mercoledì 30 gennaio 2013

Musy, arrestato il presunto attentatore

Dietro l’agguato “contrasti politici”

Si chiama Francesco Furchì: era nella lista Alleanza per Torino, che sosteneva la candidatura a sindaco del consigliere Udc È stato fermato al termine di un interrogatorio durato tutta la notte

massimo numa
torino
Svolta nelle indagini sull’agguato ad Alberto Musy, il consigliere Udc raggiunto da quattro colpi di revolver nel cortile della propria abitazione a Torino, in via Barbaroux, il 21 marzo scorso. A quasi un anno dal tentato omicidio la polizia ha fermato un uomo al termine di un interrogatorio-fiume durato tutta la notte.

L’arrestato si chiama Francesco Furchì, ha 50 anni ed è nato a Ricadi (Vibo Valentia). Presidente dell’Associazione culturale Magna Grecia Millenium, nelle ultime elezioni comunali a Torino era candidato nella lista Alleanza per Torino, che sosteneva la candidatura a sindaco di Musy.

Così è stato incastrato
Numerosi e complessi gli elementi che hanno portato a identificare l’aggressore con Furchì, che continua a dirsi innocente. In primo luogo l’analisi delle celle telefoniche, che documentano il passaggio dell’uomo nella zona in cui si è consumato il delitto esattamente nell’arco temporale corrispondente alla ricostruzione fatta dagli investigatori. Il Politecnico di Torino ha svolto un dettagliato studio antropometrico che ha dimostrato una totale rispondenza dei parametri con il soggetto ripreso in video. Infine il dettaglio della camminata. L’uomo con il casco ripreso nel video era claudicante. Gli accertamenti hanno documentato che Furchì è affetto da una malformazione all’anca , un difetto che rende la sua andatura pienamente compatibile con quella dell’uomo del video.

I moventi
Sono principalmente tre i moventi - secondo quanto hanno ricostruito gli investigatori - ad aver armato la mano di Francesco Furchì. Il mancato appoggio di Musy a un concorso per cattedra universitaria a Palermo;la mancata nomina a cariche comunali dopo che Furchì si era impegnato nella campagna elettorale a sostegno del consigliere Udc nel 2011;il mancato impegno di Musy nel reperire investitori che Furchì cercava per le sue attività. Queste le motivazioni covate da tempo che hanno fatto maturare un odio concretizzatosi nel progetto omicida.

Caselli: “Un’indagine mastodontica”
«L’indagine - ha detto il procuratore Giancarlo Caselli - è stata lunga, paziente, faticosa, analitica. Senza esagerazione è stata un’indagine mastodontica, gigantesca, un setacciamento incredibile di una serie di figure gravitanti nell’orbita della vittima. Abbiamo impegnato le migliori risorse della procura e della polizia, spendendo un tempo infinito. È stato come il lavoro dei cercatori d’oro, che setacciano quantità incredibili di sabbia e di acqua per individuare un qualche granello».

La moglie Angelica: “Voglio incontrare l’attentatore”
«Vorrei incontrare l’uomo che ha sparato a mio marito e ha cambiato le nostre vite», avrebbe confidato agli amici Angelica D’Auvare, la moglie di Alberto Musy. Nei mesi scorsi la signora aveva rivolto un appello pubblico ad aiutare gli investigatori ad individuare «chi ha compiuto quel gesto orrendo».

Mafia, pena ridotta a 9 anni al pentito Giuffrè per 8 omicidi


Accusato di 12 uccisioni tra il 1987 e il 2002. Il processo si è svolto con il rito abbreviato e il pentito si è autoaccusato di tutti i delitti

PALERMO. La Corte d'assise d'appello di Palermo ha ridotto a nove anni e sei mesi la condanna inflitta in primo grado (20 anni) all'ex boss ora pentito Antonino Giuffrè, accusato di 12 omicidi, commessi tra Termini Imerese, Lercara Friddi, Vicari tra il 1987 e il 2002, e di diversi episodi di estorsione. Il processo si è svolto con il rito abbreviato e il pentito si è autoaccusato di tutti i delitti. Giuffrè ha beneficiato della speciale attenuante della collaborazione con la giustizia che ha determinato, insieme all'abbreviato, la prescrizione di quattro omicidi (quelli di Rosolino Miceli, Vincenzo Lo Cascio, Salvatore Liberti, Barbaro La Barbera). Il collaboratore è stato invece condannato per gli altri delitti: quelli di Filippo Lo Coco, ucciso a Trabia il 7 novembre 1998, Leonardo Lo Cascio, ucciso a Lercara Friddi il 23 settembre 1991, Giuseppe Gaeta, ucciso a Termini Imerese il 24 febbraio 2000, Salvatore Fazio, ucciso a Cefalù il 6 dicembre 2000, Salvatore Torina, assassinato il 14 novembre 1991 a Baucina, Benedetto e Rosario Segreto, uccisi a Caccamo il 7 marzo 1991, Domenico Porretto, strangolato a Roccapalumba l'11 febbraio del 1990. I parenti di alcune vittime, costituiti parte civile nel processo, erano assistiti dagli avvocati Salvatore Priola e Filippo Gallina.

Camorra, uccisi due pregiudicati ventenni freddati dai killer sotto casa



Sparatoria in serata. Colpiti due giovanissimi. Solo pochi giorni fa l'esecuzione di camorra del 34enne Ciro Valda

NAPOLI - Ancora una serata di sangue e morte a Napoli. Gennaro Castaldi, 20 anni e Antonio Minichini, 19 anni, sono stati uccisi da due killer in periferia, a Ponticelli, in via Toscanini 31.

Minichini era stato solo ferito ma è morto nella notte dopo il ricovero in condizioni disperate all'ospedale Loreto Mare. L'agguato è avvenuto davanti all'abitazione di Castaldi.

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La prima vittima. Gennaro Castaldi era stato arrestato dai carabinieri nel settembre 2011 con ad altre due persone, con l'accusa di estorsione aggravata dal metodo camorristico. I tre avrebbero chiesto, per conto del clan Sarno, il pizzo ai commercianti di un mercato rionale nel rione Incis del quartiere Ponticelli. Per bloccarli, i militari si erano travestiti da ambulanti allestendo anche uno stand per la vendita di abbigliamento.

L'altro ucciso Minichini, invece, ha precendenti per rapina ed è il figlio del reggente del clan De Luca, che ha parzialmente preso il posto del clan Sarno - storica cosca di Ponticelli - nel controllo delle attività illecite nel quartiere.

Secondo agguato in 6 giorni. Quello accaduto in serata è il secondo agguato avvenuto a Napoli in 6 giorni. Lo scorso 23 gennaio, nel quartiere Barra, alla periferia della città, in un agguato di matrice camorristica, è stato ucciso Ciro Valda, di 34 anni, ritenuto affiliato al clan Cuccaro-Aprea. Valda era già noto alle forze dell'ordine per reati di droga e ricettazione. Nel 2006 aveva tentato di uccidere la moglie. Fu arrestato nel 2011 e poi scarcerato.

La 'ndrangheta infiltrata nelle strutture di Roma

Sequestrati beni per oltre 20 milioni al clan Gallico


Intestazione fittizia di beni aggravata dalla modalità mafiosa. Questa l'ipotesi di reato per la quale la Dda della Capitale ha dato seguito ad alcune ordinanze di custodia in carcere e al sequestro di beni per oltre 20 milioni di euro tra i quali anche attività commerciali di rilievo poste anche in centro città

ROMA – Nelle prime ore della mattinata, gli investigatori della Dia di Roma, in collaborazione col Centro Operativo Dia di Reggio Calabria, hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del Tribunale di Roma nei confronti di alcuni esponenti della 'ndrangheta da tempo trasferitisi nella capitale, ritenuti responsabili di «trasferimento fraudolento di valori», aggravato dal metodo mafioso. L’operazione, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, prevede anche il sequestro di beni mobili ed immobili di cospicuo valore, tra cui alcuni noti esercizi commerciali della capitale. Sono inoltre state effettuate perquisizioni domiciliari a Roma e nella Provincia di Reggio Calabria nei confronti di altri soggetti che rispondono degli stessi reati in stato di libertà. Le ordinanze di custodia cautelare in carcere riguardano alcuni esponenti legati alla 'ndrina dei Gallico, originari della provincia di Reggio Calabria. Gli arrestati, grazie ad alcuni prestanome e società fittizie, erano riusciti a concludere – investendo ingenti capitali per conto della cosca di riferimento – una serie di importanti operazioni immobiliari e societarie soprattutto nel settore della ristorazione, impadronendosi di bar e ristoranti ubicati in zone di pregio della capitale. Il gip del Tribunale di Roma Simonetta D’Alessandro ha accolto la richiesta di contestazione del reato (ex art. 12 quinquies legge 356/1992, aggravato dal metodo mafioso) che punisce l’intestazione fittizia, relativamente a beni, per un valore di circa 20 milioni, sottoposti a sequestro preventivo

martedì 29 gennaio 2013

Barcellona, preso il boss Barresi

 

Era latitante da due anni. E' considerato il più importante esponente del clan locale. Arrestato dalla polizia

BARCELLONA POZZO DI GOTTO. La polizia ha arrestato stamani a Barcellona Pozzo di Gotto (Me) il latitante Filippo Barresi, 52 anni, il più importante esponente del clan locale. L'uomo, considerato autore di omicidi ed estorsioni, aveva fatto perdere le sue tracce due anni fa dopo una condanna, ma oggi gli uomini del commissariato lo hanno scovato: si nascondeva in una casa di Barcellona Pozzo di Gotto.

