 le persone sottoposte a rimpatrio; 214 le perquisizioni e 36 i sequestri penali. I controlli domiciliari a persone sottoposte a misure restrittive sono stati 6.634; 496 le contestazioni per violazioni al codice della strada, 27 i sequestri amministrativi e 22 le contestazioni amministrative. Inoltre, 59 gli avvisi orali, 36 i fogli di via obbligatori, 14 i Daspo, 2 ammonimenti, 5 le proposte di sorveglianza speciale e 4 quelle irrogate.

180mila morti per colpa delle bibite zuccherate



Salutisti e bibite zuccherate: una guerra ancora aperta
In Italia ci aveva provato il ministro della salute Renato Balduzzi, negli Stati Uniti il sindaco di New York, Michael Bloomberg. Ma entrambi sono stati affossati dalle pressioni e dalle proteste dei produttori di bibite zuccherate (attenzione: zuccherate, non gassate!): non toccate (e non tassate) cole, aranciate, chinotti, succhi di frutta e via dicendo. C'era stato anche un contestato spot televisivo a prendere le difese della Coca Cola, regina tra le accusate. Eppure sono ormai tantissime le evidenze scientifiche che spiegano i danni alla salute correlati all'assunzione di questi prodotti e tutto lascia credere che Balduzzi e Bloomberg abbiano perso una battaglia, ma che la guerra resti aperta. Non solo perché questo genere di bevanda è già frenata dalle tasse ed eliminata dalle scuole e dai luoghi pubblici di diversi Stati americani e della Francia. Ma soprattutto perché sempre più pressante è l'appello della comunità medica.

GUARDA LE FOTO PIU' IMPORTANTI DI SEMPRE.

Le patologie collegare allo zucchero
L'ultima rivincita degli amministratori “salutisti” (ma che in realtà guardano ovviamente anche ai costi dell'assistenza medica) arriva dall'American Heart Association’s, riportata tra gli altri da Time: 180mila morti nel mondo sono collegati all'abitudine di bere bevande zuccherate. L'ampia e dettagliata ricerca unisce studi di diversi Paesi, enti scientifici e medici: lo zucchero contenuto naturalmente o aggiunto nelle bevande aumenta il rischio di morte per attacco cardiaco, diabete e obesità (quest'ultima patologia è collegata anche alle morti per tumore). Se Michael Bloomberg aveva provato a bandire le confezioni più grandi, e il Ministro Balduzzi voleva tassarle per disincentivarne l'acquisto, entrambe le proposte sono state bocciate, oltreoceano in modo clamoroso: tutto bloccato da un giudice la notte prima dell'entrata in vigore. Ma gli effetti sulla salute dello zucchero sono noti da tempo, e quest'ultima pubblicazione per la prima volta conta i danni, e quantifica una vera strage.

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I ricercatori hanno analizzato informazioni raccolte negli ultimi 2 anni e mezzo dal Global Burden of Diseases Study, considerando quanti zuccheri vengono assunti dalla popolazione, e dividendo i dati per età e sesso. Hanno poi calcolato l'impatto sul numero di obesi, sui malati di diabete, sul numero degli attacchi cardiaci e sull'incidenza di alcuni tumori, riuscendo a determinare il collegamento tra queste malattie, l'assunzione di zuccheri e la mortalità, diviso per età e genere.

La cocaina per le notti romane


In mano ai calabresi, dieci fermi


Operazione della squadra mobile della Capitale che hanno individuato una banda con l'emissione di dieci provvedimenti di fermo emessi dalla direzione distrettuale antimafia di Roma a carico di soggetti ritenuti affiliati ad una pericolosa consorteria composta da soggetti romani e calabresi

ROMA - Agenti della Squadra Mobile della Questura di Roma, hanno eseguito 10 provvedimenti di fermo emessi dalla direzione distrettuale antimafia di Roma a carico di soggetti ritenuti affiliati ad una pericolosa consorteria composta da soggetti romani e calabresi, che aveva monopolizzato il mercato della cocaina in alcune zone della Capitale. Vengono contestati, a vario titolo, i delitti di associazione per delinquere, finalizzata al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti. Gli investigatori stanno effettuando anche numerose perquisizioni domiciliari e sequestri preventivi nei confronti di beni mobili riconducibili alla cosca.

