domenica 10 maggio 2009

Testimone di Giustizia "Una situazione di grave disuguaglianza sociale"

Grave disuguaglianza sociale


Legislatura 16ª - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 092 del 13/11/2008






Lesione di un diritto inviolabile della persona costituzionalmente garantito

 
Art. 2
La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 3
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 22.
Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome.

Art. 28.
I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.

Art. 41.
L'iniziativa economica privata è libera.

Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.

La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.


MANTOVANO, sottosegretario di Stato per l'interno. Signora Presidente, come lei ha appena
ricordato, risponderò congiuntamente all'interpellanza del senatore Lannutti e alle interrogazioni del senatore Lumia, nei medesimi termini nei quali il 10 ottobre ho riferito, all'Aula della Camera dei deputati, a proposito di un atto di sindacato ispettivo che conteneva quesiti identici, proposto dall'onorevole Antonio Di Pietro, sperando che, in questo caso repetita iuvant.
Uno dei limiti principali della legge n. 91 del 1992, che fino al 2001 aveva disciplinato il sistema delle protezioni, è stato quello della mancata distinzione tra i collaboratori di giustizia - i cosiddetti pentiti - e i testimoni, ovvero tra chi, al di là dei drammi interiori, ha commesso delitti e punta ai premi derivanti dalla collaborazione e chi, persona onesta, non può e non deve subire danni per le dichiarazioni che rende su gravi fatti criminali. Il risultato è stato che per troppo tempo - circa un decennio - i testimoni di giustizia sono stati considerati alla stregua dei cosiddetti pentiti, con profonde ferite della dignità personale, unitamente a gravi disfunzioni operative.
 
Ritengo di aver avuto una minuscola parte nella modifica di questo sistema: ho infatti redatto nel corso della XIII legislatura, per la Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia, una relazione sui testimoni di giustizia, approvata all'unanimità nel 1998, nella quale si descrivevano queste anomalie, partendo dall'esame di casi concreti. Ho inoltre presentato, sempre nel corso della XIII legislatura, una proposta di legge tesa al riconoscimento di un vero e proprio statuto del testimone di giustizia: esso è stato recepito nella legge n. 45 del 2001 di riforma del sistema di protezione.
 
Quella legge ha introdotto profonde innovazioni in materia, partendo dal presupposto che i testimoni di giustizia non hanno soltanto un indubbio valore processuale, dal momento che la loro parola non necessita a stretto rigore di riscontri, ma hanno un valore civile ancora più certo, soprattutto nelle aree di consolidata tradizione omertosa, nelle quali sono rari i casi di testimoni oculari di delitti. Proprio per questo, la legge di riforma ha differenziato in modo netto la posizione dei testimoni da quella dei collaboratori, con disposizioni a tutti note.
 
La legge, poi, è stata seguita nel 2004 da un decreto ministeriale costituente regolamento di attuazione. Dall'ottobre del 2001 fino al maggio 2006, e poi nuovamente a partire dal luglio di quest'anno, sono stato e sono chiamato quotidianamente ad applicare queste norme quale presidente della commissione sui programmi di protezione. Nel periodo intermedio, tale compito è stato svolto dall'onorevole Minniti, quale vice ministro dell'interno. Voglio ricordare questo per sottolineare l'assoluta continuità: non si parla di questo o di quel Governo, si parla dello Stato e della sua posizione nei confronti dei testimoni di giustizia. In tale veste posso dire con assoluta serenità - ma cercherò di documentarlo con qualche dato - che negli atti di sindacato ispettivo vi è una serie di inesattezze.
 
