mercoledì 30 dicembre 2009

Ucciso Nick Rizzuto Jr l’inizio di una guerra?


Ucciso Nick Rizzuto Jr l’inizio di una guerra?

Un regolamento di conti? Un repulisti all’interno dell’organizzazione? Oppure un avvertimento da parte delle ’gang de rue’...

Diverse le ipotesi sulle quali indagano gli inquirenti, dopo l’assassinio di Nicolò “Nick” Rizzuto junior, il figlio del presunto padrino della mafia montrealese, Vito Rizzuto, ucciso ieri a mezzogiorno in una via di Montreal, nel quartiere Notre-Dame-de-Grâce. L’uomo, 42 anni, sposato e padre di due figli, secondo gli esperti non aveva un ruolo di primo piano nelle attività della malavita organizzata. Il suo killer sarebbe un uomo di colore (con giaccone scuro, berretto e blue jeans): un primo colpo di pistola ha fatto cadere al suolo la vittima predestinata, quindi il sicario gli ha sparato contro diversi altri proiettili per non lasciargli scampo. Si è sbarazzato del revolver gettandolo via e si è infine dato alla fuga, a piedi secondo alcuni testimoni, ma niente esclude che lì vicino ci fosse un’auto pronta ad aspettarlo. Cosa faceva Nick Rizzuto in quella zona, ieri mattina? Alcuni organi d’informazione hanno avanzato l’ipotesi di un’amante, una giovane donna sulla ventina. La sua casa sarebbe proprio a pochi metri dal luogo dell’agguato. Il figlio del boss “veniva regolarmente a trovarla”, ha dichiarato al Journal de Montreal una vicina di questa ragazza che sarebbe stata già interrogata dalla polizia.

Nick Rizzuto Jr. viveva a Laval, ma passava molto tempo in questa zona di NDG. Uno dei suoi più cari amici, il promotore immobiliare Antonio Magi possiede un’impresa, la FTM Construction, i cui uffici sono situati sullo Chemin Upper Lachine, ad una cinquantina di metri dal luogo in cui Rizzuto è stato ucciso. In un’intervista a The Gazette, un mese fa, Tony Magi difendeva il suo amico, considerandolo vittima della cattiva reputazione della sua famiglia. “Abbiamo acquistato un terreno insieme, abbiamo un bel progetto da sviluppare. Nick ha studiato Diritto ed è un uomo intelligente. Piuttosto bravo anche nel campo immobiliare”, aveva dichiarato.

La polizia sta esaminando in queste ore le immagini video delle telecamere installate nella zona, per strada e nei negozi, con il proposito di poter riconoscere possibili testimoni o indiziati.

L’omicidio di Nick Rizzuto ha sollevato impressione e inquietudini in città. Dal 1978, è la prima volta che il clan Rizzuto viene sfidato in questa maniera. Secondo Antonio Nicaso, un esperto in criminalità organizzata, è difficile dire chi abbia potuto ordinare questo omicidio, ma “è certo che si stia approfittando dello stato di disorganizzazione in cui versa la mafia di Montréal, scossa dall’arresto di Vito Rizzuto, nel 2004, e dall’Operazione Coliseum, del 2006”. Sempre Nicasio afferma che Vito Rizzuto era riuscito a stabilire un’alleanza fra mafia, gangs de rue, Irish Men e malavita colombiana. “Oggi vi sono certe frizioni, certi attriti, perché diversi mafiosi non accettano che le gangs de rue siano integrate alla attività criminali”, aggiunge l’esperto. A questo punto è facile immaginare che l’omicidio di Nick Rizzuto abbia dato l’avvio ad una guerra all’interno della malavita montrealese.

DIA, nel 2009 sequestrati beni per oltre 611 milioni di euro


DIA, nel 2009 sequestrati beni per oltre 611 milioni di euro

E’ stato un anno intenso anche per la Direzione investigativa antimafia di Palermo che, con le sezioni di Agrigento e Trapani ha messo a segno numerosi colpi soprattutto in termini di sequestri e confisca di beni intestati o comunque riconducibili ad appartenenti a Cosa Nostra.
Nel 2009 sono stati sequestrati beni mobili, immobili, aziendali, quote societarie e capitali per 611 milioni di euro e sono stati confiscati beni per un valore di 22 milioni.
Tra i patrimoni di maggior consistenza oggetto dell’azione investigativa, quelli riconducibili ad imprenditori operanti nel settore delle costruzioni, in sinergia con il dipartimento Mafia-economia della Dda di Palermo, diretto da Roberto Scarpinato, e con il capo della Dda, Francesco Messineo., particolarmente quelli riconducibili ad imprenditori operanti nel settore delle costruzioni.
Sempre nel corso dell`anno sono state arrestate 11 persone, di cui 10 indiziate a vario titolo di appartenenza a Cosa Nostra, di riciclaggio, e di altri delitti; l`undicesimo, latitante da oltre 16 anni, era inserito nei primi 100 latitanti più pericolosi e condannato con sentenza definitiva per omicidio.

MAFIA il cattolicese Nick Rizzuto Jr ucciso in Canada


MAFIA il cattolicese Nick Rizzuto Jr ucciso in Canada

Omicidio a Quebec in Canada: ucciso Nick Rizzuto, originario di Cattolica Eraclea. La famiglia rilanciata alla ribalta della cronaca dall’inchiesta ‘’Minoa’’.
Lui ( a sinistra nella foto) e’ Vito Rizzuto.

E’ nato il 21 dicembre del 1946 a Cattolica Eraclea. Ufficialmente e’ residente a Montreal. E dal Canada e’ stato estradato negli Stati Uniti il 17 agosto del 2006. Adesso Vito Rizzuto e’ detenuto in un carcere di media sicurezza nel Colorado, per contrabbando e perche’ accusato di un triplice omicidio di mafia commesso a Brooklyn, il 5 maggio del 1981. Vito Rizzuto e’ figlio di lui, ( a destra nella foto), il presunto boss Nicolo’ Rizzuto, inteso Nick, nato a Cattolica nel 1924, e legato ai Bonanno di New York ed ai Cuntrera – Caruana di Siculiana. Ebbene, Vito Rizzuto ha un figlio, anche lui Nicolo’ e, come il nonno, e’ inteso Nick Rizzuto. Lui, il nipote, e’ stato ucciso a Quebec.

