lunedì 31 marzo 2014

La Commissione Antimafia apre l’inchiesta sui “testimoni di giustizia”




Sono arrivato in Parlamento sperando di poter far parte della Commissione Antimafia. Sono entrato in Commissione Antimafia sperando di potermi occupare dei “testimoni di giustizia”.
Ringrazio la Presidente Bindi di avermi dato questa opportunità, nominandomi coordinatore del V Comitato della Commissione, che ha tra i suoi obiettivi proprio questo.
Siamo intesi che questo è quello dal quale prenderemo le mosse.

In Italia la denuncia rappresenta ancora una sfida, un valore da inverare pienamente attraverso i comportamenti tanto delle Istituzioni, quanto dei cittadini. La forza delle mafie è soprattutto culturale e nel codice mafioso “l’alfa” è senz’altro l’omertà: farsi i fatti propri. Guai a chi rompe il vincolo: chi parla è un infame, meritevole della peggior morte.

“Denunciare” significa riferire di crimini che si sono visti commettere o che si sono concretamente subiti. Ma “denunciare” significa anche rompere con certi sodalizi e avere il coraggio di prendere altre strade. Denunciare, insomma, è tanto contribuire alle indagini con ciò che si sa e che si mette a disposizione della magistratura, quanto contribuire alla giustizia, sfilandosi dalla rete di relazioni criminali: un tessuto lacerato, è un tessuto indebolito.


L’inchiesta della Commissione procederà su un doppio binario. Da un lato ascolteremo coloro che sono responsabili della tutela: il Vice Ministro dell’Interno, la Commissione Centrale, il Servizio Centrale, ma anche la DNA per capire quali sono i criteri usati per stabilire chi sia ad aver bisogno di tutela. Approfondiremo il funzionamento del sistema che dall’accoglienza del testimone, conduce fino al suo pieno reinserimento nella vita normale, al termine dei processi. Verificheremo tempestivamente l’iter di attuazione delle nuove norme per l’inserimento lavorativo dei testimoni.
Dall’altro lato ascolteremo i testimoni stessi: quelli che sono attualmente nello speciale programma di protezione, quelli che ne sono usciti con la capitalizzazione, quelli che non sono voluti entrare, preferendo essere tutelati in loco. Approfondiremo la qualità del rapporto tra testimone e apparati, la qualità della vita dei testimoni durante la protezione e anche la qualità della loro vita successiva ai processi e alla capitalizzazione.

Oggi, 31 Marzo, ricordiamo Renata Fonte, assassinata nel 1984 a Nardò, dove era da due anni assessore alla cultura e all’istruzione. Renata Fonte si oppose alla speculazione edilizia che mirava a fare di Porto Selvaggio, un luogo privato, per soli ricchi. Oggi, grazie alla denuncia caparbia di Renata, Porto Selvaggio è un parco pubblico a disposizione di ogni cittadino. Con questa coscienza, che diventa impegno a fare ciascuno la propria parte in spirito di servizio, auguro a me stesso e agli altri membri del Comitato, buon lavoro.

Davide Mattiello

http://davidemattiello.it/post/81279701892/la-commissione-antimafia-apre-linchiesta-sui

sabato 22 marzo 2014

liliumjoker con circa 4 milioni di visitatori

Questo blog di notorietà internazionale "Cosca dei Pidocchi", con un archivio storico di oltre 65.000 articoli, per protesta contro uno “Stato Latitante” non verrà aggiornato.

Il mio blog http://liliumjoker-liliumjoker.blogspot.com/  ha acquisito nell’arco di questi anni un’ottima notorietà internazionale, con circa 4 milioni di visitatori da tutto il mondo seguito in 160 nazioni, da tutte le università, associazioni o enti, da gente comune, da vittime o carnefici, da curiosi.
Mi onorano spesso le visite delle più alte cariche dello Stato che visitano i miei siti, non so se per curiosità o interesse. Alcuni dei miei blog sono stati mandati in tilt da hacker, forse parenti di mafiosi .
Quotidianamente sbeffeggio la “cosca dei pidocchi”, questa sporcizia che ci aveva accerchiato. Scese in campo un esercito contro tre fratelli che lavoravano onestamente, in un paese dove le connivenze erano all’ordine del giorno.

Molti giovani che seguono quotidianamente il mio blog sono attivissimi in prima linea nel volontariato e a contrastare tutto ciò che rappresenta la criminalità organizzata e politica corrotta.

XIX Giornata contro le mafie, 100.000 persone a Latina

Questo blog per protesta contro uno
     “Stato Latitante” non verrà aggiornato.

                        liliumjoker

Tante le “ VITTIME INNOCENTI ” assassinate dallo STATO con la complicità della MAFIA.


 
21/03/2014, di (modificato il 22/03/2014 alle 4:39 pm).
Latina è stata invasa da 100.000 persone per la giornata nazionale contro le mafie di Libera. Tutti insieme per la XIX edizione della Giornata dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie organizzata da Libera e Avviso pubblico. In molti sono arrivati in bici con l’iniziativa “Transumanza per la legalità“, una pedalata contro le mafie con partenza da Borgo Sabotino. Tanti i giovani che hanno aderito alla manifestazione colorata.
Il corteo ha sfilato per le strade di Latina, in testa Don Ciotti. Presenti, tra gli altri, il presidente del Senato Pietro Grasso, il procuratore Giancarlo Caselli, la presidente della commissione antimafia Rosy Bindi, il vescovo di Latina Monsignor Mariano Crociata, e il sindaco di Latina Giovanni Di Giorgi. Nel corso degli interventi dei relatori, dal palco allestito per l’occasione, sono stati letti i nomi delle 900 vittime della mafia.



L’enorme corteo ha raggiunto piazza del Popolo dove vengono letti i nomi delle vittime della mafia. I manifestanti hanno invaso la città con slogan e striscioni. Tanti studenti, associazioni, cittadini che hanno voluto urlare il loro no alla criminalità.

In piazza del Popolo, Don Luigi Ciotti ha parlato a lungo sottolineando i tanti misteri ancora irrisolti, tra i quali il delitto Don Cesare Boschin. Ha poi evidenziato i troppi casi di prescrizione nei processi.

DON LUIGI CIOTTI. «Siamo venuti qui per affetto, stima e riconoscenza per questo territorio, qui ci sono belle persone e belle risorse. Siamo venuti per cercare verità per Don Cesare Boschin e tanti altri e per non dimenticare che le organizzazioni mafiose attraversano tutto il territorio e anche l’Agro Pontino». Sono le prime parole di don Ciotti nella Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie, organizzata da Libera, che si celebra oggi a Latina. Don Ciotti, alla testa del lungo corteo partito da via Isonzo, ha voluto sottolineare di aver «trovato migliaia di ragazzi, qui c’è un’Italia intera che si è data appuntamento», ricordando che ieri «il papa è stato chiaro: ‘piangete e convertitevi, in ginocchio chiedo di cambiare vita». «Le nostre antenne di cittadini ed associazioni ci dicono che qui le mafie non sono infiltrate, sono presenti. Fanno i loro affari nel settore dell’economia e della finanza. Se fosse solo un problema di criminalità basterebbero le forze dell’ordine ma è anche un problema di case, di povertà e di politiche sociali». Sul caso rifiuti e sulle dichiarazioni del pentito Schiavone, don Ciotti ha ricordato che: «si sapeva da vent’anni, mi sono stupito di chi si è stupito. Boschin vedeva tutto questo dalla sua finestra e della sua morte non sappiamo ancora la verità. Non c’è strage in Italia di cui si conosca la verità».



I NOMI DELLE VITTIME E LE AUTORITA’. Sono 900 i nomi delle vittime di mafie snocciolati nel corso della cerimonia organizzata da Libera in occasione della Giornata della memoria e dell’impegno tenutasi a Latina. Sul palco allestito in Piazza del Popolo a Latina, al termine del lungo corteo partito da via Isonzo, sono stati ricordati da Avviso Pubblico anche i 351 amministratori pubblici che nel solo 2013 sono stati bersaglio di atti intimidatori. La città fin dalle prime ore del mattino si è riempita di studenti, anziani e famiglie arrivati a bordo di treni e pullman per marciare accanto a Libera. Per le strade ha sfilato anche un lungo corteo di biciclette della «Transumanza per la legalità». Accanto a Don Ciotti, anche il presidente del Senato Pietro Grasso, il ministro della Giustizia Andrea Orlando, il procuratore Giancarlo Caselli, la presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi e poi molti sindaci della provincia, consiglieri e assessori della Regione Lazio, i vertici delle forze dell’ordine e decine di familiari delle vittime innocenti di tutte le mafie. Il programma della XIX edizione della Giornata della memoria e dell’impegno prosegue, nel pomeriggio, con diversi seminari, incontri, dibattiti e mostre che si svolgeranno in diverse zone della città.

