martedì 23 luglio 2013

L'imprenditore e i legami con la cosca Labate

Blitz a Reggio, Dia sequestra beni per 25 milioni

 
 
Nel mirino della Direzione investigativa antimafia è finito un imprenditore edile che avrebbe rapporti con la cosca reggina, dalla quale si sarebbe fatto sponsorizzare per ottenere appalti e quant'altro. Sigilli al patrimonio aziendale di una ditta individuale e a quasi un centinaio di immobili tra appartamenti, villette a schiera, cantine, garages, lastrici solari e terreni e molto altro


REGGIO CALABRIA - Beni per 25 milioni di euro sono stati sequestrati dalla Dia di Reggio Calabria ad un imprenditore edile, Giuseppe Malara, a Reggio Calabria. Malara, 59enne di Reggio e imprenditore operante nel settore edilizio nella zona sud della città, il 25 luglio del 2007 era stato arrestato con altre 37 persone dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria, nell’ambito della nota Operazione "Gebbione", le cui indagini avevano consentito di scoprire le infiltrazioni criminali della cosca Labate nelle attività economiche imprenditoriali nella zona-sud della città, in particolare nei quartieri Sbarre e Gebbione.  
E’ stato quindi disposto il sequestro del patrimonio stimato in circa 25 milioni di euro, tra cui figurano, in particolare:il patrimonio aziendale di una ditta individuale con sede in Reggio Calabria operante nel settore edilizio; quasi un centinaio di immobili tra appartamenti, villette a schiera, cantine, garages, lastrici solari e terreni in parte adibiti ad uso personale ed in parte ad uso aziendale siti a Reggio Calabria; tre autovetture; disponibilità finanziarie aziendali e personali ammontanti a circa 500 mila euro. 
Il gruppo otteneva profitti attraverso l’estorsione consistente nel pagamento della classica "mazzetta" e nella fornitura di beni e servizi, da parte di imprese controllate dagli associati, ovvero, attraverso la protezione in favore di imprenditori collusi tra i quali c'era appunto Giuseppe Malara. In quell'occasione la vicenda si era conclusa con l’assoluzione del Malara. Tuttavia l'organo giudicante, nella sentenza, aveva espresso delle riserve nei confronti dell’appaltatore edile definito testualmente: " .. imprenditore abituato a convivere con i mafiosi, dei quali è amico e dai quali si fa blandire, ottenendo in cambio il permesso di svolgere la propria attività lavorativa nel quartiere di Gebbione..". 
In sostanza, dalle indagini la figura del Malara era emersa come di un imprenditore colluso con la cosca locale dei Labate, con la quale aveva instaurato una sorta di relazione clientelare stabile, continuativa e foriera di vantaggi reciproci. Giuseppe Malara, secondo gli inquirenti risulta soggetto appartenente in senso lato ad una cosca della quale può usufruire di un tipo di protezione attiva, fondata non sulla soggezione ma sui legami di fedeltà e motivata dalla prospettiva di un vantaggio economico di tutti gli appartenenti. In particolare il Malara avrebbe portato avanti lavori nella zona di competenza dei Labate, investendo capitali di dubbia provenienza e nello stesso tempo avrebbe aiutato i loro uomini di fiducia a sottrarre immobili alle iniziative di confisca. Per il Tribunale in definitiva l’imprenditore reggino è ritenuto un soggetto socialmente pericoloso: attraverso la sua appartenenza alla 'ndrangheta ha ottenuto protezione e partecipazione alla spartizione dei lavori, così incrementando a dismisura, ma del tutto illecitamente, i profitti della propria impresa, la quale ha conquistato importanti fette di mercato e si è alimentata grazie ai proventi di attività illecite. Le determinazioni della Sezione Misure di prevenzione sono scaturite da una articolata attività di indagine patrimoniale, condotta dal Centro Operativo D.I.A. di Reggio Calabria su input del Direttore De Felice, volta a verificare le modalità di acquisizione dell’ingentissimo patrimonio societario e personale riconducibile all’imprenditore, il quale negli ultimi anni aveva incrementato la propria attività con la costruzione di numerosi immobili nella zona sud della città dello stretto. Gli accertamenti, oltre all’evidente incremento del volume d’affari della azienda con una concorrenza sleale a danno degli onesti imprenditori hanno evidenziato un’evidente sproporzione tra gli acquisti e, più in generale, gli investimenti effettuati dal Malara sin dagli anni ottanta rispetto a quanto personalmente dichiarato

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