Dall'insieme di norme primarie e secondarie varate a seguito della legge del 2001, i testimoni di giustizia non hanno un trattamento parificato o addirittura inferiore a quello dei collaboratori di giustizia. Ci sono, com'è ovvio che sia, delle differenze importanti positive. I testimoni di giustizia, per esempio, hanno accesso a mutui agevolati senza dover prestare garanzie, in virtù di una convenzione stipulata con un importante istituto bancario, e ciò non accade per i collaboratori; hanno facoltà di chiedere allo Stato l'acquisizione, a prezzo di mercato, dei beni che lasciano nella località d'origine, se sono trasferiti, e anche questo non accade per i collaboratori; possono inoltre servirsi di consulenti di loro fiducia, le cui prestazioni sono interamente a carico del Servizio centrale di protezione, per qualsiasi problema legato alle pregresse attività di lavoro e a quelle future da intraprendere; ricevono assegni mensili di mantenimento di importo superiore del 50 per cento - sulla base di criteri oggettivi contenuti in una delibera della commissione - a parità di consistenza del nucleo familiare, rispetto ai collaboratori di giustizia, con possibilità di integrazioni maggiori in presenza di un reddito pregresso documentato.
 
Godono del rimborso delle cure mediche, comprese quelle odontoiatriche, effettuate in regime privatistico, di contributi straordinari relativi al tenore di vita preesistente (rimborso vacanze, acquisto testi e attrezzature scolastiche) e della possibilità - com'è giusto che sia - di visionare preventivamente gli alloggi scelti per loro dal Servizio centrale di protezione, che sono sempre di livello almeno pari a quello occupato nella località d'origine. Possono inoltre fruire, a richiesta, di colloqui di orientamento e di sostegno con i direttori tecnici psicologi del Servizio centrale di protezione, e del risarcimento del danno biologico, in merito all'accertamento del quale vige da tempo una convenzione col servizio medico-legale dell'INPS.
 
Dall'approvazione della legge n. 45 del 2001 si è molto lavorato sul terreno del reinserimento socio-lavorativo del testimone, nella consapevolezza che esso non può prescindere, così come prescrive la legge, dal tenore di vita e dal tipo di attività che ha preceduto l'ingresso nel programma di protezione.
Il discorso è relativamente più agevole quando il testimone in precedenza ha svolto un lavoro autonomo (per esempio ha gestito un esercizio commerciale o ha condotto un'azienda), mentre presenta aspetti più problematici nell'ipotesi in cui l'attività antecedente alla deposizione era alle dipendenze dei privati; ma anche da questo punto di vista si è lavorato per reinserire chi aveva questa condizione pregressa.
 
 
La trattazione dei singoli casi riguardanti i testimoni è avvenuta e avviene col coinvolgimento attivo degli stessi interessati, ai quali è chiarito nel corso delle audizioni svolte in commissione, che non devono in alcun modo sentirsi controparte rispetto allo Stato, bensì protagonisti delle scelte relative al proprio futuro, contribuendo in modo propositivo alla formazione della decisione che li riguarda. Le audizioni, peraltro, permettono alla commissione di avere l'esatta cognizione della condizione dei testimone di giustizia e quindi di poter adottare i provvedimenti ritenuti più aderenti alla soluzione dei problemi rappresentati.
 
Sui testimoni giochiamo una partita difficile: quella della credibilità delle istituzioni nella lotta alla criminalità. La garanzia di un adeguato futuro ai testimoni e alle loro famiglie è in grado di incoraggiare altri a non avere remore nel riferire quanto è a propria conoscenza alle forze dell'ordine e all'autorità giudiziaria. Obiettivo primario, peraltro, è consentire il più possibile, se ovviamente il testimone lo desidera o lo chiede, la permanenza nel luogo di origine attraverso misure adeguate delle quali, in ogni caso, va sempre verificata la possibilità. Attualmente il numero dei testimoni protetti in loco è in totale di ventuno: non c'erano prima della legge 13 febbraio 2001, n. 45. Dodici si trovano in Campania, quattro in Calabria, tre in Sicilia e due in altre Regioni.
 