ROSY BINDI. «Oggi siamo tutti responsabili. Confidiamo nella richiesta di conversione che il Papa ha fatto ieri in maniera forte nei confronti degli uomini e delle donne di mafia». Lo ha dichiarato la presidente della Commissione parlamentare antimafia Rosi Bindi che ha partecipato al corteo organizzato da Libero in occasione della Giornata della memoria a Latina. «I mafiosi sono forti perchè qualcuno si gira dall’altra parte, c’è qualcuno che pensa che ci si possa convivere o fare affari – ha aggiunto – Si deve dire di no con forza. Se da queste giornate ci sarà una persona in più che vuole fare la lotta alla mafia abbiamo ottenuto un risultato importante».

PIETRO GRASSO. «Essere qui ha un significato ben preciso, per noi è un segnale importante». Lo ha detto Pietro Grasso, presidente del Senato, intervenuto a Latina alla manifestazione di Libera in occasione della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie, a Latina. «Il Parlamento ha in esame diverse iniziative come quella sul voto di scambio che dovrà passare in Senato – ha aggiunto – Ci sono poi iniziative governative perché la lotta alla criminalità è una priorità per il Governo». Grasso ha poi ricordato quanti sono morti a causa della mafia e ha ribadito l’impegno del Parlamento e del Governo per dare risposte ai familiari. «Ci sono ancora familiari delle vittime delle mafie – ha detto – che aspettano i risarcimenti».


IL QUESTORE DI LATINA. «Organizzare questa giornata a Latina è un segnale importante perché questo è un territorio contiguo a terre di mafia. Le presenze ci sono, le abbiamo accertate e continuiamo a individuarle». Lo ha detto il questore di Latina Alberto Intini, che, insieme al comandante dei carabinieri e al comandante della Guardia di Finanza, ha partecipato alla manifestazione organizzata da Libera in ricordo delle vittime di mafia. «Che si celebri qui questo evento – ha aggiunto il questore – è un fatto importante. Il momento della lettura del lungo elenco delle vittime innocenti di mafia ne scandisce tutto il suo più profondo significato». Il questore si è poi soffermato sulla presenza delle organizzazioni mafiose sul territorio pontino: «Il territorio più a rischio – ha precisato – è il sud della provincia, perché più vicino alle zone geografiche dominate dai casalesi, il cui potere si estende anche oltre il Garigliano. Qui la nostra attenzione è altissima. Ma lo è anche nella parte nord della provincia, in particolare ad Aprilia, più vicina a Roma, dove pure abbiamo individuato e accertato la presenza di clan».

IL PREFETTO. «Siamo lieti che questa giornata si svolga a Latina. È un’occasione per tutti i cittadini e soprattutto per i tanti giovani presenti di fare da argine alle infiltrazioni delle organizzazioni mafiose». Sono le parole del prefetto di Latina Antonio D’Acunto in occasione della Giornata della memoria organizzata nella città di Latina da Libera. «Questo – ha aggiunto il prefetto – è un territorio bello e ricco di risorse, ma proprio per questo fortemente esposto agli interessi della criminalità organizzata. Vogliamo che diventi un corridoio di legalità. Questa giornata deve essere il simbolo di una forte denuncia ma anche di una grande speranza».

IL SINDACO. «È un bellissimo abbraccio lungo le strade della nostra città per conservare la memoria e l’impegno contro tutte le mafie». Lo ha detto il sindaco di Latina Giovanni Di Giorgi presente oggi al corteo organizzato da Libera in ricordo di tutte le vittime innocenti di mafia. «La presenza qui oggi di migliaia di cittadini – ha aggiunto – è il segno che la città di Latina ha risposto con il suo grande cuore di città solidale. Oggi si gettano le basi per creare nei giovani la cultura della legalità. La criminalità organizzata è una presenza che non possiamo nascondere, ma abbiamo la fortuna di avere forze dell’ordine che con grande impegno ogni giorno conducono in prima linea questa battaglia».

Il Papa incontra le vittime delle mafie

Appello ai mafiosi: "Per favore, convertitevi"

"Fermatevi di fare il male o per voi ci sarà l'inferno". Papa Bergoglio si è rivolto "agli uomini e alle donne mafiosi" nel suo discorso alla veglia di preghiera promossa dalla fondazione Libera, nella ricorrenza della XIX Giornata in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Don Ciotti: "Sia la primavera della giustizia e del perdono". Il 27 in Vaticano la visita di Obama 


"Il desiderio che sento è di condividere con voi una speranza: che il senso di responsabilità vinca sulla corruzione, in ogni parte del mondo. Questo deve partire dalle coscienze e deve risanare i comportamenti in modo che la giustizia guadagni spazio e prenda il posto dell'inequità". Queste le parole di papa Francesco, che è intervenuto alla Messa nella chiesa di San Gregorio VII a Roma, alla vigilia della giornata per le vittime della criminalità organizzata che si svolge sabato 22 marzo a Latina.

La prima volta  che un papa prega con i parenti delle vittime di mafia
E' la prima volta che un papa prega insieme con i parenti delle vittime delle mafie. Al suo arrivo il pontefice ha abbracciato don Ciotti e stretto la mano al presidente del Senato Pietro Grasso, ex procuratore nazionale antimafia. Il Papa ha salutato alcuni dei fedeli presenti dinanzi alla chiesa, poi è entrato all'interno tenendosi mano nella mano con don Ciotti.

Papa: "Convertitevi"
"Vi sarò vicino questa notte e domani a Latina anche se non potrò venire; in particolare esprimo la mia solidarietà a chi di voi ha perso una persona cara vittima della violenza mafiosa. Grazie perché non vi siete chiusi ma siete usciti per raccontare la vostra storia, questo è molto importante soprattutto per i giovani. Prego per tutti voi e le vittime delle mafie. Non posso che concludere con una parola per i protagonisti assenti, i protagonisti mafiosi: cambiate vita, convertitevi, fermatevi di fare il male, noi preghiamo per voi. Lo chiedo in ginocchio, è per il vostro bene, questa vita che vivete adesso non ci darà piacere, non ci darà gioia, non vi darà felicità: il potere, il denaro che voi avete adesso, tanti affari sporchi tra tanti crimini mafiosi, il denaro insanguinato è potere insanguinato e non potrete portarlo nell'altra vita. Convertitevi, ancora è tempo per non finire nell'inferno che è quello che vi aspetta se continuate così. Avete avuto un papà e una mamma: pensate a loro e piangete".

L'intervento di don Ciotti
"E' un lungo elenco quello delle vittime delle mafie, ci sono anche 80 bambini. Ci sono tanti giusti, persone libere e leali", ha detto don Luigi Ciotti. "Abbiamo bisogno di verità, di tanta verità. Chiediamo giustizia e verità. Il problema delle mafie non è solo un problema giudiziario ma è un problema sociale e culturale. Riguarda le responsabilità pubbliche. Oggi è più che mai necessario uno scatto: occorrono politiche sociali, occorre rafforzare la confisca e l'uso sociale dei beni delle mafie". Don Ciotti chiede poi norme più stringenti su corruzione e voto di scambio. "Occorre poi non lasciare soli i magistrati: un nome su tutti, Nino Di Matteo".


22 marzo a Latina, la giornata della memoria e dell'impegno
Sabato 22 marzo Latina ospita la XIX edizione della Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie, promossa dall'associazione Libera e dall'associazione Avviso pubblico. Sono un migliaio i familiari delle vittime, in rappresentanze delle 15mila persone che hanno perso un loro caro per mano della violenza mafiosa, giunti a Roma per partecipare alle veglia col Pontefice e alla giornata a Latina. Oltre 900 nomi di semplici cittadini, magistrati, giornalisti, appartenenti alle Forze dell'ordine, sacerdoti, imprenditori, sindacalisti, esponenti politici e amministratori locali morti per mano delle mafie solo perché, con rigore e coerenza, hanno compiuto il proprio dovere. 

venerdì 21 marzo 2014

XIX Giornata memoria delle vittime della mafia a Latina

Vittime delle mafie, Latina si prepara alla Giornata della Memoria

È ormai tutto pronto nel capoluogo pontino per la XIX "Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie che si terrà sabato 22 marzo. Previsto l'arrivo di migliaia di persone
 
 

Una giornata importante e dal forte valore simbolico quella che si appresta a vivere la città di Latina. È ormai tutto pronto per la  XIX Edizione della "Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie", promossa dall'associazione Libera e Avviso Pubblico e che si terrà sabato 22 marzo nel capoluogo pontino dove sono attesi migliaia partecipanti provenienti da tutta Italia oltre a istituzioni, autorità e media nazionali.

