giovedì 5 settembre 2013

Mafia, le motivazioni della sentenza Dell'Utri: "Agì in sinergia per vent'anni"

 
 
PALERMO. La condotta illecita del senatore Marcello Dell'Utri per la terza sezione della corte d'appello di Palermo, presieduta da Raimondo Lo Forti, che lo ha condannato a sette anni per concorso in associazione mafiosa è «andata avanti nell'arco di un ventennio», con una serie di comportamenti «tutt'altro che episodici, oltre che estremamente gravi e profondamente lesivi di interessi di rilevanza costituzionale». L'imputato, dicono i giudici nelle motivazioni della sentenza, «ha ritenuto di agire in sinergia con l'associazione» .« La personalità dell'imputato - scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza del 25 marzo scorso - appare connotata da una naturale propensione a entrare attivamente in contatto con soggetti mafiosi, da cui non ha mai mostrato di volersi allontanare neppure in momenti in cui le proprie vicende personali e lavorative gli avevano dato una possibilità di farlo». «In tutto il periodo di tempo in oggetto (1974-1992) - prosegue la corte - ha, con pervicacia, ritenuto di agire in sinergia con l'associazione e di rivolgersi a coloro che incarnavano l'anti Stato, al fine di mediare tra le esigenze dell'imprenditore milanese (Silvio Berlusconi, ndr) e gli interessi del sodalizio mafioso, con ciò consapevolmente rafforzando il potere criminale dell'associazione».

“PATTO BERLUSCONI-COSA NOSTRA”. L'incontro avvenuto a maggio 1974, cui erano presenti Gaetano Cinà, Dell'Utri, Stefano Bontade, Mimmo Teresi e Berlusconi, ha ''siglato il patto di protezione di Berlusconi''. Lo si legge nella sentenza Dell'Utri. ''L'incontro - è scritto - ha costituito la genesi del rapporto che ha legato l'imprenditore e la mafia con la mediazione di Dell'Utri''.
''In virtù di tale patto - proseguono - i contraenti (Cosa nostra da una parte e Silvio Berlusconi dall'altra) e il mediatore contrattuale (Marcello Dell'Utri), hanno conseguito un risultato concreto e tangibile costituito dalla garanzia della protezione personale all'imprenditore tramite l'esborso di somme di denaro che quest'ultimo ha versato a Cosa nostra tramite Dell'Utri, che mediando i termini dell'accordo, ha consentito che l'associazione mafiosa rafforzasse e consolidasse il proprio potere''. L'incontro dunque ''segna l'inizio del patto che legherà Berlusconi, Dell'Utri e Cosa nostra fino al 1992 - aggiungono i giudici nelle 477 pagine della sentenza - E' da questo incontro che l'imprenditore milanese, abbandonando qualsiasi proposito (da cui non è parso ma sfiorato) di farsi proteggere da rimedi istituzionali, è rientrato sotto l'ombrello di protezione mafiosa assumendo Vittorio Mangano ad Arcore e non sottraendosi all'obbligo di versare ingenti somme di denaro alla mafia, quale corrispettivo della protezione''.
 
"BERLUSCONI PAGÒ ALMENO FINO AL '92"  Dopo la morte di Stefano Bontade e Mimmo Teresi, e quindi tra il 1982 e il 1992, «il mutamento dei vertici di Cosa nostra non aveva modificato in alcun modo l'impegno finanziario del gruppo Berlusconi nei confronti dell'organizzazione criminale e dunque i pagamenti erano sempre proseguiti». Lo scrivono i giudici della terza sezione della corte d'appello di Palermo, Raimondo Lo Forti, Daniela Troja e Mario Conte, nella sentenza che ha condannato Marcello Dell'Utri a sette anni per concorso in associazione mafiosa.
La continuazione dei rapporti è  confermata, per la corte, dalle dichiarazioni di alcuni pentiti. Le somme di Berlusconi arrivavano a Riina attraverso Dell'Utri. «Riina - dicono i giudici – non aveva fatto mistero del fatto che l'interesse era anche quello di natura politica. Dell'Utri, per il boss, rappresentava un contatto con Silvio Berlusconi e dunque, a suo avviso, con Bettino Craxi. Riina per le elezioni politiche del 1987 aveva ordinato di votare il Psi. Vi era un accordo per dare un aiuto ai carcerati».
Secondo la ricostruzione della Corte, sarebbe stato l'atteggiamento arrogante di Dell'utri nei confronti di Cinà ad indurre Riina a mettere in atto due azioni ritorsive con una lettera intimidatoria a Berlusconi e poi una telefonata. Il boss aveva poi fatto credere che le minacce provenissero dal clan catanese che nel 1986 aveva fatto un attentato alla villa di Berlusconi in via Rovani. «Dell'Utri - aggiungono - convocò Cinà per risolvere la questione e così Riina chiese il raddoppio della cifra da 50 a 100 milioni in due rate semestrali. Questi soldi servivano alla protezione e non comprendevano il pizzo per antenne Finivest» in Sicilia che veniva pagato ad altri.    «Non è emerso - prosegue la corte - in questo periodo da parte di Dell'Utri un mutamento concreto dei suoi interlocutori mafiosi. Alle doglianze non sono mai conseguite delle ribellioni o dei rifiuti di pagamento da parte dell'imputato». Anche gli attentati alla Standa di Catania erano stati fatti dal clan dei Santapaola. «Non è pertanto possibile collegare - concludono - gli attentati alla Standa al mutamento degli equilibri esistenti, proprio perché‚ non avevano nulla a che vedere con Riina».

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