giovedì 30 maggio 2013

Lamezia, 4 arresti e sequestri per 25 milioni


In manette imprenditori vicini al clan Giampà

Quattro imprenditori del settore edile sono stati arrestati dagli agenti dell Dia con l'accusa di essere vicini alla cosca Giampà di Lamezia Terme e di aver messo a disposizione della 'ndrangheta le proprie aziende. Oltre agli arresti la Dia ha posto i sigilli a beni per 25 milioni di euro tra cui sei aziende riconducibili agli arrestati


LAMEZIA TERME - Alle prime luci dell’alba gli uomini della Direzione investigativa antimafia (Dia) di Catanzaro hanno fatto scattare in un’articolata operazione, denominata 'Piana', contro l’organizzazione mafiosa facente capo ai Giampà e ritenuta egemone nel comprensorio di Nicastro (Lamezia Terme). Tale attività, scaturita a seguito di indagini esperite utilizzando i contributi resi da noti collaboratori di giustizia dissociatisi dall’organizzazione, ha permesso di far luce sugli interessi economici che legano certa imprenditoria, in questo caso attiva nel comparto edile, alle consorterie mafiose. «Trattasi – spiega un comunicato della Dia – di uno scellerato accordo nel quale il modus operandi proprio della 'ndrangheta, intriso di coercizione e violenza, ha scardinato le più elementari manifestazioni di autodeterminazione degli individui, così da realizzare sulla collettività sottomessa un controllo totale ed asfissiante». La Dia ha, quindi, arrestato quattro imprenditori del settore edile accusati di essere organici alla cosca Giampà di Lamezia Terme, che ha il controllo delle attività illecite nella stessa zona. Gli imprenditori arrestati, accusati di associazione per delinquere di tipo mafioso, sono Davide Orlando (di 31 anni); Roberto Piacente (di 43 anni); Francesco Cianflone (58 anni) e Antonio Gallo (di 40 anni). Sequestrati anche beni per 25 milioni di euro. Secondo l’accusa i quattro imprenditori arrestati avrebbero messo a disposizione della cosca Giampà le aziende a loro riconducibili, operanti nel settore del calcestruzzo.
C'è anche Giuseppe Giampà, figlio di Francesco detto «il professore» e considerato il boss dell’omonima cosca, tra i collaboratori di giustizia che con le loro rivelazioni hanno contribuito all’operazione condotta dalla Dia. Giampà ha iniziato a collaborare con gli inquirenti lo scorso anno, dopo essere stato arrestato in una delle tante operazioni coordinate dalla Dda contro le cosche del Lametino.
Gli arrestati, secondo l’accusa, attraverso le attività commerciali a loro riconducibili, avrebbero «consapevolmente scelto di fare affari con la famiglia dei Giampà, stipulando, in effetti, un vero e proprio accordo sinallagmatico, foriero di positivi effetti economici per le parti». L’accordo, secondo quanto riferito in una conferenza stampa, avrebbe permesso alla cosca di insinuarsi nel mercato delle forniture edili e di controllare il settore. L’inchiesta è scaturita dalle dichiarazioni rese da alcuni collaboratori di giustizia che hanno rivelato gli interessi economici che l’imprenditoria deviata condivide con la criminalità. Il quadro che ne è scaturito evidenzia, si legge nell’ordinanza, «una dirompente anomalia, consistente nella pratica, messa in atto da taluni imprenditori, specie nel campo dell’edilizia, di rivolgersi ad un referente mafioso operante su di un determinato territorio, per ottenerne l’aiuto necessario per sbaragliare eventuali concorrenti». Sono gli stessi imprenditori, evidenziano gli inquirenti, a cercare la 'ndrangheta, realizzando un regime di monopolio che, agevolandoli, finisce per arricchire le organizzazioni criminali. Il clan Giampà sarebbe così riuscito, facendo ricorso ad attività imprenditoriali compiacenti, a penetrare il tessuto economico cittadino, divenendone incontrastata protagonista, estromettendo dal mercato tutte le realtà imprenditoriali non colluse. 

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