Operazione antidroga "Meta", 17 condanne


Inflitti 246 anni di reclusione

Il processo con rito abbreviato è scaturito da una complessa operazione antidroga, coordinata inizialmente dalla Procura di Roma e poi passata per competenza alla DDA di Reggio Calabria, che a novembre del 2012 aveva portato all’emissione di 30 misure cautelari e al sequestro di 2,6 tonnellate di cocaina
 


REGGIO CALABRIA - Diciassette condanne – da un massimo di 20 anni a un minimo di 10 anni, per un totale di 246 anni di reclusione - sono state inflitte dal gup di Reggio Calabria, Adriana Trapani, nel processo "Meta 2010", celebrato in abbreviato e scaturito da una complessa operazione antidroga, coordinata inizialmente dalla Procura di Roma e poi passata per competenza alla DDA di Reggio Calabria, che il 9 novembre del 2012 aveva portato all’emissione di 30 misure cautelari e al sequestro di 2,6 tonnellate di cocaina.

Queste le condanne inflitte dal gup: Alessandro Alloni, 14 anni di reclusione e 200mila euro di multa; Nicola Certo, 10 anni di reclusione; Antonio Della Rocca, 15 anni di reclusione e 200mila euro di multa; Antonio Franzè, 18 anni di reclusione e 260mila euro di multa; Giuseppe Galati, 10 anni di reclusione; Giorgio Galiano, 16 anni di reclusione e 200mila euro di multa; Francesco Grillo, 10 anni di reclusione; Giovanni Mancini, 18 anni di reclusione e 260mila euro di multa; Filippo Paolì, 15 anni di reclusione e 200mila euro di multa; Salvatore Pirrò, 14 anni di reclusione e 200mila euro di multa; Tommaso Pirrò, 14 anni di reclusione e 200mila euro di multa; Alessandro Pugliese, 16 anni di reclusione e 200mila euro di multa; Giuseppe Pugliese, 18 anni di reclusione; Vincenzo Pugliese, 18 anni di reclusione; Fabrizio Sansone, 10 anni di reclusione; Giuseppe Topia, 20 anni di reclusione e 320mila euro di multa; Iyad Waked El Ghandour, 10 anni di reclusione. Sei le assoluzioni decise dal magistrato: Alessandro Alloni, Maria Isabel Espinoza Hurtado, Salvatore Pirrò e Tommaso Pirrò da un capo di imputazione; Giuseppe Topia da un capo di imputazione per non aver commesso il fatto, Antonio Portone perchè il fatto non costituisce reato.

Grasso replica a Travaglio: «Non consento si faccia a pezzi mia storia»


Il presidente del Senato si difende dalle accuse a Piazza Pulita: l'accusa più grave gli inciuci con il potere. Travaglio: dirò tutto giovedì

ROMA - «L'operazione di qualcuno che estrapola pezzi della tua storia facendola a pezzi e rendendola opaca non può essere consentita». Lo ha detto il presidente del Senato Pietro Grasso a Piazza Pulita su La7 a proposito delle accuse mosse contro di lui da Marco Travaglio. «L'accusa che mi brucia di più è che io abbia fatto inciuci con il potere per avere delle leggi a mio favore». «Chi è che non fa errori? - aggiunge Grasso - certo, ne ho fatti anche io, come quello di non aver preso posizione prima su cose di cui ora mi accusano. Ma non è che si possano imputare tutti gli errori al procuratore. Io mi prendo le mie responsabilità ma non è possibile». «È difficile che io mi imbestialisca - prosegue - ma l'accusa peggiore è quella di poter essere colluso con il potere. Io inciuci con il potere? È stata terribile l'accusa di aver ottenuto delle leggi a mio favore - sottolinea Grasso - Questa è l'accusa che mi brucia di più».