Secondo la Polizia locale, Nick Rizzuto, 42 anni, e’ morto vittima di un regolamento di conti tra gang rivali e del tentativo di strappare il controllo del territorio alla famiglia Rizzuto. Nick Rizzuto, che e’ il 31esimo morto ammazzato dell’anno 2009, e’ stato sorpreso in piedi a fianco di una Mercedes nera. Il killer gli ha sparato a bruciapelo, alla luce del giorno. Tanti testimoni terrorizzati. La corsa in Ospedale, inutile. I Rizzuto sono stati recentemente rilanciati alla ribalta delle cronache giudiziarie siciliane a seguito dell’inchiesta e dell’operazione cosiddetta ‘’Minoa ‘’. Secondo le indagini della Direzione investigativa antimafia, Vito Rizzuto, nonostante fosse emigrato oltre oceano, avrebbe mantenuto saldi contatti con Cattolica Eraclea, dove avrebbero agito sue cellule operative collegate alla casa madre, quindi ai capi clan italo americani.

E’ stato ucciso, a Montrèal, Nick Rizzuto Jr, figlio di Vito Rizzuto, il boss italo-canadese originario di Cattolica Eraclea, nonché nipote di Nick Rizzuto Senior, capo di un'organizzazione mafiosa operante anche in Italia, storicamente legato alle famiglie Cuntrera - Caruana di Siculiana ed alla famiglia Bonanno di New York. Rizzuto Jr, 42 anni, è stato raggiunto da un colpo d’arma da fuoco. Il suo corpo è stato trovato, ieri pomeriggio, riverso per terra accanto ad una Mercedes nera parcheggiata in un quartiere residenziale di Montreal.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, Rizzuto Jr. sarebbe stato colpito da almeno una pallottola all’angolo delle strade Upper Lachine Road e Wilson Ave, intorno alle 12.10 di ieri. Mentre la polizia non ha voluto ufficialmente confermare l'identità della vittima, la notizia dell’omicidio si è diffusa rapidamente in gran parte della città. Al momento gli investigatori dicono che le descrizioni dei testimoni oculari non sono risolutive e, in alcuni casi, sono contraddittorie.

Ciò che sembra chiaro è che Rizzuto Jr è stato colpito da un unico aggressore, che, dopo l'agguato, è fuggito verso ovest lungo Upper Lachine Road e poi verso sud, lungo Melrose. Un testimone, inoltre, ha detto ai giornalisti di aver sentito almeno sei colpi di pistola e poi il rumore dello stridio delle gomme di un'auto.

Particolare attenzione gli inquirenti prestano ad una telecamera di sorveglianza posta sopra l'ingresso di una dépendance in un seminterrato che si trova a pochi metri dal luogo della sparatoria. L’uccisione di Nick Rizzuto Jr rappresenta un durissimo colpo per il clan mafioso transnazionale che potrebbe provocare ripercussioni cruente e vendette sanguinarie all’interno dei gruppi mafiosi d’oltreoceano.

martedì 29 dicembre 2009

Mafia e armi, 11 arresti tra Sommatino e San Cataldo


Mafia e armi, 11 arresti tra Sommatino e San Cataldo

Il blitz dei Carabinieri e della Procura di Caltanissetta tra Sommatino e San Cataldo. Sviluppi nelle indagini ed altri 2 arresti.


Ecco un casolare. E’ della famiglia Mastrosimone di Sommatino. Ed una jeep dei Carabinieri fuori. Poi ecco i militari sulle scale. Qui’, nelle campagne di Sommatino, in contrada Mintina, in provincia di Caltanissetta, sarebbe stato compiuto un omicidio. Cosi’ conferma il Procuratore capo di Caltanissetta, Sergio Lari: ‘’ si’, la vittima era attesa nel casolare, ed i Carabinieri l’hanno fermata con un pretesto, evitando cosi’ che fosse uccisa ‘’. La domanda spontanea. E chi sarebbe stata la vittima? Secondo la Procura ed i Carabinieri nisseni nel mirino dei killer vi sarebbe stato il titolare di un'agenzia di pompe funebri di San Cataldo, Stefano Mosca, 44 anni, nipote del presunto boss del paese.

Un presunto gruppo criminale, agguerrito ed armato, anche con bombe a mano, sarebbe stato pronto a scagliare la lancia della sfida. I bersagli sarebbero stati i capimafia di Sommatino e San Cataldo. Uccidere loro per subentrare al loro posto. Il blitz ha sventato, appena in tempo, i presunti progetti di sangue e di morte. In carcere il presunto capo clan, Cosimo Di Forte, 31 anni, di San Cataldo, autista. Poi Patrizio Calabro’, 38 anni, di Sommatino, agricoltore. Gioacchino Mastrosimone, 47 anni, di Sommatino, pastore. Salvatore Mastrosimone, 25 anni, di Sommatino, pastore. Liborio Gianluca Pillitteri, 21 anni, di Sommatino, pizzaiolo. Enzo Mancuso, 34 anni, di Canicatti’, pastore. Maria Indorato, 47 anni, di Sommatino. Giuseppe Taverna, 23 anni, di Barrafranca. Salvatore Lombardo, 32 anni, di Marianopoli. Calogero Ferrara, 21 anni, di San Cataldo. Ed Agata Cianci, 18 anni, di Sommatino, moglie di Salvatore Mastrosimone, e sorpresa in possesso di un revolver con matricola parzialmente abrasa e munizioni.

