mercoledì 27 novembre 2013

Expo, 23 aziende escluse:sono a rischio criminalità

Il capo della polizia Pansa: "I tentativi di infiltrazione sono stati fermati". Oltre alle esclusioni dai lavori, niente white list per altre 7. “I controlli funzionano” I sindacati: “Ma la risposte sono lente”

 

È il timore che, fin dall’inizio dell’avventura, ha accompagnato Expo. E i miliardi di euro di lavori che serviranno per preparare l’area di Rho-Pero e per costruire tutte le infrastrutture — strade, autostrade, metropolitane — connesse all’evento. Una paura che, adesso, si trasforma in numeri. Perché i tentativi della criminalità organizzata di infiltrarsi nei cantieri legati al 2015 ci sono stati. Anche se, dice il capo della polizia Alessandro Pansa, lo «scudo» di difesa ha funzionato. E le aziende in odore di mafia sono state allontanate. È lui a rivelare quanti assalti abbia subito, Expo: «Fino a oggi sono stati emessi 23 provvedimenti d’interdizione a società interessate alle opere dell’Expo e ad altre 7 è stata negata l’iscrizione alla white list della prefettura».

È la faccia oscura di quella che viene definita un’opportunità. Anche Pansa, intervenendo a un convegno in Bocconi per la Giornata della virtù civile organizzato dall’associazione Giorgio Ambrosoli, lo dice: «Expo non è soltanto una vetrina internazionale e una straordinaria occasione di ripresa economica, ma anche una possibilità d’infiltrazione nel tessuto economico del territorio». Quei cantieri non suscitano solo l’interesse delle imprese sane, ma «fanno gola anche alle organizzazioni criminali impegnate soprattutto a infiltrarsi nelle gare di appalto». È già successo. E le esclusioni sono la prova. I numeri riguardano tutti i lavori Expo: quelli per costruire il sito, ma anche quelli per le infrastrutture collegate. Anche per Brebemi, la Tangenziale Est Esterna, la metropolitana 5 (ora la linea 4), la Pedemontana e le altre strade valgono i protocolli di legalità e vengono svolti i controlli.

Dallo scorso anno, poi, sono state istituite le white list, gli elenchi di imprese pulite. Ed è questo che, per Pansa, bisogna fare: puntare sulla «prevenzione». Per le ruspe direttamente impiegate a Rho-Pero, fino a ora, sono stati due gli episodi: in un caso, quello di una ditta che lavorava alla 'rimozione delle interferenze', la società è stata riammessa dal Tar. Per l’appalto più grande, quello della piastra, l’azienda è stata esclusa, ma la segnalazione che ha portato allo stop è arrivata sei mesi dopo l’aggiudicazione della gara.

Da qui era partito un allarme sui controlli troppo lenti. «I tempi ci preoccupano», aveva detto il sindaco Pisapia. Un’accusa che, oggi, viene rilanciata dai sindacati: «A fine ottobre solo il 36 per cento delle richieste di iscrizioni nelle white list risultava evaso — dice Antonio Lareno della Cgil — . I dati confermano la nostra opinione: la risposta è troppo lenta. Una conferma di questa scarsa funzionalità si è avuta poco fa: un committente di un’opera legata a Expo ha chiesto una liberatoria per un’azienda nell’agosto del 2012 e ha dovuto rinnovarla nel settembre del 2013».

Il sindaco-bancario che ha fatto sparire il tesoro “in nero” della Val Seriana

Dopo mesi di omertà le prime denunce: “Gli versavamo
i risparmi sulla fiducia”



fiorano al serio (bergamo)

C’è un’Italia che non compare nei report sulla crisi: è un’Italia dove i soldi vengono portati in banca dentro una borsa o una scatola di cartone, e dietro rilascio di una ricevuta scritta a biro su un pezzo di carta, magari quella del formaggio. È un’Italia che rimane sommersa fino a quando succede un imprevisto, e cioè che i soldi spariscono: a quel punto non resta, seppur dopo tanti imbarazzi, che fare denuncia. Nella storia che andiamo a raccontare, proprio ieri è arrivata la denuncia numero tredici: l’ha presentata la vedova di un operaio, la quale sostiene che dal deposito in banca del marito sono spariti 180 mila euro. In totale, i soldi scomparsi ammonterebbero, in un minuscolo mondo di provincia, a trenta milioni di euro. A quanto pare, il «nero» di una valle: la Val Seriana.

Tutto si svolge fra due paesi che, per estensione territoriale, sono il più piccolo e il più grande della provincia di Bergamo: nell’ordine, Fiorano al Serio e Valbondione. Di anime, poche: tremila a Fiorano, che sta in centro alla valle, e un migliaio a Valbondione, che è su in cima, ultimo paesino in fondo alla strada. È un Nord in cui i cartelli all’ingresso dei paesi sono orgogliosamente bilingue, per cui Gazzaniga è Gagenica, Vertova è Erfà, Albino è Albì. Paesini in cui l’estraneo, o meglio l’ingenuo, non capisce che cosa ci stia a fare un Private Banking, cioè una banca di grandi investimenti: eppure a Fiorano al Serio c’è un Private Banking di Intesa Sanpaolo.

Forse, anzi sicuramente, è perché la Val Seriana ha avuto fama di essere, a partire dagli anni Sessanta, la Cina d’Italia: qui si racconta ancora di mamme che, mentre accudivano i piccoli, facevano andare i telai della seta. Fu così, con la caparbietà e la laboriosità di questi bergamaschi, che la valle è andata accumulando negli anni un’immensa ricchezza. Adesso c’è la crisi e lungo la strada si vedono pubblicità di «capannoni nuovi/usati»: ma le antiche ricchezze messe via con parsimonia - e forse, chissà, anche guadagni recenti tenuti gelosamente nascosti - sono parte del patrimonio finito negli anni, appunto, nel Private Banking di Fiorano al Serio, e ora materia di uno scandalo di cui tutta la valle parla, anche se sottovoce, con particolare cura di non essere sentiti da orecchie di forestiero.

Tutto comincia quest’estate, quando le chiacchiere sui depositi prosciugati arrivano ai vertici di Intesa Sanpaolo, che manda cinque ispettori a controllare l’operato del direttore di Fiorano, vale a dire Benvenuto Morandi, 53 anni, dal 2006 sindaco di Valbondione per una lista civica di centrodestra. Gli ispettori si accorgono subito che qualcosa non quadra e avvertono la magistratura. Il primo luglio il direttore viene sospeso. Ormai è uno scandalo al sole, anche perché un grosso imprenditore di Gazzaniga, Gianfranco Gamba, ha fatto la prima denuncia ai carabinieri di Clusone: si è accorto che dal suo conto è partito, senza che nessuno lo autorizzasse, un bonifico di 400 mila euro. A questo punto la gente della valle rompe gli indugi: una mamma e suo figlio di quarant’anni presentano la seconda denuncia, in cui si parla di un saldo di 150 euro a fronte di versamenti per seicentomila. Benvenuto Morandi viene indagato per appropriazione indebita aggravata e licenziato da Intesa Sanpaolo.

Nelle denunce si parla di soldi versati sulla fiducia («Sul Benvenuto avremmo messo tutti la mano sul fuoco», dicono in valle) e di ricevute scritte a mano su «fogli volanti - raccontano - alcuni firmati ma senza data, altri con data ma senza firma». Ci sarebbero anche distinte taroccate: «Ho visto quelle di alcuni miei clienti: sono stampate su carta di Banca Intesa ma non originali», ha raccontato all’Eco di Bergamo il commercialista di Leffe Riccardo Cagnoni, che è anche sindaco pidiellino di Vertova. Sempre all’Eco di Bergamo sono arrivate le finora uniche parole pubbliche dell’indagato Benvenuto Morandi: «Le dichiarazioni di alcuni miei clienti che ho letto sui giornali non rispondono a verità, motivo per cui mi riservo di agire nelle sedi opportune».

Morandi ha ricevuto la visita dei carabinieri a casa sua a Valbondione, mentre la Guardia di Finanza - mossa dal sospetto di un colossale «nero» depositato in banca - è andata alla filiale di Fiorano all’inizio di agosto. Va detto che Morandi non è sospettato di aver intascato per sé. Dei trenta milioni di buco, si ipotizza che dieci siano stati sottratti ai conti di Gianfranco Gamba per finanziare gli impianti di risalita di Lizzola, gestiti da una società partecipata dal Comune di Valbondione, la Stl; e gli altri venti, presi dai conti di una sessantina di piccoli commerciati o imprenditori, siano andati perduti in operazioni finanziarie sbagliate. Morandi comunque non molla la poltrona di sindaco a Valbondione e ha la solidarietà di tanti: «Vai Benvenuto, làghei fa», lasciali fare, gli ha detto un collega di partito in Consiglio comunale dopo che l’opposizione aveva chiesto il passo indietro.

Ma il clima è brutto, anche perché nei giorni scorsi un incendio doloso ha distrutto lo chalet di montagna - sul monte Bue, a Cene - di Gianfranco Gamba, e c’è chi teme che la storia del buco in banca non sia estranea. La valle aspetta gli sviluppi dell’inchiesta con qualche timore. Ma anche con orgoglio, perché come mi dice un imprenditore non c’è niente da vergognarsi: «Grazie al nero della Val Seriana e della Val Gandino abbiamo creato ricchezza e posti di lavoro. I guai sono cominciati quando i soldi abbiamo iniziato a mandarli a Roma». 