Una parte di questi arriverà in bici seguendo l’itinerario e l’iniziativa “Transumanza Latina” appuntamento spontaneo e aperto a tutti, che coinvolge gli attivisti della bicicletta e i cittadini che partiranno domani mattina da Roma e arriveranno sabato a Latina.
Il corteo a piedi si riunirà alle 9.00 in Via Isonzo, all’altezza di Viale della Regione Veneto, per partire alle 10.00 e giungere alle 11.30 circa in Piazza del Popolo dove dopo la commemorazione delle vittime di mafia ci saranno gli interventi dal palco e in conclusione quello di Don Ciotti.

IL PROGRAMMA DELLA GIORNATA DELLA MEMORIA
GIORNATA DELLA MEMORIA: EVENTI E SEMINARI
Anche il sindaco di Latina Giovanni Di Giorgi parteciperà al corteo, insieme agli altri rappresentanti delle istituzioni, autorità e cittadini, e poi salirà sul palco per leggere i nomi delle vittime. Domani venerdì 21 marzo, invece, sarà presente in Vaticano all’udienza del Papa, in un incontro dedicato ai familiari delle vittime innocenti delle mafie, sempre in occasione della “Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie".
“Per Latina il 22 marzo 2014 è una giornata speciale, ricca di significato - afferma il primo cittadino –; ospitare nella nostra città la XIX giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime delle mafie è un onore per questa amministrazione e per tutti i cittadini. Ricordare i nomi di chi ha perso la propria vita per mano della violenza mafiosa, stringerci intorno al dolore dei familiari delle vittime, unirci verso la speranza e la certezza che tutti noi, insieme, dobbiamo essere necessariamente più forti di ogni associazione criminale organizzata.

La Giornata della memoria e dell'impegno è un grande atto di impegno civile e di giustizia. Da subito abbiamo infatti espresso la piena disponibilità ad ospitare questo evento,  dando il nostro sostegno a Libera e all’attività promossa da Don Luigi Ciotti e dai suoi collaboratori, con cui la città di Latina intrattiene da tempo una proficua collaborazione per la lotta alla criminalità, alle mafie e a ogni forma di violenza”.


L’evento di sabato sarà ripreso e trasmesso dalle telecamere della Rai. In città saranno presenti anche 3 maxi schermi, uno a Piazza San Marco, uno in Viale Italia ed un altro in Piazza del Popolo.
VIABILITÀ -  Nella giornata di sabato la viabilità subirà importanti variazioni in seguito alla chiusura di una parte della circonvallazione e delle altre strade percorse dal corteo. E’ stato istituito il divieto di transito e di sosta per tutti i veicoli in Largo Silvestri, Via Siciolante, Via Diaz, Viale Umberto I (lato sinistro, tratto e percorrenza Via Carlo Alberto – Viale XXI Aprile) escluso gli autorizzati dalle ore 05,00 alle ore 16,00 del giorno 22 marzo e comunque sino al termine della manifestazione.

BUS NAVETTE - Inoltre sarà istituito un servizio di bus navetta che porterà le persone dalla stazione di Latina Scalo e dalle quattro aree di sosta per auto, caravan e pullman privati (Ex Rossi Sud, Cimitero, Centro Direzionale) al centro città.



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Tutte le informazioni sulla giornata, su viabilità e parcheggi sono disponibili sul sito di Libera www.libera.it e sul sito del Comune di Latina nella sezione dedicata.


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Celebrata a Casapesenna la “Giornata della Memoria e dell’Impegno”

                                           COMUNE DI CASAPESENNA

Provincia di Caserta

Via Don Peppe Diana n. 3 – 81030 Casapesenna

Codice Fiscale e Partita IVA 81001750611

Tel. 081/8165611 – Fax 081/ 8165640

 


COMUNICATO STAMPA

Celebrata a Casapesenna la “Giornata della Memoria e dell’Impegno”, in occasione del 20° anniversario dell’uccisione di Don Peppe Diana.

Su iniziativa della Commissione straordinaria, presieduta dal Prefetto Paola Galeone, si è tenuta la cerimonia pubblica di scopertura della targa di intitolazione a Don Peppe Diana, effettuata da Marisa Diana, sorella di Don Peppe Diana congiuntamente al Prefetto di Caserta Carmela Pagano, apposta su un bene confiscato a Michele Zagaria.
Successivamente è stato inaugurato un locale del centro sociale denominato “Ing. Antonio Cangiano” dato in concessione al  Coordinamento campano vittime innocenti di criminalità.

Il Prefetto Galeone ha presieduto quindi un incontro pubblico di riflessione, cui hanno partecipato il Vescovo di Aversa, il Prefetto Carmela Pagano, il Questore ed il Comandante provinciale dei Carabinieri, il Magistrato di Cassazione Raffaele Piccirillo, il Presidente provinciale dell’Associazione Libera ed il Presidente del Coordinamento campano vittime innocenti della criminalità.

All’iniziativa, che ha riscosso ampio consenso e convinta partecipazione da parte della cittadinanza, hanno preso parte gli studenti dell’Istituto Autonomo Comprensivo Statale di Casapesenna che, per l’occasione, hanno allietato la giornata con dei canti.

Casapesenna, 20 marzo 2014

La Commissione straordinaria

Truffa alla regione Lombardia

Arrestato l’uomo degli appalti Expo

L’ex direttore generale di “Infrastrutture Lombarde” in manette con altri sette
Le accuse: associazione a delinquere, turbativa d’asta e truffa. Il Pd: chiarire


Appalti truccati in modo da essere aggiudicati sistematicamente a «una ristretta cerchia di professionisti» in spregio alle procedure previste dalla legge, ai principi di trasparenza e ai criteri del minor aggravio di spesa per gli enti pubblici. C’è questo alla base del sistema di illeciti che oggi ha decapitato i vertici di “Infrastrutture Lombarde” la controllata della Regione Lombardia per la realizzazione di opere come ospedali, scuole ma anche il nuovo Pirellone, incaricata di conferire consulenze e assistenze legali stragiudiziali e assistenza tecnica-amministrativa per lavori legati a Expo con investimenti previsti per 11 miliardi.

Nel pomeriggio gli uomini del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Milano hanno portato in carcere Antonio Giulio Rognoni, il direttore generale, dimissionario, di Infrastrutture Lombarde (formalmente è ancora in carica) e amministratore della partecipata Costruzioni autostrade Lombarde, il capo dell’ufficio gare e appalti Pierpaolo Perez. Ai domiciliari invece sono finiti Maurizio Malandra, direttore amministrativo della società regionale, gli avvocati Carmen Leo, Fabrizio Magri’, Sergio De Sio, Giorgia Romitelli e un ingegnere Salvatore Primerano. Le richieste di custodia cautelare sono state firmate dal gip Andrea Ghinetti, su richiesta del procuratore aggiunto Alfredo Robledo e dei pm Paola Pirotta e Antonio D’Alessio. Il giudice, inoltre, ha anche ordinato l’interdizione da attività direttive e alla professione di ingegnere per nove persone tra cui Giuseppe De Donno ai vertici della G-Risk (settore sicurezza), l’ex ufficiale del Ros, tra i protagonisti della cosiddetta trattativa Stato-Mafia. Le accuse, a vario titolo, vanno dall’associazione per delinquere alla truffa, dalla turbativa d’asta al falso.