Questa, a mio avviso, è una vittoria dello Stato pur nelle obiettive difficoltà di tutela, perché quando un testimone viene ammesso al programma, la sua protezione, con trasferimento in una località protetta è garantita dalla mimetizzazione. Si porta il testimone a 1.000 chilometri di distanza in un luogo dove nessuno, perlomeno in teoria, lo conosce. La protezione in loco, dove invece è conosciuto, richiede un meccanismo di tutela imponente per uomini (scorta per più turni) e per mezzi (spesso anche impianti articolati e complessi di videosorveglianza). Tuttavia, questo tipo di costi viene affrontato perché va nella direzione di garantire il minor disagio possibile al testimone, ma anche di trasmettere un messaggio di forte presenza dello Stato, che non costringe chi collabora per l'accertamento dei fatti delittuosi ad allontanarsi e a lasciare il luogo d'origine.
Intendo, più in generale, ricordare un solo dato relativo all'applicazione della nuova legge. Si tratta del dato riguardante le nuove ammissioni ai programmi di testimoni di giustizia dal momento in cui è iniziata l'applicazione della legge n. 45 del 2001. Nel periodo compreso tra il secondo semestre 1996 e il primo semestre 2001, quindi prima che entrasse in vigore la legge, i nuovi testimoni ammessi al programma furono complessivamente 27, in media poco più di cinque all'anno.
 
Dal secondo semestre 2001, ossia da quando è operativa la nuova legge fino ad oggi, le nuove ammissioni sono state 116, con una media di più di sedici all'anno e cioè più del triplo rispetto a prima del varo della legge n. 45 del 2001, a dimostrazione del successo delle nuove disposizioni.
Giuseppe Masciari viene ammesso al programma di protezione, con delibera della commissione centrale, il 17 marzo 1998, su proposta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro. Nel programma erano inclusi la moglie e i due figli minori, che non cito per nome. L'imprenditore aveva riferito, in qualità di testimone, di essere stato oggetto di estorsioni che gli avevano provocato una grave esposizione debitoria, anche per effetto dei prestiti usurari contratti nei confronti di appartenenti ad organizzazioni criminali, ai quali era stato costretto a rivolgersi. Tale situazione debitoria aveva provocato il dissesto della sua impresa e quindi la dichiarazione di fallimento nell'ottobre del 1996.
 
Non risponde al vero che è mancato il sostegno per l'inserimento lavorativo della moglie di Masciari, odontoiatra. La signora, infatti, ha ricevuto, poco dopo l'ingresso nel programma, un contributo pari a lire (all'epoca vi erano le lire) 388.631.000, oltre alle spese necessarie per il trasferimento delle attrezzature di lavoro. Tale contributo è stato incassato e mai utilizzato secondo la destinazione, nonostante la legge preveda che esso debba essere impiegato e che l'impiego debba essere documentato. Ella ha, altresì, rifiutato di lavorare presso una ASL, lavoro che le era stato procurato, ed ha altresì rifiutato un impiego in uno studio privato e una collaborazione di odontoiatra con un docente universitario. Non risponde al vero che è mancato il sostegno per il reinserimento lavorativo di Masciari. È vero il contrario. Proprio al fine di permettere il pieno reinserimento nella vita economica e sociale, la commissione ha anzitutto acquisito elementi che provassero il collegamento tra l'estorsione e l'usura subita e il precipitare della sua condizione fino al fallimento. Tali elementi in origine erano assenti. Inoltre, ha puntato ad articolare una via d'uscita al fallimento, in assenza della quale il pregiudizio a suo danno derivante dalle inibizioni collegate allo status di fallito avrebbe precluso ogni seria ripresa di attività.

 
Ciò ha impegnato la commissione in un lungo e complesso lavoro di audizioni e di contatti fra i vari soggetti istituzionali interessati, colmando lacune comunicative da parte di più di un ufficio giudiziario e colmando documentazioni inadeguate da parte di Masciari.
Fra il 2001 e il 2004 la commissione ha ascoltato in audizione Masciari per ben sette volte (per brevità evito di citare le date). La commissione ha, altresì, ascoltato in audizione il giudice delegato e il curatore del fallimento di Masciari il 22 gennaio 2003. Il 6 ottobre 2004 ha ascoltato, sempre in audizione, il pubblico ministero delegato a seguire i procedimenti che interessavano Masciari quale testimone.
 
Benché il magistrato avesse sostenuto che il collegamento fra la testimonianza e il fallimento non fosse munito di specifici riscontri, tuttavia la circostanza che alcuni immobili, già intestati alla Masciari Costruzioni, fossero nella disponibilità degli imputati da lui accusati ha fatto propendere autonomamente la commissione per una indiretta conferma del nesso causale tra le estorsioni subite e l'esposizione debitoria che aveva condotto al fallimento.
 