Recentemente La Direzione investigativa antimafia di Messina aveva eseguito nei confronti di Barresi un provvedimento di sequestro beni e quote societarie, per un valore stimato in circa 2 milioni di euro, emesso dalla Sezione misure di prevenzione del tribunale dello Stretto. Nel 2011 il boss si è sottratto all'esecuzione dell'ordinanza cautelare emessa nell'ambito dell'operazione «Gotha» che ha decapitato il clan dei «barcellonesi». Già noto dai primi anni '70 alle forze di polizia per reati contro il patrimonio, strage, tentata estorsione, droga e altri reati - tanto da essere sottoposto per due volte alla misura della diffida e alla sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel Comune di Barcellona P.d.G. per 3 anni - Barresi è stato coinvolto nei principali procedimenti penali nei confronti delle associazioni mafiose operanti nella zona tirrenico-nebroidea della provincia dello Stretto, quali «Mare Nostrum», «Icaro» e «Gotha».

Fu arso vivo a Brindisi Violentata davanti ai figli la presunta assassina




di Piero Argentiero
BRINDISI - Non solo le frustate e il corpo della donna cosparso di benzina. Ma anche violenza e abusi sessuali dinanzi ai figli. Una storia che diventa sempre più drammatica. I particolari che filtrano dallo stretto riserbo degli investigatori sono giorno dopo giorno più inquietanti. Dora Buongiorno, 43 anni, contadina di Carovigno, secondo l’accusa, ha ammazzato il suo amante Damiano De Fazio, 51 anni, nativo di Francavilla Fontana, residente a Brindisi, perché non ce la faceva più a sopportare vessazioni e umiliazioni.

L’uomo, in stato di semincoscienza, verso le 23,30 del 26 dicembre, in contrada Epifani, territorio di Mesagne, fu cosparso di benzina e dato alle fiamme. Morì alle 4 del 28 senza riprendere conoscenza. «Un maschicidio», disse il questore Giuseppe Cucchiara il giorno del fermo della donna. Comunque anche in questo caso la «vittima» è la donna. Tormentata dal suo amante che, peraltro, le impediva di lasciarlo, lasciata in balìa di questo signore anche quando era stato denunciato, per liberarsi lo ha ucciso ed è finita in carcere.

Damiano De Fazio aveva da quindici anni una relazione con la Buongiorno. Una famiglia regolare da una trentina di anni, anche se non sposato, con cinque figli, tutti a lavorare nella masseria di contrada Palmarini, territorio di Brindisi; un altro figlio con Dora Buongiorno nato 14 anni fa. Lei a sua volta, sposata, ha una figlia diciottenne.

E’ stata questa ragazza, sempre stando alle indiscrezioni trapelate, a tirare fuori il dramma della vita della madre con De Fazio.

Droga nel porto di Gioia Tauro, sequestrati 110 chili di cocaina purissima in 4 borsoni

Nuovo ingente sequestro di cocaina da parte della guardia di finanza. Lo stupefacente viaggiava in alcuni borsoni occultato in un container e avrebbe fruttato con la vendita al dettaglio oltre 25 milioni di euro. Il carico proveniva dal Cile


GIOIA TAURO (Reggio Calabria) - Nuovo ingente sequestro di cocaina al porto di Guoia Tauro. I Finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria di Reggio Calabria, appartenenti al Gico Sezione Goa e del Gruppo della Guardia di Finanza della città del porto, insieme ai Funzionari dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli – Ufficio Centrale Antifrode e Ufficio Svad di Gioia Tauro – hanno proceduto al sequestro di un carico complessivo di circa 110 chili di cocaina purissima, rinvenuti all’interno di un container in transito nel porto calabrese e sbarcato dalla nave mercantile Msc Ornella.
L'operazione, condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, in stretto e costante coordinamento con la Procura della Repubblica di Palmi, s'inquadra nell’ambito di una più vasta attività di polizia giudiziaria che ha consentito, dopo una serie di incroci documentali e successivi meticolosi controlli eseguiti su numerosi container in transito presso il porto di Gioia Tauro, realizzati anche attraverso l’impiego di apparecchiature scanner in uso alla Dogana, di individuare l'illecito carico di droga proveniente dal Cile. La merce avrebbe fruttato, con la vendita al dettaglio, oltre 25 milioni di euro. I sospetti degli investigatori sono sorti dalla comparazione tra la documentazione doganale e le caratteristiche fisiche del carico, costituito da «sacchi di lupini». All’esito dei controlli eseguiti, i Finanzieri ed i Funzionari della Dogana di Gioia Tauro hanno contato, all’interno di 4 borsoni abilmente occultati nel carico, 100 panetti di droga, per un peso complessivo di circa 110 chili di cocaina di elevata qualità e purezza. L’operazione odierna conferma che il porto di Gioia Tauroè i uno snodo centrale nelle rotte dei traffici illeciti di sostanze stupefacenti provenienti dal Sud America. A tal proposito, nel 2012, è stato sottoposto a sequestro un quantitativo complessivo di droga pari a oltre 2100 chili di cocaina, che si aggiungono alla tonnellata sottoposta a sequestro nel corso dell’anno 2011.

Mamma di due bimbi: «Stuprata per tre ore a Venezia, ora vivo nel terrore»



Avvicinata da un uomo che le aveva chiesto una
sigaretta. Critiche a un medico: «Mi ha detto "tutto passerà"»


VENEZIA - Per tre ore in balia dell'orco, sotto la minaccia di un taglierino. Tre ore lunghissime, interminabili, fatte di violenza e umiliazione. Tre ore della sua vita che non dimenticherà mai. Lei è una giovane di 35 anni residente nel Portogruarese, madre di due bambini, rispettivamente di 8 e 10 anni, che sabato notte ha detto di essere stata ripetutamente violentata.

Così ha raccontato anche alla polizia, come risulta dalla denuncia sottoscritta davanti agli agenti. Da oggi la donna starà per qualche giorno in una comunità indicata dal Centro antiviolenza e dalla Caritas di don Dino Pistolato, perché ha paura che quell'uomo, che ha denunciato e contribuito a fare identificare dalla squadra mobile di Venezia, la possa trovare e identificare. Ma prima di partire ha voluto trovare la forza di rendere pubblico il dramma che ha vissuto: «Per mettere in guardia altre donne - afferma - e perché non è giusto che chi commette reati di questa gravità possa girare liberamente».

Secondo quanto ha riferito alla polizia, tutto ha inizio verso le 22, fuori della stazione dei treni di Mestre, con quello che sembrava un incontro fortuito. «Avevo avuto una discussione in famiglia - racconta la trentacinquenne - e quindi avevo deciso di andare a Mestre. Poco dopo le 22 vengono avvicinata da un uomo, distinto, ben vestito, educato, di origine romena. La scusa era di chiedermi una sigaretta. Mi suggerisce di continuare la chiacchierata a Venezia».

Aveva iniziato a fidarsi di lui, per quei suoi modi gentili. Con il bus arrivano a piazzale Roma, alla rimessa delle bici, dove chiacchierano fin quasi alle 3 di notte. «A quel punto si scatena la sua furia. Mi dice: scommettiamo che adesso fai quello che voglio io? Estrae un taglierino e me lo punta alla gola». È a quel punto che, secondo il suo racconto, sarebbe iniziata la violenza sessuale. Per una, due, tre volte. Solo in un momento lei riesce a prendergli il telefonino dalla tasca e compone il suo numero, così da averlo in memoria nel proprio cellulare. Sempre insieme ritornano a Mestre. «E mentre arriviamo mi dice, vedendo una Volante della polizia: non fare cavolate, perchè dove ti trovo ti ammazzo».

Quando se ne è andato, la 35enne chiama il Centro antiviolenza, quindi va al pronto soccorso a farsi visitare, quindi si reca alla Polfer. «Non finirò mai di ringraziare loro e la Mobile: sono stati tutti eccezionali». Grazie al numero di telefono, concorda un appuntamento con l'aggressore, permettendo così l’identificazione dell’uomo. «Ora vivo nel terrore. E ho paura che colpisca anche altre donne». E poi un pensiero alle cure mediche. «Il medico mi ha dato 35 giorni di prognosi dicendomi: vedrà, signora, che poi tutto passerà. Come è possibile dire una cosa del genere?».