Tra i vari appalti pilotati, oltre a quello da 210 milioni all’ospedale san Gerardo di Monza, per l’abbattimento di alcuni edifici a Pieve Emanuele (dal quale è nata l’indagine) e la riqualificazione dell’area, spuntano anche «i comportamenti di favore assicurati per lungo tempo - annota il gip - alla società Poliedrika srl delle sorelle Erica e Monica Dacco’», figlie del faccendiere in carcere per i casi San Raffaele e Maugeri. E poi ancora due gare che riguardano Expo (non coinvolta nell’indagine): una assegnata all’avvocato Leo per 1,2 milioni e l’altra al suo collega Magri’ in realtà dalla società Arexpo spa. Quanto poi alla realizzazione del palazzo Lombardia (il nuovo Pirellone) il gip parla di «clamoroso e spudorato conflitto di interessi».

Secondo la ricostruzione della Procura e fatta sua anche dal gip, Rognoni sarebbe stato il «capo e promotore» di un sistema in cui «si riscontra una ristretta cerchia di professionisti (...) clandestinamente ed indebitamente insediatisi da lungo tempo (i reati contestati partono dal 2008, ndr) all’interno dell’amministrazione con il compito di porsi senza sosta al servizio del direttore generale (..). Essi - scrive ancora il giudice - si adoperano con lo scopo di accaparrarsi il maggior numero di commesse pubbliche dando nel tempo vita ad un organismo parallelo costituito da consulenti esterni di esclusiva fiducia di quest’ultimo, a cui essi risultano legati da un rapporto fiduciario in grado di sostenersi a dispetto della regolarita». E in cambio Rognoni e Perez, come ha spiegato Robledo in conferenza stampa, avrebbero guadagnato «posizioni di rilievo all’interno della dirigenza della Regione» grazie a «un’amministrazione a sfondo domestico» delle gare. Anche per questo, come risulta dal provvedimento del gip Ghinetti, l’appalto per la Piastra dell’Expo sarebbe stato al centro di un tentato “trucco” per «tutelare l’immagine» politica della giunta allora guidata da Roberto Formigoni.

Strage nel Tarantino

Fatale un colpo al volto per il piccolo Domenico



TARANTO – Un colpo al viso per il piccolo Mimmo, almeno quattro per Cosimo Orlando, colpito al torace e all’addome. Un’esecuzione in piena regola, con i sicari che hanno sparato probabilmente senza scendere dall’auto e, soprattutto, senza preoccuparsi minimamente della presenza del bambino. Le prime risultanze dell’autopsia eseguita nel pomeriggio all’istituto legale dell’ospedale di Taranto da dottor Marcello Chironi, confermano quel che gli investigatori vanno ribadendo fin dal primo momento: quello sulla statale 106 a venti chilometri da Taranto, è stato un agguato di mafia.

La firma della criminalità organizzata sta proprio nelle modalità con cui sono stati 'finitì Cosimo Orlando e la sua compagna Carla Maria Fornari, la cui autopsia è stata però rimandata a domani pomeriggio, e nella decisione di non fermarsi neanche di fronte ad un bimbo di meno di tre anni. E poco cambia se i colpi che hanno raggiunto il piccolo Domenico erano in realtà destinati ad uno dei due adulti, come credono gli investigatori. Ed infatti anche formalmente l’inchiesta è passata dalla procura ordinaria di Taranto alla Direzione distrettuale antimafia di Lecce, che in questi giorni aveva affiancato i colleghi tarantini nelle prime fasi dell’indagine.

Proprio nel capoluogo salentino si è tenuta oggi una riunione operativa presieduta dal capo della Dda Cataldo Motta e al quale hanno partecipato anche il capo del Ros Mario Parente e del Servizio centrale operativo della polizia Raffaele Grassi, oltre ai vertici di polizia e carabinieri di Taranto e Lecce; un vertice per fare il punto della situazione, mettere sul tavolo le informazioni raccolte finora e dividersi i compiti investigativi per i prossimi giorni. L’obiettivo, ha spiegato Motta, è quello di applicare anche per la strage di Palagiano il "metodo Brindisi", vale a dire una "piena collaborazione" tra le forze di polizia con gli "apparati centrali che lavorano accanto alle forze di polizia locali, che hanno un quadro ben preciso della situazione" sul territorio.

Un discorso che ribadirà anche il ministro dell’Interno Angelino Alfano, atteso a Taranto per il Comitato nazionale per l'ordine e la sicurezza. Il titolare del Viminale, che nell’immediatezza della strage ha già inviato 60 uomini in più in provincia di Taranto, ribadirà che lo Stato non arretrerà di fronte alla criminalità organizzata e fornirà tutti gli strumenti e le risorse per arrivare ai responsabili dell’agguato. "Speriamo nella giustizia – gli manda a dire lo zio del piccolo Mimmo, Carmine Putignano – non si può morire a 2 anni per una pallottola".

Dalla riunione di oggi non sono però emersi elementi risolutivi che possano, al momento, imprimere una svolta all’indagine e portare in tempi brevi all’individuazione dei responsabili. Gli accertamenti sulle celle telefoniche, per individuare con esattezza tutti i telefoni cellulari che all’ora della strage erano presenti nella zona, richiederanno diversi giorni. Così come richiede tempo l’analisi di tutte le immagini registrate dalle telecamere presenti sia lungo la statale 106 sia lungo il tragitto che potrebbe aver compiuto la Chevrolet rossa dal momento in cui Orlando, la compagna e i tre figli hanno lasciato l’abitazione per dirigersi verso il carcere dove l'uomo doveva rientrare entro le 22. Proprio una di quelle telecamere sembrerebbe aver registrato immagini definite interessanti, in cui si vedrebbe una macchina che potrebbe aver seguito quella della coppia. Gli investigatori stanno inoltre mettendo sotto pressione tutti gli informatori, per cercare di ottenere più elementi possibili, confidando sul fatto che la morte di un bambino di tre anni non passi inosservata neanche tra la criminalità organizzata. Nulla c'entrano con l’indagine, invece, gli arresti per droga fatti oggi dalla polizia a Grottaglie, anche se tra i fermati c'è la convivente di uno zio del piccolo Domenico.

Droga, 25 arresti

Anche la donna dello zio del bimbo ucciso


TARANTO - L'indagine è partita a ottobre del 2011 ed è durata circa un anno: gli agenti del commissariato di Grottaglie e della Questura di Taranto hanno smantellato oggi una organizzazione dedita allo spaccio di sostanze stupefacenti operante in tutto il circondario. E' stata ribattezzata «Reset» l'inchiesta della procura tarantina culminata oggi con la notifica di 27 le ordinanze di custodia cautelare (16 in carcere, 11 ai domiciliari) emesse dal gip del tribunale di Taranto: 2 gli irreperibili per ora mentre altre 3 persone sono indagate a piede libero.

Nel corso dei mesi di indagine, la Polizia ha eseguito diversi arresti e sequestri che, insieme ad appostamenti, pedinamenti, intercettazioni telefoniche e ambientali, hanno confernato l'attività del gruppo che poteva contare su una organizzazione abbastanza consolidata e collaudata. Tra gli arresti, ai domiciliari, c'è anche Dalila Favale, 24 anni, di Palagiano, convivente dello zio del bimbo di tre anni ucciso qualche giorno fa nel sanguinoso agguato avvenuto sulla statale 106 costato la vita anche al pregiudicato Mimmo Orlando, 43 anni, e alla sua compagna, Maria Fornari, 30 anni. Dalila Favale (arrestata nel 2011 per possesso di hashish) è infatti vicina al fratello della donna uccisa.

Un ruolo di rilievo nell’ambito del gruppo principale di pusher, smantellato oggi nel corso di una operazione di polizia condotta dalla Questura di Taranto, che spacciava droga (cocaina e hascisc) a Grottaglie e nei comuni limitrofi, era rivestito da Vincenzo Venza, di 38 anni, condannato il 10 marzo scorso a 30 anni di reclusione con il rito abbreviato perché ritenuto responsabile dell’omicidio di Alessio Marinelli, il pugile 19enne di Grottaglie ucciso il 18 novembre 2012. Delitto che, secondo gli inquirenti, sarebbe riconducibile sempre a controversie nate dal mancato pagamento di una partita di droga. Ventisette in tutto le ordinanze di custodia cautelare: 16 in carcere e 11 ai domiciliari.