Tale conclusione, lo ripeto, è stata frutto di un approfondimento svolto dalla commissione, non dall'autorità giudiziaria proponente. A seguito dell'istruttoria complessa prima descritta, il 27 ottobre 2004 a Masciari è stata proposta una definizione della posizione nei termini che seguono: il Servizio centrale di protezione è stato incaricato di porre a disposizione degli organi del fallimento una copertura finanziaria pari a 1.293.418,60 euro per la chiusura della procedura concorsuale mediante concordato fallimentare; di erogare a Masciari, a chiusura (cioè dopo la procedura concorsuale e non prima, altrimenti ci sarebbe stato l'assorbimento dal passivo fallimentare) della capitalizzazione delle misure di assistenza economica nella misura massima prevista dalle determinazioni riguardanti i testimoni di giustizia. In base al decreto ministeriale la capitalizzazione può avvenire da un minimo di due anni di assegno mensile di mantenimento (con tutte le integrazioni, locazioni eccetera) fino ad un massimo di dieci anni. Per Masciari è stata proposta la misura massima di dieci anni per un totale di 267.400 euro. Il Servizio centrale di protezione è stato altresì incaricato di erogare a Masciari e alla moglie, a chiusura della procedura concorsuale, le somme determinate a titolo di danno biologico risultanti dalla perizia medico-legale dell'INPS, eseguita su incarico della commissione, sulla base delle tabelle del tribunale di Roma secondo gli indici ISTAT, pari rispettivamente a euro 18.870 euro per Masciari e a 29.670 euro per la moglie; di fare salvi gli effetti della delibera del 23 marzo 2000, in quanto finalizzata alla realizzazione del reinserimento sociale della moglie di Masciari, e quindi di mantenere a suo favore il contributo straordinario all'epoca erogato di 388.631.000 lire, oltre a quelli necessari per il trasporto e il montaggio delle attrezzature; di prorogare, nelle more della definizione della procedura concorsuale, il programma speciale di protezione nei confronti di Masciari e del suo nucleo familiare per ulteriori cinque anni a decorrere dal marzo 2000 (siamo all'ottobre del 2004), fatte salve nuove determinazioni.
 
La commissione non si pronunciava sul mancato guadagno di cui all'articolo 16-ter della legge sui collaboratori di giustizia, ritenendo gli elementi informativi acquisiti, in assenza di un valido contributo da parte dell'interessato, insufficienti per pervenire alla valutazione; l'accertamento, però, limitatamente a tale aspetto, veniva demandato al commissario per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, organo competente in merito alla concessione delle provvidenze relative.
Quindi, non vi era un rifiuto a considerare tale aspetto (il mancato guadagno), ma un rinvio all'autorità competente, peraltro più volte presente in commissione per esaminare congiuntamente alla commissione il caso e, quindi, a conoscenza dello stesso anche nel dettaglio.
Contro questo provvedimento Masciari e la moglie hanno presentato ricorso al TAR del Lazio ed il TAR del Lazio fino ad oggi non si è pronunciato. Tale pendenza giudiziaria - credo vada sottolineato - non ha causato nessun danno a Masciari, il quale è rimasto nella pienezza del programma di assistenza e protezione, in attesa della definizione del giudizio.
 

Concludendo sul punto, il reinserimento di Masciari sarebbe avvenuto già più di quattro anni fa se lo stesso Masciari non avesse rifiutato, impugnandola, la delibera della commissione che riportava le voci prima elencate; e sarebbe avvenuto restando impregiudicata la protezione personale e la definizione del mancato guadagno, per un importo complessivo di 1.810.069,76 euro. Lo Stato, quindi, già quattro anni fa, ha proposto a Masciari, ricevendo un rifiuto, una definizione non inferiore a 1.800.000 euro.
 