Parioli, la ragazzina al pm: “Mi prostituivo, ora temo di non riuscire a smettere

L’ammissione: «Mi sdoppiavo, ero me stessa solo a casa»
grazia longo
roma
L’inferno delle baby prostitute ai Parioli si tinge di un nuovo orrore: la paura di «non riuscire a smettere di vendersi». Lo confessa la più piccola, Aurora, 14 anni, al pm Cristiana Macchiusi nell’interrogatorio protetto alla presenza della psicologa Francesca Vitale.

«Non lo so, non lo so nemmeno se c’è la farò ad adattarmi alla vita normale - racconta - e sinceramente non so nemmeno se ce la faccio a non rifarlo. Cioè io ero già stata segnalata per un furto di tre magliette con Vanessa...». E ancora: «Cioè è difficile per me pensare che devo andare in giro coi mezzi pubblici, io giro in taxi». Il sogno di Aurora è il motorino, «ma mia madre non vuole, ha paura. Meglio la macchinetta, solo che ci vogliono 15 mila euro».

La domanda del magistrato - considerato che Aurora ha raccontato di aver iniziato «’sto lavoretto» nel giugno scorso arrivando nel tempo a guadagnare anche 500 euro al giorno - sorge spontanea. Quanti soldi ti sei messa da parte? La risposta è sorprendente: «Zero... ho speso tutto in taxi, sigarette, cene, vestiti e borse firmati, le uscite con gli amici al sabato... Non c’avevo il problema dei soldi, mi dicevo “tanto oggi li rifaccio””».

Una ragazza spregiudicata e disincantata? Aurora in realtà è pur sempre poco più di una bambina, vittima di un sistema contorto, di una situazione familiare disastrata, di un abisso in cui è sprofondata e dal quale fatica a riemergere. «L’importante è che nessuno venga a sapere quello che ho fatto» dice e poi aggiunge «io mi sdoppiavo quando andavo là (la casa di viale Parioli 190 affittata dal protettore Mirko Ieni detto Mimmi, ndr) cioè può sembrare una cosa tanto grave ma non lo è perché Mirko non ci obbligava». L’unica fuga è il non pensare, lo sdoppiarsi: «Tendo a dimenticare ’ste cose, perché sennò non vivrei proprio con me stessa. Mi sdoppio, io divento un’altra persona e non penso a niente. Ritorno me stessa solo quando torno a casa mia».

Povera Aurora. Luci e ombre di una ragazzina cresciuta senza padre. Quando le chiedono se ce l’ha, risponde: «No, cioè sì, ma no. Se lo vedo per strada, capace che lo riconosco... Lo vedo una volta ogni tre anni, ogni quattro anni... Lui viene a Roma e ci vede per quei venti minuti, cerca di risolvere tutto mollandoci 200 euro a testa a me e mio fratello, nemmeno a mia madre».

La madre. In carcere con l’accusa di aver favorito la prostituzione della figlia, Aurora la difende: «Le avevo detto che spacciavo, che andavo a casa di Mimmi per spacciare». La mamma che va difesa ma alla quale anche ci si aggrappa, «a volte anche se mi vergognavo volevo dirlo a mia mamma che mi prostituivo così mi avrebbe fatto smettere». La madre che chiede soldi alla figlia «perché semo a corto». Aurora le ha dato da 100 a 400 euro al giorno. La madre che non sa gestire neppure l’altro figlio bipolare (affidato a una casa famiglia) che non si interessa dell’istruzione di Aurora. Ma questa la difende, come difende il protettore Ieni, rappresentato dall’avvocato Raffaella Scutieri, e come difende l’amica del cuore Vanessa indagata per induzione alla prostituzione. «Non mi ha obbligato lei - insiste Aurora - solo che io all’inizio avevo paura e la prima volta, scandalizzata, mi sono messa a piangere...». Poi però la paura è passata: «Ho iniziato a lavorare prima con Vanessa e poi da sola. Mi sono detta: “Ah, è facile, allora non trovo nessun problema”».

Il magistrato prova a farla ragionare sull’importanza dello studio, dell’università, ma Aurora si preoccupa solo «che ’sti anni non me li ridarà più nessuno. Ora io non c’ho più manco soldi per uscire il sabato. Non mi posso togliere quel poco di divertimento che c’ho. La mia vita gira intorno a ’sta cosa e al sabato».

Inquietante la soluzione intravista: «Avevo intenzione di organizzare meglio gli orari. Uscita da scuola andavo da Mimmi e alle quattro e alle cinque andavo a casa e studiavo».

Per fortuna oggi Aurora è in una casa famiglia dove appenderà a muovere altri passi nella sua giovane vita. Nel frattempo, sul fronte delle indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo agli ordini del colonnello Sabatino, si registra l’autodenuncia di diversi clienti. Qualcuno sostiene di essere scappato non appena si è accorto della minore età delle due studentesse, qualcun altro ammette i rapporti ignorando che fossero poco più di due bambine. 

Picchiato e dato in pasto ai maiali ancora vivo

 Ecco come si uccide nella guerra tra clan reggini

 
 
L'ordinanza che ha portato all'emissione di venti provvedimenti di fermo per l'operazione contro le cosche di Oppido Mamertina svela la ferocia degli assassini. Intercettato il racconto di un killer che svela ogni particolare sul duplice omicidio di due cognati
 
 
di SAVERIO PUCCIO
REGGIO CALABRIA – Prima presi a colpi di pala poi, ancora vivi, dati in pasto ai maiali. C'è tutta la ferocia della 'ndrangheta dietro il duplice omicidio di Francesco Raccosta e del cognato Carmine Putrino. Una sequenza agghiacciante. Compiuta con estrema freddezza. Fino a diventare un vanto, un piacere. Simone Pepe racconta tutto con dovizia di particolari: “...Appena ha preso le prime tre quattro botte di pala…è stata una sensazione no bella, di più…”. 

La faida tra le famiglie di Oppido Mamertina è sempre stata una delle più feroci che la 'ndrangheta abbia mai conosciuto. Morti ammazzati in nome della spartizione del territorio e dell'onore delle famiglie, per una guerra ripresa negli ultimi tempi e interrotta oggi con l'esecuzione di venti provvedimenti di fermo da parte dei carabinieri  (VEDI IL VIDEO DEL BLITZ). 
 
Le pagine dell'ordinanza per l'operazione "Erinni" (LEGGI I PARTICOLARI DELL'OPERAZIONE) sono la testimonianza più cruda di questa violenza estrema. Le intercettazioni diventano confessioni. Con particolari macabri. Il duplice omicidio dei cognati Raccosta e Putrino risale al 13 marzo 2012. Un delitto contestato a vario titolo a Rocco Mazzagatti, Domenico Scarfone, Simone Pepe, Pasquale Rustico e Giuseppe Ferraro (GUARDA LE FOTO DEI FERMATI) (LEGGI L'ELENCO). Ognuno aveva avuto un ruolo ben determinato. Ferraro aveva fornito le informazioni utili per sequestrare ed ammazzare i due, così come avevano chiesto Mazzagatti e Scarfone, accusati di essere mandanti ed esecutori materiali. Pepe e Rustico furono gli esecutori materiali. 
 
A Raccosta sarebbe toccata la morte più cruda. Colpito ripetutamente con la spranga. Appeso ad una carrucola e poi dato in pasto ai maiali mentre era ancora in vita. Pepe racconta tutto. Il boia ha solo 24 anni, ma è spietato come pochi. 
Svela ogni particolare in una conversazione intercettata dagli inquirenti. Non ha alcuna remora ad uccidere, ma soprattutto lo fa con il petto in fuori, vantandosi: “Mentre lo ammazzo lo devo guardare, lo devo guardare dentro gli occhi”, racconta. E mentre scarica la sua rabbia sui suoi bersagli, respinge anche i tentativi di chi chiede di fermarsi. Di sparare se necessario, ma di non infierire. Ma lui vuole fare soffrire le vittime. E mentre colpisce con la spranga, Pepe umilia la sua vittima: “Adesso ti faccio morire da vivo e ti faccio vedere come soffri”, racconta di avergli detto. Così lega la sua vittima ad una carrucola. Lo colpisce ancora con la pala e poi, mentre la vittima è ancora legata, lo getta tra i maiali. Una morte orribile. Raccontata passo dopo passo. Impossibile da riferire nei dettagli. Voluta al punto da liberare altri maiali per completare la missione di morte selvaggia. Alla fine il boia è contento: “E' stata una soddisfazione sentirlo strillare… mamma mia come strillava”.

