mercoledì 29 aprile 2015

Approvata la Relazione della Commissione sui testimoni di giustizia


Dopo la discutibile iniziativa che ha visto sfilare i testimoni di giustizia incappucciati in occasione della conferenza stampa indetta dal presidente della Regione Siciliana, Rosario Crocetta, in merito alla loro assunzione, la Camera approva il primo passo serio alla lotta alla criminalità organizzata che va  al di là di inutili passerelle, proclami e bandierine.
Il contrasto alle attività criminali non può prescindere dall’adozione di strumenti legislativi che tengano conto del ruolo dei testimoni di giustizia e della necessità di predisporre adeguate misure di protezione degli stessi, tenendo conto anche del mantenimento del loro  pregresso tenore di vita.

Il primo passo, importante, è stato quello  avanzato dal coordinatore del V Comitato della Commissione Antimafia, Davide Mattiello (Pd), che ha messo a punto la Relazione sui testimoni di giustizia votata dalla Camera,  di fare un distinguo con i collaboratori di giustizia, ovvero con quelli comunemente conosciuti come pentiti.
Un distinguo necessario visto che spesso si confonde il testimone di giustizia, soggetto estraneo ai fatti criminosi, con il collaboratore di giustizia (pentito), ovvero chi avendo fatto parte di un’associazione mafiosa collabora con la giustizia ottenendo in cambio i vantaggi previsti dalla legge.
Secondo punto, non meno importante, l’adozione di strumenti di tutela, di assistenza economica e reinserimento lavorativo, valutando i singoli casi.

Concetti ben diversi da quelli che il presidente Crocetta aveva previsto nella nuova norma per l’assunzione dei testimoni di giustizia, indicata dallo stesso come “un fiore all’occhiello, unica in Europa”, che nel fare un tutt’uno indistinto dei testimoni non teneva presente le diverse necessità e la storia soggettiva, finendo con il mortificare lo status di alcuni, mettendone anche a rischio l’incolumità, beneficiandone altri le cui necessità, e forse anche i rischi  che corrono, sono ben diversi.
Aspetti che sono stati condivisi anche dalla presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Rosy Bindi, che ha così commentato la Relazione della Commissione sui testimoni di giustizia, prima che si procedesse al voto:

“E’ necessario un ammodernamento del nostro modo di combattere le mafie. Noi riteniamo che dopo la legge del 13 febbraio del 2001, la sua applicazione e la sua sperimentazione da parte dei Governi che si sono succeduti nel tempo, sia necessario procedere ad alcune modifiche. Preannuncio subito che lavoreremo anche alla modifica che riguarda i collaboratori di giustizia. Dobbiamo distinguere queste due figure per riuscire a portare verso la zona bianca coloro che oggi abitano la zona grigia e che molto facilmente possono invece scivolare verso la zona nera. Il diverso modo con cui agiscono oggi le mafie, che oltre all’uso della violenza sanno creare complicità e connivenze, ci deve portare ad avere un atteggiamento che sintetizzerei con questa immagine: le braccia aperte per accogliere coloro che, anche dopo aver sbagliato, ma non essendo mai diventate parte integrante delle associazioni mafiose, dopo esserne diventate vittime vogliono recidere assolutamente questo rapporto che in una fase li ha visti in qualche modo complici o, quantomeno, li ha visti lucrare la convenienza di questo rapporto”.

In questo contesto, finalmente, si fa riferimento all’applicazione di regole da applicare a tutti, ma attraverso una forte personalizzazione visto che si tratta di storie soggettive diverse, come diverse sono le conseguenze singolarmente subite dai testimoni di giustizia e dalle loro famiglie. “Si tratta comunque di storie ciascuna con la sua originalità – ha affermato la Bindi – Basta ascoltarli per capire quanto una scelta come quella che loro hanno fatto per tutti noi abbia inciso profondamente nella loro esistenza e nell’esistenza dei loro cari”, aggiungendo che quando e dove è possibile, il testimone di giustizia deve restare a casa propria, continuando la propria attività laddove si trova.

Dello stesso avviso il viceministro all’Interno, Filippo Bubbico, il quale ha sottolineato che “bisogna favorire la permanenza dei testimoni di giustizia nei luoghi di residenza”.

Bubbico è anche intervenuto in merito alla personalizzazione, affermando “che la relazione mette bene in evidenza e che riguarda gli operatori economici, gli imprenditori, che denunciano, che rendono testimonianza e che, per effetto della loro testimonianza, vivono situazioni particolarmente difficili nell’esercizio della loro attività economica, della loro attività produttiva, della loro attività commerciale o professionale, perché agire in contesti ostili e difficili per chi ha denunciato, per chi ha testimoniato, è particolarmente gravoso. E allora vanno studiate, come nella relazione viene suggerito, quelle modalità, conformi all’ordinamento comunitario, che possano favorire l’assegnazione diretta di commesse, l’esecuzione di opere da parte della pubblica amministrazione, in ragione compatibile con le regole della concorrenza e del mercato. Occorrerà definire eventualmente una specifica misura da notificare alla Commissione europea, perché possa essere praticato un regime di esenzione, magari modulato per determinati valori, per quegli operatori economici che testimoniano la loro volontà di opporsi alle organizzazioni criminali”