«Effettivamente parecchie persone mi hanno chiesto perché ho telefonato in trasmissione, perchè ho chiesto un confronto tv, ma chi ha la coscienza pulita non ha nulla da temere... e poi in Senato ho parlato di casa trasparente e invece la mia nuova carica veniva sporcata, opacizzata da queste parole così difficili da contrastare per la loro genericità»: così Grasso ha spiegato la sua reazione agli attacchi del giornalista del Fatto quotidiano. «Lei era incavolato come una belva», ha detto Corrado Formigli a Pietro Grasso, sempre sull'attacco di Travaglio. «Ho trovato mia moglie a casa in stato di agitazione, non poteva quasi parlare - ha risposto Grasso - come era accaduto un'altra volta quando durante il maxiprocesso citofonarono dicendo che si sa quando un figlio esce di casa ma non quando ritorna... ho rivisto quella sensazione di pericolo quindi ho riascoltato la registrazione e ho sentito che era l'inizio di qualcosa che sarebbe cambiato, la strumentalizzazione di 43 anni della mia carriera: un attacco al presidente del Senato».

Processo Andreotti. «Io ero stato testimone in quel processo. Ero stato sentito in istruttoria proprio da Scarpinato ed essendo diventato testimone la mia firma sull'appello avrebbe impedito la chiamata come testimone nel successivo grado di giudizio». Così il presidente del Senato spiega perché non firmò l'appello per il processo Andreotti, una delle accuse che gli ha mosso Travaglio. «È solo per questo che ho deciso di non firmare - insiste Grasso - e comunque andai con i colleghi di Palermo e misi la mia faccia su questa sentenza».

«No ai processi che diventano delle gogne pubbliche». Lavorare in questo modo è tra l'altro «incostituzionale». Lo dice il presidente del Senato ed ex capo dell'Antimafia Pietro Grasso a Piazza Pulita su La7. «Ci sono stati molti processi spettacolari che hanno portato ad assoluzioni. Ma non faccio nomi, non sarebbe elegante...». «Ho avuto dei buoni maestri come Caponnetto - spiega Grasso - che in un suo libro rispondeva alle accuse di non aver proceduto contro l'ex sindaco di Palermo dicendo che questo tipo di processi sarebbe stato sbagliato perchè seppur spettacolari sono quelli che portano alle controriforme contro i magistrati, con ritorsioni che danneggiano il funzionamento della giustizia». «Pensare ad inchieste come una gogna pubblica, efficace perché distrugge un carriera politica, è una deviazione della funzione delle indagini - prosegue Grasso - è anticostituzionale perché la Costituzione dà il potere al magistrato di indagare in funzione del processo». «Questi sono i miei maestri - sottolinea - e ho seguito il loro esempio». Quali sono i processi che sono stati come una gogna pubblica? «Ci sono stati dei processi che hanno certamente portato all'arresto di imputati che poi sono finiti con assoluzioni. Ma non mi va di fare dei nomi che tra l'altro tutti sanno e conoscono. Non sarebbe elegante», conclude.

La ricostruzione. «A tagliarli fuori è stato il Csm quando ha stabilito che i magistrati in antimafia, aggiunti, dopo 8 anni avrebbero dovuto lasciare l'incarico. Io andai a perorare la loro causa chiedendo la proroga almeno fino a 10 anni. Ma il Csm fece una delibera inderogabile e non ci fu niente da fare». Lo ha detto Grasso a proposito di un'altra accusa che gli ha mosso Marco Travaglio, sul rapporto tra lui, quando era capo della Procura, e i procuratori aggiunti. «La sostituzione di Scarpinato, Lo Forte e Pignatone è avvenuta per una passaggio necessario - aggiunge Grasso - ma loro continuavano a partecipare a tutte le riunioni dell'Antimafia». «Era necessario per me continuare ad avere la loro esperienza», osserva il presidente del Senato ex capo dell'Antimafia.

«Questa era un'occasione unica, non come quella di due Papi che pregano insieme, ma insomma... Ho fatto il colpo di testa di chiedere un confronto tv ma nella mia carica istituzionale non è che si possa andare tutti i giorni ad inseguire i talk show». Lo dice Pietro Grasso a proposito delle accuse di Travaglio. «Io ho bisogno di poter avere la fiducia di cittadini e senatori per questo ho voluto spiegare. Non ho segreti. So già che giovedì mi crocifiggeranno faranno del killeraggio in video».