Avvocato espulso dalla Sicilia, dal Foro di Locri

Gestiva la droga per la "Palermo bene": arrestato

L'operazione è stata condotta dalla polizia. Il legale era stato condannato per mafia e radiato dall'Ordine in Sicilia, ma era riuscito ad iscriversi al Foro di Locri da dove aveva anche messo in piedi il traffico di droga grazie ad insospettabili corrieri. Complessivamente sono stati effettuati 15 arresti

LOCRI (RC) - La droga per la "Palermo bene" arrivava anche dalla Calabria. Grazie all'organizzazione di un avvocato palermitano che, dopo essere stato radiato dall'ordine in Sicilia, era stato iscritto al Foro di Locri, dove aveva ripreso la sua attività di legale parallelamente a quella di organizzatore del traffico di stupefacenti. Così è tornato in carcere l’avvocato Memi Salvo, ex difensore del boss di Brancaccio Giuseppe Filippo Graviano, già arrestato nel '98 per associazione mafiosa. Il legale è uno dei 15 arrestati nell’ambito dell’operazione antidroga condotta dalla polizia che ha scoperto un maxi traffico di cocaina tra il sud America e la Sicilia. Salvo è accusato di traffico internazionale e detenzione di stupefacenti. 

Nell'ambito dell'operazione sono finiti in manette anche due vibonesi: Fabio Costantino e Giuseppe Costantino, coinvolti nel traffico di droga. Secondo gli investigatori, sarebbe tra le menti che avevano organizzato il business. Radiato dall’ordine degli avvocati di Palermo, era tornato ad esercitare iscrivendosi al Foro di Locri ed è proprio dalla Calabria che avrebbe messo su l'associazione di trafficanti. Secondo gli investigatori, la droga che arrivava sulla piazza palermitana attraverso insospettabili corrieri era destinata alla Palermo bene.

L'ultimo blitz a Palermo conferma ancora una volta il rinnovato interesse dell'organizzazione mafiosa per la droga: le ultime indagini della polizia hanno ricostruito il particolare attivismo di due boss, uno legato al clan Brancaccio, l'altro a Villabate, che gestivano in prima persona il commercio all'ingrosso di cocaina, eroina e hashish che arrivavano dal Perù. Due trafficanti sudamericani sarebbero anche venuti a Palermo per definire i particolari dell'importazione di droga.
 
L'ELENCO DEGLI ARRESTATI - Questi gli arrestati dell’operazione "Monopoli" della polizia che ha fatto luce su un traffico di cocaina dal Perù a Palermo: Fabio Costantino (Vibo Valentia); Giuseppe Costantino (Vibo Valentia); Andrea Di Fede (Palermo); Ditran Dulemato (Albania); Claudio Fiorelli (Roma); Francesco Fumuso; Fatijon Karasani (Albania); Pasquale Lo Nardo(Palermo); Kristian Mancino (palermo); Domenico Marino (Palermo); Aldo Monopoli (Palermo); Antonio Riina (Palermo); Luan Lusithi (Albania); Memi Salvo (Palermo); Daniele Uzzo (Palermo).

“Danno all’immagine della Regione”: Cuffaro dovrà versare 150 mila euro


La Corte dei conti ha condannato l’ex governatore che sta scontando una condanna a 7 anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione di segreto istruttorio

 
di ANTONIO DI GIOVANNI
PALERMO. “Nessun dubbio può sussistere circa l’esistenza di una grave lesione all’immagine della Regione siciliana, in conseguenza del comportamento delittuoso del suo presidente”. Con queste motivazioni la Sezione giurisdizionale della Corte dei conti ha condannato l'ex governatore Totò Cuffaro, che sta scontando in carcere una condanna a 7 anni per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra e rivelazione di segreto istruttorio emessa nell’ambito del processo “talpe alla Dda”, a versare 150 mila euro per il danno all'immagine provocato alla Regione siciliana proprio da questa vicenda. Con la stessa sentenza i giudici contabili hanno condannato l’ex maresciallo del Ros Giorgio Riolo e il collaboratore amministrativo dell'ex Ausl di Palermo Salvatore Prestigiacomo a versare rispettivamente 100 mila all'Arma dei carabinieri e 25 mila euro all'Asp di Palermo.

Mafia a Catania, blitz con 24 arresti



CATANIA. Blitz della Guardia di Finanza nei confronti del clan Santapaola-Ercolano: oltre 100 finanzieri del comando di Catania stanno eseguendo un'ordinanza cautelare nei confronti di 24 persone ritenute appartenenti ai clan. Il provvedimento è stato emesso dalla Direzione distrettuale antimafia e il reato ipotizzato è quello di associazione a delinquere di stampo mafioso finalizzato alla commissione di vari reati.
 
L'operazione antimafia contro la 'famiglia' Santapaola-Ercolano è stata eseguita a Catania da militari della Guardia di Finanza del locale comando provinciale. Il provvedimento del gip, emesso su richiesta della Dda della procura etnea, è stato notificato in carcere a sette persone già detenute per altri reati. Tredici indagati sono stati arrestati da militari delle Fiamme Gialle, mentre al momento un uomo risulta ancora irreperibile.

Roma, le adescava con finti colloqui lavoro Drogate e violentate almeno 10 donne



 
Roma, 27 nov. (Adnkronos) - Ha drogato e violentato almeno dieci donne che aveva adescato con la scusa di un colloquio di lavoro. L'uomo, che 11 anni fa si era spacciato per regista per mettere in atto lo stesso copione, è stato arrestato dai carabinieri della stazione di Roma Prati. In manette è finito un 61enne romano.
 
L'uomo adescava donne, in tutta l'Italia, tramite annunci on line nei quali prospettava la possibilità di lavorare come hostess. In realtà le vittime, 10 i casi accertati ma destinati ad aumentare, provenienti da città del nord, bisognose di guadagnare, una volte giunte nella Capitale hanno incontrato il falso agente in eleganti hotel e dopo una chiacchierata preliminare sono state drogate per poi essere violentate e derubate.

L'arrestato non è nuovo a questo tipo di reati: 11 anni fa si spacciò per regista a caccia di nuove promesse del mondo dello spettacolo per drogare, violentare e derubare ragazze in cerca di fama. Dopo aver trascorso diversi anni in carcere, l'impostore è tornato a colpire riciclandosi come agente di hostess. Oggi come allora è stato incastrato da una donna carabiniere che si è finta interessata all'annuncio, lo ha incontrato e lo ha ammanettato.

Camorra, operazione all'alba a Pozzuoli: colpo al clan «Longobardi-Beneduce»


NAPOLI - Cinque persone, ritenute elementi di spicco del clan di camorra "Longobardi-Beneduce", sono state arrestate dai carabinieri in un blitz scattato all'alba nella zona di Pozzuoli. I militari hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Napoli per estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Secondo l'accusa, il gruppo operava per il controllo degli affari illeciti nella zona di Pozzuoli e da anni costringeva alcuni imprenditori a pagare il "pizzo" con versamenti di denaro in occasione di Natale, Pasqua e Ferragosto.

L'operazione dei carabinieri coordinata dalla direzione distrettuale antimafia di Napoli è scattata appena qualche giorno prima che i ras del clan Longobardi-Beneduce facessero il consueto giro per intascare la rata di Natale destinata alle famiglie dei detenuti «Amici di Pozzuoli».

«E dopo minacce per far tacere la 14enne stuprata»




di ANTONELLO NORSCIATRANI - Saranno interrogati oggi i quattro giovani molfettesi finiti agli arresti domiciliari lunedì con l’accusa di aver abusato sessualmente di una 14enne studentessa della loro città. Stamattina Domenico P., Angelo D.C., entrambi di 21 anni; Andrea R. (20) e Nicolas T. (25), sono convocati al Tribunale di Trani, dove sono stati fissati alle 8.30 gli interrogatori di garanzia dinanzi al giudice per le indagini preliminari Luca Buonvino, che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare usando la mano meno pesante di quella richiesta dalla Procura: per il «branco» il Pubblico ministero Mirella Conticelli aveva invocato la detenzione preventiva in carcere.

La parola, dunque, passa alle difese (avvocati Michele Salvemini, Francesco Santoro, Adele Claudio) che potrebbero seguire strategie differenti, nell’alternativa tra fornire la propria versione dei fatti ed avvalersi della facoltà di non rispondere. Tutti gli arrestati (di cui omettiamo le complete generalità per tutelare la vittima, loro conoscente) rispondono di sequestro di persona e violenza sessuale aggravata. Domenico, Angelo ed Andrea per lo stupro seriale che avrebbero commesso a fine aprile dello scorso anno nell’anfiteatro di Ponente di Molfetta, quando Claudia (nome di fantasia che abbiamo dato alla vittima sempre per tutelarne la privacy) era ancora vergine; Nicolas, invece, per il rapporto orale che avrebbe preteso un mese più tardi nei pressi della chiesa della Madonna dei Martiri.

Secondo l’accusa sostenuta dal Pm Conticelli, che ha coordinato le indagini dei Carabinieri della Compagnia di Molfetta, Nicolas prima avrebbe abbindolato la 14enne col pretesto di scusarsi per non averla salvata dalle violenze subìte un mese prima, cui a quanto pare avrebbe assistito, e poi, una volta soli, l’avrebbe costretta a soddisfare le proprie voglie sessuali dietro la minaccia di «sputtanare» quanto accaduto con gli altri giovani. Tra questi, anche il presunto minorenne all’epoca del fattaccio C.M., anch’egli molfettese, la cui posizione è al vaglio della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Bari assieme a quella di altri 4 minorenni che avrebbero assistito allo stupro in serie.