Si tratterebbe in pratica di una modifica alla norma che tutela il TESTIMONE DI GIUSTIZIA con lo “SPECIALE PROGRAMMA DI PROTEZIONE” n.45/2001 e dal D.M. n.161/2004.
Una modifica più volte sollecitata da Angelo Vaccaro Notte, il testimone di giustizia che tramite interventi presso la Commissione Antimafia e a mezzo stampa aveva denunciato le numerose lacune della norma, non lesinando aspre critiche ai governi succedutisi nel corso degli anni che in un’ottica di accordi di carattere politico hanno garantito le poltrone ad ogni cambio di legislatura a soggetti spesso privi di esperienza in materia, limitandosi ad un’alternanza dei ruoli che poco o nulla ha prodotto in termini fattuali rispetto la problematica in oggetto.

Per la prima volta questa modifica potrebbe garantire al testimone l’effettivo mantenimento del pregresso tenore di vita, corresponsione di una somma a titolo di mancato guadagno, concordata con la commissione, derivante dalla cessazione dell’attività imprenditoriale e lavorativa propria nella località di provenienza.

Numerose le discrasie che Vaccaro Notte aveva posto in evidenza rispetto una norma che non teneva conto dei problemi di alcuni testimoni che vivono in località protetta e che non possono rientrare in Sicilia, per i quali lo Speciale Programma di Protezione prevedeva la possibilità di essere assunti a Roma o in un paese della Comunità Europea, non tenendo conto di quanti nel corso di questi anni avevano investito nelle regioni di residenza, dove vivono sotto tutela e con una nuova identità, creando nuove prospettive per i propri figli e un indotto economico che ha finito con il favorire l’occupazione e l’economia della regione di residenza.

“Roba da “ricovero ospedaliero” l’aveva definita Vaccaro Notte che nel corso di 15 anni del suo “calvario” ha assistito a diversi avvicendamenti di presidenti e membri Commissione Centrale senza che si fosse mai presa in seria considerazione la possibilità di applicare quanto previsto dallo Speciale Programma di Protezione e di apportare le necessarie modifiche affinché non si mortificasse la dignità di chi per uno spiccato senso di dovere sociale ha finito con il perdere prospettive economiche, mettendo a repentaglio la propria incolumità e quella dei suoi familiari, privandosi inoltre delle proprie radici dovendo cambiare regione e a volte anche la propria identità.


Gian J. Morici





venerdì 17 aprile 2015

Mafia, le accuse del pentito al Ministro Alfano. Sgarbi: “Si dimetta”




ROMA – Vittorio Sgarbi chiede le dimissioni del ministro dell’Interno Alfano dopo le rivelazioni, al processo Stato-Mafia, del pentito di mafia Carmelo D’Amico.


«A fronte della predicata azione antimafia e della logica del sospetto come anticamera della verità, dopo le dichiarazioni del neo pentito di mafia Carmelo D’Amico, e visto il comportamento corretto del ministro Lupi in occasione di un’analoga vicenda di sospetti, è inevitabile che il ministro Alfano si dimetta, per risparmiare all’Italia l’onta di un ministro dell’Interno eletto con i voti della mafia, cosa certamente verosimile ad Agrigento. Soprattutto se si valuta con quale infondato fumus il predetto ministro abbia sciolto per mafia, senza alcun riscontro certo, molte amministrazioni comunali».

http://www.lavalledeitempli.net/2015/04/17/mafia-accuse-pentito-ministro-alfano-sgarbi-si-dimetta/


Processo trattativa, D’Amico: “Alfano e Schifani hanno fatto accordi con Cosa nostra”


“Tra i politici che hanno fatto accordi con Cosa nostra ci sono anche Angelino Alfano e Renato Schifani, che sono stati eletti con i voti della mafia”. Lo ha detto il pentito messinese Carmelo D’Amico deponendo al processo sulla trattativa Stato-mafia. D’Amico ha detto di avere appreso la circostanza in carcere. “Alfano – ha aggiunto – lo aveva portato la mafia, ma lui poi le ha girato le spalle, l’unica cosa buona che avevano fatto era quella di aver delegittimato i collaboratori di giustizia. Tutte queste cose me le hanno dette Nino Rotolo e Vincenzo Galatolo”. Il collaboratore di giustizia ha anche aggiunto: “Forza Italia è nata perché l’hanno voluta i Servizi segreti, Riina e Provenzano per governare l’Italia. Berlusconi era una pedina di Dell’Utri, Riina, Provenzano e dei Servizi…
A riportare le rivelazioni, il sito AntimafiaDuemila che dedica un lungo articolo raccontando puntigliosamente le dichiarazioni dei pentiti che ripercorrono alcuni passaggi cruciali per i quali  D’Amico dichiara di avere timori: “Per i nomi che farò oggi cercheranno di togliermi di mezzo. Come volevano fare con Di Matteo e Ingroia”…

http://www.lavalledeitempli.net/2015/04/17/processo-trattativa-damico-alfano-schifani-fatto-accordi-nostra/



Mafia, pentito: “Alfano portato da Cosa Nostra. Berlusconi pedina di Dell’Utri”
 