«Ustica, strage causata da un missile»


La Cassazione condanna lo Stato:dovrà risarcire i familiari delle vittime. L'Alta Corte: «E' abbondantemente motivata la tesi del missile. I controlli radar non garantirono la sicurezza dei cieli». E' la prima verità processuale dopo il nulla di fatto dei procedimenti penali


ROMA - La strage di Ustica avvenne a causa di un missile e non di una esplosione interna al Dc 9 Itavia con 81 persone a bordo, e lo Stato ora deve risarcire i familiari delle vittime per non aver garantito, con sufficienti controlli dei radar civili e militari, la sicurezza dei cieli. Lo sottolinea la Cassazione in sede civile nella prima sentenza definitiva di condanna al risarcimento. È la prima verità su Ustica dopo il niente di fatto dei processi penali. Il Dc 9 dell''Itavia in volo da Bologna a Palermo venne abbattuto al largo di Ustica il 27 giugno del 1980. I morti furoni 81. La prima ipotesi parlò di cedimento strutturale e fin da subito cominciarono i depistaggi.

«E' abbondantemente e congruamente motivata la tesi del missile» accolta dalla Corte di Appello di Palermo a fondamento delle prime richieste risarcitorie contro lo Stato presentate dai familiari di tre vittime della strage di Ustica. Lo scrive la Cassazione civile confermando che il controllo dei radar sui cieli italiani non era adeguato.

Con la sentenza 1871, depositata oggi dalla Terza sezione civile della Suprema Corte, sono stati infatti respinti i ricorsi con i quali il Ministero della Difesa e quello dei Trasporti volevano mettere in discussione il diritto al risarcimento dei familiari di tre vittime della strage, i primi a rivolgersi al giudice civile, seguiti - dopo - da quasi tutti gli altri parenti dei passeggeri del volo. Senza successo i ministeri, difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, hanno per prima cosa tentato di dire che il disastro aereo si era ormai prescritto e poi che non si poteva loro imputare «l'omissione di condotte doverose in difetto di prova circa l'effettivo svolgimento dell'evento».

La Cassazione ha replicato che «è pacifico l'obbligo delle amministrazioni ricorrenti di assicurare la sicurezza dei voli», e che «è abbondantemente e congruamente motivata la tesi del missile» accolta dalla Corte di Appello di Palermo nel primo verdetto sui risarcimenti ai familiari delle vittime depositato il 14 giugno 2010. Quanto alla prescrizione, il motivo è stato giudicato «infondato». Ad avviso della Suprema Corte, l'evento stesso dell'avvenuta vicenda della strage di Ustica «dimostra la violazione della norma cautelare».

La Cassazione ricorda che in relazione alla domanda risarcitoria proposta - in un'altra causa sempre nata da questo disastro aereo - da Itavia contro gli stessi ministeri, più quello dell'Interno, è stato affermato che «l'omissione di una condotta rileva, qualecondizione determinativa del processo causale dell'evento dannoso, soltanto quando si tratti di omissione di un comportamento di cautela imposto da una norma giuridica specifica, ovvero da una posizione del soggetto che implichi l'esistenza di particolari obblighi di prevenzione dell'evento». La Suprema Corte, dopo aver rigettato i ricorsi della Difesa e dei Trasporti, ha invece accolto il reclamo dei familiari delle tre vittime rinviando alla Corte di Appello di Palermo per valutare se possa essere concesso un risarcimento più elevato rispetto al milione e 240mila euro complessivamente liquidato ai familiari.

sabato 26 gennaio 2013

Serata dedicata ai fratelli Salvatore Vaccaro Notte e Vincenzo Vaccaro Notte. Presidio Di Libera Miranese




Serata dedicata ai fratelli Salvatore Vaccaro Notte e Vincenzo Vaccaro Notte.

La lotta alla mafia è una cosa che riguarda solo il Sud d'Italia? Oppure c'è bisogno di sorveglianza, presidio e azione anche nel "nostro" Nord, colpito dalla crisi ma storicamente più ricco del Meridione?

Mercoledì 6 febbraio 2013 alle 21:00 presso la Sala Gialla del Villaggio Solidale siamo orgogliosi di avere con noi il Presidio Libera del Miranese per andare al nocciolo della questione: l'Italia di oggi vive nell'influenza di poteri criminali, organizzazioni e poteri forti. Di fronte a questo dato di fatto, le uniche forme di resistenza fattive e credibili sembrano essere la cittadinanza attiva e l'"eroismo quotidiano", come quelli praticati dai fratelli Vaccaro Notte a cui è dedicata la serata.

MAFIA: CROCETTA, TUTELA REGIONE A TUTTE LE VITTIME DAL ’46 IN POI



Palermo – Dopo l’incontro all’ARS tra i familiari delle vittime di mafia e i deputati del M5S, si registra l’autorevole intervento del presidente della Regione siciliana Rosario Crocetta che, nel corso di una conferenza stampa a Palazzo d’Orleans, ha anticipato come la legge 20 a tutela delle vittime della mafia sarà estesa anche alle vittime antecedenti al 1961.
Un primo importante passo per riequilibrare le conseguenze di una legge iniqua che ha finito con il creare vittime di serie A e vittime di serie B.
Soddisfatti i familiari delle vittime di mafia, il cui prossimo appuntamento alla Regione per discutere delle problematiche relative all’impianto normativo è previsto in data 4 febbraio, in occasione dell’istituzione di un tavolo tecnico al quale prenderanno parte Giuseppe Ciminnisi, Antonella Azoti, Placito Rizzotto, Li Puma e Vincenzo Agostino, in rappresentanza dei familiari delle vittime.

http://www.lavalledeitempli.net/2013/01/25/mafia-crocetta-tutela-regione-a-tutte-le-vittime-dal-46-in-poi/
 

Domani la Giornata della memoria

Domani la Giornata della memoria, iniziative in tutte le ambasciate e cerimonie nelle città. Alla stazione di Milano l'inaugurazione del memoriale al binario 21 dal quale partivano i convogli dei deportati. Scritte antisemite a Roma e in Lombardia



ROMA - Un "treno della memoria" diretto ad Auschwitz con partenza da Firenze. L'inaugurazione del Memoriale della Shoah al binario 21 della Stazione centrale di Milano. Un incontro contro il razzismo a Roma e una cerimonia al monumento nazionale della Risiera di San Sabba, a Trieste. Domani, "Giorno della Memoria", l'Italia intera ricorda l'Olocausto.

La Farnesina ha dato indicazione a tutte le rappresentanze diplomatiche italiane perché si facciano promotrici di iniziative per ricordare l'Olocausto: "Una ricorrenza - dice il ministro degli Esteri, Giulio Terzi - che rappresenta un monito per la nostra e per le generazioni future, per chi vuole evitare il ripetersi di immani tragedie e di grande vergogna per l'umanità". Era il 27 gennaio 1945 quando il campo di concentramento di Auschwitz fu liberato dai sovietici: dal 2001, ogni anno in quella data, anche l'Italia come altri paesi, ricorda le vittime del nazionalsocialismo e del fascismo, della Shoah e coloro che, a rischio della propria vita, hanno protetto i perseguitati.

VIDEO Il Memoriale a Milano

Merkel. Il messaggio più rilevante alla vigilia della Giornata della memoria è forse quello di Angela Merkel: "Abbiamo una responsabilità permanente per i crimini del nazionalsocialismo, per le vittime della seconda guerra mondiale e, anzitutto, anche per l'Olocausto", ha detto la cancelliera in un podcast pubblicato oggi sul suo sito Internet, quando mancano tre giorni all'ottantesimo anniversario - mercoledì - dell'ascesa al potere di Hitler, il 30 gennaio 1933. "Dobbiamo dire chiaramente, generazione dopo generazione, e dobbiamo dirlo ancora una volta - ha detto Merkel -: con coraggio, il coraggio civile, ognuno, individualmente, può impedire che il razzismo e l'antisemitismo abbiano alcuna possibilità. Noi affrontiamo la nostra storia, non occultiamo niente, non respingiamo niente - ha concluso -. Dobbiamo confrontarci con questo per assicurarci di essere in futuro un partner buono e degno di fede, come del resto lo siamo già oggi, fortunatamente".

Riccardi. "Razzismo, neonazismo, antisemitismo e xenofobia" sono sentimenti mai sopiti, che oggi trovano "terreno fertile in rete", ricorda il ministro per la Cooperazione internazionale e integrazione, Andrea Riccardi. Nessuna privacy dunque "per gli autori di post antisemiti": "a una vera e propria offensiva di odio razziale su internet, bisogna rispondere con risposte efficaci e globali". E l'Italia che condanna domani sarà unita "per non dimenticare". Appuntamento dunque a Milano dove sarà inaugurato il Memoriale della Shoah, al binario 21 della Stazione centrale, da dove partivano i vagoni ferrati con i deportati per Auschwitz e gli altri campi di concentramento.