C’è da attendersi che le difese puntino sui rapporti di conoscenza di Claudia con i giovani e dunque sulla negazione dei pesanti addebiti. Ma, almeno sinora, Claudia è stata ritenuta credibile, tant’è che il giudice nell’ordinanza di custodia riporta un passo di quanto verbalizzato dai Carabinieri. Dopo il racconto della 14enne, i militari, a verbale, diedero atto che «la minore, apparentemente, non sembra soffrire di disturbi psichici; le sue confessioni intime scaturivano quasi in modo naturale, senza periodi di pausa e/o titubanza alcuna».

Dopo gli interrogatori l’attenzione del magistrato si sposterà sulla richiesta d’«incidente probatorio» del Pm tranese, atto con il quale la sostituto procuratore intenderebbe acquisire con valore di prova dibattimentale le dichiarazioni accusatorie di Claudia. Tanto più che, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, il 3 ottobre scorso, quando evidentemente a Molfetta l’eco di alcune attività investigative era giunta all’orecchio di qualche indagato, Claudia sarebbe stata avvicinata da Angelo D.C., cioè «da colui - si legge nell’ordinanza cautelare – che riconobbe fotograficamente il 22 luglio 2013». Peraltro proprio il giudice basa gli arresti sul rischio d’inquinamento probatorio (oltre che sul pericolo di reiterazione del reato) scrivendo testualmente: «non è difficile ipotizzare che gli indagati, a conoscenza della denuncia, possono esercitare pressioni per indurre la ragazza, dalla scarsa protezione familiare, a smentire o a ridimensionare i fatti».

lunedì 25 novembre 2013

Ginecologo fotografa 36.000 vagine

 «Anche la figlia 13enne», denunciato



BERLINO - Si era appropriato in modo indebito delle foto delle parti intime delle sue pazienti e per questo, un ginecologo tedesco, è stato condannato.

Giovani, anziane, incinte, persino sua figlia tredicenne: in Germania un ginecologo è stato condannato a tre anni e mezzo di carcere per aver scattato segretamente oltre 36mila foto dei genitali e dei corpi nudi di circa 1.500 sue pazienti.

La corte di Frankenthal, in Renania-Palatinato ha inoltre revocato la licenza del medico, Joachim K., per i prossimi quattro anni, ha reso noto un portavoce. I togati hanno riconosciuto una violazione particolarmente grave della sfera privata in 1.484 casi, mentre il medico è stato giudicato in tre casi responsabile di abusi sessuali.

Secondo quanto ammesso dallo stesso ginecologo, le migliaia di foto e 62 video sono stati registrati tra il 2008 e il 2011. Joachim K. ha spiegato di non aver agito per scopi libidinosi, ma per un rapporto distorto con la sfera sessuale legato ad abusi subiti da bambino. Sono state due assistenti a portare alla scoperta e denunciare le violazioni commesse dal loro datore di lavoro.

Agguato a Nicotera Marina, grave un 19enne

Ferito a colpi di pistola mentre era in auto

Un 19enne è in prognosi riservata all'ospedale di Vibo Valentia dopo essere stato ferito con dei colpi di fucile mentre si trovava in auto. L'agguato è avvenuto nel corso della tarda serata sulla strada provinciale che collega San Ferdinando a Nicotera Marina
 
di GIANLUCA PRESTIA
NICOTERA - Un vero e proprio agguato nella tarda serata intorno alle 22.30 è stato messo a segno all’ingresso di Nicotera Marina sulla strada provinciale che collega la frazione con San Ferdinando. A rimanere ferito un giovane di 19 anni Salvatore Zungri di Laureana di Borrello. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti al momento il giovane è stato ferito con dei colpi di pistola mentre si trovava all’interno di una Fiat Uno, che dai primi accertamenti sarebbe stata risultata rubata. Le pistolare hanno raggiunto il giovane in più parti del corpo e in particolare allo zigomo, alla gamba e all’addome. 

Sul posto sono intervenuti i soccorsi che hanno proceduto al trasporto all’ospedale di Vibo dove i medici hanno subito definito le sue condizioni come critiche ma non a rischio della vita. Al momento il giovane è in prognosi riserva a scopo precauzionale. Sull'accaduto indagano i carabinieri di Nicotera.
 

Crotone, scoperti dalla Finanza 212 falsi braccianti

Truffa da 940 mila euro, al lavoro anche il 31 novembre

 
La Finanza ha scoperto l'ennesima truffa di falsi braccianti agricoli che avrebbe comportato all'Inps un danno per circa 940 mila euro. La scoperta è stata possibile grazie ad accertamenti incrociati sul reddito. Singolare come alcuni braccianti risultassero a lavoro anche nella giornata del 31 novembre

CROTONE - L'ennesima truffa messa in atto sfruttando la legge sui braccianti agricoli è stata scoperta dai militari della Guardia di finanza di Crotone al termine di una attività di ispezione su otto aziende agricole. I militari hanno scoperto 212 falsi braccianti ed una truffa all’Inps per complessivi 940 mila euro. I finanzieri, negli ultimi mesi, hanno condotto l’operazione 'Easy Gain' durante la quale sono stati incrociati i dati reddituali e quelli riferibili alla manodopera assunta. 

Dagli accertamenti sono emerse anomalie e, conseguentemente, sono scattati i controlli nei confronti di otto aziende agricole, di cui 6 del comprensorio di Petilia Policastro e 2 di Isola Capo Rizzuto, nel crotonese. Dagli accertamenti è emerso che i titolari delle aziende facevano risultare assunti i braccianti agricoli i quali poi percepivano le indennità di disoccupazione e di malattia e gli assegni di maternità. In alcuni casi sono stati individuati lavoratori che, nello stesso periodo temporale, risultavano già assunti come dipendenti da altre imprese. Singolari la situazione di braccianti che risultavano a lavoro nella giornata del 31 novembre. Le indagini hanno consentito anche di far emergere che un’impresa agricola ha ottenuto indebitamente 32.000 euro di finanziamenti comunitari. I titolari delle aziende agricole ed i falsi braccianti sono stati denunciati alla Procura della Repubblica di Crotone, alla quale è stato richiesto anche il sequestro di denaro o beni sino a concorrenza degli importi fraudolentemente conseguiti.

Strage di Duisburg, familiari di Strangio e Nirta

Si incatenano davanti al duomo di Reggio Calabria

 
Cinque donne, di cui 3 incatenate al duomo, hanno dato vita ad una nuova protesta contro le sentenze di condanna e i processi in corso a carico di Giovanni Strangio, Giuseppe Nirta e Sebastiano Nirta accusati di essere a vario titolo i mandanti e gli esecutori della strage di Duisburg del 2007

REGGIO CALABRIA - Una protesta eclatante contro lo Stato Italiano, i giudici, le sentenze già emesse e i processi in corso. Questa l'iniziativa presa dai familiari di Giovanni Strangio, condannato in primo grado all’ergastolo per la strage di Duisburg, e di Giuseppe Nirta, che, in occasione della cerimonia religiosa della Madonna della Consolazione, si sono incatenati nel duomo di Reggio Calabria fino alla tarda serata per protestare contro i processi che vedono coinvolti i loro congiunti. Alla protesta hanno partecipato complessivamente cinque donne di cui tre si sono sedute ed incatenate nel duomo di Reggio Calabria. «Continueremo a protestare - hanno affermato - fino a quando non avremo una risposta dallo Stato». 
La protesta si è conclusa dopo l’intervento di polizia, carabinieri, Procura della Repubblica e Diocesi di Reggio Calabria. I rappresentanti istituzionali hanno avuto modo di parlare con le cinque donne, di cui tre si erano incatenate, ed al termine del colloquio si è conclusa la protesta.
 
La strage di Duisburg, compiuta a Ferragosto del 2007 e nella quale furono uccise sei persone, è stata il culmine della faida di San Luca tra i Nirta-Strangio ed i Pelle-Vottari. «Vogliamo giustizia - hanno affermato - e chiediamo che sia rotto questo muro di omertà. Per la magistratura loro sono i perfetti colpevoli, da inserire nei libri della storia criminale come una vittoria dello Stato contro le mafie. Che siano innocenti o colpevoli poco importa. La Procura tedesca ha dichiarato, invece, apertamente che non ci sono i presupposti per istruire un processo in Germania contro di loro. Vogliamo che siano bloccati questi falsi processi e predisposto un accertamento parlamentare». 
Per Giovanni Strangio è in corso il processo d’appello mentre per Giuseppe Nirta si sta svolgendo il dibattimento di primo grado a Locri nel quale è imputato anche Sebastiano Nirta. Per i Nirta la Dda ha chiesto la condanna all’ergastolo. «Per la Procura di Duisburg che ha condotto le indagini - hanno concluso le donne - i nostri congiunti non sono perseguibili mentre per la Procura di Reggio Calabria che non ha condotto le indagini sono colpevoli. Vogliamo giustizia per degli innocenti accusati di un crimine non commesso e giustizia per le vittime della strage».