Sono alcune delle dichiarazioni rilasciate alla corte d'assise di Palermo da Carmelo D'Amico, l'ex killer di Barcellona Pozzo di Gotto, oggi diventato l'ultimo super testimone dell'inchiesta sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra. I magistrati lo considerano un collaboratore altamente credibile. Merito delle confidenze raccolte nei due anni trascorsi in carcere con Nino Rotolo, il boss di Pagliarelli fedelissimo di Bernardo Provenzano
Il ministro dell’Interno Angelino Alfano? “Portato da Cosa nostra, ma poi gli ha voltato le spalle”. Forza Italia? “Nata per volere dei servizi segreti”. Silvio Berlusconi? “Una pedina nelle mani di Marcello Dell’Utri”. Il pm Nino Di Matteo? “Lo vogliono morto sia Cosa Nostra che i servizi segreti”. Parola di Carmelo D’Amico, l’ex killer di Barcellona Pozzo di Gotto, oggi diventato l’ultimo super testimone dell’inchiesta sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra.

È un collaboratore importante D’Amico, un pentito che i pm del pool Stato – mafia considerano altamente credibile. Merito delle confidenze raccolte nei due anni trascorsi in carcere con Nino Rotolo, il boss di Pagliarelli fedelissimo di Bernardo Provenzano. “Rotolo mi disse che Matteo Messina Denaro non è il capo di Cosa nostra, perché è il capomandamento di Trapani: ma il capo di Cosa nostra non può essere un trapanese, deve essere palermitano”, è uno dei tanti passaggi della deposizione di D’Amico, ascoltato come testimone dalla corte d’Assise di Palermo che sta processando politici, boss mafiosi ed alti ufficiali dei carabinieri per il patto segreto tra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra.

Un racconto cominciato con un mea culpa: “Ho commesso almeno una trentina di omicidi, soprattutto per i catanesi dal 1992 in poi: a un ragazzo ho anche tagliato le mani”, ha confessato D’Amico, spiegando di aver deciso di collaborare con la magistratura “dopo la scomunica dei mafiosi di Papa Francesco, quelle parole mi hanno colpito moltissimo”. L’anatema del pontefice contro i boss è del 21 giugno 2014: da quel momento D’Amico inizia ad aprire il suo personalissimo libro dei ricordi, prima davanti ai pm della dda di Messina, e poi con i magistrati del pool palermitano.

È davanti ai pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia, Vittorio Teresi e Francesco Del Bene che D’Amico mette a verbale tutto quello che ha appreso sui rapporti tra Cosa Nostra e le Istituzioni. Un racconto pieno di rivelazioni inedite, replicato davanti alla corte d’assise, che coinvolge direttamente il ministro dell’Interno. “Angelino Alfano – ha spiegato D’Amico collegato in videoconferenza con l’aula bunker del carcere Ucciardone– è stato portato da Cosa nostra che lo ha prima votato ad Agrigento, ma anche dopo. Poi Alfano ha voltato le spalle ai boss facendo leggi come il 41 bis e sulla confisca dei beni”.

Ma non solo. Perché a godere dell’appoggio delle cosche sarebbe stato anche l’ex presidente del Senato Renato Schifani, già indagato per concorso esterno alla mafia e poi archiviato. “Cosa nostra ha votato anche Schifani, poi hanno voltato le spalle, e la mafia non ha votato più Forza Italia”. Per il collaboratore, poi, il partito di Silvio Berlusconi sarebbe nato perché sostenuto direttamente da Totò Riina e Bernardo Provenzano. “I boss votavano tutti Forza Italia, perché Berlusconi era una pedina di Dell’Utri, Riina, Provenzano e dei Servizi. Forza Italia è nata perché l’hanno voluta loro”. Poi però il patto tra politica e boss s’interrompe. “All’epoca i politici hanno fatto accordi con Cosa nostra, poi quando hanno visto che tutti i collaboratori di giustizia che sapevano non hanno parlato, si sono messi contro Cosa nostra, facendo leggi speciali, dicendo che volevano distruggere la mafia”.

D’Amico ha anche raccontato che a Barcellona Pozzo di Gotto era attiva una loggia massonica. “Ne facevano parte uomini d’onore, avvocati e politici, e la comandava il senatore Domenico Nania (ex vice presidente del Senato col Pdl) : a questa apparteneva anche Dell’Utri”. La fonte dell’ex killer di Barcellona Pozzo di Gotto è Rotolo, il boss palermitano con il quale condivide tra il 2012 e il 2014 l’ora di socialità. Rotolo è un pezzo da novanta, ex fedelissimo di Totò Riina e poi di Bernardo Provenzano. “Mi raccontò che i servizi avevano fatto sparire dal covo di Riina un codice di comunicazione per mettersi in contatto con politici e gli stessi agenti dei servizi”. Ma il boss di Pagliarelli avrebbe fatto a D’Amico anche confidenze sulla latitanza di Provenzano. “Mi disse anche che Provenzano era protetto dal Ros e dai Servizi e non si è mai spostato da Palermo, tranne quando andò ad operarsi di tumore alla prostata in Francia”.