A Venza il provvedimento restrittivo è stato notificato nella casa circondariale di via Magli. In carcere sono finiti anche altri due uomini ritenuti tra i promotori

Ucciso nel Foggiano

Esami stub su 5 persone


FOGGIA - I carabinieri del Comando provinciale di Foggia hanno ascoltato per tutta la notte famigliari e amici dell’allevatore Ivan Rosa, di 37 anni, ucciso ieri con tre colpi di fucile a canne mozzate, a Bosco Quarto, nelle campagne del territorio di Monte Sant'Angelo. Cinque – a quanto si è saputo – sono gli stub effettuati. Gli investigatori hanno anche perquisito l’abitazione della vittima.
«Al momento – riferiscono fonti investigative dell’Arma – ci sentiamo di escludere che possa trattarsi di un omicidio legato o collegato alla mafia garganica, prova ne è che le indagini sono coordinate dalla Procura ordinaria e non antimafia».

Ivan Russo è stato ucciso con tre colpi di fucile a canne mozzate, che lo hanno raggiunto al viso e al torace. L’uomo era sposato e padre di un figlio, non aveva precedenti e non aveva legami con la criminalità garganica.

 Secondo una prima ricostruzione fatta dai carabinieri, ieri mattina verso le 8 Ivan Rosa stava raggiungendo la sua masseria, nei pressi di Bosco Quarto, a bordo della sua Fiat Punto grigia, quando i sicari, appostati dietro i cespugli, hanno sparato alcuni colpi di fucile. Rosa ha comunque proseguito cercando di sfuggire agli assassini che lo hanno raggiunto, speronato e spinto contro un muretto. La sua fuga è durata almeno un chilometro e mezzo, poi i killer lo hanno finito con tre colpi di fucile. Durante l’inseguimento, la vittima è riuscita a telefonare a suo fratello dicendogli che qualcuno voleva ucciderlo. Ed è stato lo stesso fratello a trovare il cadavere di Ivan e a dare l’allarme.

Napoli. Una donna: «Ho avuto una relazione con Don Merola».

 Il parroco spiega: «Era solo un'amicizia»



di Viviana Lanza
Si appellano al segreto di indagine, don Luigi Merola e i suoi difensori, replicando così alle indiscrezioni sull’indagine che vede coinvolto il parroco anticamorra da una parte e una sua ex parrocchiana dall’altra. Lui indagato per calunnia ai danni di lei, e lei indagata per stalking in seguito alla denuncia di lui.

«La pazienza dei difensori, e per converso dell’indagato, di fronte a una costante violazione del segreto di indagine esclusivamente in senso accusatorio è tanta ma non infinita - dichiarano gli avvocati Domenico Ciruzzi e Cesare Amodio, che assistono don Meorla da quando ha ricevuto la notizia di un’indagine a suo carico per calunnia -. Si assiste a una continua enfatizzazione delle presunte parole di una indagata» aggiungono in merito al racconto della donna accusata di stalking.

«I difensori e l’indagato - concludono - continuano mestamente ad avere fiducia nel riserbo e nell’operato degli inquirenti che acclarerà la totale inconsistenza dell’ipotesi di reato contestata a don Luigi Merola».

Questa indagine è un ciclone sulla vita del parroco di frontiera, una delle icone della lotta all’antimafia, il prete che dal pulpito della parrocchia di Forcella ha iniziato la quotidiana battaglia contro il crimine, parlando soprattutto ai giovani, quelli a cui destina la fondazione “A voce d’e’ creature”.

Tutto ha inizio quando don Merola è parroco nella chiesa di San Bartolomeo alle Brecce, in zona Gianturco. Conosce, tra i tanti fedeli, una giovane donna, che frequenta la chiesa come volontaria occupandosi delle pulizie. Nasce un’amicizia,
«nessuna storia sentimentale o sessuale» ha spiegato don Merola agli inquirenti nell’interrogatorio, durato ore, che ha tenuto giorni fa dinanzi al pm Stella Castaldo, titolare dell’indagine in cui risulta indagato per l’ipotesi di calunnia.

Inchiesta parallela a quella in cui la ex parrocchiana risulta invece accusata di stalking a seguito della denuncia che don Merola sporge nel 2013, orami sfinito dalle insistenze di lei. Cinque mesi più tardi la donna riceve il provvedimento con cui le viene impedito di importunare il sacerdote. E allora lei racconta la sua verità, rivelando i particolari più o meno piccanti di una presunta relazione sentimentale. Ora tutto è nelle mani della magistratura. L’indagine chiarirà se lo stalking c’è stato e se l’accusa di calunnia sia fondata oppure no.

Colpita una delle più potenti reti della droga mondiale

Arresti in 9 nazioni: la base era nella Locride

Coinvolti anche brasiliani, irlandesi, inglesi e serbi. In tutto 24 arresti cui se ne aggiungono altri 19 in una seconda operazione internazionale. Ecco i nomi delle persone coinvolte. Sequestrati oltre due tonnellate di stupefacenti
 
 
di PASQUALE VIOLI
REGGIO CALABRIA - Sono 24 gli arresti nell'ambito di una operazione che smantella una delle consorterie più importanti nel campo del traffico internazionale di droga cui si aggiungono altri 19 arresti in una seconda operazione collegata e frutto anch'essa della collaborazione tra forze di polizia internazionali. 
 
 
E’ scattata dalle prime luci dell’alba la vasta operazione antidroga condotta dalla Guardia di Finanza e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria. Il blitz è stato eseguito contemporaneamente in 9 nazioni, il gruppo finito nel mirino della Dda gestiva un vastissimo giro di cocaina che importava dal Sud America grazie ai contatti di uomini della ‘ndrangheta residenti nella Locride e in particolare a Natile di Careri che era la base logistica. Coinvolti anche brasiliani, irlandesi, inglesi e montenegrini. E durante le indagini sono state sequestrate più di due tonnellate di cocaina in tutta Europa: Avrebbero fruttato circa 400 milioni di euro. Arrivavano dal Sudamerica in Italia attraverso navi container e Gioia Tauro era uno snodo cruciale. 
 
LEGGI I NOMI DELLE PERSONE ARRESTATE
L'INDAGINE "PIU' GRANDE" - «E' l’indagine più grande contro il traffico internazionale di stupefacenti, vede coinvolti contemporaneamente le forze dell’ordine di 9 paesi del mondo«» dice all’Adnkronos il procuratore aggiunto antimafia di Reggio Calabria Nicola Gratteri. Lo definisce «un giro di vite forte contro i mercanti di droga» il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, che ha scelto di essere presente a Reggio Calabria alla conferenza stampa per illustrare i dettagli dell'operazione: «E' stato utilizzato - aggiunge - un modello investigativo transnazionale che può davvero rivelarsi vincente e rappresentare il futuro delle inchieste nel contrasto al traffico di stupefacenti: nove forze di polizia del mondo hanno operato in maniera sinergica con un unico obiettivo: colpire il traffico di droga e i suoi finanziatori».

L'UOMO CARDINE - Al centro dell'organizzazione internazionale c'era la figura di Basquale Bifulco, ritenuto insieme al suo può stretto collaboratore Vito Zinghinì, l'uomo in grado di reggere i fili del traffico di droga. Legato al clan Ietto-Cua-Pipicella di Natile di Careri è capace di parla molte lingue e di chiudere affari in tutto il mondo grazie anche a una notevole disponibilità di denaro contante. Per questo soprattutto si è guadagnato la fiducia dei trafficanti del Sudamerica. Ed è su di lui che si sono concentrate a lungo le indagini fino a quando il Gruppo operativo antidroga di Catanzaro è riuscito a inchiodarlo scoprendo alcuni numeri di telefono blindati.

LA TECNICA "RIP-OFF" - Sfruttando la sua esperienza di broker della cocaina, Bifulco sarebbe entrato in contatto con altre importanti organizzazioni di narcotrafficanti, tra cui quella operante in Olanda e capeggiata dal montenegrino Vladan Radoman con il quale ha realizzato una vera e propria joint venture per l’acquisto e il trasporto della cocaina dal Sud America cercando, fra l’altro, di sfruttare l’apparato logistico di cui l’organizzazione disponeva in alcuni porti europei. Mediante la tecnica del cosiddetto «rip-off», ovvero collocando la droga in borsoni posti all’ingresso dei container per rendere immediato ed agevole il loro recupero nei porti, Bifulco e Radoman avrebbero pianificato nel tempo numerose importazioni di coca dal Brasile, indirizzando i carichi nei principali scali europei.