Ingroia alla guida della Sicilia e-Servizi

L'ex pm si è insediato oggi come commissario liquidatore della società per l'informatizzazione delle pubblica amministrazione
 

PALERMO.  L'ex pm Antonino Ingroia si insedia oggi alla guida di Sicilia e-Servizi, la società per l'informatizzazione della pubblica amministrazione.
Nei giorni scorsi è arrivato il via libera dell'Avvocatura dello Stato al percorso tracciato dal governo Crocetta di liquidare la società e nominare un commissario, iter che era stato bloccato dal socio privato, con la delibera del Cda congelata in un ufficio notarile.
Intanto, gli amministratori della società, in vista della scadenza del contratto di servizio con la Regione a fine dicembre, hanno inviato il preavviso di licenziamento ai settanta dipendenti.    
Ingroia, commentando il tormentato iter legato alla sua nomina, non ha escluso l'ipotesi di illeciti societari aggiungendo di essere «pronto a recarsi in procura per denunciare fatti che potrebbero essere meritevoli di indagini».

14 anni stuprata dal branco

Quattro ragazzi arrestati In trappola per falso profilo fb


Appena scarcerato tenta
di violentare una donna


MOLFETTA (BARI) – Quattro giovani sono stati arrestati dai Carabinieri a Molfetta perché accusati di avere fatto parte di un branco di una decina di persone che ha violentato in varie e ripetute circostanze una ragazza di 14 anni. Gli arrestati sono ai domiciliari. Le indagini, coordinate dalla procura di Trani proseguono per identificare gli altri presunti componenti del gruppo. Tra questi, tre sarebbero minorenni, mentre gli altri avrebbero tra i 18 e i 24 anni. La vicenda si sarebbe svolta tra la primavera e l’estate dello scorso anno, ma la vittima ha trovato il coraggio di denunciare le violenze solo tempo dopo, perché terrorizzata dalle minacce che subiva.

Secondo quanto accertato dai Carabinieri infatti, la ragazzina sarebbe stata violentata più volte in quel periodo e minacciata perché continuasse a subire senza parlarne. Gli inquirenti ritengono di avere acquisito un quadro indiziario gravissimo a carico degli arrestati.

IN TRAPPOLA PER FALSO PROFILO FB
Sarebbe nata da un falso profilo facebook della quattordicenne nel quale la ragazzina si diceva "disponibile a tutto" l’idea della violenza di gruppo per la quale oggi sono stati arrestati quattro ragazzi a Molfetta. Il particolare è emerso durante una conferenza stampa in procura a Trani.

Licenziata infermiera si assentava da lavoro per fare altri impieghi



CAMPI SALENTINA (LECCE) – Un’infermiera licenziata e un’ausiliaria sospesa dal servizio dopo un’indagine per assenteismo nel Salento. Per anni, abusando di certificati medici per l’assistenza del figlio di 3 anni, una donna di 40 anni, infermiera presso l’ospedale di Campi Salentina, andava invece a svolgere servizio in un altro luogo, ma è stata colta in flagrante dai carabinieri del Nas di Lecce, al termine di un’attività di indagine nel settore sanitario volta a contrastare il fenomeno dell’assenteismo.

L'infermiera, approfittando dei certificati medici, e quindi del periodo di assenza, giustificata e retribuita, andava a lavorare presso due associazioni Onlus che gestiscono postazioni del 118, ottenendo così 50 euro al giorno sotto forma di rimborso spese. I carabinieri hanno accertato come al giorno riuscisse ad effettuare persino tre turni lavorativi, con un guadagno extra mensile in media di 1.200 euro.
L’ultima volta i carabinieri l’hanno colta in flagrante mentre in procinto di recarsi a svolgere una prestazione professionale a domicilio presso una cliente, aveva incaricato un’ausiliaria, una donna di 40 anni, di timbrarle il cartellino magnetico. Per entrambe è scattata una denuncia per truffa aggravata, falso in atto pubblico e interruzione di pubblico servizio.

Non solo, la direzione generale dell’Asl di Lecce, in seguito a quanto scoperto dai carabinieri, ha disposto il licenziamento per l'infermiera, tra l’altro recidiva essendo stata denunciata in passato altre volte. L’ausiliaria invece è stata sospesa dal servizio e dallo stipendio per sei mesi.

giovedì 21 novembre 2013

Riciclaggio. Sequestri in tutta Italia a imprenditore campano, sigilli anche al Bingo di Casoria



C'è anche la ex residenza di Alcide De Gasperi, una lussuosa villa di 1000 mq sul lago di Castel Gandolfo, nel cuore dei castelli romani, con annesso parco, campo da tennis e piscina esclusiva, tra i beni sequestrati dalla Dia a Gennaro Boanelli, imprenditore campano, già proprietario e creatore dei magazzini Mas e del marchio «Jenny Fur».

Sempre nella Capitale, è stato sequestrato un appartamento di 200 metri quadrati e locali ad uso commerciale nella centralissima zona Esquilino, mentra tra Napoli e provincia sono stati sequestrati, oltre al «Montecarlo Bingo» di Casoria, immensa sala giochi con 800 posti a sedere, 56 slot machines, 2 sale roulettes ed annesso ristorante, una villa composta da 22 vani con annesso locale ad uso commerciale a Casoria; altri appartamenti e locali commerciali sempre a Casoria; un appartamento nel centro di Napoli. A Empoli, in provincia di Firenze, sono stati invece sequestrati appartamenti e locali commerciali in una lussuosa palazzina sita in zona residenziale. Il sequestro ha interessato, anche, disponibilità finanziarie costituite da rapporti bancari, polizze assicurative e fidejussorie.

Il valore complessivo stimato dei beni sequestrati ammonta ad oltre 150 milioni di euro. La Dia ha appurato che Gennaro Boanelli - al quale sono stati sequestrati beni per 150 milioni di euro - sarebbe riuscito ad reinserire, nel mercato finanziario e commerciale regolare, risorse accumulate illecitamente. La disponibilità di ingenti capitali finanziari gli ha permesso di acquisire, in modo diretto o indiretto, il controllo e la gestione di attività economiche in vari settori, prediligendo quelli dell'abbigliamento, dell'edilizia e del gioco d'azzardo, attività utilizzate per 'ripulire' il denaro.

Da questo nasce l'interesse per il Bingo di Casoria, tra gli immobili sequestrati, da parte dei gruppi camorristici dei Casalesi e del clan Moccia, che dalla gestione di questa attività hanno ottenuto un notevole successo, tale da scegliere di incrementare sempre più i loro investimenti nel settore.

Stato-mafia, il pentito Giuffrè: "Nel '91 decidemmo la resa dei conti"


PALERMO. «Nel '91 partecipai alla famosa riunione della resa dei conti di Cosa nostra dove si decise l'eliminazione dei politici ritenuti inaffidabili, come Lima, i Salvo, Mannino, Vizzini e Andò, e i magistrati ostili come Falcone e Borsellino». A raccontare della dichiarazione di guerra pronunciata dal boss Totò Riina in una drammatica riunione della Commissione è il pentito Nino Giuffrè che sta deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia.

Giuffrè ha anche raccontato che dal 1987 la mafia spostò i suoi voti dalla Dc al Psi e ai Radicali. «Dopo la riunione - ha aggiunto - iniziò una politica di aggressione a chi veniva
considerato un traditore». La riunione della «resa dei conti» avvenne a dicembre del 91, poco dopo la cassazione confermò gli ergastoli del maxiprocesso. «Fu la goccia che fece traboccare il vaso», ha detto Giuffrè. «Ma già a dicembre si vociferava - ha aggiunto - che la sentenza sarebbe andata male».

Siracusa, gli imprenditori vittime del racket

Gradone: risarcimenti per un milione


di GASPARE URSO
SIRACUSA. Risarcimenti per un milione di euro in un solo anno ai commercianti che hanno denunciato il racket delle estorsioni. È partendo dai numeri che il prefetto Armando Gradone ha voluto ribadire, ancora una volta, che «lo Stato c’è e non lascia solo chi decide di ribellarsi». Da Sortino, in questo senso, è arrivato l’ultimo esempio con la consegna, ieri mattina, del decreto del commissario straordinario del governo al titolare dell’agriturismo «Villa Carruba», Beppe Cannata, l’attività danneggiata gravemente da un attentato incendiario lo scorso mese di febbraio. «È un momento importante - ha detto Gradone - perché segna una vittoria della ribellione della società civile. Lo Stato è presente e consente con atti concreti di riavviare le attività». Il prefetto ha anche ribadito come ancora una volta sia stato dimostrato che «l’alleanza tra istituzioni, associazioni e società paga e porta a risultati concreti». Grazie proprio alla collaborazione delle vittime dell’attentato incendiario, le forze dell’ordine hanno poi arrestato gli uomini ritenuti responsabili del rogo.
 