Ed è sempre Rotolo che racconta a D’Amico il piano di morte per assassinare Di Matteo. “Rotolo ne parlava con Vincenzo Galatolo: all’inizio non lo chiamavano per nome, ma lo definivano cane randagio, poi io chiesi di chi parlavano e mi risposero che si trattava di Di Matteo, e che aspettavano da un momento all’altro la notizia dell’attentato”. Il racconto di D’Amico riscontra implicitamente le rivelazioni di Vito Galatolo, figlio di Vincenzo, il boss dell’Acquasanta, che per primo ha svelato come a partire dal dicembre del 2012, Cosa Nostra avesse studiato nei dettagli un piano per assassinare il pm della Trattativa. “Era stabilito che il dottor Di Matteo doveva morire – ha aggiunto D’Amico – Rotolo mi ha raccontato che i servizi segreti volevano morto prima il dottor Antonio Ingroia, poi Di Matteo. E siccome Provenzano non voleva più le bombe, dovevamo morire con un agguato”.

Anche Vito Galatolo ha raccontato che in un primo momento l’attentato contro il pm palermitano doveva essere fatto con 200 chili di tritolo, già acquistati dalla Calabria e arrivati a Palermo. Poi però si passo ad un piano di riserva, che prevedeva l’eliminazione del magistrato in un agguato a colpi di kalashnikov. Appena poche settimane fa l’allerta al palazzo di Giustizia è tornata ai massimi livelli, dato che uomini armati sarebbero stati localizzati nei pressi di un circolo tennistico sporadicamente frequentato dal pm. E se Galatolo aveva indicato in Messina Denaro il mandante dell’omicidio (“Perché Di Matteo si sta spingendo troppo oltre” aveva scritto il padrino di Castelvetrano ai boss di Palermo) per D’Amico l’ordine arrivava anche da altri ambienti.

“A volere la morte di Di Matteo erano sia Cosa Nostra che i Servizi perché stava arrivando a svelare i rapporti dei Servizi come fece a suo tempo il dottor Giovanni Falcone”. E quando ad un certo punto l’attentato sembra essere entrato in fase d’impasse, Rotolo e Vincenzo Galatolo provano ad inviare D’Amico a Palermo. “Io – ha spiegato il pentito – dovevo uscire da lì a poco dal carcere e si parlava di delegare me per portare avanti questa cosa”. Il vero chiodo fisso di D’Amico, però, sono i servizi. “Arrivano dappertutto ed è per questo che altri pentiti come Giovanni Brusca e Nino Giuffré non raccontano tutto quello che sanno sui mandanti esterni delle stragi”. Alla fine ecco anche una paradossale precisazione. “I servizi organizzano anche finti suicidi in carcere: per questo voglio chiarire che io godo di ottima salute e non ho nessuna intenzione di suicidarmi”.

lunedì 13 aprile 2015

ANSA/ Sicilia assume testimoni, ma lui non può tornarci



(di Valentina Roncati) (ANSA) - ROMA, 12 APR - Aveva 26 attività commerciali e due fratelli. Ma oggi Angelo, 51 anni, con figli, testimone di giustizia da 15 anni, si ritrova a non avere più né le attività commerciali, che ha dovuto chiudere, né i due fratelli, che sono stati uccisi dalla mafia nel '99 e nel 2000, quando avevano rispettivamente 48 e 42 anni.
Una storia dolorosa ma non isolata quella di Angelo, siciliano di un paese dell'agrigentino. Che è nel gruppo dei 13 testimoni di giustizia che la Regione Siciliana, dando seguito ad una legge approvata dall'Assemblea regionale, ha assunto nei giorni scorsi. Ma il paradosso è che lui in Sicilia non può rimettere piede per motivi di sicurezza.
Per denunciare situazioni come la sua e quelle di tanti altri testimoni di giustizia - persone che hanno scelto di non sottostare a racket, ricatti e soprusi e denunciare - il deputato Pd Davide Mattiello, componente della Commissione parlamentare Antimafia, dove coordina il gruppo di lavoro su testimoni, collaboratori e vittime di mafia, ha scritto oggi una lettera aperta al premier Matteo Renzi in cui chiede maggiore attenzione a queste persone, "perché sentano di essere nel cuore delle preoccupazioni dello Stato e non un peso mal sopportato".
"Ero un imprenditore ricco, felice e fortunato - racconta Angelo - e con i miei fratelli ho fatto fortuna in Germania. Siamo rientrati in Italia negli anni Novanta e nella nostra terra, la Sicilia, abbiamo cercato di aprire una attività commerciale. Subito ci sono stati problemi: il nostro negozio avrebbe fatto concorrenza ad un altro il cui titolare era appoggiato dalla politica locale e sono passati anni prima che ci venisse concessa la licenza. Ma il peggio è arrivato quando uno dei miei fratelli ha avuto l'idea di aprire un'agenzia di onoranze funebri. Nel paese ce n'era un'altra senza autorizzazioni ma appoggiata dalla mafia provinciale. Io in quel periodo iniziai a denunciare la corruzione, il malaffare, le collusioni tra mafia e politica, il sistema della spartizione degli appalti. Prima mi furono uccisi i cani. Nel '99 e nel 2000 furono uccisi i miei fratelli. Il primo lasciò la moglie, il secondo moglie e tre figli".
Da allora Angelo - che ha raccontato alle forze dell'ordine i retroscena dei due omicidi e con le sue denunce ha fatto dimettere un sindaco e ha portato all'arresto di noti mafiosi latitanti, alla scoperta di un traffico di armi e droga, di appalti pilotati e corruzione politica - ha lasciato la Sicilia, ha dovuto chiudere tutte le sue aziende e, con la sua famiglia, è entrato nel programma speciale di protezione. "Vuole la verità? Mi dispiace essere nato in Italia", dice.
Ma il suo non è un caso isolato: Luisa, che ha sposato un testimone in programma speciale di protezione in località segreta, da mesi aspetta di poter tornare qualche giorno a casa sua per rivedere i genitori, i nipoti. Tutto sembra ormai pronto: biglietti fatti, valigie preparate, famiglia in allerta, bambini pronti. All'ultimo una telefonata: tutto annullato, perché le autorità competenti dicono di non essere in grado di garantire la sicurezza. Ma come? Per quanto? Non si sa..

