mercoledì 15 maggio 2013

Morte di Lea Garofalo, «Cosco uccise per odio»


Il pg esclude motivazioni "mafiose" nell'omicidio

Secondo il pm Tatangelo, che sostiene l'accusa nel processo a carico di Carlo Cosco, l'ex compagno di Lea Garofalo uccise la donna non per motivi inerenti la criminalità organizzata ma per un forte odio che provava per l'ex che l'aveva abbandonato. Pene più pesanti per l'ex compagno della donna, Carlo Cosco, e per Vito Cosco e Rosario Curcio


ERGASTOLO per Carlo Cosco, Vito Cosco e Rosario Curcio, 27 anni per Carmine Venturino, che ha collaborato con la giustizia. Sono queste le richieste principali avanzate dal pm di Milano Marcello Tatangelo per l'omicidio di Lea Garofalo. Nella lunga requisitoria, il sostituto procuratore generale ha spiegato che Carlo Cosco, dopo anni di silenzio «ha confessato» nelle scorse udienze «solo per limitare il danno», ossia per escludere la premeditazione e un «piano omicidiario coltivato per anni» parlando di un «raptus d’impeto».  Al termine delle requisitoria, il pg Tatangelo ha chiesto tre ergastoli e due assoluzioni per il sequestro e l’omicidio di Lea Garofalo, la testimone di giustizia sequestrata e uccisa nel novembre del 2009 a Milano. In particolare, il rappresentante della pubblica accusa ha chiesto l’ergastolo per l’ex compagno della donna, Carlo Cosco per Vito Cosco e per Rosario Curcio. Tatangelo ha chiesto, inoltre, la condanna a 27 anni di carcere per Carmine Venturino al termine della sua requisitoria nel processo per il sequestro e l’omicidio della testimone di giustizia Lea Garofalo. Venturino era stato condannato in primo grado all’ergastolo. Il rappresentante della pubblica accusa ritiene che gli debbano essere concesse le attenuanti generiche per il contributo chi ha fornito alle indagini dal carcere, dopo la sentenza di primo grado.
 
IL DELITTO E LE PRIME CONDANNE. Lea Garofalo, la testimone di giustizia calabrese sequestrata e uccisa a Milano nel novembre 2009, venne ammazzata da Carlo Cosco, che fece sparire il corpo bruciandolo, perchè quest’ultimo, suo ex compagno, «nutriva un odio profondo verso di lei che l’aveva abbandonato e soffriva del disonore tipico degli ambienti criminali mafiosi». Lo ha spiegato nella requisitoria del processo d’appello il pm Marcello Tatangelo, chiarendo che la Procura non ha mai contestato l’aggravante della finalità mafiosa. In primo grado, nel marzo del 2012, per l’omicidio di Lea erano arrivati sei ergastoli: per Carlo Cosco, per i suoi due fratelli Vito e Giuseppe e per Carmine Venturino, Massimo Sabatino e Rosario Curcio.
 
LA COLLABORAZIONE DI VENTURINO. Poi lo scorso luglio, Venturino ha iniziato a collaborare con i magistrati e ha raccontato come e perchè era stata uccisa la donna. Il pentito ha spiegato, in sostanza, che Lea, che aveva raccontato in passato fatti di sangue di una faida di 'ndrangheta, venne strangolata da Carlo e Vito Cosco e poi lui e Rosario Curcio fecero sparire il corpo, non sciogliendolo nell’acido come si era detto nel processo di primo grado, ma bruciandolo e gettando i resti in un tombino di un capannone a Monza. Il collaboratore ha anche aiutato gli investigatori a ritrovare i resti di Lea. Nel corso di una perizia disposta d’ufficio dai giudici in appello non si è riusciti ad estrarre il dna dai resti, ma il pg Tatangelo ha spiegato che le parti del cadavere che sono state ritrovate sono certamente di Lea e «lo ha accertato anche una perizia sulla dentatura». Poi nelle scorse udienze dell’appello è arrivata la confessione, a distanza di oltre tre anni dai fatti, di Carlo Cosco che però ha escluso un omicidio premeditato e ha parlato di un «raptus» perchè temeva che la donna non le facesse più vedere la figlia Denise, 21 anni, che con le sue dichiarazioni ha dato un impulso forte alle indagini e che è parte civile contro il padre. «Non abbiamo mai contestato l’aggravante mafiosa, malgrado le sollecitazioni della stampa e della parte civile – ha chiarito il pg – perchè siamo convinti che in questo omicidio c'è una compresenza di fattori come il dolore di Cosco di essere stato abbandonato, il disonore, l’odio profondo che nutriva per questa donna sin dalla fine degli anni '90». 
Il pentito Venturino, invece, sentito in aula, ha raccontato che l’ omicidio venne deciso dalle cosche della 'ndrangheta che diedero l'autorizzazione a Cosco, che anche per la Procura è «un appartenente alla 'ndrangheta».
 
LE MAFIE GIOVANI. «Il problema delle mafie non sono solo i guadagni illeciti, ma è anche un problema culturale dei giovani che crescono, respirano e si nutrono di un’aria malsana e vedono i mafiosi come un modello». Queste le parole pronunciate dal pg Tatangelo. Affermazioni riferite in particolare a due giovani imputati, Rosario Curcio e Carmine Venturino. Il pg ha spiegato che i due imputati parteciparono alle operazioni di 'eliminazione' del cadavere della Garofalo, che venne bruciato in Brianza, e quindi diedero un contributo decisivo all’omicidio «perchè erano molto legati a Carlo Cosco e per un ventenne essere persone di fiducia di un 'ndranghetista rispettato è un vantaggio».

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