Gli 11 rispondono di associazione mafiosa e detenzione di armi. Nello stesso casolare, in un ovile, eccolo nelle fotografie, i Carabinieri hanno scoperto un arsenale: 4 revolver, una pistola semiautomatica con silenziatore, 2 fucili a canne mozze, 2 fucili da caccia, una bomba a mano e 200 cartucce di vario calibro per pistola, revolver e fucile.

lunedì 28 dicembre 2009

Mafia, arrestate a Caltanissetta 8 persone legate a Cosa nostra


Mafia, arrestate a Caltanissetta 8 persone legate a Cosa nostra

I carabinieri di Caltanissetta hanno arrestato oggi otto persone accusate di essere legate a "Cosa Nostra" e di stare organizzando gli omicidi di alcuni esponenti di spicco delle famiglie mafiose di San Cataldo e Sommatino. Continua a leggere questa notizia



CALTANISSETTA- Erano pronti a commettere omicidi. E in un ovile, nelle campagne di Sommatino, nel Nisseno, avevano nascosto un vero e proprio arsenale. Con l'accusa di associazione mafiosa e detenzione illegale di armi sono state fermate nove persone. Farebbero parte di un clan che stava preparando una serie di attentati contro esponenti mafiosi delle cosche di San Cataldo e Sommatino.
Il blitz e' stato condotto dai carabinieri del comando provinciale di Caltanissetta che hanno anche arrestato in flagranza una ragazza: Agata Cianci, 18 anni, moglie di Salvatore Mastrosimone, proprietario della masseria, tra i fermati. La giovane e' stata trovata in possesso di un'arma con matricola abrasa.
Nell'ovile sono stati trovati tre revolver, una semiautomatica con silenziatore, due fucili a canne mozze, due fucili da caccia, una bomba a mano e 200 cartucce di vario calibro per pistola, revolver e fucile.

GLI ARRESTATI- Le persone fermate dai carabinieri, su disposizione della Dda di Caltanissetta, sono Cosimo Di Forte, 31 anni, di San Cataldo, autista; Patrizio Calabro', 38 anni, di Caltanissetta, agricoltore; Gioacchino Mastrosimone, 47 anni, di Sommatino, pastore,con precedenti per mafia; Salvatore Mastrosimone, 25 anni, di Caltanissetta, pastore; Liborio Gianluca Pillitteri, 21 anni, di San Cataldo, pizzaiolo; Enzo Mancuso, 34 anni, di Canicatti', pastore, ; Maria Indorato, 47 anni, di Sommatino; Giuseppe Taverna, 23 anni, di Butera, disoccupato

"La mafia nel Regno Unito coltiva illeciti interessi"


"La mafia nel Regno Unito
coltiva illeciti interessi"


LONDRA - I tentacoli della mafia italiana si allargano sempre più verso il Regno Unito, mentre le città britanniche diventano terminali chiave per il riciclaggio del denaro sporco, operazione vitale per i clan. È il settimanale "The Observer" a farsi interprete oggi dell'allarme che sta suscitando oltre Manica l'avanzata delle famiglie mafiose italiane, che vedono nelle isole britanniche una nuova frontiera dove "estendere il loro impero criminoso".

Sarebbero sempre più le attività economiche, i palazzi, i negozi, le agenzie di scommesse con alle spalle capitali di Cosa nostra, 'ndrangheta o camorra, tutte e tre con ampie basi in Gran Bretagna. L'Observer - il domenicale del Guardian - ricorda tra gli altri il caso della società di scommesse Paradise Bet Ltd, con base a Londra ovest, cui la scorsa settimana è stata sospesa la licenza dopo che i suoi assets sono stati bloccati dalla polizia italiana nell'ambito dell'inchiesta sulla famiglia pugliese Parisi. Sottolinea tuttavia che spesso i beni bloccati emergono come "la punta di un iceberg".

Secondo l'esperto italiano di criminalità organizzata Francesco Forgione, ex presidente della Commissione antimafia, "membri dell'alleanza di Secondigliano sono sospettati di possedere negozi a Londra dove espongono falsi prodotti di stilisti e che servono anche da nascondiglio per latitanti o da snodo per il traffico di droga".

Diversi, ancora, gli esempi sui legami tra le mafie italiane ed il territorio britannico. Il napoletano Gennaro Panzuto, fuggito dalla Campania, fu arrestato due anni fa a Garstang, nel Lancashire, dove gestiva un giro di truffe alle società di leasing.

Prima di essere arrestato nel 2005, il boss camorrista Antonio La Torre stava avviando con il denaro sporco un piccolo impero commerciale nel nord della Scozia, comprendente l'importazione di prosciutti e olio d'oliva, offrendo anche lavoro a napoletani: tra questi lo stesso Roberto Saviano, che poi ha descritto il suo soggiorno scozzese nel bestseller "Gomorra".

martedì 22 dicembre 2009

'Ndrangheta, traffici cosche in porto Gioia Tauro, 27 arresti


'Ndrangheta, traffici cosche in porto Gioia Tauro, 27 arresti

I carabinieri di Reggio Calabria hanno arrestato 27 presunti esponenti della 'Ndrangheta, che controllavano importanti attività commerciali nel porto di Gioia Tauro. Lo fanno sapere gli stessi carabinieri.

Gli indagati sono accusati di associazione mafiosa ma anche di importazione di ingentissime quantità di prodotti cinesi con la complicità di società di import-export.

I carabinieri del Ros, in collaborazione con l'ufficio antifrode doganale, hanno individuato e sequestrato numerosi container di merce, spesso contraffatta, per un valore di decine e decine di milioni di euro.

Le indagini della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, fanno sapere i militari, hanno permesso di individuare anche le operazioni di riciclaggio di proventi illeciti in strutture immobiliari e attività alberghiere. Nel Lazio, infatti, sono stati sequestrati diversi hotel ed eseguiti diversi degli arresti.

L'indagine ha permesso anche di accertare gli attuali equilibri mafiosi nella piana di Gioia Tauro, dopo lo scontro tra le cosche Molè e Piromalli, uno scontro nato per il controllo dell'area portuale e, dicono gli investigatori, "centrale per la gestione dei traffici illeciti transnazionali".