A Michele, sposato e padre di due figli, la 'ndrangheta ha promesso la morte, tanto che in Calabria non può più metterci piede: divieto certificato dalle Autorità, e qualora debba proprio passarci, deve farlo con scorta, tutela e auto blindata. Ma a quest'uomo improvvisamente, e con due righe notificate dal comando dei carabinieri della località dove vive da qualche anno, gli viene revocata la scorta, fatta eccezione per la Calabria. "Così non va - scrive Mattiello - un testimone di giustizia riscattato ad una vita libera e dignitosa vale più di tante leggi contro mafia e corruzione". Sono meno di 100 i testimoni di giustizia in Italia, la maggior parte tra i 26 e i 60 anni. Nel programma di protezione del Viminale ci sono anche 253 loro familiari, di cui 103 hanno tra 0 e 18 anni.

http://davidemattiello.it/post/116282438522/testimoni-di-giustizia-lettera-aperta-a-renzi

http://www.regione.vda.it/notizieansa/details_i.asp?id=212935

http://www.secondopianonews.com/italia/2015/04/12/la-sicilia-assume-testimoni-di-giustizia-ma-ce-chi-non-puo-tornarci/14544.html

http://www.mister-x.it/notizie/rassegna_stampa.asp?id=134633&ultime_notizie=ansa-sicilia-assume-testimoni-ma-lui-non-pu%C3%B2-tornarci

http://www.lasicilia.it/articolo/la-regione-assume-i-testimoni-ma-lui-non-pu-tornare-sicilia

http://bivona.virgilio.it/notizielocali/la_regione_assume_i_testimoni_di_giustizia_ma_lui_non_pu_tornare_in_sicilia-45174580.html

http://12alle12.it/roma-sicilia-assume-testimoni-ma-lui-non-puo-tornarci-138320

https://www.facebook.com/lasiciliait

http://agrigento.gds.it/2015/04/13/la-regione-assume-i-testimoni-di-giustizia-ma-lui-non-puo-tornare-in-sicilia_341165/

http://www.ildistretto.it/testimoni-di-giustizia-la-sicilia-li-assume-ma-lui-non-puo-tornare/

http://247.libero.it/rfocus/22812796/1/la-regione-assume-i-testimoni-di-giustizia-ma-lui-non-pu-tornare-in-sicilia/

https://it-it.facebook.com/giornaledisicilia/posts/906101952744638

http://www.matiastanea.gr/it/relative/politics/lasicilia/La%20Regione%20assume%20i%20testimoni%20ma%20lui%20non%20pu%C3%B2%20tornare%20in%20Sicilia%20/

 

venerdì 10 aprile 2015

Testimoni di ingiustizie – Angelo Vaccaro Notte



 
Testimoni di giustizia. Cosa sono, quanti sono, chi sono, dove e come vivono.
Cominciamo con il fare un distinguo con i collaboratori di giustizia, ovvero con quelli comunemente conosciuti come pentiti. Il testimone di giustizia è una persona che, estranea ai fatti criminosi, a seguito di dichiarazioni rese (quindi come “testimone”) si trova nella condizione di dovere essere protetto dallo Stato.

Quanti sono
Con esattezza non lo sappiamo. Quelli dei  quali possiamo esser certi, sono i 48 che verranno assunti alla Regione Siciliana a seguito della firma del protocollo d’intesa tra la Commissione Centrale per la protezione dei testimoni di giustizia, presieduta dal viceministro dell’Interno, Filippo Bubbico, e il presidente della Regione Siciliana, Rosario Crocetta.

Chi sono, dove e come vivono
Questo non lo dovremmo sapere. Non lo dovremmo sapere noi, non dovrebbero saperlo, a maggior ragione, altri soggetti. Eppure, purtroppo, non è così. Ieri il presidente siciliano, Rosario Crocetta, ha indetto una conferenza stampa alla quale hanno preso parte alcuni dei testimoni di giustizia che verranno assunti dalla Regione. Una passerella – non certo quella dei testimoni quanto quella del presidente siciliano – che nel corso della quale vengono mostrate a volto coperto persone usate quasi come fossero trofei, se non peggio, incuranti delle loro angosce, dei loro dolori, delle loro privazioni e forse anche dei rischi per la loro incolumità. Era necessario tutto questo?