La controreplica. «Sto seguendo Piero Grasso in tv ma sulla vicenda dirò tutto giovedì sera. Il presidente Grasso resta ovviamente invitato, se vuole un confronto alla pari, a Servizio Pubblico». Lo ha detto il vicedirettore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, rispondendo così all'Ansa alla domanda se stava seguendo la diretta su La7 di Piazza Pulita dove è ospite la seconda carica dello Stato, e se voleva intervenire. «Ho smesso di guardare Piazza Pulita. Fa dormire». Lo precisa poco dopo lo stesso Travaglio. «Alla parola mangialasagne ho rischiato il soffocamento e ho girato canale, sono passato a Homeland», ha concluso ironico il giornalista.

Corruzione ed estorsioni, arrestati 4 fortestali


Blitz della polizia, nel mirino agenti del distaccamento di Bagheria e un imprenditore edile. avrebbe acquisito benefici economici personali, attraverso pratiche di fatto estorsive
 
PALERMO. Avrebbero taglieggiato numerosi imprenditori compiacenti, adottando modalità estorsive tipiche dell'organizzazione mafiosa, pur indossando una divisa. E' questa l'accusa contenuta nell'ordinanza di custodia cautelare che la Squadra mobile di Palermo ha notifcato a cinque persone, un imprenditore edile e quattro appartenenti al Corpo Forestale della Regione Siciliana in servizio presso il distaccamento di Bagheria. Nel provvedimento, emesso dal Gip Angela Gerardi su richiesta della Procura di Palermo, si ipotizzano i reati di corruzione, induzione indebita a dare o promettere utilità, omessa denuncia ed abuso d'ufficio.
L'operazione scaturisce da una indagine più complessa svolta tra il 2011 ed il 2012 dalla Squadra Mobile di Palermo in collaborazione con quella di Agrigento relativa agli assetti mafiosi dell'area orientale della provincia. In una vicenda che presentava le caratteristiche classiche dell'estorsione è emerso il coinvolgimento di un rappresentante del Corpo Forestale. Le indagini hanno fatto emergere come un gruppo di appartenenti al distaccamento di Bagheria avrebbe acquisito benefici economici personali, attraverso pratiche di fatto estorsive. Gli investigatori avrebbero accertato numerosi episodi di corruzione che tendevano a favorire imprenditori compiacenti. Secondo gli inquirenti l'attività illecita sarebbe stata pianificata con modalità tipiche delle organizzazioni criminali, con notevoli pressioni di carattere psicologico. Le indagini hanno infine registrato come gli imprenditori considerassero gli operatori della forestale come soggetti privi di dignità e di ogni limite, a causa delle loro continue pretese.

Infiltrazioni mafiose nel Coinres, due arresti


Si tratta di Antonino Di Bella, 58 anni, e di Diego Lo Paro di 64: il primo in particolare è ritenuto dagli investigatori come stabilmente inserito nell' organigramma della mafia di Bagheria

 
PALERMO. I carabinieri del Comando provinciale di Palermo hanno arrestato due dipendenti del Coinres (il consorzio per la raccolta dei rifiuti nella provincia di Palermo) con l'accusa di essere un canale di infiltrazione della mafia nella società. Si tratta di Antonino Di Bella, 58 anni, e di Diego Lo Paro di 64: il primo in particolare è ritenuto dagli investigatori come stabilmente inserito nell' organigramma della mafia di Bagheria. L'operazione, chiamata «Baghdad» è frutto di un' indagine durata quasi quattro anni. Ai due vengono contestati reati come truffa ed estorsione. L'inchiesta prende le mosse dall' operazione Perseo condotta dai carabinieri di Bagheria nel dicembre del 2008. In quell' occasione i carabinieri smantellarono il 'ghotà della mafia di Bagheria che stava riorganizzandosi: attraverso intercettazioni telefoniche ed ambientali e con videosorveglianza anche in carcere, i militari risalirono a Di Bella, in servizio al Coinres di Bagheria con la qualifica di sorvegliante, ma in realtà vero gestore occulto del Coinres stesso. Tutto questo grazie alla complicità del responsabile amministrativo del Consorzio a Bagheria Diego Lo Paro, l'altro arrestato. I due avrebbero preteso dalle ditte che lavorano con il Coinres il pagamento di somme di denaro, un vero e proprio «pizzo» per lavorare con il Consorzio. Lo stesso Coinres, poi, sarebbe stato truffato attraverso l'affitto di un mezzo meccanico che anche se intestato ad un prestanome sarebbe appartenuto a Di Bella.