Palermo, arrestati 9 uomini d'onore


Palermo, arrestati 9 uomini d'onore

PALERMO - I carabinieri del comando provinciale e del reparto operativo di Palermo e i finanzieri del nucleo speciale di polizia valutaria hanno eseguito nove provvedimenti di fermo disposti dalla direzione distrettuale antimafia nei confronti di capi e uomini d'onore dei mandamenti mafiosi palermitani di Resuttana e San Lorenzo. Gli indagati sono accusati di associazione mafiosa ed estorsione.

L'indagine ha fotografato i nuovi assetti organizzativi dei due mandamenti mafiosi, i cui vertici negli ultimi due anni sono stati azzerati grazie a diverse operazioni di polizia che si sono susseguite nel tempo, e ha tracciato la mappa del pizzo delle estorsioni nelle due zone della città. Gli investigatori si sono avvalsi, oltre che di intercettazioni ambientali, di tecniche di indagine tradizionali come il pedinamento.

Un apporto importante all'inchiesta è stato dato anche dalle rivelazioni di diversi collaboratori di giustizia che hanno fornito un quadro aggiornato delle attività delle cosche, facendo emergere, ancora una volta, come il racket continui ad essere uno degli affari più redditizi di Cosa nostra. Proprio l'avvicinarsi delle festività natalizie, uno dei momenti cruciali della riscossione del pizzo da parte delle "famiglie", ha reso necessaria l'adozione dei provvedimenti di fermo, misure caratterizzate dall'urgenza.

L'indagine è stata coordinata dal procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia e dai pm della Dda Lia Sava e Francesco Del Bene. L'inchiesta può considerarsi uno sviluppo di due precedenti attività investigative svolte dai Carabinieri e dalla Finanza tra il 2008 e il 2009 e culminate nel ritrovamento, all'interno di una villa storica di Palermo, dell'arsenale di Cosa nostra. Da quelle inchieste emerse il "ritorno in attività" dello storico boss Gaetano Fidanzati, di nuovo ai vertici del mandamento di Resuttana, e arrestato il 5 dicembre a Milano dopo una breve latitanza.

Queste le persone arrestate nell'ambito dell'operazione antimafia: Domenico Alagna, 48 anni, Giuseppe Crisafi, 41 anni, Vito Nicolosi, 48 anni, Salvatore Randazzo, 42 anni, Michele Pillitteri, 49 anni, Antonino Troia, 45 anni, Angelo Bonvissuto, 43 anni, Bartolo Genova, 27 anni e Manuel Pasta,34 anni.

venerdì 18 dicembre 2009

Operazione "Pony express", 50 arresti


Operazione "Pony express", 50 arresti

CATANZARO - Avevano allestito un vero e proprio servizio di corriere per rifornire di droga, soprattutto eroina, la piazza catanzarese. È quanto emerso dalle indagini condotte dai carabinieri del Comando provinciale di Catanzaro che stamani hanno portato all'arresto di oltre 50 persone tra la Calabria, la Campania e la Sicilia.

I corrieri (da qui il nome dell'operazione, Pony express) facevano la spola tra Napoli, Catanzaro ed anche Catania, trasportando la droga che serviva allo spaccio su Catanzaro e nei comuni limitrofi.

Secondo quanto emerso dalle indagini, condotte dai carabinieri del reparto operativo di Catanzaro e delle Compagnie di Soverato e Catanzaro, gli arrestati erano parte integrante di tre gruppi criminali che hanno organizzato e gestito il traffico dell'eroina ed il successivo spaccio. Nel corso delle indagini sono stati sequestrati circa quattro chili di eroina suddivisa in migliaia di dosi pronte alla vendita.

I provvedimenti restrittivi, in cui si contesta l'associazione a delinquere finalizzata al traffico ed allo spaccio di eroina, sono stati emessi dal Gip di Catanzaro Tiziana Macrì, su richiesta dei pm Salvatore Curcio e Paolo Petrolo.

All'operazione hanno partecipato oltre 400 carabinieri dei comandi di Catanzaro, Catania, Napoli, Cosenza e Reggio Calabria, elicotteri dell'ottavo elinucleo di Vibo Valentia, unità cinofile, militari dello squadrone "Cacciatori", del battaglione Sicilia e della Compagnia speciale di Vibo Valentia.

GLI ARRESTI IN SICILIA. Le persone arrestate a Catania sono: Domenico Contarini, 38 anni; Antonio Nicolosi, 32 anni; Alessandro De Luca, 34 anni; Sergio Locastro, 45 anni, mentre una terza persona, Domenico Carmelo Di Benedetto, 52 anni, è stata bloccata a Palermo.

mercoledì 16 dicembre 2009

Mafia, camorra e narcos la "Triade" della droga


Mafia, camorra e narcos
la "Triade" della droga


PALERMO - Oltre 400 carabinieri del Comando provinciale di Palermo - con l'aiuto delle unità cinofile e di militari del 12° Battaglione "Sicilia" e l'appoggio di velivolo del 9° Nucleo Elicotteri - hanno condotto una vasta operazione antidroga. Sono 67 i provvedimenti cautelari emessi dal gip di Palermo a carico dei componenti di un'associazione a delinquere, costituita da tre gruppi criminali, finalizzata al traffico ed allo spaccio di sostanze stupefacenti.

L'operazione, denominata "Triade", è l'epilogo di una complessa attività investigativa sviluppata tra il 2008 ed il 2009. Le indagini hanno interessato una vasta area della provincia di Palermo e hanno fatto emergere i contatti tra le bande ed ambienti della camorra napoletana e narcos spagnoli. Dietro il traffico anche Cosa nostra con cui il capo di una delle organizzazioni scoperte aveva stretti legami.

L'inchiesta, che ha potuto contare anche sull'apporto di pentiti di mafia, ha preso il via dall'arresto di un pusher finito in manette a Bagheria (Palermo) nel 2008, trovato in possesso di 400 grammi di cocaina purissima. I carabinieri hanno ricostruito i contatti ed i movimenti dello spacciatore scoprendo tre gruppi criminali che trafficavano in droga.