Lido, casa di riposo, enoteca: a Reggio Calabria

Finiscono sotto sequestro i beni del clan Alvaro

La Dia mette i sigilli alle proprietà di Cosimo Alvaro, coinvolto in diverse operazioni contro la 'ndrangheta e figlio di Domenico storico boss di Sinopoli. I suoi interessi si estendevano fino alla città dello Stretto grazie all'aiuto di prestanome 



REGGIO CALABRIA - Beni per 5 milioni di euro sono stati sequestrati dalla Dia di Reggio Calabria a Cosimo Alvaro, 49enne di Sinopoli, attualmente detenuto e ritenuto un esponente di spicco dell’omonimo clan. 

Alvaro, già destinatario di una condanna definitiva per vicende legate alla droga, nel giugno 2010, insieme ad altre 41 persone, è stato colpito dall’ordinanza di custodia cautelare nell’ambito dell’operazione Meta, condotta dai Carabinieri del Ros e del Comando Provinciale di Reggio Calabria, durante la quale vennero sottoposte a sequestro anche alcune aziende che lui gestiva più o meno direttamente. In quell'occasione, le indagini confermarono l’inserimento nelle dinamiche criminali di Reggio Calabria della cosca Alvaro di Sinopoli, il cui ruolo di rilievo era emerso sin dai tempi della mediazione svolta dal padre di Cosimo, Domenico Alvaro, nell’ambito della seconda guerra di mafia di Reggio Calabria.

Alvaro risultava coinvolto in attività estorsive, di trasferimento fraudolento di valori attraverso l'attribuzione fittizia a terzi di attività economiche, di turbativa d’asta diretta ad impedire il regolare svolgimento di aste giudiziarie, nonchè di condizionamento del libero esercizio del voto per l’elezione del Sindaco di San Procopio. Nel settembre 2013, Alvaro involtre venne indagato (e ora è imputato) insieme ad altre 6 persone nell’Operazione “Xenopolis” che disvelava un intreccio esistente tra mafia, politica ed appalti, condotta dalla Squadra Mobile di Reggio Calabria e dal Servizio Centrale Operativo di Roma.

Il sequestro è il frutto di una articolata attività di indagine patrimoniale, condotta dal Centro Operativo Dia di Reggio Calabria, volta a verificare le modalità di acquisizione dell’ingente patrimonio societario riconducibile ad Alvaro, il quale negli ultimi anni aveva esteso l’influenza del clan di appartenenza in attività imprenditoriali della città di Reggio Calabria, tramite compiacenti ed insospettabili prestanome. Tra i beni sequestrati, il patrimonio aziendale ed intero capitale sociale della casa di riposo “Villa Speranza - Società Cooperativa Sociale”, con sede a Reggio Calabria; lo stabilimento balneare “Lido Calajunco”, sempre a Reggio Calabria; il patrimonio aziendale ed intero capitale sociale della “Old Gallery's Srl”, con sede a Reggio Calabria, bar-enoteca con degustazione.

Torino, quattro ergastoli e una condanna a 30 anni

Per una faida di 'ndrangheta avvenuta negli anni '90

Quattro ergastoli e una condanna a 30 anni per quattro omicidi avvenuti sul finire degli anni '90 nel Torinese. E' questa la sentenza emessa dalal corte d'Assise di Torino nei confronti di 5 persone ritenute appartenenti alle cosche della 'ndrangheta e protagonisti di una vera e propria faida avvenuta proprio negli anni 90


TORINO - Quattro ergastoli e una condanna a 30 anni: questa la sentenza emessa oggi a Torino al processo per quattro omicidi legati alla 'ndrangheta, avvenuti nel torinese tra il 1997 e il 1998: quelli di Antonio e Antonino Stefanelli e Franco Mancuso, uccisi in un regolamento di conti durante una faida tra famiglie 'ndranghetiste per il controllo del territorio e del traffico di stupefacenti e di cui non sono mai stati ritrovati i corpi; e di quello dell’odontotecnico Roberto Romeo, ucciso a colpi di pistola in un agguato a Rivalta di Torino nel gennaio 1998. Per quest’ultimo agguato è stato condannato a 30 anni Antonio Spagnolo. Per i primi tre omicidi è stato inflitto l’ergastolo a Rosario Marando, Giuseppe Santo Aligi, Gaetano Napoli e Natale Trimboli. Il presunto mandante, Domenico Marando, è già stato condannato a 20 anni di carcere in un procedimento separato. L’accusa era sostenuta dai pm Roberto Sparagna e Monica Abbatecola.

«E' una sentenza molto importante - ha commentato Sandro
Ausiello, procuratore reggente - che premia l’attività dei
magistrati e delle forze di polizia. La Corte d’assise ha
ritenuto attendibile e probante il quadro indiziario e ha
confermato l’attento lavoro di verifica delle dichiarazioni dei
collaboratori giustizia».
I corpi di Mancuso e degli Stefanelli non sono mai stati
trovati. Durante il processo, Rosario Marando, considerato dagli
inquirenti un esponente di una famiglia di primo piano della
criminalità calabrese in Piemonte, rivelò di sapere dove erano
sepolti, sia pure precisando di non essere l’autore degli
omicidi e di non essere un 'pentitò o un collaboratore di
giustizia: le ricerche, nelle campagne di Volpiano, non hanno
dato esito.
La sorella di una delle vittime, che al processo ha reso
dichiarazioni preziose per la pubblica accusa, si è costituita
parte civile e ha ottenuto una provvisionale (un acconto
sull'indennizzo) di 150 mila euro.
«E' una sentenza molto importante - ha commentato Sandro Ausiello, procuratore reggente - che premia l’attività dei magistrati e delle forze di polizia. La Corte d’assise ha ritenuto attendibile e probante il quadro indiziario e ha confermato l’attento lavoro di verifica delle dichiarazioni deicollaboratori giustizia». 
 
I corpi di Mancuso e degli Stefanelli non sono mai stati trovati. Durante il processo, Rosario Marando, considerato dagli inquirenti un esponente di una famiglia di primo piano della criminalità calabrese in Piemonte, rivelò di sapere dove erano sepolti, sia pure precisando di non essere l’autore degli omicidi e di non essere un 'pentito' o un collaboratore di giustizia: le ricerche, nelle campagne di Volpiano, non hanno dato esito.La sorella di una delle vittime, che al processo ha resodichiarazioni preziose per la pubblica accusa, si è costituitaparte civile e ha ottenuto una provvisionale (un acconto sull'indennizzo) di 150 mila euro.

Catania, il "tesoro" di Scuto: secondo il Pg Siscaro "è in banche estere"



di UMBERTO TRIOLO
CATANIA. L'analisi dei movimenti sospetti, nel processo in Appello per le misure di prevenzione patrimoniale per l'ex "re dei supermercati" è stata solo accennata durante la prima udienza dedicata alla requisitoria del pg Gaetano Siscaro, ma già ha iniziato a fare emergere parecchi interrogativi. L'accusa, infatti, dopo avere elencato 5 anomalie dell'intera vicenda processuale, è passata ad indicare alcune operazioni finanziarie che non hanno convinto gli inquirenti. Per il consulente di Sebastiano Scuto, Giuseppe Giuffrida, si sarebbe trattato di una monetizzazione di titoli e di un trasferimento di denaro all'estero per evitare il pagamento di tributi, in vista di una possibile vendita. Ma il Pg ha evidenziato in aula come la fusione, per incorporazione di due società dell'impero patrimoniale dell'imprenditore, non poteva generare nuovo capitale per l'imprenditore stesso.
L'ARTICOLO COMPLETO SUL GIORNALE DI SICILIA IN EDICOLA OGGI.