Monti. Interverranno, tra gli altri, il premier Mario Monti, il ministro Riccardi e Liliana Segre, sopravvissuta ad Auschwitz: a 13 anni fu fatta salire sui vagoni ferrati dal binario 21 per arrivare nei campi di sterminio. E' una delle 13 sopravvissute sulle 775 partite con i treni diretti. Nel corso della cerimonia, Riccardi presenterà il libro "Testimonianza-Memoria della Shoah a Yad Vashem", prima traduzione italiana, a cura dell'Unar, di "To Bear Witness", testo redatto nel 2005 dallo storico istituto per documentare, attraverso la storia dello Yad Vashem, "il periodo più drammatico vissuto dal popolo ebraico e da tutta l'Europa". Domani pomeriggio Monti sarà anche nel Modenese, a Carpi, dove visiterà il Museo del Deportato, incontrando i ragazzi del liceo Fanti. Sempre in occasione della giornata della Memoria, accompagnato dal sottosegretario Antonio Catricalà, andrà poi a Fossoli per deporre una corona d' alloro al campo di concentramento.

Le iniziative. A Firenze cinquecento studenti si ritroveranno alla stazione per percorrere il "viaggio della memoria" verso Auschwitz: "vedere i campi di sterminio è un'esperienza che segna la vita", afferma il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi. A Lecce invece verrà inaugurata una mostra del fotografo Massimo Spedicato, sui lager di Auschwitz e Birkenau. A Roma, al museo Maxxi, appuntamento con "Dosta!", la campagna coordinata e finanziata dall'Unar: al centro del dibattito il Porrajmos, lo sterminio di oltre mezzo milione di Rom e Sinti compiuto dal nazismo durante la seconda guerra mondiale. A Trieste, infine, la cerimonia solenne nel monumento nazionale della Risiera di San Sabba, unico campo di sterminio nazista in territorio italiano. Incontri anche a Napoli, Genova e Parma.


Grillini. Fra le vittime della Shoah anche numerosi omosessuali, lo ricorda in una nota Franco Grillini, presidente di Gaynet: "In occasione del 27 gennaio, giorno della memoria, è bene ricordare che il popolo che subì le maggiori sofferenze fu quello ebraico ma che assieme alle 'stelle gialle' furono sterminati nei campi di concentramento decine di migliaia di "triangoli rosa", gli omosessuali tedeschi, austriaci, olandesi e francesi. In Italia il fascismo usò il confino contro le persone omosessuali".

Scritte antisemite a Roma e Milano.
A poche ore dalle celebrazioni, scritte antisemite sono apparse a Roma in via Tasso, dove si trova il Museo della Liberazione nei locali che erano la sede della Gestapo durante l'occupazione tedesca, mentre simboli fascisti e nazisti e ingiurie nei confronti delle forze dell'ordine sono comparse sulle facciate di Villa Litta a Milano.
(26 gennaio 2013)© Riproduzione riservata
 
 
 

Anno giudiziario, troppi reati prescritti


E dal pg di Roma polemica sui giudici in politica

Mafia, 'ndrangheta, organizzazioni criminali. Corruzione. Reati di violenza domestica. Mobbing. istanze di fallimento. Ma soprattutto la segnalazione del sovraffollamento carcerario in ogni Regione. L'inaugurazione delle toghe da Milano a Palermo, Roma, Firenze, Torino: "Scelte più meditate a tutela delle persone"



ROMA - Primato negativo nel campo della giustizia per l'Italia. Il Bel Paese "ha il triste primato in Europa del maggior numero di declaratorie di estinzione del reato per prescrizione (circa 130 mila quest'ultimo anno) e, paradossalmente, del più alto numero di condanne della Corte europea dei diritti dell'uomo per l'irragionevole durata dei processi". E' uno dei passaggi della relazione del presidente della Corte d'appello di Milano in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario al quale presenzia anche Monti.

E' questa la denuncia più forte che viene dall'apertura dell'anno giudiziario nelle Corti d'Appello, insieme a quella del dilagare della corruzione. E da Roma è arrivata anche una polemica sui magistrati in politica: "Non trovo nulla da eccepire sui magistrati che abbandonano la toga per candidarsi alle elezioni politiche", ha detto il presidente della Corte di Appello di Roma Giorgio Santacroce. Ma ha aggiunto una stoccata anche ad alcuni suoi colleghi: "Non mi piacciono - ha affermato - i magistrati che non si accontentano di far bene il loro lavoro, ma si propongono di redimere il mondo. Quei magistrati, pochissimi per fortuna, che sono convinti che la spada della giustizia sia sempre senza fodero, pronta a colpire o a raddrizzare le schiene. Parlano molto di sè e del loro operato anche fuori dalle aule giudiziarie, esponendosi mediaticamente, senza rendersi conto che per dimostrare quell' imparzialità che è la sola nostra divisa, non bastano frasi ad
effetto, intrise di una retorica all'acqua di rose. Certe debolezze non rendono affatto il magistrato più umano".


Milano. Un appello a procedere "presto, in un clima di proficuo dialogo, a nuove e più meditate scelte operative in tema di giustizia, ad effettiva tutela dei bisogni e dei diritti fondamentali della persona", ha chiesto il presidente della Corte di Appello di Milano Giovanni Canzio. Tra i problemi "va segnalata l'allarmante situazione si sovraffollamento degli istituti di pena che accomuna la quasi totalità delle case circondariali". "La capienza delle strutture - ha spiegato il magistrato - è di 4.737 detenuti, mentre al 31 dicembre ne è stata registrata la presenza di 7.279; San Vittore ha una capacità di 712 presenze e può tollerarne fino a 1.127, ma al 31 dicembre le presenze erano 1,616".

Roma. Oltre alla segnalazione del sovraffollamento carcerario, dove si trovano ristretti 7.171 detenuti rispetto a una copertura regolamentare di 4.834 posti, "nel Lazio e a Roma le organizzazioni criminali di stampo mafioso (soprattutto 'ndrangheta e camorra) beneficiano di varie articolazioni logistiche per reimpiegare con profitto i capitali illecitamente accumulati e investirli in attività imprenditoriali e di intermediazione finanziaria", ha detto il presidente della Corte d'appello di Roma, Giorgio Santacroce. Santacroce afferma, inoltre, che "nell'ultimo periodo, specie nel territorio del basso Lazio e sul litorale romano, il livello criminale e l'indice di penetrazione della criminalità organizzata si sono innalzati" e "ne danno la misura di arresti di importanti latitanti".

L'attività investigativa in corso dimostra, inoltre, "come le organizzazioni siano giunte ad impadronirsi di locali storici di Roma, come il ristorante George in via Sardegna, il Cafè de Paris in via Veneto, il bar California in via Bissolati e il palazzo che ospita il teatro Ghione". A Roma operano esponenti del clan Gallico e uomini del clan Alvaro. Alla cosca Gallico di Palmi è stata sequestrata la società che gestiva il Risto Chigi, vicino alla Fontana di Trevi, e il caffè Antiche Mura nei pressi dei giardini Vaticani. I dati della Dda segnalano "pesanti infiltrazioni di gruppi criminali, soprattutto di matrice camorristica, nella provincia di Latina e in particolare sul litorale pontino". Inoltre il Lazio figura come la prima regione italiana per sequestro di stupefacenti (6 mila chili) e la seconda per operazioni antidroga (2.862). In aumento (più 186 fascicoli), anche i delitti di violenza sessuale e di violenza domestica.

Palermo. Critica la situazione delle carceri anche del distretto giudiziario di Palermo. Come emerge dalla relazione del presidente della Corte d'Appello, Vincenzo Oliveri, i detenuti sono passati da 3.440 a 3.284, con un calo di 156 unità. Ma "la definitiva sconfitta della mafia comincia ad apparire un risultato possibile anche se non a breve scadenza", ha detto Oliveri. I dati dimostrano che i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso sono in progressiva diminuzione (-19%), tra luglio 2011 e giugno 2012: 87 i casi registrati in questo ultimo periodo, a fronte di 107 in quello precedente e 145 tra il 2009 e il 2010. Tuttavia il potere di Cosa nostra, saldamente radicato nel territorio anche attraverso "lo sfruttamento del tessuto economico mediante pizzo e messe a posto" non deve essere sottovalutato. Dalle indagini in corso emergono - ha aggiunto - frequenti anomali contatti fra esponenti mafiosi agrigentini e trapanesi: ciò fa pensare a una perdurante ricerca di intese e nuovi equilibri. In questo senso - conclude - nel contrasto a Cosa nostra emergono due priorità: la sollecita cattura di Messina Denaro e la veicolazione in sede politica di precisi ed inequivocabili segnali che facciano crollare ogni possibile speranza di attenuazione del sistema repressivo o, peggio, di generalizzata revisione dei processi".

Salito considerevolmente anche il numero delle istanze di fallimento presentate da imprese che non reggono alla crisi economica. In tutto il distretto giudiziario di Palermo, ne sono state presentate 1.014, tra luglio 2011 e giugno 2012 (nel periodo precedente erano state 844). A Palermo, per esempio, sono 142 i fallimenti dichiarati, a fronte delle 489 istanze presentate (ne restano altri 2.053 pendenti). La durata dei processi fallimentari è esorbitante: a Palermo, in media, ci vogliono 5.277,08 giorni, ovvero 14 anni. Quasi raddoppiate, soprattutto a Palermo, i fascicoli aperti per presunti casi di malasanità. Per quanto riguarda le carenze di organico, sono evidenti. Complessivamente, per tutto il distretto giudiziario, su 529 posti previsti mancano 57 persone in organico. Numerose anche gli imbrogli alla Ue: dal luglio del 2011 al giugno del 2012, si è registrato un boom di frodi comunitarie (+77%)

Torino.
Tre presidi di protesta davanti al tribunale di Torino in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, a cui presenzia anche il ministro della Giustizia Paola Severino (FOTO). Il primo presidio è del Pd. Il procuratore generale di Torino, Marcello Maddalena, ha ringraziato il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: "Senza la sua presenza - ha detto - e i suoi continui interventi sui temi della giustizia, oggi la magistratura italiana non continuerebbe a godere di quello status di autonomia dell'ordine giudiziario e di indipendenza dei singoli magistrati assicurato dai nostri padri costituenti".