Vite spezzate, sangue, dolore e uno Stato assente. Si potrebbe racchiudere in queste poche parole la storia di Angelo Vaccaro Notte, fratello di Vincenzo e Salvatore, uccisi dalla mafia.

Angelo, dopo l’uccisione dei suoi due fratelli (Vincenzo il 3 novembre del 1999, Salvatore il 5 febbraio del 2000), si rivolge agli inquirenti raccontando i retroscena dei due omicidi. Sottoposto al programma di protezione assieme la famiglia, è un “Testimone di Giustizia”. Grazie alle sue rivelazioni le indagini portano all’arresto di mafiosi latitanti e alla scoperta di un traffico di armi e droga, ma anche a fatti di corruzione politica, di appalti pilotati, di quel connubio nel quale è difficile scindere mafia e malaffare. Abbiamo voluto sentire da lui, un testimone di giustizia, cosa ne pensasse di questa nuova norma che prevede la possibilità di essere assunti dalla Regione Siciliana che si farebbe anche economicamente carico dei testimoni costretti a vivere fuori dalla Sicilia.

D: Il presidente Crocetta, soddisfatto del risultato, ha affermato che siamo l’unica regione d’Europa, che ha varato una norma sui testimoni di giustizia e siamo un esempio per tutto il Paese. Cosa pensa della nuova norma?

R: Una norma che mortifica lo status del testimone di giustizia, che non si preoccupa di restituire a chi ha messo a rischio la propria vita e quella dei propri cari una vita dignitosa.

D: Cosa non va in questa nuova norma?
Innanzitutto c’è da sottolineare come ci si trovi già dinanzi la mancata attuazione di norme che prevedono che al testimone di giustizia vada assicurato il pregresso tenore di vita. Ci troviamo dinanzi un deficit informativo in merito ai diritti e doveri connessi con l’assunzione dello status di testimone. L’azione informativa svolta dagli organi istituzionali che intervengono, a vario titolo, nel procedimento di protezione, è carente, così come  è inesistente la corrispondenza tra le condizioni di vita prospettate e quelle realizzate. Insomma, le solite “minchiate” da Crocetta a Bubbico…..una norma sui testimoni di giustizia che ha la valenza di un “sistema fognario otturato”. L’ennesima presa per i fondelli da improvvisati “sfunzionari dello Stato”. Tutto ciò che riferisce Crocetta nell’intervista, evidenzia l’incapacità e inidoneità di chi legifera…veda interviste di Bubbico che spara una serie di “minchiate” e sconosce completamente la norma legge n.45/2001.

Non ha certo peli sulla lingua Angelo Vaccaro Notte nell’esprimere la propria opinione in merito alla norma e alla preparazione di quanti politicamente preposti. Ma quanto c’è di vero nelle parole di un uomo tanto provato  per quello che ha subito dalla mafia e, di conseguenza, dalle carenze normative e dalla mancata applicazione di quelle esistenti da parte delle istituzioni?

D: Corre voce che all’incontro di ieri i testimoni di giustizia avrebbero dovuto presentarsi con apposito documento d’identità…
R: Ovvio, no? Persone che sono state costrette anche a cambiare nome, persone sottoposte a programma di protezione e che hanno l’obbligo di non mettere piede in Sicilia, cosa fanno? Per prima cosa trasgrediscono le misure di sicurezza, come seconda, si presentano con i nuovi documenti d’identità. Questi personaggi mettono a repentaglio la vita di molte persone, sono un pericolo pubblico, vanno rimossi e mandati a casa e costretti a pagare per i danni che hanno arrecato e che causeranno. Da 15 anni vivo lontano dalla Sicilia… Ho dovuto rinunciare alla qualità di vita che avevo precedentemente, alle aspettative mie e della mia famiglia. La professionalità di un imprenditore dipende ed è costituita non solo dalle nozioni teoriche ma dalle capacità applicative delle stesse nella prassi lavorativa. Si forma nel rapporto con le esigenze tecniche poste dalla pratica quotidiana e non certo ipotizzabili in termini astratti e teorici e viene stimolata ed incrementata dall’attività di soluzione delle evenienze che di volta in volta si pongono. L’assenza del lavoro priva il lavoratore della possibilità di utilizzare e valorizzare la sua professionalità, determinandone l’impoverimento ed, al tempo stesso, ne impedisce la crescita. Al dolore per la perdita dei miei due fratelli, uccisi nell’ambito di un contesto mafioso e di omertà, si sono aggiunti i danni professionali ed economici, oltre ai disagi di una necessaria limitazione di diritti costituzionalmente garantiti. In tale prospettazione è evidente che la forzata inattività dal lavoro ha determinato un pregiudizio al mio bagaglio professionale, che si traduce in un danno patrimoniale e curriculare sfumato a causa del comportamento illegittimo dello Stato…

1,10,100,1000 Angelo Vaccaro Notte, costretti dallo Stato (con la complicità della mafia) a lasciare la Sicilia… 