Le indagini hanno evidenziato l'esistenza di una vera e propria associazione che assicurava il sostegno economico alle famiglie dei soggetti di volta in volta arrestati in flagranza, l'esecuzione di rapine a commercianti locali e istituti di credito per procurare le somme necessarie all'acquisto dello stupefacente e l'attività di reclutamento dei pusher tra gli adolescenti assuntori, alcuni dei quali minorenni.

QUARTIERI PALERMITANI COME FAVELAS. "Alcuni quartieri di Palermo sono diventati come le Favelas brasiliane". Quello lanciato dal procuratore aggiunto, Teresa Principato è un grido di allarme sociale. Il magistrato, commentando gli esiti dell'operazione denominata 'Triade', ha invitato tutti a contribuire a risolvere una questione urgente.

"Il fenomeno del consumo di droga è molto più diffuso di quanto si possa pensare - ha detto - basti pensare che alcuni consumatori segnalati in questa operazione hanno appena 13 anni. Non dobbiamo commettere l'imperdonabile errore di considerare che sia solo una questione di ragazzini".

Al grido di allarme si aggiunge anche la voce del comandante provinciale dei carabinieri di Palermo colonnello Teo Luzi: "Si tratta di consumatori giovani con basso o inesistente grado di scolarizzazione, provenienti da famiglie difficili. Il consumo di droga rappresenta per loro una fuga da realtà difficili. Il suo commercio un trampolino per ottenere in poco tempo facile ricchezza".

Casalesi: blitz contro pizzo di Natale 6 arresti, c'è anche attore di Gomorra


Casalesi: blitz contro pizzo di Natale
6 arresti, c'è anche attore di Gomorra


CASERTA (16 dicembre) - Nuovi arresti a Castel Volturno, nell'ambito delle indagini dei carabinieri, coordinate dalla Dda di Napoli, sulle estorsioni imposte a commercianti ed operatori economici della zona nel periodo natalizio: sono state arrestate sei persone, tra cui uno degli attori del film Gomorra. Secondo i carabinieri della compagnia di Mondragone, che hanno condotto le indagini, gli arrestati sarebbero affiliati alla fazione del clan dei Casalesi, che fa capo a Francesco Bidognetti, detto “Cicciotte 'e mezzanotte” e ai Venosa. La scorsa settimana altri affiliati alla cosca sono stati arrestati a Castel Volturno, in un'altra operazione dei carabinieri di Castello di Cisterna. In pochi giorni, fra l'agro aversano e il litorale domiziano sono stati arrestati così una decina di affiliati ai Casalesi, accusati di avere imposto o di avere tentato di imporre il cosiddetto “pizzo di Natale”, che nel periodo di dicembre, Pasqua e Ferragosto vede impegnati capi e gregari nella raccolta di somme di denaro da destinare ai reclusi o ai loro familiari.

Catania, si pente il boss dei Laudani




CATANIA - Il boss ergastolano Giuseppe Maria Di Giacomo, 44 anni, capo del clan dei Laudani, sta collaborando con la giustizia. Tra le accuse che gli sono state contestate gli omicidi dell'agente di polizia penitenziaria Luigi Bodenza, ucciso il 26 marzo del 1994, e quello dell'avvocato Serafino Fama, ex legale del capomafia Giuseppe Pulvirenti , assassinato vicino al suo studio legale la sera del 9 novembre del 1995.

Secondo quanto si è appreso, Di Giacomo sta rendendo dichiarazioni su una serie di omicidi, compreso quello dell'imprenditore edile Carmelo Rizzo, di San Giovanni La Punta. Per quest'ultimo delitto è stato assolto.

Il boss avrebbe parlato anche dell'imprenditore Sebastiano Scuto, il re dei supermercati nella Sicilia orientale, sotto inchiesta da parte della Procura generale di Catania. Le dichiarazioni sarebbero a parziale discolpa di Scuto, tanto che la deposizione in aula del neo collaborante è stata chiesta dalla difesa dell'imprenditore. La notizia del pentimento di Di Giacomo è stata confermata in ambienti giudiziari.

martedì 15 dicembre 2009

«Punire chi istiga alla violenza senza penalizzare chi fa un uso pacifico di internet»


«Punire chi istiga alla violenza senza penalizzare chi fa un uso pacifico di internet»

E' l'intenzione del ministro dell'Interno ascoltato oggi alla Camera dei deputati per un'informativa urgente sull’aggressione ai danni del Presidente del Consiglio avvenuta a Milano

Il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, ha annunciato «un'iniziativa anche legislativa per procedere all'oscuramento di quei siti che pubblicano messaggi di vera e propria istigazione a delinquere». Il titolare del Viminale è stato ascoltato stamattina alla Camera dei deputati in un'informativa urgente sull’aggressione ai danni del Presidente del Consiglio avvenuta a Milano.

Saranno sottoposte al prossimo Consiglio dei ministri alcune misure compatibili con l'esigenza di punire chi istiga alla violenza senza penalizzare chi fa un uso pacifico di internet. Dopo l'aggressione, infatti, «su diversi social network - ha evidenziato il ministro - è ripreso il proliferare di gruppi che inneggiano alla violenza».

Sulle misure di sicurezza adottate a Milano, Maroni ha sottolineato che «Nessun rilievo può essere mosso ai responsabili dell'ordine pubblico milanese, i dispositivi attuati hanno anche consentito di sventare un tentativo di violenta contestazione al presidente del Consiglio proprio sotto il palco. La gravità dell'episodio - ha proseguito - mi ha indotto ad incontrare personalmente i responsabili delle forze dell'ordine, per verificare se il sistema di gestione dell'ordine pubblico durante la manifestazione fosse stato predisposto in modo adeguato, secondo le regole che vanno rispettate in casi del genere: dopo questo incontro mi sono convinto che ciò sia avvenuto».

Sul servizio televisivo di 'Striscia la notizia', andato in onda su Canale5, nel quale è stato reso noto che due persone avrebbero segnalato ad un agente di polizia le intenzioni dell'aggressore, il ministro dell'Interno ha spiegato: «Ho chiesto al capo della Polizia e al questore di Milano di prendere immediatamente contatto con le persone, che sono stati condotte in questura e hanno reso una deposizione, che si sono peraltro rifiutate di firmare, dalla quale risulta, contrariamente a quanto apparso in televisione, che le stesse avrebbero effettivamente contattato un agente segnalandogli semplicemente che c'era una 'persona matta' che disturbava i passanti, senza fare alcun riferimento alle frasi da questi pronunciate nei confronti dell'onorevole Berlusconi».