Napoli.
Emergenza criminale in crescita. La ripresa degli omicidi, senza includere la recente guerra di Scampia, segna un 18% in più rispetto al 2011. Aumentano del 29,7% i reati associativi, del 18% le estorsioni e del 16% le bancarotte fraudolente. E nella criminalità organizzata si affaccia sempre più la "camorra rosa". "Le donne delle famiglie - spiega il presidente Buonajuto - senza alcuna remora e imponendo un'ormai raggiunta parità di genere, assumono il comando dei clan e assicurano la continuità dell'impresa familiare alimentandone ogni potenzialità criminale".

Firenze.
Il presidente della Corte d'Appello di Firenze, Fabio Massimo Drago, ha messo in evidenza l'aumento delle "controversie nei confronti della pubblica amministrazione, con particolare riguardo al settore scolastico: tale contenzioso, molto spesso, è originato dai problemi del cosiddetto precariato", legate "al divieto di conversione del rapporto a termine in rapporto di pubblico impiego". Grave anche la problematica del sovraffollamento delle carceri: "Si consideri solo che rispetto alla media nazionale che è del 155%, a Sollicciano il sovraffollamento sfiora il 200%". "Anche le cause di mobbing - ha aggiunto - sia nel settore privato sia pubblico, sono in costante aumento". "Fra gli aspetti più preoccupanti,
l'aumento del 400% di omicidi colposi commessi a causa della violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale".

Il barone dell’Eternit non vuole pagare


“Insostenibile risarcire le vittime”



I legali del belga Louis de Cartier hanno presentato la richiesta di sospensione del pagamento
alberto gaino
Devono risarcire le vittime dell’Eternit ma non vogliono farlo, e ora anche i difensori del barone belga Louis de Cartier, prossimo ai 92 anni d’età, mettono nero su bianco dei «motivi aggiuntivi» d’appello, presentati ieri, la richiesta di sospensione del pagamento di 89 milioni di euro. «Somma insostenibile» scrivono il professor Carlo Enrico Paliero, docente universitario di diritto penale a Pavia, e l’avvocato Cesare Zaccone.

Se si dovessero riscuotere le provvisionali stabilite dal tribunale con la sentenza di primo grado attraverso le modalità, sia pure costose, delle esecuzioni forzate da parte delle parti civili, «i danni che ne deriverebbero al cliente sarebbero irreparabili».
«Danni irreparabili»
Perché, e qui si entra nel merito del nuovo processo, «mancano la prova delle malattie professionali e il nesso causale con il ruolo di De Cartier» al vertice della multinazionale dell’amianto sino all’inizio degli anni 70. L’avvocato Zaccone getta acqua sul fuoco: «E’ stata un’idea del collega e l’abbiamo praticata, non credo che la Corte si esprimerà prima della sentenza».

In ogni caso i due imputati «rispondono in solido»: vuol dire che dove si trovano i soldi, non importa se dell’uno o dell’altro, si cercano di prenderli. A Casale Monferrato Bruno Pesce racconta dei tentativi di far intervenire il governo: «Le procedure di esecuzione all’estero sono piuttosto onerose, solo per la traduzione degli atti nelle lingue di de Cartier e Schmidheiny la spesa è di 70 mila euro. L’Inail che ha diritto a una provvisionale di 15 milioni farebbe da capofila alle singole vittime. Occorre l’autorizzazione del governo e contiamo che nel nuovo piano nazionale sull’amianto vi sia».
«Riazzerare il processo»
Le condanne a 16 anni ciascuno dei due imputati fanno evidentemente meno paura dei risarcimenti «immediatamente esecutivi». Nelle 700 pagine dei motivi di appello, almeno in quelli di Stephan Schmidheiny, ve n’è una che interpreta la sentenza di primo grado in questo modo: siccome i giudici scrivono che il disastro e le omissioni dolose di norme antinfortunistiche rispetto all’uso dell’amianto hanno avuto come conseguenza la morte di 2000 persone, «competente a giudicare è solo la Corte d’Assise». Si deve ripartire da capo, e cioè da nuovi capo di imputazione, udienza preliminare, processo di primo grado e semmai altro appello.
Il via il 14 febbraio
Il professor Davide Petrini affronterà la questione per le parti civili: «Per ora dico che per tutti i grandi disastri, dall’Ipca di 30 anni fa a Sarno e a Porto Marghera, si è fatto come nel processo Eternit». Dal 14 febbraio, tre udienze a settimana, lotta dura sui banchi dell’appello contro i vertici della multinazionale dell’amianto: enormi interessi sono in gioco.

giovedì 24 gennaio 2013

“Mps ci ha nascosto i documenti”


Bankitalia: operazioni all’esame dei pm. Maroni: l’Imu salverà
la banca del Pd. Alfano: Monti coccola il credito


francesco spini
milano
Il caso del Monte dei Paschi di Siena - travolto dalla bufera che ha portato alle dimissioni dalla presidenza dell’Abi l’ex numero uno Giuseppe Mussari - scuote la politica e tira in ballo le istituzioni di vigilanza. Mentre la banca, con l’amministratore delegato Fabrizio Viola, a SkyTg24 dice che «l’ipotesi nazionalizzazione non è nelle nostre agende», Banca d’Italia reduce da anni di monitoraggio su Siena (fino a favorire il ricambio dei vertici dell’anno scorso), con una nota sottolinea che la «vera natura» delle operazioni al centro dell’ultimo caso Mps «è emersa solo di recente, a seguito del rinvenimento di documenti tenuti celati all’Autorità di Vigilanza» e «portati alla luce» dai nuovi dirigenti.
Viola conferma e testimonia l’assenza di una «corretta contabilizzazione» e di una «corretta gestione dei documenti» delle operazioni. Che ora Bankitalia sta esaminando «in piena collaborazione» con la magistratura, e con la cooperazione degli attuali vertici. Questo però non sopisce le voci di un prossimo commissariamento della banca, sia pure concordato e pilotato. Voci che però, allo stato, non trovano riscontri in Bankitalia. E mentre piovono ancora vendite sul titolo (ieri a -8,43%), si muove anche Consob, che - mentre tiene costanti contatti coi vertici - si prepara a convocare sindaci e revisori presenti e passati, Kpmg e Ernst&Young. E la banca (come la fondazione) attende pezze d’appoggio per agire contro gli ex vertici.

L’attuale presidente di Mps, Alessandro Profumo, spiega al Tg1 che «ci muoveremo» nella «misura in cui ci saranno gli estremi per tutelare il valore patrimoniale» dell’istituto. Ricorda il lavoro di «trasparenza» fatto nell’ultimo anno, dicendosi «certo che col lavoro che stiamo facendo torneremo ad avere la reputazione che meritiamo». I calcoli sugli impatti patrimoniali saranno portati in in cda non prima del 6 febbraio, l’esame è in corso. Con un comunicato Rocca Salimbeni fa sapere che, a fronte delle tre operazioni che hanno ridestato il terremoto (due investimenti in Btp a lunga durata finanziati con operazioni di pronti contro termine, «Santorini» e «Alexandria», e un derivato con sottostante il rischio sovrano, «Nota Italia») ritiene di essere «in condizioni di assorbire, dal punto di vista patrimoniale, le conseguenze».

La questione Mps entra nella campagna elettorale. Attacca Roberto Maroni (Lega): «Monti ha messo l’Imu, 4 miliardi di gettito, per finanziare Mps e cercare di salvare la banca del Pd: è uno scandalo, una vergogna». E secondo Angelino Alfano, Pdl, «Monti ha coccolato le banche e ha dato schiaffi al ceto medio». Per la sintesi c’è Beppe Grillo (5stelle): «Il Pd non è più un partito, è una banca». Bersani fa scudo, Renzi ammette «responsabilità evidenti di chi ha governato Siena». E Viola difende la natura dei 3,9 miliardi di «Monti Bond»: «Per lo Stato è un investimento finanziario, non una spesa». Un «prestito» che sarà rimborsato «fino all’ultimo euro». Resta il nodo-successione all’Abi: in pole per il dopo Mussari resta Antonio Patuelli.