La sua posizione è stata ripresa sotto il precedente Governo dalla commissione presieduta dal Vice ministro, onorevole Marco Minniti. Essa ha nuovamente disposto, il 29 novembre 2006, l'audizione di Masciari alla presenza della moglie e dei legali. In quella sede, l'interessato ed i legali insistevano per l'individuazione della voce «mancato guadagno» anche a titolo transattivo, in pendenza del ricorso al TAR e chiedevano, a tal fine, la costituzione di un tavolo tecnico per elaborare i relativi parametri di valutazione.
 
Il tavolo tecnico veniva istituito e nel corso dei suoi lavori - tenutisi il 17 e il 31 gennaio 2007 e l'11 giugno 2007 - veniva individuato quale possibile parametro di riferimento per l'accertamento del mancato guadagno il valore medio del volume di affari dell'impresa del testimone di giustizia, risultante dalle dichiarazioni dei redditi e dalla documentazione relativa alla sentenza di fallimento del tribunale di Vibo Valentia, quale indicatore obiettivo per ricostruire le possibilità di sviluppo e la conseguente redditività dell'impresa del testimone, facendo ricorso a studi specifici nel settore dell'edilizia. Né Masciari, né i suoi legali, benché sollecitati, hanno mai fatto conoscere le proprie indicazioni o documentazioni in ordine a quanto prospettato nel corso delle riunioni del tavolo tecnico.
 
Masciari nel luglio del 2007 ha presentato un progetto di reinserimento lavorativo che riteneva confacente alle esigenze proprie e della famiglia, relativo alla proposta di acquisto di una struttura alberghiera del costo di circa 4,5 milioni di euro, più oneri fiscali. In ragione dell'entità dell'investimento e della complessità dell'operazione economica, la commissione disponeva, con delibera del 17 dicembre 2007, di incaricare un professionista al fine di verificare la stima e la congruità del valore del compendio immobiliare oggetto della proposta di acquisto. È stato, altresì, dato incarico al consulente della commissione ed al segretario di essa di svolgere le opportune attività di raccordo al fine di accelerare l'attività istruttoria. Sono stati svolti anche dei sopralluoghi.
Dalla relazione compilata dal professionista emergeva con estrema chiarezza una valutazione negativa dell'attività in questione. Infatti, alla luce dei bilanci definitivi disponibili nel triennio 2004-2006, la società cedente questo albergo risultava aver costantemente realizzato non utili, bensì perdite di esercizio e non vi erano elementi oggettivi per stimare la realizzazione di un potenziale reddito prospettico, anche nel caso in cui l'acquisto fosse avvenuto al netto di oneri finanziari, che però gravavano sull'azienda.
 
Qualora poi si fosse inteso prendere a riferimento il risultato positivo dell'ultimo esercizio, pari a circa 60.000 euro, il reddito prospettico sarebbe stato comunque inferiore al capitale investito nell'impresa e, pertanto, non remunerativo. Inoltre, da parte dello stesso cedente dell'albergo si stava profilando un'iniziativa imprenditoriale concorrenziale a breve distanza e meglio collegata con i servizi di pubblica utilità. Vogliamo chiamarlo un tentativo di truffa? Quindi, il rifiuto del progetto era nell'interesse dello stesso Masciari, che non avrebbe potuto far fronte alla gestione di un cespite anche potenzialmente, non solo attualmente, in passivo.

 
Con delibera del 24 aprile 2008 la commissione confermava le valutazioni della precedente delibera dell'ottobre 2004 e incaricava il Servizio centrale di protezione di porre nuovamente a disposizione degli organi del fallimento 1.293.418,60 euro per la definizione del fallimento. Inoltre, erano previsti: per capitalizzazione 287.200 euro (la differenza rispetto a quella della precedente commissione è semplicemente l'indicizzazione ISTAT); per danno biologico grosso modo le stesse cifre (25.287 euro per Masciari e 39.760 euro per la moglie); per mancato guadagno della moglie 200.000 euro abbondanti. Inoltre, erano previsti una somma forfetaria per i figli (200.000 euro), calcolata in via equitativa al ristoro dei disagi e di ogni altro danno, nonché il mancato guadagno (non soccorrevano i dati che si rinvengono nelle dichiarazioni dei redditi di Masciari in quanto evidenzianti utili netti modestissimi o inesistenti).
 