D: Lo Stato le ha fornito una nuova identità… Per un testimone di giustizia è importante…
R: Lo Stato spende ma lo fa molto male. L’inadeguatezza delle misure di protezione a tutela dei testimoni  in località protetta, spesso riconducibili alla ridotta disponibilità di mezzi e uomini, a volte alla scarsa professionalità delle forze dell’ordine, all’utilizzazione di immobili già impiegati per collaboratori di giustizia e la cui pregressa destinazione era nota, sono causa delle delusioni ed ostruzionismi derivanti da un programma di protezione che a livello generale si è rivelato assolutamente inadeguato a garantire ciò che era nell’intenzione del legislatore. Si vedano a tal proposito le innumerevoli relazioni delle Commissioni Antimafia che nel tempo si sono succedute e le innumerevoli denunce fatte dai numerosi testimoni di giustizia (Testimoni a perdere- A. Mantovano; Tra l’incudine e il martello – Greco, Relazione sui Testimoni di Giustizia – Commissione Parlamentare Antimafia 2006). Solo all’interno di due sistemi è GARANTITA l’identità dei testimoni di giustizia (S.C.P e N.O.P,) poi dai vari comandi e dalle scorte inizia la diffusione dei dati sensibili. Una violazione di riservatezza che mette a repentaglio la vita di molte persone Lo Stato mi ha fornito tre identità, Angelino Alfano, Filippo Bubbico e Rosario Crocetta….ma non è servito a nulla perché diversi componenti appartenenti al comando dei carabinieri di tutela alla mia scorta hanno svelato è violato il mio “status”…

Una protezione che dunque ha delle falle enormi. Se il Parlamento italiano, stando a questi dati, risulta essere il più corrotto parlamento d’Europa, cosa ci si può aspettare da tutti quegli organismi che dipendono dalla politica? Accade così che anche in Commissione dei vari Ministeri  siedano soggetti indagati per reati di varia natura che certamente non sono indice di trasparenza e legalità, portando i cittadini ad avere sempre meno fiducia nelle istituzioni.
D: Le sue dichiarazioni diedero luogo a indagini ed arresti. L’inchiesta, oltre agli aspetti legati alla mafia intesa come organizzazione criminale, finì con il toccare anche aspetti legati al mondo della politica. Quali le responsabilità della politica in quello che commettono le organizzazioni criminali?

R: Al 90% sono loro i veri alleati, coloro i quali danno la possibilità alla “feccia criminale” di proliferare nell’economia locale, regionale e nazionale.
La “feccia” prolifera in tutte le stagioni, quelle calde e quelle piovose, su terreni da cementificare, appalti, sanità, racket e omicidi… A questo si aggiungono le responsabilità dell’informazione. Sono infatti rare le inchieste giornalistiche che vengono approfondite e portate alla luce del sole con chiarezza e professionalità. Molti giornalisti non fanno altro che sciacallaggio mediatico. I media possono essere i pilastri portanti di un’informazione molto più incisiva e determinante e far sì che la gente possa collaborare e rendersi utile per la società civile.

D: Come vivono i suoi familiari questa condizione?
Naturalmente sono molto amareggiati per il vergognoso calvario con tutte le complicazioni e disagi che quotidianamente saltano fuori. Di tutto questo mi sento in colpa, anche se la mia non è stata una scelta… Sono stato costretto ad accettare l’invito della Procura di Palermo ad allontanarmi dalla località d’origine per imminente pericolo per la mia incolumità e per quella dei miei familiari, entrando a far parte del programma di protezione…

D: Se potesse, cosa vorrebbe dire oggi a quanti ritengono un fiore all’occhiello la nuova norma, unica in Europa, sui testimoni di giustizia?

R: Visto che la mia identità per molti non è più un mistero, sarei disposto a partecipare anche ad un dibattito pubblico sia con Crocetta che con Bubbico e pure anche con qualche “lampadina fulminata” della politica. Vorrei poter pubblicamente smentire categoricamente tutto o quasi della sua penosa intervista…

D: Se potesse tornare indietro nel tempo, rifarebbe le stesse scelte che la portarono a diventare un testimone di giustizia?

R: Assolutamente no!
Parole di rabbia che nascono dallo sconforto di vedersi abbandonati dallo Stato. Parole che restano soltanto tali, visto che Angelo Vaccaro Notte, a denti stetti, ammette: “La mia scelta… una scelta obbligata per un cittadino onesto che non ha altre vie da percorrere… Io non sono come “loro” (riferendosi ai mafiosi – ndr), io non faccio parte alla “Cosca dei pidocchi”… cosa mi resta oltre lo Stato? Ma come si può rispondere diversamente se o Stato è latitante e a quello che ti ha fatto la mafia ha aggiunto di suo distruggendoti la vita?”

Già, la “Cosca dei pidocchi”, come da sempre Angelo ha definito quegli uomini che comandavano nel suo paese grazie a connivenze, omertà e violenza. Testimoni di Giustizia? Forse no, visto che sono costretti a testimoniare le ingiustizie dei mafiosi e l’incapacità dello Stato a dare adeguate risposte. Per loro non ci sono medaglie. C’è dolore, rabbia, vite distrutte, ma niente premi e medaglie. Così come non ce ne furono Pietro Nava, testimone oculare dell’omicidio del giudice Rosario Livatino, costretto a cambiare identità e vita sociale, per andare a vivere in esilio all’estero dove non aveva neppure amici e conoscenti. Un “uomo morto” quello stesso giorno che dichiarò agli inquirenti ciò che aveva visto. Sepolto dal suo senso di dovere civico.