Napoli, preso boss polacco: doveva incontrare il superlatitante di Scampia



Gli inquirenti sapevano che era in Italia per stabilire
contatti con Marco Di Lauro, figlio "Ciruzzo ’o Milionario"
 
di Marco Di Caterino
 
NAPOLI - I carabinieri lo cercavano da mesi. Un boss della mafia polacca, narcotrafficante di prim’ordine, latitante da cinque anni, inseguito da un mandato di cattura internazione. Gli inquirenti sapevano che era in Italia e sapevano anche il perché. Per stabilire contatti con Marco Di Lauro, figlio di Paolo (Ciruzzo ’o Milionario), latitante da otto anni e attuale capoclan, l’uomo più potente della Scampia criminale. Rafal Blonsky, 32 anni, (condannato a cinque anni di galera in patria, per traffico di droga), è stato arrestato a Casavatore, nella piazza di spaccio di via Vico (roccaforte dei girati), mentre tentava di allontanarsi in fretta e furia, a bordo di uno scooter.

Gli inquirenti, ritengono, che avesse appena terminato di partecipare ad un summit di mammasantissima. Per definire tempi, modi e organizzazione, di spedizioni di droga sull’asse Scampia – paesi dell’Est Europei, dove nel recente passato proprio Paolo Di Lauro aveva gettato solide basi economiche e aperto i canali illegali di approvvigionamento di quantità industriali di stupefacenti. Gli inquirenti sospettano addirittura che al summit abbia potuto partecipare lo stesso Marco Di Lauro.

Ma su questo particolare, gli inquirenti si sono chiusi in uno stretto riserbo. L’operazione, svolta dai carabinieri della compagnia di Casoria, diretta dal maggiore Gianluca Migliozzi e dai militari della caserma di Casavatore, diretta dal luogotenente Rosario Tarocchi, è scattata nel tardo pomeriggio di ieri, quando gli inquirenti hanno avuto la certezza della presenza in zona del narcotrafficante latitante. E i carabinieri hanno preso a controllare, con molta cautela e discrezione, la palazzine popolari di via Vico.

Questo complesso di edilizia popolate è un vero fortino. In mano ai girati, che controllano in modo maniacale tutti i residenti, costretti a chiedere il permesso ai pusher.

E nel corso del servizio, i carabinieri, hanno individuato anche l’ennesima piazza di spaccio, sorvegliata da una vedetta di appena sedici anni, (appena uscita dall’obbligo di permanenza in casa – che sono di fatto arresti domiciliati per i minorenni), che nonostante una frattura al piede, faceva da sentinella poggiandosi sulle stampelle. Con il minore sono stati arrestati Agusto Giustino, 24 anni di Casoria ( figlio di Antonio, un killer al soldo del clan Moccia, condannato all’ergastolo e morto suicida nel carcere di Lecce, il trenta luglio dello scorso anno) e Giuseppe Mazza, 20 anni, pregiudicato di Casavatore, che dopo la firma in caserma andava a spacciare. Ai tre i militari hanno sequestrato una decina di buste di marijuana e circa 500 euro in contanti.

La confusione creatasi al momento dell’arresto, ha indotto il latitante a tentare di allontanarsi dalle palazzine popolati di via Vico, dove abitano alcuni pezzi da novanta dei girati. Il sospetto è che, per garantire la fuga del boss dell’Est, quelli di « ‘o sistema» abbiamo voluto di proposito «bruciare» una piazza di spaccio, impegnare così i carabinieri e dare via libera al ricercato.

E il piano, era quasi riuscito. Perchè Rafal Blonsky, chissà per quale sentiero misterioso era pure riuscito ad allontanarsi dal rione delle case popolari, ma è poi incappato in un posto di blocco dei carabinieri.

Scontri in piazza a Napoli, arrestati esponenti dell'estrema destra



Coinvolti due candidati alle elezioni: c'è anche la figlia di un ex senatore. Tra le accuse: lesioni a pubblico ufficiale ed attentati
NAPOLI - Esponenti dell’estrema destra accusati di aver partecipato a scontri di piazza a Napoli e a numerose aggressioni nei confronti di avversari politici sono stati arrestati all'alba in un'operazione dei Carabinieri dei Ros nel capoluogo campano. Le misure cautelari riguardano in tutto una diecina di persone accusate di banda armata, detenzione e porto illegale di armi e di materiale esplosivo, lesioni a pubblico ufficiale ed attentati incendiari.

Arresti in Campania. L'operazione è scattata nelle province di Napoli, Salerno e Latina e riguarda un’associazione sovversiva riconducibile a esponenti della destra extraparlamentare di Napoli. I provvedimenti cautelari sono stati emessi dal gip di Napoli su richiesta della Direzione Distrettuale nei confronti dei maggiori esponenti dell’organizzazione. Sono accusati di aver organizzato e pianificato scontri di piazza nella primavera del 2011 a Napoli.

Antisemitismo. I destinatari delle misure cautelari sono accusati, tra l'altro, di banda armata, detenzione e porto illegale di armi e materiale esplosivo, lesioni, aggressione a pubblico ufficiale e riunione non autorizzata in luogo pubblico, progettazione e realizzazione di attentati con lancio di bottiglie incendiarie contro un centro sociale di Napoli, manifestazioni non autorizzate presso la Facoltà di Lettere a Napoli, aggressioni di tipo «squadrista» contro avversari politici e sistematico indottrinamento di giovani militanti all’odio etnico e all'antisemitismo.

Figlia ex senatore ai domiciliari. Arresti domiciliari per Emmanuela Florino, figlia di un ex senatore di An e candidata alla Camera con Casapound Italia, nell'ambito dell'indagine partita dagli scontri tra gruppi di destra e di sinistra verificatisi a Napoli nel 2011. Custodia cautelare in carcere invece per un'altra persona che sarebbe candidata nelle liste di Forza Nuova e per un altro esponente di Cpi.

Stupri e attentati. Secondo l'accusa alcuni degli arrestati avrebbero pianitficato uno stupro di gruppo su una studentessa napoletana appartenente alla comunità ebraica ed un attentato incendiario contro un'attività commerciale del centro di Napoli.

Sgominato un cartello di imprese del clan Tegano


Che imponeva forniture alimentari a negozi reggini
Scattato all'alba un blitz delle forze dell'ordine coordinato dalla Dda che ha portato all'arresto di due noti imprenditori della città ritenuti collusi con la potente cosca: erano parte di un'organizzazione che costringeva aziende sane ad acquistare beni e servizi dalle imprese della famiglia criminale. Sigilli a un ingente patrimonio
Scattato all'alba un blitz delle forze dell'ordine coordinato dalla Dda che ha portato all'arresto di due noti imprenditori della città ritenuti collusi con la potente cosca: erano parte di un'organizzazione che coinvolgeva l'ex consigliere comunale Suraci e che costringeva aziende sane ad acquistare beni e servizi dalle imprese della famiglia criminale. Sigilli a un ingente patrimonio

REGGIO CALABRIA - Sgominato un cartello di imprese creato dalla cosca, grazie al quale venivano imposte le forniture di beni e servizi a società sane e pulite della città di Reggio Calabria. I finanzieri del Gico del Nucleo di Polizia Tributaria, i carabinieri del comando provinciale e gli uomini del centro operativo Dia, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria stanno eseguendo l’arresto di due noti imprenditori di Reggio Calabria, Giuseppe e Barbara Crocè, padre e figlia, e sequestrando beni, in Calabria, Lombardia e nel Lazio, per un valore di circa 30 milioni di euro.

Gli imprenditori secondo l'accusa sarebbero collusi con la potente cosca Tegano. I sigilli sono stati apposti a numerose attività commerciali, con relativo patrimonio aziendale.
L'inchiesta è la prosecuzione dell’operazione che, nel luglio scorso, aveva portato all’arresto dell’ex consigliere comunale di centrodestra di Reggio Calabria Dominique Suraci, ritenuto dagli inquirenti il referente della cosca Tegano nel settore della grande distribuzione alimentare e l’interlocutore politico del clan.
Le indagini di Dia, coordinate dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria Michele Prestipino e dal pm della Dda Stefano Musolino, hanno portato ad affermare che Crocè e la figlia Barbara avrebbero tenuto fede ai patti assunti nel settore della grande distribuzione alimentare da Suraci con i Tegano attraverso contratti di fornitura con imprese riconducibili alle singole cosche cittadine: dal pane alla frutta e verdura, dalle bevande ai prodotti lattiero-caseari, dai tabacchi alle uova. Imprenditori che, per la Dda reggina, hanno lavorato sotto la protezione delle più importanti cosche di Reggio riuscendo così ad accaparrarsi enormi fette di mercato e accumulando patrimoni con modalità illecite. Tra i beni sequestrati figurano anche attività commerciali riconducibili, secondo l’accusa, a Suraci, che in alcuni casi erano «schermate» da società fiduciarie anche di diritto estero.
Secondo gli investigatori il controllo, da parte dei Tegano, di queste società dimostra, «ancora una volta, quanto la 'ndrangheta sia forte ed in grado di infiltrarsi in attività economiche lecite, essenziali per l’economia cittadina». Un’aggressione all’economia legale avvenuta, sostengono ancora gli investigatori, «grazie al ruolo di soggetti che non sono mafiosi ma che con la mafia stringono patti collusivi, la cosiddetta "zona grigia", e che prestano le proprie capacità professionali ed imprenditoriali all’affermazione ed alla realizzazione degli interessi criminali». Ed in questo contesto l’utilizzo del sistema dei trust «è un chiaro segnale del salto di qualità della criminalità organizzata calabrese».