Palermo, prostituzione: scoperta casa a luci rosse con madri di famiglia



PALERMO. Un centro massaggi e sesso a  pagamento è stato scoperto dalla Polizia nei pressi dei cantieri  navali a Palermo. Quando gli agenti hanno fatto ingresso nell'  appartamento hanno trovato tre donne non più giovanissime in  abiti succinti. Tutte madri di famiglia. Una di loro fino a poco  tempo fa era la titolare di un asilo nido privato: ha raccontato  di essere stata spinta a prostituirsi dalla necessità economica  subentrata alla chiusura della struttura scolastica.  Analoghe le vicissitudini delle altre due compagne, entrambe  recentemente licenziate e in età ormai considerata «avanzata»  per trovare un lavoro. I poliziotti hanno proceduto al sequestro  dell'appartamento e denunciato la tenutaria per sfruttamento  della prostituzione.

venerdì 14 marzo 2014

La beffa dei beni confiscati alla mafia: "Trenta miliardi impossibili da usare"





ROMA - È difficile quantificare a quanto ammonta il patrimonio sequestrato a Cosa nostra e gestito dall'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia. Secondo il direttore uscente, Giuseppe Caruso, tra beni mobili, immobili e aziende, il valore nominale si aggira intorno a una manovra finanziaria, circa 30 miliardi. Il 10%, tre miliardi, sono in contanti, denaro liquido e titoli: una montagna di soldi che nessuno usa. Così tanto, possibile? "Basti pensare", ha detto Caruso alla Commissione parlamentare Antimafia "che un'azienda del gruppo Aiello, l'ingegnere che teneva la cassaforte di Bernardo Provenzano, è valutata da sola 800 milioni di euro". Si tratta, però, di una ricchezza sprecata. Per Caruso, "la situazione dell'Agenzia è grave, senza una dotazione di strumenti e di risorse adeguate, continueremo a essere penalizzati nella destinazione proficua di questo immenso patrimonio". In organico ci sono appena 30 dipendenti. Troppo pochi perfino per fare funzionare il sito, i cui dati statistici risalgono, addirittura, al 7 gennaio del 2013. Da un anno, non viene fatto l'aggiornamento.
 

DIA, SPRECHI E TAGLI SPUNTANO LE ARMI ALL'ANTIMAFIA

Ma che qualcosa non funzioni emerge dalla lettura degli stessi dati statistici, seppur non aggiornati. I beni sequestrati e confiscati, un anno e due mesi fa, erano 11238, e le aziende 1708. Ma tanti di quei beni restano in carico all'Agenzia, e non vengono assegnati ai Comuni, e dunque alla società civile. A Torino, città di don Ciotti di Libera, ad esempio, ci sono tredici beni che non sono stati consegnati al sindaco Piero Fassino. Ventuno a Roma, città del procuratore antimafia Pignatone. Centottanta quattro a Palermo, cuore di cosa nostra. Duecentocinquanta quattro a Catania, città di Giuseppe Pippo Fava, il giornalista che negli anni Ottanta denunciò le collusioni tra mafia, banche e politica, facendo coraggiosamente nomi e cognomi. E per questo fu ucciso.

Cento trentatré a Reggio Calabria, la città dove fu sciolto il consiglio comunale per infiltrazioni mafiose. Dodici a Catanzaro, altrettanti a Milano dove la 'ndrangheta calabrese aveva di recente addirittura una banca occulta per riciclare i soldi sporchi. Novanta a Napoli, e diciannove a Bari, città amministrate da ex magistrati. Trentaquattro a Brindisi, dove cova la Sacra corona unita. "Dei trenta dipendenti previsti - svela Caruso - ho solo una persona". Gli altri, aggiunge, "se ne sono andati via, e sono poi tornati in comando o in distacco, perché venire in pianta organica all'Agenzia non è conveniente, soprattutto sotto il profilo economico".

Ma le criticità sono anche altre, e ben più gravi. "I beni immobili singolarmente confiscati presentano criticità tra l'82 e l'85 per cento dei casi". Si tratta di ipoteche accese con banche, di confische di quote di immobili, difficili da gestire, di concomitanza di procedure fallimentari che rendono impossibile la consegna ai Comuni. Ci sono immobili non accatastati perché abusivi, occupati dai familiari dei mafiosi. Oppure occupati dallo stesso mafioso messo là, incredibilmente, agli arresti domiciliari dagli stessi magistrati. Un esempio per tutti. "A Palermo - ha raccontato Caruso - una società immobiliare è stata confiscata 14 anni fa, quando valeva 500mila euro. Questo patrimonio è stato tenuto lì ed è servito fino ad adesso solo ad alimentare le tasche degli amministratori giudiziari". Non migliora la situazione quando il sequestro riguarda le aziende. "L'ultimo caso è quello di Grigoli, braccio destro di Matteo Messina Denaro, una catena di supermercati Despar, 43 punti vendita che han fatto lavorare 198 persone, con l'indotto complessivamente 500". "Quando è passato sotto l'amministrazione dell'Agenzia - ha raccontato Caruso - il 17 novembre 2013, l'amministratore giudiziario mi ha detto che bisognava chiudere tutto perché c'era uno scoperto di 6 milioni di euro. Che io ero il responsabile. Che gli dicessi cosa fare".

Discorso analogo riguarda il Fug, il Fondo Unico della Giustizia che amministra la montagna di soldi sequestrata e confiscata alla mafia. A novembre 2013 - secondo l'allora viceministro dell'Economia e delle Finanze Luigi Casero - l'ammontare del Fug era di 3 miliardi di euro, tra denaro contante e titoli. Tutti soldi confiscati alla criminalità grazie al lavoro delle forze dell'ordine e della magistratura che dovrebbero essere ripartiti e divisi a metà proprio tra i ministeri dell'Interno e della Giustizia. Sicurezza e giustizia, però, finora hanno ricevuto poco più di 63 milioni. Una cifra irrisoria, di fronte alle enormi carenze delle risorse necessarie a garantire la sicurezza dei cittadini e la legalità nel Paese.

La Dia, con i sequestri e le confische operate fino a oggi, ha prodotto il 35 per cento della quota Fug spettante al ministero dell'Interno. Parte di questa ingente somma potrebbe essere destinata al funzionamento di questa struttura antimafia che così potrebbe autofinanziarsi ottenendo un duplice effetto: garantire un notevole risparmio in termini economici. E migliorare l'efficienza e l'operatività della struttura.

mercoledì 5 marzo 2014

Sicilia, la contesa davanti ai giudici a 40 anni dal testamento

“Il paese è nostro, ora pagateci”
I principi contro il Comune



laura anello
PALERMO
Su un fronte ci sono due rampolli di antica nobiltà siciliana, Biagio e Francesco Licata di Baucina. Sull’altro il piccolo disastrato Comune a venti chilometri da Caltanissetta che faceva parte della vasta ducea dei loro antenati: Serradifalco, oggi seimila anime preoccupate dall’allarme rifiuti tossici che aleggia intorno alla sua miniera di sale abbandonata.

Ebbene, gli eredi degli antichi Signori, quarant’anni dopo l’apertura del testamento del padre, il principe Antonio Licata di Baucina, sostengono che gran parte del paese sia di loro proprietà. E pazienza se il Comune nell’ultimo mezzo secolo ci abbia costruito parcheggi, piazze, teatri, quartieri. «Il diritto di proprietà è imprescrittibile, non si perde se non si usa», scandisce l’avvocato Maria Cecilia Peritore, che ha citato in giudizio l’amministrazione pubblica. La causa si apre oggi, al tribunale di Caltanissetta, davanti al giudice Maria Luisa Insinga, che dovrà immergersi tra atti notarili, scartoffie ingiallite, complessi diritti dinastici.

L’incipit dell’atto di citazione fa capire che la matassa è difficile da dipanare: «Gli immobili appartenevano a don Domenico Lo Faso e Ventimiglia, duca di Serradifalco. Questi lasciò tutti i suoi beni all’unica figlia Giulietta Lo Faso e Ventimiglia, duchessa di Serradifalco, la quale istituì erede la nipote Giulia Fardella di Moxharta giusta testamento olografo del 7.4.1886 pubblicato dal notaio Filippo Lionti Scagliosi di Palermo il 14.2.1888…». E così via, tra duchi, principi, usufrutti, eredità, testamenti. Fino ad arrivare ai due attuali proprietari, ben lontani dal prototipo di aristocratici arroccati nel castello. Uno, Francesco Licata di Baucina, è stato manager del più grande ospedale dell’Isola, il Civico di Palermo, ed è attualmente direttore generale dell’Arpa Sicilia, l’azienda regionale impegnata anche sul rischio miniere di cui Serradifalco è un epicentro, con il suo triste primato di morti legate a probabili scorie.

La questione centrale sta in un termine giuridico, «enfiteusi»: un diritto di godimento su una proprietà altrui. Un retaggio dell’epoca feudale, molto utilizzato in Italia tra Medioevo e Settecento, quando duchi, baroni e marchesi cedevano - a fronte del pagamento di un canone - brandelli dei propri latifondi perché venissero coltivati. Concessioni così lunghe e proprietà talmente infinite che spesso l’enfiteuta finiva per disporne come se fossero sue. Tanto che il Comune di Serradifalco, all’atto di espropriare i terreni nell’arco degli ultimi cinquant’anni, avrebbe notificato gli atti agli enfiteuti e non già ai legittimi proprietari, cioè ai Licata di Baucina. Che ora chiedono un risarcimento danni che ammonta a svariati milioni di euro. «Non si capisce - sostiene l’avvocato del Comune di Serradifalco, Antonio Campione - come si siano svegliati quarant’anni dopo l’apertura del testamento. Una rivendicazione assolutamente tardiva».