Blitz antimafia, 41 arresti a Gela. Operazione "Compendium",




Blitz antimafia, 41 arresti a Gela. L'indagine nata dai pizzini che il boss morto aveva nello stomaco



Palermo, 15 dic. - (Adnkronos) - E' in corso dalle prime luci dell'alba tra la Sicilia e il Nord Italia una vasta operazione antimafia condotta dalla Polizia di Stato di Caltanissetta che sta eseguendo 41 ordini di custodia cautelare nei confronti di altrettanti presunti esponenti della cosca mafiosa degli Emmanuello di Gela (Caltanissetta). Gli arresti vengono eseguiti tra l'isola, la Lombardia, il Friuli Venezia Giulia, la Liguria e la Toscana.

Sono stati i 'pizzini' rinvenuti durante l'autopsia nello stomaco del boss mafioso Daniele Emmanuello, ucciso durante l'operazione per la sua cattura nei pressi di Enna, a fare avviare l'indagine 'Compendium'. Emmanuello rimase ucciso nel novembre di due anni fa dopo un conflitto a fuoco con la polizia.

"I 'pizzini' ritrovati - ha spiegato il questore di Caltanissetta Guido Marino - sono serviti ai nostri riscontri. Ma abbiamo avuto anche le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia". In particolare e' stato il pentito Fortunato Ferracane che ha permesso alla Dda di ricostruire gli affari del clan mafioso nel Nord Italia, soprattutto Parma.

I provvedimenti sono stati emessi dal gip del tribunale di Caltanissetta, Giovanbattista Tona, su richiesta della Dda nissena. Le accuse variano dall'associazione mafiosa finalizzata al controllo illecito degli appalti e dei subappalti, intermediazione abusiva di manodopera, traffico di stupefacenti, ricettazione, estorsione, danneggiamenti, riciclaggio di denaro sporco, detenzione e porto abusivo di armi e munizioni.

Secondo quanto accertato dagli investigatori, la cosca degli Emmanuello, avrebbe messo in piedi al Nord una vera e propria 'succursale' della mafia, con base a Parma, che controllava imprese e appalti.

Nell'ambito dell'operazione antimafia 'Compendiumi' che all'alba di oggi ha portato tra la Sicilia e il Nord Italia, all'arresto di 41 persone, la Squadra mobile di Caltanissetta e gli uomini del Commissariato di Gela hanno anche trovato un arsenale vero e proprio, Tra le armi rinvenute ci sono pistole, fucili e persino esplosivo. Sequestrata anche una colt calibro 45 che, secondo una perizia balistica eseguita dalla Polizia, sarebbe stata usata in due omicidi compiuti a Gela durante la guerra di mafia. In particolare, l'omicidio di Antonio Meroni, nell'89, e quello di Francesco Dammaggio, nel febbraio del 91.

lunedì 14 dicembre 2009

Camorra, sequestrato il tesoro di Zagaria



Camorra, sequestrato il tesoro di Zagaria
Le mani dei Casalesi sulla Versilia


NAPOLI (14 dicembre) - Dalle prime ore di oggi agenti del Centro operativo di Napoli della Direzione investigativa Antimafia hanno eseguito decreti di sequestro patrimoniale emessi, su proposta del direttore della Dia, il generale Girone, dalla sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a carico di cinque persone ritenute affiliati o prestanome, riconducibili alla famiglia di Michele Zagaria, capo dell'omonimo clan aderente all'organizzazione camorristica detta dei Casalesi e latitante dal 1995.

Si tratta di un totale di beni per un totale di 20 milioni di euro: colpiti gli interessi economici del clan camorristico che fa capo alla famiglia Zagaria che, sottolinea la Dia, con la complicità dell'imprenditore parmense Aldo Bazzini, aveva investito cospicui capitali provenienti da traffici illeciti.

L'operazione della Dia ha consentito di svelare la costituzione di una fitta rete di ditte e società costituite ad hoc, operanti nel settore delle costruzioni edili e dell'intermediazione immobiliare sia sul casertano che a Massa Carrara, Roma e Cremona. Tra i beni sottoposti a sequestro vi sono immobili di lusso localizzati in alcune zone di maggior pregio turistico come la riviera della Versilia o la campagna cremonese dove era stata ristrutturata una vecchia scuola trasformandola in due lussuose abitazioni finemente arredate.

Aldo Bazzini è il primo imprenditore del Nord Italia condannato per associazione camorristica con sentenza depositata il 9 giugno 2008. Secondo la Dia di Napoli, Bazzini, «attraverso il proprio rilevante patrimonio (geneticamente connotato dal requisito della illigalità, in quanto frutto del reinvestimento di cospicue risorse, di sicura provenienza illecita, del clan Zagaria e pertanto nella piena disponibilità di Pasquale Zagaria), è senza dubbio il principale artefice del reinvestimento dei proventi dell'attività criminale del clan Zagaria» aderente ai Casalesi.

Bazzini è il consuocero di Pasquale Zagaria, detto «Bin Laden», fratello di Michele «Capastorta» Zagaria, capo militare dei Casalesi, uno dei latitanti più pericolosi d'Italia.

Dalle indagini è emerso che sfruttando i suoi rapporti con faccendieri e intermediari, dal 1994 Bazzini ha favorito la penetrazione della camorra nei maggiori appalti pubblici del Paese tra cui alta velocità Napoli-Roma, aeroporti e metropolitane.

Nel 2002, Bazzini e Pasquale Zagaria hanno anche costituito una società di cui Zagaria era socio occulto. Tra i beni sequestrati questa mattina e intestati ad Aldo Bazzini, ai figli Paolo e Andrea e alla figlia di secondo letto Francesca Linetti, ci sono le società con sede a Parma Nuova Italcostruzioni Nord, Ducato Immobiliare, la ditta individuazione Bazzini Aldo, la Maisonnette Immobiliare e i residence Magawly e Lisoni.