Uno degli effetti è proprio il risarcimento ottenuto dal titolare dell’attività. Non è un caso se l’agriturismo già dallo scorso mese di luglio ha riaperto regolarmente al pubblico. «Nel 2012 - ha detto Gradone - dallo Stato sono stati versati poco più di 100 mila euro. Quest’anno arriviamo a un milione di euro a fronte di un numero di episodi rimasto sostanzialmente invariato visto che siamo passati da otto a nove». All’incontro anche Mauro Magnano presidente regionale della Federazione antiracket, ma anche vittima, sempre a febbraio, di un altro attentato incendiario, sempre a Sortino. In questo caso l’incendio danneggiò l’abitazione di Magnano. «Il racket è la mafia - ha detto Magnano - e serve per il controllo del territorio. È fondamentale che a Sortino dopo i fatti di febbraio ci sia stata una mobilitazione di tutta la comunità e che al processo si siano costituti parte civile il Comune, la Camera di commercio, la Cna le associazioni antiracket. I risarcimenti arrivati dallo Stato dimostrano ancora una volta che denunciare paga sempre». Il sindaco di Sortino, Enzo Buccheri ha poi sottolineato come «ribellarsi alla criminalità organizzata sia nel Dna di Sortino e questa vicenda lo ha dimostrato ulteriormente».

Agguato a Bari ferito incensurato



BARI – Un uomo, Teodoro Greco, di 59 anni, incensurato, è stato ferito ad una coscia e ad un piede con colpi di pistola sparati poco fa a Bari da persone non ancora identificate in un agguato avvenuto in viale Japigia, nel quartiere periferico 'Japigià. Almeno 7 i bossoli rinvenuti in strada.
Il ferimento è avvenuto davanti ad un fruttivendolo e ad altri negozi, mentre per strada c'erano numerose persone. Un proiettile ha forato lo pneumatico di un furgoncino, un Opel Divaro, parcheggiato poco distante e un altro proiettile si è conficcato nello sportello lato guida della Peugeot 508 dalla quale era appena scesa la vittima. Teodoro Greco è stato affiancato da due persone che hanno sparato e poi sono fuggite - a quanto si è saputo – a bordo di una motocicletta di colore bianco.

Sul luogo dell’agguato sono intervenuti gli agenti di polizia della Questura di Bari.

La vittima, a quanto si è saputo, era in pensione dopo aver lavorato per conto di un distributore di giornali. Al momento non risulta che l’uomo avesse rapporti con clan locali. I colpi erano diretti verso il basso e questo – ipotizzano gli investigatori – fa supporre che gli aggressori non avessero l'intenzione di uccidere Teodoro Greco. Gli investigatori confermano che al momento dell’agguato la zona era particolarmente affollata di gente intenta a fare acquisti nei vicini negozi di alimentari poco distanti.

Confiscati immobili e imprese per 5 milioni

Nel mirino le cosche reggine Longo e Commisso

 
 
L'operazione della polizia ha riguardato i beni riconducibili ad affiliati delle due cosche attive sullo Jonio e sul Tirreno. Le persone coinvolte sono state tutte coinvolte nelle indagini che hanno portato alle operazioni "Crimine" e "Scacco matto"

REGGIO CALABRIA - La Polizia di Stato ha eseguito confische di beni, per un valore complessivo di cinque milioni di euro, nei confronti di appartenenti a cosche di 'ndrangheta del versante ionico e tirrenico della provincia di Reggio Calabria. 
I beni confiscati, in esecuzione di provvedimenti emessi dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Reggio Calabria, sono riconducibili ad esponenti delle cosche Commisso e Longo coinvolti nelle indagini, coordinate dalla Dda e condotte dalla Squadra mobile reggina, sfociate nelle operazioni "Crimine" e "Scacco Matto". La confisca riguarda immobili ed imprese ubicati a Siderno e Polistena.

Agguato a Castrovillari davanti a due testimoni

Ferito un 48enne con cinque colpi di pistola

L'uomo, già noto alle forze dell'ordine, era andato a trovare una coppia di amici quando è stato raggiunto dalla scarica di proiettili mentre si trovava nel portone dell'abitazione. E' stato subito soccorso e trasportato in ospedale. Indaga la polizia che ha sentito i presenti

 
di FRANCESCO MOLLO
CASTROVILLARI (CS) – Sparatoria, ieri sera, a Castrovillari, dove sono stati esplosi almeno cinque colpi di pistola contro Maurizio Scorza, un quarantottenne di Cassano noto alle forze dell’ordine. L’uomo è rimasto gravemente ferito, ma non sarebbe in pericolo di vita. L’agguato, probabilmente ad opera di un commando composto da più persone, è avvenuto verso le 20,30, in via delle Industrie, davanti al portone di un’abitazione all’interno della quale si trovavano un uomo e una donna che Scorza era andato a trovare. Gli stessi che lo hanno soccorso e subito portato al vicino ospedale “Ferrari”, dove l’equipe chirurgica lo ha immediatamente sottoposto a intervento. 
Secondo le prime ricostruzioni degli agenti del commissariato di Castrovillari che stanno indagando, la vittima ha tentato di allontanarsi dal luogo dell’agguato, ma è caduto a terra dopo aver percorso una cinquantina di metri a piedi. Della vicenda è stata informata la procura presso il tribunale di Castrovillari. 

Cosenza, estorsioni a imprese per sostenere latitanza

Del boss Lanzino: arrestati in 4, un altro ricercato

 
 
La Dda di Catanzaro ha disposto 5 fermi a carico di altrettante persone accusate di estorsioni e danneggiamenti compiuti per favorire le 'ndrine del Cosentino. Gli arresti sono stati messi a segno dal Ros e dai carabinieri di Cosenza a seguito di indagini scattate all'indomani dell'arresto del boss latitante Ettore Lanzino

COSENZA - Erano i soldi estorti agli imprenditori cosentini a finanziare la latitanza del boss Ettore Lanzino e le attività della sua cosca. I carabinieri del Comando provinciale di Cosenza e del Ros hanno compiuto una nuova operazione durante la quale hanno fermato quattro persone accusate a vario titolo di associazione per delinquere di tipo mafioso, estorsione, danneggiamento seguito da incendio, detenzione e porto illegale di armi, favoreggiamento personale e procurata inosservanza di pena. I provvedimento di fermo sono stati emessi dalla Dda di Catanzaro. Un quinto individuo è al momento ricercato.
Le persone arrestate sono Adolfo D'Ambrosio, Alberto Superbo, Mario Potestio, Francesco Costabile (GUARDA LE FOTO). Potestio, in particolare, è il fratello del capo di gabinetto del Comune di Cosenza.

Le indagini dei carabinieri del comando provinciale di Cosenza e del Ros che hanno portato stamane al fermo di cinque persone hanno avuto inizio dopo l'arresto del boss Ettore Lanzino, catturato dai militari dell’Arma il 16 novembre del 2012 a Rende dopo una lunga latitanza.  La cosca della 'ndrangheta dei Lanzino opera a Cosenza e provincia. Con Ettore Lanzino furono arrestati anche due favoreggiatori, Umberto Di Puppo e Renato Mazzulla, quest’ultimo ritenuto il "vivandiere" del latitante.

Dopo l’arresto di Lanzino le indagini dei carabinieri si sono incentrate sull'identificazione dei componenti dell’omonima cosca della 'ndrangheta che avevano protetto e garantito la latitanza del boss. Gli investigatori hanno anche scoperto le attività criminali della cosca finalizzata allo sfruttamento delle risorse economiche attraverso le estorsioni in danno di imprenditori. Le indagini hanno consentito di documentare numerosi episodi estorsivi, consumati e tentati, nonchè alcuni danneggiamenti seguiti da incendio, effettuati nel medesimo contesto a scopo intimidatorio in danno di operatori economici.
I provvedimenti di fermo sono stati emessi dal Procuratore della Repubblica della Dda di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo, dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli e dai sostituti Vincenzo Luberto e Pierpaolo Bruni. La cosca della 'ndrangheta dei Lanzino opera a Cosenza e provincia. Con Ettore Lanzino furono arrestati anche due favoreggiatori, Umberto Di Puppo e Renato Mazzulla, quest’ultimo ritenuto il "vivandiere" del latitante.
I SOLDI DEGLI IMPRENDITORI E GLI APPALTI - I militari dell'Arma si sono concentrati sull'identificazione dei componenti della cosca che avevano protetto e garantito la latitanza del boss E hanno anche scoperto le attività criminali della cosca finalizzata allo sfruttamento delle risorse economiche attraverso le estorsioni in danno di imprenditori. Le indagini hanno consentito di documentare numerosi episodi di estorsione, consumati e tentati. E a chi esitava nel pagare toccavano danneggiamenti, in alcuni casi seguiti da incendi. Secondo gli inquirenti, la cosca dei Lanzino puntava anche, attraverso le estorsioni, ad accaparrarsi appalti per lavori pubblici nel cosentino.
L'ACCUSA DEL PROCURATORE ALLA CITTA' - I provvedimenti di fermo sono stati emessi dal Procuratore della Repubblica della Dda di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo, dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli e dai sostituti Vincenzo Luberto e Pierpaolo Bruni. Sono dure le parole che il procuratore aggiunto della Dda Giuseppe Borrelli ha usato descrivendo la situazione della criminalità organizzata in città: «A Cosenza non c'è nessuno che non paga le estorsioni. C'è una pax mafiosa totale: su tutto ciò che avviene cade il silenzio. E il fenomeno mafioso viene sottovalutato».