Sulla base dei dati acquisiti e della comunicazione dell'Agenzia delle entrate, si è determinata la redditività media dell'impresa - come si diceva prima - con caratteristiche analoghe nel settore e in base ad un complesso sistema di calcolo fondato su criteri di equità. A titolo risarcitorio si è pervenuti ad una quantificazione di mancato guadagno pari a 1.639.131,88 euro, con l'autorizzazione per Masciari e la moglie, previa loro richiesta, di avvalersi della convenzione per l'accesso a mutui a tassi agevolati per l'importo massimo di 300.000 euro, lasciando impregiudicato il diritto degli interessati a ottenere l'acquisizione di eventuali beni immobili di loro proprietà al patrimonio dello Stato e con la prosecuzione delle misure di protezione e di assistenza per un ulteriore biennio.
Le misure di protezione erano assicurate anche per gli ulteriori impegni giudiziari cui Masciari dovesse essere chiamato e insieme ad esse veniva confermata l'assistenza legale nei procedimenti nei quali sia eventualmente ancora chiamato a rendere dichiarazioni ovvero eserciti le facoltà e i diritti riconosciuti dalla legge quale persona offesa o parte civile.
 
L'interessato e la moglie, all'atto della notifica di questa delibera, hanno apposto la dicitura «firmo per ricevuta della notifica con ogni più ampia riserva di azione». Il precedente presidente della commissione, preso atto di quanto sopra, ha comunicato al Servizio centrale di protezione che la delibera del 24 aprile 2008 risultava eseguibile solo con la piena e incondizionata accettazione da parte dell'interessato, previo il verificarsi delle condizioni in essa contenute. Contro la seconda delibera di capitalizzazione è stato presentato ricorso per motivi aggiunti con richiamo al ricorso pendente. Risulta fissata per il 18 dicembre 2008 l'udienza dinanzi al TAR del Lazio per la discussione del ricorso amministrativo proposto da Masciari e dalla moglie.
Pertanto, sul reinserimento - e mi avvio alla conclusione - esso finora è mancato esclusivamente per volontà di Masciari, in presenza dell'ipotesi di definizione più ampia mai riconosciuta ad un testimone di giustizia: siamo in totale a 3.685.508,64 euro. La commissione, cioè lo Stato, ha posto a disposizione di Masciari più di tre milioni e mezzo di euro. Ripeto, la cifra più alta in assoluto mai proposta ad un testimone di giustizia. Masciari ha rifiutato.
 
Da ultimo, non risponde al vero che Masciari sia rimasto privo di tutela. Intanto, ribadisco che in questo momento, in pendenza del giudizio amministrativo e in ossequio a quanto previsto dall'articolo 10 della legge del 1991, così come modificata, il testimone è tuttora inserito nel programma speciale di protezione e, quindi, continua a fruire dell'assegno di mantenimento, dell'alloggio protetto e delle altre misure di assistenza e tutela previste per le persone soggette a programma speciale di protezione.
 
Vorrei poi richiamare la delibera di massima sulle trasferte dei testimoni di giustizia adottata il 18 dicembre 2006 dalla precedente commissione, che quella attuale condivide (perché - lo ripeto - non stiamo facendo questione di Governi, ma di interlocuzione che avviene sempre con lo Stato), all'insegna della trasparenza e della conoscibilità.
Con tale delibera la commissione ha disposto di inserire nel programma di protezione dei testimoni di giustizia, tra le misure di assistenza, una voce riguardante le modalità di rimborso delle spese di viaggio, di pernottamento e di vitto (fatta eccezione per le spese extra, che restano a carico del testimone di giustizia) sostenute sul territorio nazionale: incondizionatamente, nel caso di trasferta per motivi di giustizia connessa alla testimonianza prestata, ivi compresi gli incontri con gli avvocati; sempre, nel caso di trasferta in località di origine, a condizione che sia stata previamente autorizzata dall'autorità giudiziaria, che sia circoscritta sotto il profilo temporale e che non abbia carattere di periodicità, ciò per evidenti esigenze di sicurezza; solo a seguito di specifica autorizzazione della commissione, nel caso di trasferte per altri motivi.
 