L’imprenditore denuncia, altri due estorsori in cella

In manette Giovan Battista Barone, 49 anni, ed Emilio Pizzurro di 54. Avrebero chiesto mezzo milione al titolare della Pfe. un'impresa di sanificazione che gestisce appalti di pulizia in diversi ospedali di Palermo
 
PALERMO. Avevano preso di mira un'impresa di sanificazione che gestisce appalti di pulizia in diversi ospedali di Palermo. Ma il titolare della Pfe si è ribellato e ora nei confronti di due "esattori" del racket sono state emesse ordinanze di custodia cautelare.
I provvedimenti del gip Marina Petruzzella riguardano Giovan Battista Barone, 49 anni, e Emilio Pizzurro di 54. Barone, già condannato per associazione mafiosa nel 2003, è titolare di due pizzerie. Pizzurro gestisce invece un negozio di fiori vicino all'ospedale Ingrassia in corso Calatafimi. L'operazione è anche frutto di un rapporto di collaborazione attiva tra la squadra mobile di Palermo e Confindustria Sicilia che da tempo ha invitato i propri iscritti a denunciare subito ogni tentativo di estorsione. L'imprenditore che Cosa nostra avrebbe voluto taglieggiare ha raccontato che i suoi collaboratori erano stati avvicinati e invitati a "mettersi a posto". Chiedevano 500 mila euro ma, dopo alcuni contatti, gli uomini del racket si erano dimostrati disponibili a "trattare" per 200 mila euro.
I contatti erano tenuti soprattutto da Barone che si presentava come esponente del mandamento mafioso di "Palermo centro". Ai rifiuti dell'imprenditore è seguito un crescendo di intimidazioni. Prima telefonate di minaccia, poi l'incendio dell'auto di un dirigente dell'impresa.
L'ultimo atto è stato l'incendio di un esercizio commerciale riconducibile a un familiare di uno dei soci della ditta. Barone è stato subito individuato come la figura centrale dell'organizzazione. Malgrado la condanna il suo nome è riaffiorato nell'ambito di recenti operazioni antimafia dalle quali è emerso che già all'indomani della sua scarcerazione nel 2009, l'uomo aveva ripreso i collegamenti con la cosca di Pagliarelli. E anzi, sottolineano gli investigatori, ha rappresentato una importante testa di ponte con i mandamenti della Noce e Palermo-centro. Per questo a Barone è stata contestata anche l'accusa di associazione mafiosa. Pizzurro risponde invece solo di tentativo di estorsione.

“Su Amanda e Raffaele il giudice ha perso la bussola”


Il pg: annullare le assoluzioni.Le difese: assurdo.Oggi il verdetto della Cassazione


guido ruotolo
inviato a perugia
La beffa arriva alle nove di sera. I giudici della prima sezione penale della Cassazione hanno chiesto altro tempo, dopo tre ore e passa di discussione. Vogliono una notte ancora per decidere. Evidentemente decisione non scontata. Sapremo così solo stamani alle dieci se Amanda Knox e Raffaele Sollecito usciranno definitivamente di scena, insomma assolti per non aver ucciso Mez, Meredith Kercher. Oppure se si dovrà celebrare un nuovo processo d’appello che li vedrà ancora una volta sul banco degli imputati.

Sembrava scontata la decisione. Anche se, scaramanticamente, i legali presenti nell’aula della prima sezione penale erano rimasti perplessi e dubbiosi che l’esito potesse essere a loro favorevole non tanto per l’asprezza dell’intervento del procuratore generale della Cassazione, Luigi Riello, quanto per l’esposizione del relatore del processo, Piera Caprioglio, che molto si è soffermata sulle motivazioni (di condanna) del primo grado.