LA TELEFONATA MINATORIA - Nel corso delle indagini, i carabinieri del Ros hanno registrato una telefonata minatoria compiuta ai danni di un imprenditore edile cosentino (GUARDA IL VIDEO). Il malvivente usa un linguaggio allusivo, poi va dritto all'obiettivo: «Trovati un amico...Con tutte queste costruzioni non mangiate soli che vi affogate»

martedì 19 novembre 2013

Palermo, Massimo Ciancimino condannato a 3 anni: possedeva esplosivo



PALERMO . Il Gup di Palermo Daniela Cardamone ha condannato a tre anni di carcere e 20 mila euro di multa Massimo Ciancimino per detenzione e cessione di esplosivo. Due anni, pena sospesa, la condanna inflitta al coimputato, Giuseppe Avara che era accusato di detenzione di esplosivo.
Il gup ha dichiarato Ciancimino interdetto per 5 anni dai pubblici uffici e ha inflitto ad Avara la sanzione pecuniaria di 10 mila euro. Il giudice non ha concesso le circostanze attenuanti a nessuno dei due imputati.   

La vicenda nasce dal ritrovamento nel giardino della casa di Ciancimino, ad aprile del 2011, di alcuni candelotti di dinamite. Il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo raccontò di averli ricevuti da un misterioso signor x che avrebbe cercato così di dissuaderlo dal continuare a parlare coi pm davanti ai quali aveva fatto rivelazioni sulla trattativa Stato-mafia. Ma dalle indagini venne fuori che il teste aveva mentito: le telecamere piazzate davanti alla sua abitazione palermitana non avevano immortalato alcuna consegna.
Ciancimino cambiò versione sostenendo che il fantomatico personaggio gli avrebbe dato la dinamite a Bologna e che poi lui in auto l'avrebbe portata a Palermo. sempre il teste rivelò di avere dato parte dei candelotti ad Avara perché se ne disfacesse.   
Avara avrebbe buttato l'esplosivo in un cassonetto dell'immondizia. Ciancimino ha cercato di patteggiare, ma non ha raggiunto l'accordo coi pm sull'ammontare della pena. Restano ancora oscure le vicende legate alla provenienza dei candelotti.

Parla in videconferenza la pentita Anna Carrino

Cosentino in aula da imputato: la compagna di Bidognetti lo accusa: «Vi incontravate»



di Marilù Musto
Caserta - Nicola Cosentino, ex deputato del Pdl ed ex sottosegretario all'Economia, ritorna da imputato al processo Eco 4. E lo fa, come ha detto stamane entrando nell'aula di giustizia del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, «da uomo libero».

Cosentino è arrivato stamane in Tribunale accompagnato dal suo avvocato, Stefano Montone. L'ex deputato ha detto al suo arrivo poche parole prima di infilarsi in aula: «Sono qui per difendermi da uomo libero, ho detto che mi sarei difeso da uomo libero e l'ho fatto».

Prima del suo arresto e di alcuni mesi di detenzione, alcuni ai domiciliari, Cosentino aveva sempre presenziato al processo Eco 4 in cui è imputato per concorso esterno.

Durante l'udienza il collegio si connette, in videoconferenza, con la collaboratrice di giustizia Anna Carrino, ex compagna del boss Bidognetti. E la donna fa esplodere una rivelazione che suscita anche la reazione del pm: «Perché non l'aveva detto prima?».

La Carrino, per la prima volta, accusa Cosentino di rapporti diretti con i Casalesi. «Nicola Cosentino - dice - venne in due circostanze nel 1987 a fare visita a Francesco Bidognetti quando era a casa agli arresti domiciliari. Io c'ero e salutai Cosentino, poi lui e mio marito si appartarono in una stanza per parlare».

Al processo Eco4 che vede imputato l'ex sottosegretario del Pdl per concorso esterno in associazione mafiosa Anna Carrino, ex compagna del boss Francesco Bidognetti alias Cicciotto 'e Mezzanotte, dal maggio 2008 collaboratrice di giustizia (attualmente agli arresti domiciliari), racconta per la prima volta di due incontri, piuttosto datati, tra l'ex boss, da cui ha avuto tre figli, e Cosentino.

Le sue parole, come detto, destano la sorpresa della Procura. II procuratore della DDA di Napoli Alessandro Milita chiede conto alla pentita. «Non ce l'ha detto durante i primi sei mesi e neppure dopo. Come mai?
».

Risposta disarmante:
«Perché non mi è stato chiesto» risponde la Carrino. Il presidente del collegio giudicante Giampaolo Guglielmo, allora, vuol saperne di più. Come mai Bidognetti conosceva Cosentino?

«Si conoscevano da quando erano piccoli, tutti e due sono nati e cresciuti a Casal di Principe» risponde la donna.

Giallo a Palermo, donna trovata sgozzata in casa



PALERMO.  E' giallo sulla morte di una donna di 63 anni trovata sgozzata nella sua casa nel quartiere Zisa, a Palermo. La vittima, Grazia Rosaria Quatrini, aveva una profonda ferita da arma da taglio alla gola ed era nuda.

Il cadavere, disteso a terra nel corridoio in una pozza di sangue, accanto un coltello da cucina, è stato scoperto dal fratello che, preoccupato perchè da giorni non aveva sue notizie, era andato a trovarla. Il familiare ha a lungo bussato invano, poi ha fatto intervenire i vigili del fuoco. Secondo i racconti dei vicini di casa, la Quatrini era una persona piena di problemi: spesso ubriaca, sarebbe stata più volte soccorsa dal personale del 118. Vedova, viveva da sola e percepiva la pensione di reversibilità del padre ma in più occasione avrebbe chiesto soldi e sigarette in giro. Alcuni testimoni hanno raccontato agli agenti che la donna da tempo aveva una relazione con un avvocato in pensione di 80 anni. I due sono stati sentiti litigare in modo violento in diverse occasioni.

L'uomo sarebbe stato visto a casa della vittima l'ultima volta venerdì scorso: anche allora i vicini avrebbero sentito urla e rumore di oggetti provenire dall'appartamento che si trova in una palazzina in via Tommaso Aversa. Nell'edificio, che è a un piano, viveva soltanto la Quatrini. Al piano terra ci sono alcuni magazzini.

Gli inquirenti hanno rintracciato l'avvocato e lo stanno interrogando. In serata saranno sentiti anche i familiari della vittima: tre fratelli - uno dei quali ha ritrovato il cadavere - e una sorella. Secondo i vicini la donna non aveva rapporti con i parenti e, tranne durante le visite dell'avvocato, era sempre sola. Dai primi accertamenti della polizia, sembra possa escludersi che l'omicidio sia seguito a una rapina. Nella casa non ci sarebbero segni di effrazione o tracce che testimonierebbero la presenza di ladri.

Per il medico legale che ha ispezionato il cadavere, su cui è stata trovata solo la ferita alla gola, la donna sarebbe morta nelle ultime 36 ore, ma la testimonianza di un vicino, che ha detto di averla vista ieri mattina, circoscriverebbe l'ora del delitto. L'assassino dovrebbe avere ucciso tra ieri pomeriggio e oggi.

Il coltello trovato accanto al corpo non sarebbe l'arma del delitto. Dai primi accertamenti, infatti, non sarebbe sporco di sangue. Nell'appartamento della vittima, invece, è stato trovato un collo di bottiglia che potrebbe essere l'oggetto utilizzato dall'assassino per tagliare la gola della vittima. Nel corso dell'ispezione cadaverica il medico legale ha riscontrato sul corpo alcune ferite al capo provocate da un corpo contundente che i poliziotti stanno cercando all'interno della casa. La Quatrini è stata trovata riversa a terra: indossava solo una camicetta aperta e strappata. E' ancora in corso l'interrogatorio del compagno della vittima, un avvocato ottantenne. Poi verranno sentiti i fratelli della donna

Palermo, chiesti 12 anni per "il re delle patenti facili"



PALERMO. Il "re delle patenti facili", Antonino Nobile, funzionario della motorizzazione di Palermo arrestato nel 2011, rischia 12 anni di carcere. Tanti ne ha chiesti il pm Amelia Luise nella sua requisitoria davanti alla quarta sezione del Tribunale. Sono 33 gli imputati che hanno scelto il rito ordinario. Tra di loro, oltre a funzionari della Motorizzazione, ci sono anche titolari di autoscuole e agenzie di disbrigo pratiche e altre persone che, a avario titolo, facevano parte sistema che permetteva, in cambio di 100 euro, pratiche velocissime per il rilascio di patenti e altri documenti.