Mafia a Canicattì, sequestro da 14 milioni


I sigilli sono stati apposti a aziende agricole, fabbricati, terreni, autovetture, conti correnti, trattori e mezzi agricoli appartenenti a Calogero Ferro, accusa di avere avuto rapporti anche con Bernardo Provenzano


di DONATA CALABRESE
CALTANISSETTA. Beni per 14 milioni di euro sono stati sequestrati ad un “uomo d’onore” di Canicattì. I sigilli sono stati apposti a aziende agricole, fabbricati, terreni, autovetture, conti correnti, trattori e mezzi agricoli appartenenti a Calogero Ferro, 58 anni di Canicattì. Il provvedimento è stato eseguito dai finanzieri del Nucleo di Polizia Tributaria di Caltanissetta appartenenti al G.I.C.O. (Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata).
A disporlo è stato il disposizione Tribunale di Agrigento su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo. Ferro, condannato nel 1993 a 5 anni di reclusione, per associazione mafiosa risulta inserito a pieno titolo all’interno di Cosa nostra.
Avrebbe avuto rapporti anche con Bernardo Provenzano. Nel mirino sono finiti esattamente 2 aziende, 269 ettari di terreni siti in agro dei comuni di Butera e Canicattì, 2 fabbricati, 4 autoveicoli, 4 macchine agricole, 7 rapporti bancari.

mercoledì 23 gennaio 2013

Progettavano una spettacolare fuga dal carcere


 Con tanto di elicottero: 4 arresti

Il velivolo avrebbe dovuto sorvolare il cortile del penitenziario
di Tolmezzo durante l'ora "d'aria" e prelevare due detenuti


UDINE - Avevano pianificato nei dettagli un progetto di evasione dal carcere di Tolmezzo con tanto di elicottero e grazie anche a un traffico di hashish e armi. Per questo motivo quattro persone sono finite in manette - i carabinieri del Ros stanno eseguendo i provvedimenti cautelari in questi momenti - con l'accusa di tentata evasione, corruzione, traffico di droga e armi.

L'operazione, che comprende anche 12 perquisizioni nei confronti di altrettanti indagati in stato di libertà, in Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Piemonte.

L'elicottero, secondo quanto accertato dalle indagini - sviluppate in collaborazione con il comando della polizia penitenziaria locale e d'intesa con la Direzione centrale per i servizi antidroga - avrebbe dovuto essere utilizzato per sorvolare il cortile del carcere e prelevare due detenuti durante il periodo "d'aria" giornaliero.

Il piano. I familiari di due detenuti avrebbero noleggiato l'elicottero al vicino eliporto di Tolmezzo fingendosi ricercatori universitari. Il piano prevedeva, una volta in volo, il sequestro del pilota che avrebbe dovuto condurre il velivolo sopra il carcere e, proprio come in un film d'azione, gettare una scaletta in corda lungo la quale i due detenuti avrebbero dovuto issarsi. In questo modo - era il piano - avrebbero anche eluso posti di blocco e inseguimenti.

Un agente corrotto nel carcere. Le indagini dei carabinieri del Ros di Udine sono cominciate dopo la scoperta da parte della polizia penitenziaria, di un agente corrotto in servizio nel carcere. Questi aveva portato in carcere droga e armi bianche. L'agente è stato trasferito ad altro servizio e sostituito da un altro agente della penitenziaria e da un carabiniere dei Ros sotto copertura i quali hanno assistito all'ingresso in carcere di 100 grammi di hashish e di quattro coltelli a serramanico, consegnati in due occasioni dal fratello di uno dei due detenuti.

Boss ergastolano scarcerato per decorrenza dei termini


Uscì e mandò i suoi uomini a vessare un imprenditore

Giuseppe Belcastro, ritenuto capo della cosca di Sant'Ilario sullo Jonio, era stato scarcerato per decorrenza dei termini nel 2010 con una vicenda che fece clamore. E dal 2011 i suoi uomini imposero il pizzo e l'assunzione di affiliati della cosca a un imprenditore: doveva pagare gli stipendi ma loro non andavano a lavorare


REGGIO CALABRIA – Era un ergastolano, ma nel dicembre 2010 per decorrenza dei termini di custodia cautelare, perchè le motivazioni del processo d’appello erano state depositate quattro anni e mezzo dopo la sentenza. E una volta uscito dal carcere, insieme ad altre quattro persone ha vessato un imprenditore, estorcendo soldi e imponendo l'assunzione di persone. Stamattina sono finiti tutti in manette. Si tratta di Antonio Galizia (24 anni), Giuseppe Nocera (50), Domenico Musolino (57) e Ivano Tedesco (50). E, appunto, di Giuseppe Belcastro, 57 anni ritenuto il boss dell’omonima cosca, operante a Sant'Ilario sullo Jonio.
IL BOSS CHE FECE SCATTARE UNA FAIDA - Belcastro era stato condannato all’ergastolo nel marzo 2006 dalla Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria a conclusione del processo sulla faida di Sant'Ilario, durata oltre 17 anni, tra le famiglie dei D’Agostino da una parte e dei Belcastro-Romeo dall’altra. Ma le motivazioni di quella sentenza furono depositate solo nel dicembre 2010, provocando la scarcerazione di Belcastro. Dopo essere uscito dal carcere, Belcastro fu avviato alla pena alternativa nella casa di lavoro di Sulmona. Quindi il Tribunale di sorveglianza dell’Aquila dispose nei suoi confronti la trasformazione della misura in libertà vigilata per due anni e Belcastro tornò a Sant'Ilario. La scarcerazione di Belcastro provocò scalpore e polemiche otre all’intervento dell’allora ministro della Giustizia Angelino Alfano e del procuratore generale presso la Cassazione. Belcastro, ritenuto capo indiscusso della cosca, è considerato colui che dette inizio allo scontro con i D’Agostino con i quali era precedentemente federato e dei quali, secondo l'accusa, era il braccio destro e killer. Per porre fine allo scontro, che ha provocato numerosi omicidi, intervennero i vertici dei clan dominanti a Locri e Siderno.
I SOLDI DELL'IMPRENDITORE - Ora l'inchiesta "Doville" della Squadra Mobile diretta dal primo dirigente Gennaro Semeraro, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, ha permesso di documentare come gli indagati avessero esercitato pressanti richieste nei confronti di un imprenditore locale affinchè corrispondesse, in maniera continuativa e sistematica, le ingenti somme di denaro necessarie a pagare il «pizzo». E secondo il procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri ed il pm della Dda Antonio De Bernardo, che hanno firmato i provvedimenti di fermo, il denaro estorto finiva proprio a Belcastro. L’imprenditore è stato costretto ad assumere come braccianti agricoli alcuni affiliati alla cosca oltre a dover pagare direttamente somme di denaro. Circostanze che l’imprenditore ha denunciato alla polizia. Gli assegni usati per pagare gli stipendi, nonostante gli assunti non si recassero al lavoro, venivano portati all’incasso da uno degli indagati, che poi girava il denaro a Belcastro. Dalle indagini è emerso anche che l’imprenditore, che opera nel settore dell’assistenza agli animali, quando ha deciso di licenziare coloro che aveva assunto fittiziamente, sarebbe poi stato costretto a pagare ai fermati mille euro al mese. Una vicenda che ha avuto inizio dal dicembre del 2011

'Ndrangheta, quattro arresti a Soverato


Mandanti ed esecutori dell'omicidio Ierinò

 
 
Quattro ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite da carabinieri in relazione ad un mandato di arresto nei confornti di altrettante persone perché ritenute responsabili in qualità di mandanti ed esecutori dell'omicidio di Cosimo Ierinò avvenuto a Badolato il 12 agosto 2008. Si tratta di presunti esponenti di cosche operanti nel basso Jonio catanzarese

SOVERATO (CZ) – I Carabinieri hanno eseguito 4 ordinanze di custodia cautelare nei confronti di mandanti ed esecutori dell’omicidio di Cosimo Ierinò avvenuto a Badolato, il 12 agosto 2008 a causa di dissidi fra cosche. I provvedimenti sono stati emessi dal Gip del tribunale di Catanzaro a carico di esponenti e reggenti di cosche di 'ndrangheta operanti nei comuni del basso jonio catanzarese. Maggiori dettagli verranno forniti nel corso della conferenza stampa presso il comando provinciale Carabinieri di Catanzaro.
Gli arrestati sono Cosimo Spatari 52 anni, Cosimo Giuseppe Leuzzi 59, Andrea Sotira 35 e Vincenzo Gallace 66. Tutti già detenuti per altra causa.
Ierinò, operaio di 39 anni, originario di Stignano lavorava come autista di una ruspa al porto di Badolato “Bocche di Gallipari” ed è stato ucciso con otto colpi di fucile caricato a pallettoni. Aveva appena terminato il suo lavoro ed era salito da poco sull'auto di proprietà della moglie, Monica Gallelli, una Polo Wolksvagen per rientrare a casa. In quel momento qualcuno si sarebbe affiancato all'auto ed avrebbe sparato. A quel punto l'uomo in preda al panico avrebbe tentato prima di ingranare la retromarcia e poi di scendere dall'auto per sfuggire al suo destino. Ma i killer lo avrebbero raggiunto e freddato. O
Residente a Badolato Marina da un anno,Ierinò fino al 2004 aveva lavorato come autista per la ditta di Cosimo Luzzi, considerato vicino al clan Metastasio, a Stignano, solo da dieci giorni era alle dipendenze della ditta Ranieri che ha avuto in gestione il porto dalla società Salteg. Al momento dell'agguato i familiari dei Ranieri si trovavano al porto e che, spaventati dagli spari esplosi, si siano rifugiati negli uffici avvertendo la Compagnia dei carabinieri di Soverato al comando del capitano Giorgio Broccone e il tenente Giancarlo Russo.
Straziante la scena dell'arrivo della moglie di Ierinò, Monica, in stato avanzato di gravidanza, che ha scorto il cadavere del marito da lontano intuendo l'avvenuta tragedia. La donna è stata colta da malore e trasportata in ospedale. Cosimo Ierinò aveva già un altro figlio.
Il suocero della vittima è stato ucciso in un agguato 20 anni fa, nel centro abitato di Badolato da due killer in motocicletta, mentre rientrava nel carcere.