Nel mirino ci sono trentacinque enormi proprietà del Comune, il 20 per cento dell’estensione del paese. Alle quali vanno aggiunte quelle contese a decine e decine di privati, ai quali gli eredi dei Gattopardi pure battono cassa, contestando il mancato versamento del canone o la trasformazione irreversibile delle proprietà: «Pagate o restituiteci i nostri beni», dicono. Così non c’è da stupirsi se a Serradifalco - dove i revisori dei conti sono in dubbio se notificare il pre-dissesto o conclamare il default - nessuno dorma sonni tranquilli. Se il giudice dovesse dare ragione ai Licata di Baucina, decine di nobili di mezza Italia potrebbero decidere di rivendicare ducee e principati. Tirando fuori, magari, anche carrozze e servitù. 

Caserta, triplice omicidio: ergastolo al figlio di Schiavone «Sandokan»

Accolte le richieste del Pm Ardituro. Il giudice: «Sentenza da affiggere in tre comuni»


di Marilù Musto
CASERTA - Ergastolo perché ritenuto colpevole di triplice omicidio. Questo il verdetto, di primo grado, emesso in tarda mattinata a Santa Maria Capua Vetere, nei confronti di Nicola Schiavone, 35 anni, primogenito del boss Schiavone «Sandokan».
A presiedere la Corte d'Assise il giudice Giuseppe Provitera, che ha ordinato anche di far affiggere il dispositivo della sentenza nei tre comuni, in cui, nel 2009, avvennero i fatti di causa, ovvero Frignano, Villa di Briano e Casaluce.

Mentre Nicola Schiavone ha avuto l'ergastolo per tre omicidi, quello di Giovanni Battista Papa, Modestino Minutolo e Francesco Buonanno, un secondo imputato - Francesco Barbato - s'è visto comminare l'ergastolo per un solo dei tre omicidi, quello di Buonanno.

Il terzo imputato, Amedeo De Biasio, è stato invece condannato a soli due anni. Il triplice delitto avvenne nell'ambito di un regolamenti di conti all'interno del clan Schiavone.

In aula stamane c'era il pm della Dda, Antonello Ardituro, che ha visto accolte le richieste della sua requisitoria.

'Ndrangheta, 17 condanne da 1 a 16 anni

Contro i boss del clan Latella-Ficara

Il tribunale di Reggio Calabria ha emesso la sentenza di condanna nei confronti di 17 persone considerate facenti parte a vario titolo del clan dei Latella-Ficara mentre altre sedici sono stata assolte dalle medesime accuse. 


REGGIO CALABRIA - Diciassette persone sono state condannate a pene variabili da uno a sedici anni di reclusione al termine del processo ai presunti esponenti delle cosche della 'ndrangheta che operano nella zona sud di Reggio Calabria. La sentenza è stata emessa dai giudici del tribunale reggino, presieduto da Andrea Esposito, che con la stessa sentenza hanno assolto altri sedici imputati.

Il presunto boss del rione 'Pellaro', Carmelo Riggio, è stato condannato alla pena di sedici anni rispetto ai 31 chiesti dal pubblico ministero, Stefano Musolino. A Giuseppe Ficara è stata inflitta una condanna a 16 anni; Mariano Foti (13 anni e 6 mesi); Vincenzo Principato e Giovanni Zappalà, 12 anni e sei mesi ciascuno ; a Carmelo Latella, Santo Siclari, Paolo Manti e Alessandro Chizzoniti, dodici anni ciascuno. Il processo è scaturito da una inchiesta del 2011 eseguita dai carabinieri e dalla Guardia di Finanza contro esponenti e gregari delle cosche Latella-Ficara, che avevano allargato la loro area di influenza criminale dalla Vallata del Valanidi sino a Pellaro, dopo il pentimento del boss Filippo Barreca

Reggio, l'ombra della guerra tra le cosche

Dietro omicidio dell'uomo ucciso vicino casa

Franco Fabio Quirino, 43 anni, era noto alle forze dell'ordine, ed era stato arrestato nell'ambito dell'operazione "Alta tensione". E' considerato dagli inquirenti un elemento di spicco del clan Libri. A lui era intestata una impresa di pulizie che sarebbe stata riconducibile ad elementi della cosca 



REGGIO CALABRIA - L'omicidio di Franco Fabio Quirino, 43 anni, avvenuto nella serata di lunedì a Reggio Calabria, potrebbe essere al centro di una nuova guerra tra clan. E' questa, infatti, l'ipotesi più seguita dagli investigatori che, al momento, non escludono nulla. Il profilo della vittima non è di poco conto. Quirino venne arrestato nell'ambito dell'operazione "Alta tensione", ed è considerato elemento di spicco del clan Libri. Era lui l'intestatario di una ditta di pulizie che, invece, secondo le indagini, sarebbe stata riconducibile a Francesco Zindato, ritenuto elemento di primo piano del clan. Ci sono intercettazioni, nell'ambito delle inchieste, che evidenziano gli accordi tra i due.
Dunque, chi ha ucciso Quirino ha voluto colpire un personaggio scomodo, e lo ha fatto sapendo che questo potrebbe provocare una reazione della cosca di appartenenza.
L’omicidio è avvenuto nel rione Modena, in una zona periferica della città. Quirino è stato raggiunto da numerosi colpi d’arma da fuoco mentre era per strada. 
Quirino, secondo una prima ricostruzione, è stato colpito in diverse parti del corpo si è accasciato ed è stato soccorso da alcuni passanti che lo hanno trasportato al Riuniti dove è morto poco dopo il ricovero per le gravi ferite riportate. Sul posto sono intervenute le forze dell’ordine per avviare i primi rilievi e ricostruire la dinamica dell’agguato. I carabinieri hanno analizzato la scena del crimine e nel corso della notte hanno tentato in primo luogo di accertare se si sia trattato di un agguato o se Quirino sia stato ucciso da qualcuno che era in sua compagnia e col quale potrebbe avere avuto una discussione. 
 
Capire il movente, comunque, non è semplice, ma secondo la principale ipotesi investigativa, dunque, potrebbe essere collegato ad una vendetta maturata negli ambienti della criminalità reggina. Per tutta la notte gli investigatori hanno ascoltato i parenti della vittima e i conoscenti per ricostruire frequentazioni e movimenti nelle ultime ore. Sul posto anche il magistrato di turno, ma molto probabilmente le indagini passeranno alla Direzione distrettuale antimafia.
Secondo gli approfondimenti degli investigatori, Quirino era ancora vivo quando è stato soccorso e trasportato agli ospedali Riuniti, ma è giunto cadavere al pronto soccorso. Ucciso, secondo gli attuali riscontri, da un unico proiettile di piccolo calibro. Senonchè, esaminando la scena, i carabinieri del comando provinciale si sono accorti che oltre al posto in cui Quirino è stato soccorso, la scena del delitto è molto più ampia. 
 
Nel corso della stessa notte, infatti, grazie ai sopralluoghi degli investigatori, coordinati dal pm Stefano Musolino, ha iniziato a prendere corpo una dinamica molto più estesa. Tracce di un conflitto a fuoco sono state trovate in una strada parallela a quella adiacente al cortile, distante da lì poche decine di metri. Di più, da alcuni elementi raccolti dagli investigatori sembrerebbe che vi siano stati due momenti chiave non solo fisicamente ma anche temporalmente distanti l’uno dall’altro. La pista, ancora al vaglio degli investigatori, è che nel pomeriggio Quirino abbia subito una prima aggressione, e che in serata vi sia stato un nuovo scontro, che ha visto quest’ultimo soccombente, raggiungere il garage quale tentativo disperato di fuga. Gli inquirenti, in particolar modo, stanno esaminando tutti gli spostamenti di Quirino, e di un tale N.C., col quale Quirino avrebbe avuto un alterco. Ed è con questa si ricostruzione che si cerca di capire se la lite e il successivo omicidio possano essere legati alla guerra tra i clan reggini, e non ad un episodio isolato.