Le corruzioni accertate dagli investigatori sono 122. A  Nobile e ai suoi presunti complici è contestata l'associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Per gli altri imputati il pm ha chiesto pene da due ai quattro anni e in particolare: tre anni per Giuseppe Cardinale, Giuseppe Castronovo, Sergio Maria Giovanni Cinà, Antonino Filippone, Lorenzo Gambino, Paolo Coniglio, Tommaso Lo Porto, Rosa Provino, Salvatore Speciale, Salvatore Terranova, Alfredo Maurizio Valenza, Paolo Bruno, Giuseppe Mssina, Giuseppe Patti; tre anni e quattro mesi per Giuseppe Coltelluccio, Francesco La Porta, Giuseppe Licata, Antonino Loria, Massimo Musotto, Salvatore Nave, Salvatore Saitta, Giovanna Passavia, Giovanni Battista Valenza, Giuseppe Maria Valenza; tre anni e sei mesi per Sergio Bosco, Michele Cardinale, Francesca Schicchi; due anni e due mesi per Marcello Di Benedetto, Giuseppe e Rosario Sole; due anni per Antonino Clemente e quattro anni per Salvatore Di Benedetto.

lunedì 18 novembre 2013

Donna scomparsa in Maremma

Il suo sangue nell'auto del sospettato


 
I ris annunciano l'esito della perizia per l'omicidio di Francesca Benetti. La procura di Grosseto: "Stiamo per chiudere il cerchio, speriamo che Antonino Bilella si decida a parlare e dirci dove ha nascosto il cadavere"


Sono di Francesca Benetti le tracce di sangue trovate sul pianale della Fiat Punto di Antonino Bilella accusato di aver ucciso e poi nascosto il cadavere della donna. E' l'esito della perizia del ris di Roma, reso noto dai carabinieri. Bilella era il custode di Villa Adua, a Potassa di Gavorrano, di proprietà della vittima. La donna era stata dichiarata scomparsa lunedì 4 novembre. L'uomo è stato fermato domenica scorsa, dopo un lungo interrogatorio. Ha sempre negato le sue responsabilità.

"Stiamo per chiudere il cerchio. Speriamo che, visti gli esiti di questa perizia, Bilella si decida a parlare e a dirci dove ha nascosto il cadavere", ha detto il procuratore di Grosseto, Francesco
Verusio. Il pianale era stato recuperato dai carabinieri: prima del fermo, pedinando Bilella, avevano visto mentre che lo abbandonava in una strada di campagna, in zona Campagnatico, nelle vicinanze della strada Siena-Grosseto. L'uomo aveva cercato di disfarsi dell'auto presso uno sfasciacarrozze. Il corpo della donna non è stato ancora trovato. Nei giorni scorsi, le unità cinofile dei carabinieri hanno setacciato zone di campagna, casali abbandonati, anfratti e dirupi scoscesi.

Operazione anti Scu

46 arresti a Brindisi sequestrato un milione

 
BRINDISI – I carabinieri di Brindisi hanno dato esecuzione stamani a 46 ordinanze di custodia cautelare in carcere e ai domiciliari ed eseguito un sequestro da 1mln a carico di persone di un’associazione per delinquere di tipo mafioso attiva nel sud della provincia. Si tratta di presunti affiliati a una frangia della Sacra Corona Unita. Alle persone arrestate, a vario titolo, è contestata anche l’accusa di aver trafficato e smerciato droga per sovvenzionare i detenuti e le loro famiglie.
Gli arrestati dovranno inoltre rispondere di danneggiamento anche con esplosivi in seguito a estorsione, pestaggi e possesso di armi. L’operazione è stata chiamata Game Over. Tra gli arrestati, a quanto si è appreso, anche il terzo complice dell’omicidio di Gianluca Saponaro, avvenuto nel giugno 2010 a Cellino San Marco, che all’epoca dei fatti era minorenne.

Il gruppo, operante per lo più nei comuni di San Pietro Vernotico, Cellino San Marco, nel Brindisino, ma anche in provincia di Lecce, smerciava ingenti quantitativi di cocaina e hashish e aveva come referente Raffaele Renna, detto 'Puffo', affiliato al boss Francesco Campana. Arrestati anche Cristian Tarantino e Domenico D’Agnano, detto 'Neronè e Jonni Serra detto 'Pecorà. Del sodalizio fanno parte anche alcune donne. I provvedimenti restrittivi sono stati disposti dal gip Carlo Cazzella su richiesta della Dda di Lecce.

I fatti contestati risalgono agli anni 2009, 2010, 2011. Si tratta del seguito delle due operazioni 'Fire' e 'New Fire', sempre per associazione mafiosa, in cui furono catturati e condotti in carcere (sono stati anche condannati) i cosiddetti «nipotini di Riina». L’attività di indagine è stata eseguita con intercettazioni ambientali ma anche con l’apporto delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia tra cui Ercole Penna. Disposto anche il sequestro di beni per un milione di euro: si tratta, in particolare, di due attività commerciali e libretti postali avvolti dai sigilli sulla base di un’indagine patrimoniale condotta ai sensi della normativa antimafia.

Il boss di 'ndrangheta scarica la politica

Non appoggiò nessuno, non gradiva i programmi

 
 
Luni Mancuso, considerato dagli inquirenti il capo dell'ala armata di una delle più potenti cosche di 'ndrangheta attive in Calabria e fuori dai confini calabresi, commenta i risultati delle elezioni politiche di febbraio chiarendo che malgrado qualcuno sia andato a chiedere voti al suo entourage egli abbia preferito non muovere un dito perché «nessuno ha un bel programma»
 
di PIETRO COMITO
VIBO VALENTIA - Il 27 febbraio 2013, alle otto in punto, per “Scarpuni” era tempo d'improvvisare bilanci. Era da poco terminato lo scrutinio delle elezioni politiche che avrebbe aperto la lunga fase d'incertezza prima dell'incarico al presidente del Consiglio Enrico Letta. Il boss, allora, scommetteva su Bersani e confidava su Grillo, preconizzando un'alleanza che non ci sarebbe stata. Ad uno dei suoi interlocutori chiedeva chiarimenti, poi, sui risultati di Casini: «Ha fatto qualche cosa?».

Gli spiegavano, i suoi, che Casini, così come Monti e Fini, era uscito male dalla tornata elettorale. Apprendeva ancora che un politico vibonese, candidato alle politiche in una posizione di prestigio ma non eletto, si sarebbe rivolto anche a persone del suo entourage per «raccogliere qualche voto». Chiedeva chiarimenti con disincanto, perché lui, “Scarpuni”, non aveva mosso un dito in campagna elettorale. D'altronde «Mancuso spiega che erano andati a chiedergli il voto e che lui ha detto che non gli interessa e che comunque non si sa nemmeno con chi si mette in quanto nessuno ha un bel programma. Parlano della possibilità di andare di nuovo a votare - prosegue la sintesi dell'ufficiale di polizia giudiziaria - e Mancuso dice che sono degli irresponsabili e che se la prendono sempre con i poveri».
 

Sanità, in Sicilia troppe amputazioni

La Regione avvia controlli
      

Gli interventi menomanti sono quasi il doppio di quelli effettuati in Lombardia. Il caso esplode pochi giorni dopo quello del consumo eccessivo di alcuni farmaci, in particolare per l'osteoporosi. L'assessorato ha calcolato che tornando sulle medie nazionali si risparmierebbero 100 milioni di euro


Troppe amputazioni in Sicilia, addirittura gli interventi alle gambe nel 2012 sono risultati quasi il doppio di quelli effettuati in Lombardia: 1.249 contro 720. Dietro a questo fenomeno potrebbe esserci il business dei rimborsi. A lanciare l'allarme è il governatore Rosario Crocetta, che ha disposto controlli a tappeto. Il nuovo caso esplode a pochi giorni dal dossier che il governo regionale ha consegnato alla Guardia di finanza sul consumo eccessivo di alcuni farmaci rispetto alla media nazionale, in particolare per la cura dell'osteoporosi e del diabete, che ha fatto lievitare la spesa.

"Stiamo indagando perché molti medici anziché tentare tutte le cure possibili a volte hanno inteso procedere con leggerezza alle amputazioni, così come si è fatto con i parti cesarei", denuncia Crocetta. Per il governatore "gli interventi chirurgici menomanti devono essere l'extrema ratio, non possono diventare routine, per potere garantire al medico e alla clinica maggiori guadagni". La Regione ha avviato una serie di controlli "che devono fare in modo di portare la qualità della sanità siciliana agli standard nazionali".

Il lavoro di screening è già partito. Nel dossier trasmesso alla Finanza nei giorni scorsi l'assessore alla Salute, Lucia Borsellino, e i dirigenti del dipartimento Sanità hanno segnalato una serie di anomalie: "In Sicilia la dose media giornaliera di farmaci per l'osteoporosi, per esempio, è il doppio rispetto a quella nazionale, ciò avviene senza una motivazione epidemiologica". Riportando questi farmaci sulle media di consumo, l'assessorato ha calcolato un risparmio di 13 milioni di euro; altri 23 milioni sarebbero risparmiati per le statine (colesterolo), 24 milioni per gli antibiotici a uso iniettivo, altri 30 milioni per i gastro-protettori e 10 milioni per i farmaci che servono a dilatare le vie respiratorie. Tutte tipologie di medicinali per le quali l'assessorato ha riscontrato consumi eccessivi e ingiustificati. "Non ci interessa verificare cosa facciano i singoli medici di famiglia -

aveva spiegato Crocetta - ma ci interessa il sistema, se l'azienda sanitaria sfora ci deve spiegare il motivo".

L'assessorato ha avviato negoziati con le singole aziende sanitarie. Le Asp dovranno certificare e giustificare la spesa, che sarà poi controllata. Parte dei risparmi sarà impiegata in un fondo di compensazione a garanzia del paziente, mentre il resto delle risorse saranno riammesse nel sistema sanitario per potenziare alcuni comparti e riqualificare i servizi.