Non morto perché ucciso, semplicemente sepolto vivo, senza più identità, affetti, conoscenti…
È questa la protezione che uno Stato deve garantire ai cittadini onesti?

Cosa accadrà adesso con la nuova norma? Quanti saranno, in una terra dove la disoccupazione la fa padrona,  i presunti “testimoni giustizia” pronti a dichiarare, in maniera più o meno veritiera, di essere vittime di racket? A questo una risposta potrà darla soltanto il tempo.
intanto, le risposte per il passato le ha già date. Vittime di mafia non riconosciute come tali grazie a leggi che le hanno datate come i vini d’annata. Come nel caso dei sindacalisti uccisi nell’immediato dopoguerra e che non rientrano tra le vittime di mafia che vengono riconosciute come tali grazie ad una legge che ne stabilisce lo status ma solo per gli uccisi dopo il ’61. Piombo diverso? Matrice diversa? No, soltanto una diversa data.

Disparità tra vittime innocenti di mafia e vittime del terrorismo mafioso. Piombo diverso? Matrice diversa? No, soltanto una diversa circostanza e l’uccisione avvenuta in posto diverso. Anche per morire uccisi dalla mafia, si deve avere la “fortuna” di morire nell’anno giusto e nel posto giusto..?

Gian J. Morici
http://www.lavalledeitempli.net/2015/04/10/testimoni-ingiustizie-angelo-vaccaro-notte/
 

giovedì 9 aprile 2015

Sicilia. Crocetta: “Testimoni di giustizia siciliani saranno tutti assunti”

Le solite “MINCHIATE” di Crocetta e Bubbico

 
In dirittura d’arrivo l’assunzione di tutti i testimoni di giustizia siciliani. Già i primi 13 verranno assunti nei prossimi giorni e altri 35 nel mese di maggio dopo l’approvazione della finanziaria. “È un piano certo con un preciso crono-programma - afferma Crocetta – siamo l’unica regione d’Europa, che ha varato una norma sui testimoni di giustizia e siamo un esempio per tutto il Paese.
Per evitare tra l’altro problemi ad alcuni testimoni che vivono in località protetta e che non possono rientrare in Sicilia, sulla base delle valutazioni del Ministero dell’Interno, si è svolto un incontro con il viceministro Bubbico e il presidente della Conferenza delle regioni Chiamparino, per potere destinare in comando in altre regioni – a spese della Regione siciliana – i nuovi assunti.
L’istruttoria ovviamente ha richiesto circa 6 mesi, che non ci sembrano proprio tempi lunghi, in considerazione del fatto che per ogni testimone va accertato da parte del Ministero l’effettivo contributo dato alla giustizia, la necessità di protezione dell’anonimato, la scelta del luogo dove possono svolgere il servizio in considerazione della necessità di tutela dei medesimi.
Siamo orgogliosi di avere fatto, grazie anche all’apporto di tutta l’Ars, e siamo gli unici in Europa, una legge che sostiene le vittime innocenti del racket delle estorsioni e della mafia che si sono ribellate. Ovviamente la necessità di assumerli in due tranche, dipende dalle previsioni di bilancio, ma in ogni caso per l’assunzione viene rispettato l’ordine cronologico di presentazione delle domande. Comunque ribadisco, – conclude il presidente – entro maggio saranno assunti tutti”.


Il volto dell'imposta da pagare allo Stato (PIZZO)

E proprio questa è la cifra del pizzo: una maschera di protezione benevola che certo, ha un suo costo, viene posta sui tratti abominevoli del volto di una mafia, sovvertendo come è costume di queste organizzazioni il bene e il male, secondo grottesche regole di condotta, involte in violenza e sopraffazione. Il volto dell'imposta da pagare allo Stato per quello che davvero è il bene comune - le scuole, la sanità, la giustizia, le risorse di questa bella terra, la tutela dell'umana dignità - si trasforma. Aliena al bene comune, assume i tratti osceni di ciò che torna comodo a "tutti" - che è ben diverso. Impone un prezzo in denaro o sangue per il mantenimento di un equilibrio perverso in cui l'umana libertà è stritolata, in cui l'orizzonte di ciò che conviene è deciso autocraticamente dal potere al fine di mantenere e aumentare il potere. (Sì, è vero, sembra tanto normale politica, ma non possiamo non vedere la differenza).
Il tono non potrebbe essere più distorto quando invece significa la tassa imposta dalle organizzazioni mafiose, col bell'intento di sostenere il welfare di un parastato fondato su valori deformi, bestiali.
Le solite “MINCHIATE” di Crocetta e Bubbico…..una norma sui testimoni di giustizia che ha la valenza di un “SISTEMA FOGNARIO OTTURATO”, ennesima presa per i fondelli da improvvisati SFUNZIONARI DELLO STATO.

Angelo Vaccaro Notte
 
Lesione di un diritto inviolabile della persona costituzionalmente garantito

Art. 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
 
Art. 22.
Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome.
 
Art. 28.
I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.
Art. 41.
L'iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.