Sempre a Parma sono stati sequestrati anche sei appartamenti e una villa su due piani di circa 250 metri quadri con un garage da otto posti auto.

domenica 13 dicembre 2009

Berlusconi colpito al volto a Milano















Il premier ferito, fermato l'aggressore
Bossi: «E' stato un atto di terrorismo»
MILANO
«

È spuntata improvvisamente una mano che stringeva una statuetta. Poi il colpo violento al volto, sulla parte destra, che gli ha spaccato il labbro». È il racconto di Doriano Riparbelli, responsabile dell’organizzazione regionale del Pdl, che si trovava a fianco di Silvio Berlusconi, quando, in piazza Duomo, è stato aggredito da uno sconosciuto poi fermato e individuato. Si tratta di Massimilano Tartaglia, 42 anni e in cura da una decina di anni per problemi mentali.

«È accaduto tutto in pochi secondi», spiega Riparbelli che non si capacita ancora di quel che ha visto, di quella scena che in pochi istanti nei fotogrammi di alcune tv ha fatto il giro del mondo. Secondo la ricostruzione di chi ha organizzato il comizio il premier, appena lasciato il palco e prima di salire sull’auto, era stato fermato da uno dei suoi sostenitori che gli ha consegnato alcune foto. Dopo di che l’uomo rivolgendosi al premier: «Aspetta Silvio, ti dò il mio biglietto da visita». Poi altri simpatizzanti. Tutti a urlare «Silvio, Silvio» e a fare a gara per stringergli la mano.

«Lui si è spostato di poco - prosegue Riparbelli - e improvvisamente è arrivato un braccio con una mano che stringeva una statuetta del Duomo. L’ha colpito al volto, la parte di destra». Berlusconi si è piegato sulle gambe, ma in un baleno la sua scorta è intervenuta per sostenerlo e portarlo alla macchina. «Quando era già dentro e si stava tamponando il viso con un fazzoletto - continua l’esponente del Pdl - ha aperto la portiere ed è di nuovo uscito dall’auto, probabilmente, è la mia sensazione, per andare da quell’uomo, il suo aggressore, e chiedergli senza alcun rancore il motivo del suo gesto, perchè l’ha fatto». Ma i suoi body guard gli hanno consigliato di rientrare. Poi la corsa al San Raffaele. È entrato sdraiato su una barella «cosciente», con una borsa del ghiaccio sul volto. Subito è stato medicato e, come ha deciso il suo medico personale, il Prof. Alberto Zangrillo, è stato sottoposto a una tac: ha subito un «trauma contusivo importante al massiccio facciale - hanno riferito dall’ospedale - con una ferita interna ed esterna al labbro superiore. Due denti, uno dei quali in modo serio, sono fratturati».

E poi l’accertamento diagnostico ha evidenziato una piccola frattura al naso. la prognosi è di 20 giorni. Nonostante sia apparso scosso e abbattuto «sta reagendo con la sua solita tempra», hanno fatto sapere i medici. E, infatti, mentre veniva portato fuori dal pronto soccorso ha stretto la mano a uno del suo staff. «Sto bene, sto bene», ha esclamato. Poi sono cominciate le visite: i suoi figli, Marina accompagnata dal marito, Piersilvio, Barbara con il compagno ed Eleonora. E ancora Adriano Galliani, Emilio Fede, il ministro dell’Interno Roberto Maroni, quello del Turismo, Vittoria Brambilla e quello della Cultura Sandro Bondi, il sottosegretario Paolo Bonaiuti e il presidente della Provincia di Milano, Guido Podestà.

Insomma, oltre ai suoi figli, un via vai di amici e politici a lui molto legati per esprimergli il calore del loro affetto e la loro solidarietà.

Domiciliari al boss che uccise Graziella Campagna


Il fratello della vittima sulla tomba di Graziella

Domiciliari al boss che uccise Graziella Campagna Alfano in campo: si faccia subito luce

SAPONARA (MESSINA) - Il giorno prima dell'anniversario della morte di Graziella Campagna, la ragazza di 17 anni uccisa nel Messinese il 12 dicembre '85 perché trovò il pizzino di un latitante, uno degli assassini ha ottenuto gli arresti domicialiari. Gerlando Alberti Junior si trova nella sua abitazione di Falcone, centro tirrenico della provincia di Messina. Ha beneficiato del provvedimento, secondo quanto reso noto dal suo legale Antonio Scordo, avendo giuridicamente scontato un lunghissimo periodo di detenzione per l'omicidio.

"Quello che è successo è una cosa sconvolgente e vergognosa, che offende la dignità di mia sorella, della nostra famiglia e di tutti gli italiani - ha dichiarato Pasquale Campagna, fratello di Graziella -. Se la pena è certa non si capisce come mai dopo tanti processi e tanto tempo è stata presa questa decisione. Ma allora dove sta la giustizia? Chi pensa a quella ragazza? Che giustizia è quella che manda a casa un assassino?".

La condanna all'ergastolo - ha spiegato il legale di Alberti - è diventata definitiva nel 2008 con la pronuncia della Cassazione. Subito dopo è stato emesso l'ordine di esecuzione della pena e l'uomo (che era stato scarcerato dopo il processo di primo grado perché la sentenza non era stata depositata nei termini stabiliti) è stato incarcerato.

Il legale di Alberti ha quindi proposto incidente di esecuzione davanti alla Procura generale di Messina, chiedendo ed ottenendo, in base al principio del "cumulo giuridico", che l'inizio dell'esecuzione della pena fosse fissato al marzo 1987, quando Alberti jr. era stato arrestato per altri reati.

