martedì 26 marzo 2013

“Su Amanda e Raffaele il giudice ha perso la bussola”


Il pg: annullare le assoluzioni.Le difese: assurdo.Oggi il verdetto della Cassazione


guido ruotolo
inviato a perugia
La beffa arriva alle nove di sera. I giudici della prima sezione penale della Cassazione hanno chiesto altro tempo, dopo tre ore e passa di discussione. Vogliono una notte ancora per decidere. Evidentemente decisione non scontata. Sapremo così solo stamani alle dieci se Amanda Knox e Raffaele Sollecito usciranno definitivamente di scena, insomma assolti per non aver ucciso Mez, Meredith Kercher. Oppure se si dovrà celebrare un nuovo processo d’appello che li vedrà ancora una volta sul banco degli imputati.

Sembrava scontata la decisione. Anche se, scaramanticamente, i legali presenti nell’aula della prima sezione penale erano rimasti perplessi e dubbiosi che l’esito potesse essere a loro favorevole non tanto per l’asprezza dell’intervento del procuratore generale della Cassazione, Luigi Riello, quanto per l’esposizione del relatore del processo, Piera Caprioglio, che molto si è soffermata sulle motivazioni (di condanna) del primo grado.

Amanda «luciferina» fino a una certa ora della sera sembrava destinata a uscire di scena da quella tragica notte tra l’1 e il 2 novembre di sei anni fa, quando in quella casa di via della Pergola di Perugia una delle coinquiline della studentessa di Seattle, l’inglese Meredith Kercher, fu ammazzata a coltellate.

L’unico assassino della povera Mez sembrava che dovesse rimanere Rudy «il baro», Rudy Guede l’ivoriano, che sta scontando una pena di sedici anni. Un ladruncolo che ha tentato di violentare la studentessa inglese e poi in uno scatto d’impeto l’ha sgozzata.
Rudy ha agito dunque senza complici, senza Amanda Knox e Raffaele Sollecito? Dirà il procuratore generale della Cassazione, Luigi Riello, nella sua feroce requisitoria contro l’assoluzione degli imputati: «Pare che Rudy Guede abbia commesso il delitto con degli ectoplasmi».

Nell’aula del secondo piano del «Palazzaccio», il presidente della Prima sezione penale della Cassazione, Severo Chieffi, stamani chiuderà definitivamente il noir di Perugia, l’inchiesta e il processo per la morte di Meredith Kercher, oppure accoglierà il ricorso della Procura generale di Perugia, che si era opposta al ribaltone tra il primo e il secondo grado?

I due fidanzatini erano stati condannati a 26 e 25 anni in primo grado, assolti in secondo dopo una «perizia» quanto mai contestata sul gancetto del reggiseno strappato (con un coltello) alla povera Mez, la vittima di questa storia perugina.
Forse la decisione di spostare tutto a questa mattina è dipesa anche dal fatto che le cause da affrontare erano oltre una quindicina. O forse, e più probabilmente, la decisione sulla causa Meredith Kercher si è rivelata più controversa?

Ha colpito tutti la durissima requisitoria del procuratore generale Luigi Riello che ha tentato di riaprire i giochi: «Il giudice di merito ha perso la bussola - dice citando Calamandrei - ha smarrito l’orientamento. I colleghi di secondo grado hanno frantumato gli elementi indiziari, hanno rivelato una buona dose di snobismo. Hanno travisato la prova. Hanno sposato una non logica valutazione dei plurimi indizi. La sentenza è un raro concentrato di violazioni di leggi e di illogicità e credo che debba essere annullata».

Il procuratore generale Riello era entrato nel merito del processo mettendo in difficoltà i difensori di Amanda e Raffaele, costretti a inseguirlo nei loro interventi. E a stigmatizzare quello che rischiava di trasformarsi in un «terzo grado di giudizio».

Il rito perugino che tanto ha fatto discutere, decantato con il passare del tempo e lontano dai luoghi dove è andato in scena, ha consentito al procuratore generale di riproporre tutto l’impianto accusatorio che l’Appello ha «banalizzato e parcellizzato». Ecco allora, per esempio, la vicenda del «memoriale» di Amanda, scritto a poche ore dal fermo in questura, che «la colloca necessariamente nella scena del crimine laddove sente l’urlo di Meredith». E perchè chiama in causa Patrik Lumumba (Amanda è stata condannata per calunnia)? Per le motivazioni opposte a quelle dell’Appello, ha sostenuto il procuratore generale della Cassazione: «Trovandosi nella scena del crimine ha cercato di accusare un innocente per coprire il colpevole».

Sempre Riello sostiene che i giudici dell’Appello non hanno voluto considerare le prove genetiche trovate nel bagno: «Le tracce miste di sangue di Meredith e di Amanda nel bidet e nel lavandino». E poi le singolari telefonate alla madre, nel cuore della notte a Seattle, prima che fosse scoperto il corpo senza vita di Mez. È il racconto «visionario» che fa Amanda alle amiche sulla posizione del corpo della studentessa inglese quando lei nella stanza della morte non è potuta entrare.

Sembra di essere in un’aula dove si celebra un processo, nel merito. Invece è la Cassazione dove si dovrebbe discutere di legittimità. Amanda non c’è. E’ a Seattle e il 30 aprile uscirà il suo libro («Waiting to be heard»). Di tornare in Italia, c’è da giurare, non ha nessuna intenzione.

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