Amanda «luciferina» fino a una certa ora della sera sembrava destinata a uscire di scena da quella tragica notte tra l’1 e il 2 novembre di sei anni fa, quando in quella casa di via della Pergola di Perugia una delle coinquiline della studentessa di Seattle, l’inglese Meredith Kercher, fu ammazzata a coltellate.

L’unico assassino della povera Mez sembrava che dovesse rimanere Rudy «il baro», Rudy Guede l’ivoriano, che sta scontando una pena di sedici anni. Un ladruncolo che ha tentato di violentare la studentessa inglese e poi in uno scatto d’impeto l’ha sgozzata.
Rudy ha agito dunque senza complici, senza Amanda Knox e Raffaele Sollecito? Dirà il procuratore generale della Cassazione, Luigi Riello, nella sua feroce requisitoria contro l’assoluzione degli imputati: «Pare che Rudy Guede abbia commesso il delitto con degli ectoplasmi».

Nell’aula del secondo piano del «Palazzaccio», il presidente della Prima sezione penale della Cassazione, Severo Chieffi, stamani chiuderà definitivamente il noir di Perugia, l’inchiesta e il processo per la morte di Meredith Kercher, oppure accoglierà il ricorso della Procura generale di Perugia, che si era opposta al ribaltone tra il primo e il secondo grado?

I due fidanzatini erano stati condannati a 26 e 25 anni in primo grado, assolti in secondo dopo una «perizia» quanto mai contestata sul gancetto del reggiseno strappato (con un coltello) alla povera Mez, la vittima di questa storia perugina.
Forse la decisione di spostare tutto a questa mattina è dipesa anche dal fatto che le cause da affrontare erano oltre una quindicina. O forse, e più probabilmente, la decisione sulla causa Meredith Kercher si è rivelata più controversa?

Ha colpito tutti la durissima requisitoria del procuratore generale Luigi Riello che ha tentato di riaprire i giochi: «Il giudice di merito ha perso la bussola - dice citando Calamandrei - ha smarrito l’orientamento. I colleghi di secondo grado hanno frantumato gli elementi indiziari, hanno rivelato una buona dose di snobismo. Hanno travisato la prova. Hanno sposato una non logica valutazione dei plurimi indizi. La sentenza è un raro concentrato di violazioni di leggi e di illogicità e credo che debba essere annullata».

Il procuratore generale Riello era entrato nel merito del processo mettendo in difficoltà i difensori di Amanda e Raffaele, costretti a inseguirlo nei loro interventi. E a stigmatizzare quello che rischiava di trasformarsi in un «terzo grado di giudizio».

Il rito perugino che tanto ha fatto discutere, decantato con il passare del tempo e lontano dai luoghi dove è andato in scena, ha consentito al procuratore generale di riproporre tutto l’impianto accusatorio che l’Appello ha «banalizzato e parcellizzato». Ecco allora, per esempio, la vicenda del «memoriale» di Amanda, scritto a poche ore dal fermo in questura, che «la colloca necessariamente nella scena del crimine laddove sente l’urlo di Meredith». E perchè chiama in causa Patrik Lumumba (Amanda è stata condannata per calunnia)? Per le motivazioni opposte a quelle dell’Appello, ha sostenuto il procuratore generale della Cassazione: «Trovandosi nella scena del crimine ha cercato di accusare un innocente per coprire il colpevole».

Sempre Riello sostiene che i giudici dell’Appello non hanno voluto considerare le prove genetiche trovate nel bagno: «Le tracce miste di sangue di Meredith e di Amanda nel bidet e nel lavandino». E poi le singolari telefonate alla madre, nel cuore della notte a Seattle, prima che fosse scoperto il corpo senza vita di Mez. È il racconto «visionario» che fa Amanda alle amiche sulla posizione del corpo della studentessa inglese quando lei nella stanza della morte non è potuta entrare.

Sembra di essere in un’aula dove si celebra un processo, nel merito. Invece è la Cassazione dove si dovrebbe discutere di legittimità. Amanda non c’è. E’ a Seattle e il 30 aprile uscirà il suo libro («Waiting to be heard»). Di tornare in Italia, c’è da giurare, non ha nessuna intenzione.