Videopoker manomessi dalla 'ndrangheta


Ventinove arresti in tutta Italiafin

Un boss della 'ndrangheta dall'Emilia, dove si trovava per scontare una misura di obbligo di firma, aveva allestito un traffico di video slot truccate che si estendeva non solo in Italia ma anche all'estero: 29 ordinanze di arresto e sequestro da 90 milioni di euro. E in un'intercettazione minacce al giornalista Tizian


BOLOGNA - Ventinove ordinanze di custodia cautelare, oltre 150 perquisizioni sequestri beni per oltre 90 milioni di euro affidati alla Guardia di Finanza nei confronti di appartenenti ad un’associazione a delinquere capeggiata da un importante boss della 'ndrangheta che dalla provincia di Ravenna dirigeva sul territorio nazionale ed estero, un’intensa attività illecita nel settore del gioco online e delle Video Slot manomesse. Il capo dell’organizzazione, Nicola Femia, originario della Calabria, trasferito in Emilia Romagna per scontare un provvedimento di «obbligo di firma», è pregiudicato per diversi reati, tra cui traffico internazionale di stupefacenti e armi.

LE MINACCE AL GIORNALISTA - In un'intercettazione l'organizzazione rivela la sua ferocia facendo riferimento al giornalista della Gazzetta di Modena Francesco Tizian, già finito in altre occasioni nel mirino della 'ndrangheta. «O la smette o gli sparo in bocca» ha affermato l'imprenditore Guido Torello dialogando con Tizian che si lamentaqva per gli articoli "fastidiosi".
IL BLITZ NELLE SALE DA GIOCO - L’associazione a delinquere dalla provincia di Ravenna, dirigeva sul territorio nazionale ed estero, anche attraverso estorsioni e sequestri di persona, l’attività illecita nel settore del gioco on line e delle video slot manomesse. L'organizzazione, secondo quanto accertato dai finanzieri, aveva la base operativa in Emilia e ramificazioni non solo in Italia (Lombardia, Piemonte, Veneto, Toscana, Lazio, Marche, Abruzzo, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna) ma anche in Romania e in Gran Bretagna. Il blitz scattato stamattina ha impegnato circa 800 finanzieri di diversi comandi italiani che stanno eseguendo le 29 ordinanze (18 delle quali di custodia cautelare in carcere) e 150 perquisizioni in numerose sale da gioco dove erano state piazzate dall’organizzazione le videoslot manomesse o dove era possibile collegarsi con i siti di gioco on line illegali.

Mafia, una cerimonia per ricordare Mario Francese


Sabato l’anniversario dell’assassinio del giornalista ucciso dalla mafia. L’Unci organizza una manifestazione che si svolgerà alle 9 davanti alla lapide che ricorda l'agguato, in viale Campania, a Palermo

 
PALERMO. Il prossimo sabato 26 gennaio ricorre l'anniversario dell'assassinio del giornalista Mario Francese. L'Unci-Unione nazionale cronisti italiani -Gruppo siciliano - organizza la cerimonia che si svolgerà alle ore 9 davanti alla lapide che ricorda l'agguato, in viale Campania, a Palermo. Saranno presenti i familiari del cronista assassinato, la vedova Maria assieme ai figli Giulio, Massimo e Fabio. «I cronisti italiani - dichiarano il presidente nazionale dell'Unci, Guido Columba, ed il presidente dei cronisti siciliani, Leone Zingales - ricordano Mario Francese, giornalista attento, scrupoloso, coraggioso. Francese era un cronista di razza che svolgeva il suo lavoro con passione, con la 'schiena drittà, senza guardare in faccia a nessuno. La sua figura sia da esempio per i giovani cronisti e le giovani generazioni in generale». Mario Francese, cronista di «giudiziaria» e di «nera» del Giornale di Sicilia, fu ucciso la sera del 26 gennaio 1979 mentre rincasava. I killer mafiosi del clan dei «corleonesi» lo attendevano in viale Campania. Fu ucciso a colpi di pistola dopo che aveva posteggiato la sua automobile e si apprestava a raggiungere il portone del palazzo in cui abitava. Negli anni '90, grazie anche al lavoro di ricerca svolto dal più piccolo dei suoi quattro figli, Giuseppe (morto suicida successivamente), i magistrati della Procura di Palermo ricostruirono tutta la vicenda.

Ponte sullo Stretto di Messina: continueremo a pagarlo

Un problema che vale 500 milioni di euro attanaglia il governo italiano: e la soluzione non sembra essere vicina



Il Ponte sullo Stretto di Messina divide da anni gli italiani, non solo siciliani, in favorevoli e contrari, ma potrebbe presto unirli tutti in nome dei soldi sprecati che ricadono sul contribuente. Come scrive l’Espresso, “il primo marzo scade l'aut aut del governo Monti per trovare una nuova intesa tra il general contractor Eurolink e la Stretto di Messina, società concessionaria dell'opera, alle condizioni imposte dalle legge. Unica via d'uscita che scongiurerebbe la fermata definitiva”.

Ma, come scrive il magazine, le premesse non sono certo positive, avendo Eurolink, “già portato il governo italiano di fronte alla Corte di giustizia europea e di fronte al Tar per violazione dei vigenti impegni contrattuali”. A quanto ammonterebbe quindi la violazione in termine di penale? La cifra è forte: 450 milioni di euro. Una cifra che intascherebbe senza aver mai dato il via ai lavori, e che potrebbe ispirare pretese simili da parte di altre società e soggetti che hanno motivi di batter cassa: si va dai proprietari terrieri, i cui beni sono stati vincolati per un decennio ai fini della costruzione; poi i milioni di euro, 300 secondo l’Espresso, investiti nel capitale della società Stretto da Anas, Rfi, Regione Siciliana e Calabria. Infine, tutti i soldi spesi per monitorare l’area a livello ambientale.

Congelare i problemi con un decreto legge che impone un’intesa tra le parti entro il primo marzo è stato un tentativo; diversamente si dovrebbe mettere mano agli indennizzi. Sperare in un privato che, nel biennio di stand by, partecipi all’impresa è utopico, non essendo più l’opera una priorità per nessuno.
I mali partono da lontano, ovvero dalle promesse e dalle inadempienze che i vari governi non hanno saputo evitare. Anche decidere per legge, di non fare più il ponte, non basterrebe ad evitare i ricorsi in tribunale come da timore dell'Authority di vigilanza sui contratti pubblici, che ha aperto un’istruttoria sugli impegni contrattuali presi dalla società Stretto di Messina.

Secondo quanto dichiarato all’Espresso da Pietro Ciucci, amministratore delegato della Stretto di Messina e amministratore unico del suo azionista di maggioranza, cioè l'Anas, “il decreto ci dà ancora il tempo per cercare i finanziamenti. Di fronte a una situazione straordinaria, ferma l'orologio del contratto, ma dice che l'opera il governo la vuole fare. E ora possiamo andare a cercare i denari sul mercato”. In quanto alle penali secondo Ciucci, il contratto prevede sì una penale massima sui 400-500 milioni, ma solo se la stazione appaltante cancella il contratto senza motivo.

Se si dimostra invece che non ci sono le condizioni finanziarie per realizzare l’opera “la penale può arrivare a zero”, ovvero “qualora la congiuntura finanziaria internazionale non consenta la effettiva bancabilità del progetto”, ma la clausola, scrive il Fatto quotidiano, continua così: “a condizione che il progetto definitivo sia stato approvato dal Cipe”, ovvero il Comitato Interministeriale per la programmazione economica. L’obiettivo insomma è cercare un nuovo strumento per attirare i finanziatori e la formula potrebbe essere quella, per la Stretto di Messina, di emettere obbligazioni che sono di fatto parificate ai Bot, con prelievo fiscale ridotto e garanzia pubblica.