Sono state disciplinate anche le spese connesse alle ferie, di volta in volta valutate dalla commissione centrale anche alla luce del precedente tenore di vita del testimone e della congruità della somma richiesta, e che in ogni caso non superino il doppio dell'assegno di mantenimento. È stato stabilito che le spese sostenute dal testimone di giustizia a titolo diverso restino a carico esclusivo dell'interessato.
Alla stregua di tale deliberazione, che risponde al criterio generale di correttezza nell'uso delle risorse pubbliche, cui tutti siamo tenuti, sono state decise negativamente di recente numerose istanze con le quali il Masciari e la moglie nel comunicare impegni svincolati da questioni di giustizia in una località italiana e all'estero, a New York, per il Columbus day, hanno chiesto la corresponsione di somme in denaro trattandosi di impegni in località diversa da quella di origine per ragioni diverse da quelle di giustizia o da quelle strettamente familiari.
 
La commissione ha quindi disposto che, qualora Masciari ritenga comunque di muoversi sul territorio nazionale, pur in contrasto con le cautele che sottendono all'esecuzione di ogni programma speciale di protezione, il medesimo continuerà a fruire di un dispositivo di sicurezza a cura del Servizio centrale di protezione; avrà quindi tutela senza alcun limite. E la tutela non è una cosa generica: è qualcosa che ha un contenuto specifico e significa protezione con uomini in macchine particolari.
A carico del medesimo Servizio non graverà, invece, alcun altro onere (rimborsi, alberghi o altro) derivante da appuntamenti che non siano connessi ad eventuali impegni di giustizia del testimone, così come risulta dalla delibera prima ricordata. Non è da escludere che, come gli interroganti segnalano, Masciari in qualche circostanza si sia presentato privo di protezione, ma se ciò è accaduto - non lo so - è avvenuto per una scelta deliberata e, se mi permettete, incauta dello stesso Masciari che, come tutte le persone sottoposte a tutela, è tenuto a comunicare i propri spostamenti a chi è preposto alla sua tutela. Lo sa molto bene il senatore Lumia che credo abbia avuto (non so se ne fruisca ancora) un dispositivo di tutela; lo sa chi sta parlando in questo momento e lo sanno tante altre persone, purtroppo. È una delle condizioni per le quali il meccanismo di tutela funziona.

 
Spiace, infine, che, a seguito di queste polemiche che ruotano soprattutto attorno a Masciari e non alle altre decine di testimoni di giustizia, si veicoli l'immagine che, da un lato, vede presunti difensori del testimone di giustizia e, dall'altro, lo Stato che si mostrerebbe indifferente, se non ostile. Non vi sono fronti contrapposti, ma un unico e comune terreno di lotta contro la criminalità che vede la valorizzazione nei fatti - come dimostrano i dati - della figura del testimone di giustizia. Mi chiedo e chiedo agli interroganti, in spirito di costruttivo confronto, perché, a distanza di sette anni dall'approvazione di una legge che ha dato buona prova di sé (se è vero che le nuove ammissioni di testimoni sono più che triplicate), non si debbano valorizzare le positive esperienze di decine e decine di testimoni di giustizia pienamente inseriti che rappresentano la regola e che nel corso del programma non hanno avuto nulla da ridire sul comportamento della commissione, del Servizio di protezione e, quindi, dello Stato, nonostante la drammaticità della loro condizione.
 
Resta fermo che l'intera attività della commissione sui programmi di protezione può essere in qualsiasi momento esaminata dal Parlamento, come è già avvenuto in più occasioni ad opera della Commissione parlamentare antimafia, la cui procedura è più che idonea a garantire questo tipo di interlocuzione perché svolge audizioni non pubbliche e, quindi, permette anche di estendere dati riservati, mentre le informazioni sull'intero sistema sono fornite semestralmente al Parlamento dalla relazione che per legge il Servizio centrale di protezione trasmette alle due Camere.

 

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