Giuridicamente, dunque, Alberti jr ha scontato per l'omicidio di Graziella Campagna oltre 22 anni di reclusione. Tenuto conto anche degli sconti (45 giorni per ogni anno di detenzione) previsti dall'ordinamento penitenziario, l'omicida ha potuto beneficiare della detenzione domiciliare. "È probabile, tuttavia - ha rilevato il legale di Alberti jr. - che sulla decisione del giudice della sorveglianza abbiano avuto rilievo anche l'età dell'imputato (che è ultrasettantenne) e le sue precarie condizioni di salute".

IL MINISTRO ALFANO DISPONE UNA VERIFICA. Sulla vicenda il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha subito disposto una verifica per accertare la regolarità della decisione. "Sono indignato - afferma Pasquale Campagna - e mi auguro che l'ispezione disposta dal ministro della Giustizia sia vera, fatta con criterio e dia risposte agli italiani e affinché chi ha ucciso mia sorella se ne rivada in galera".

Gerlando Alberti junior era tornato in carcere a mezzanotte del 18 marzo 2008, un'ora dopo la sentenza della Corte d'Assise d'Appello che aveva confermato il carcere a vita per lui e per il suo complice Giovanni Sutera.

La ragazza, che aveva 17 anni e faceva la stiratrice, venne rapita e uccisa perché Alberti, allora latitante, sospettava che avesse visto un'agendina con numeri di telefono compromettenti, dimenticata nella tasca di un capo portato nella lavanderia dove lavorava la giovane.

Graziella Campagna verrà ricordata a Saponara, nel giorno dell'anniversario dell'uccisione, con una serie di iniziative. "Questa decisione è il modo più scandaloso con cui la magistratura commemora l'anniversario dell'uccisione di Graziella Campagna che avverrà domani", dice Fabio Repici, legale della famiglia Campagna. "Gerlando Alberti Junior - continua Repici - ottiene i benefici in cambio del silenzio perpetrato fino ad oggi e con il quale ha evitato di inguaiare magistrati, alti ufficiali dell'Arma e mafiosi vari che, prima e dopo l'omicidio di Graziella Campagna, gli hanno garantito la protezione".

Un altro fratello di Graziella, Piero Campagna, definisce la scarcerazione di Alberti junior "un boccone amaro, ma bisogna superare anche questo. Il carnefice è condannato al carcere a vita e come regalo dallo Stato ci aspettavamo un mazzo di fiori: invece sono arrivati gli arresti domiciliari. E' una delusione e spero che lo Stato faccia il suo dovere e lo rinchiuda in carcere, come è giusto che sia, per rendere giustizia a Graziella e dare un segnale ai cittadini".

BEPPE FIORELLO ALLA COMMEMORAZIONE. Alla commemorazione di Saponara c'è anche Beppe Fiorello, che ha vestito i panni di uno dei fratelli di Graziella nel film tv "Una vita rubata", in onda nel marzo del 2008 dopo una serie di rinvii: doveva essere trasmesso a novembre del 2007 e poi nel febbraio successivo, ma in contemporanea si stava celebrando il processo per l'omicidio.

"La vicenda preferisco non commentarla, sono a Saponara per ricordare Graziella in maniera positiva. Non voglio mischiare la giornata di oggi, che è di ricordo e di memoria, con una decisione azzardata".

IL TRIBUNALE: "DOMICILIARI PER GRAVI MOTIVI DI SALUTE". La decisione del tribunale di sorveglianza di Bologna di concedere gli arresti domiciliari a Gerlando Alberti Junior, uno dei due assassini di Graziella Campagna, è stata presa dal tribunale collegiale, formato da quattro giudici, con il parere favorevole del procuratore generale.

In particolare, ha chiarito il presidente del tribunale, Francesco Maisto, il provvedimento "nasce solo da una richiesta specifica e ufficiale fatta dal carcere di Parma per le gravi condizioni di salute del detenuto. E dopo non c'è stato nessuno ricorso in Cassazione".

Maisto ha sostenuto al proposito che "se la gente muore in carcere, poi si dice che il giudice sbaglia....". Nessun comento dal magistrato a proposito della verifica disposta dal Guardasigilli Alfano per accertare la regolarità della decisione. "Non mi stupisce - si è limitato a dire il giudice - è nei poteri del Ministro".

venerdì 11 dicembre 2009

Filippo Graviano: "Mai avuto rapporti con Marcello Dell'Utri"


Filippo Graviano: "Mai avuto rapporti con Marcello Dell'Utri"

Il boss mafioso Filippo Graviano ha smentito oggi alcune dichiarazioni rese dal pentito di mafia Gaspare Spatuzza, asserendo di non aver avuto alcuna promessa da parte di ambienti politici e di non aver mai conosciuto il senatore Pdl Marcello Dell'Utri, nell'ambito del processo a quest'ultimo per concorso esterno in associazione mafiosa. Continua a leggere questa notizia

Graviano era stato citato più volte in passato da Spatuzza come sua fonte riguardo le informazioni secondo cui il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e lo stesso Dell'Utri sarebbero stati referenti politici della mafia nelle stragi dei primi anni 90.

"Non ho mai detto quelle cose a Spatuzza", ha detto il boss ergastolano, riferendosi alle dichiarazioni di Spatuzza circa un colloquio avvenuto nel 2004 nel carcere di Tolmezzo in cui, secondo il pentito, Graviano avrebbe detto: "Se non arriva nulla da dove deve arrivare possiamo pensare a parlare con i magistrati ma prima dobbiamo parlarne con mio fratello Giuseppe", facendo riferimento a presunti aiuti da parte dei politici.

Berlusconi, che non risulta indagato in alcun procedimento di mafia sia a Palermo che a Firenze, ha sempre respinto le accuse di Spatuzza definendole infondate.

Informato dai reporter a Bruxelles delle smentite di Graviano, il premier si è limitato a dire: "E cosa volevate? Non si meraviglia?".

NON AVEVO BISOGNO DI AIUTI, NON CONOSCO DELL'UTRI

Per avvalorare il fatto di non aver avuto alcun bisogno di appoggi né aiuti dalla politica, Graviano ha spiegato oggi che all'epoca, nei primi anni 90, non aveva ancora grossi guai con la giustizia, ma solo una piccola condanna.

"Nel '94 non c'era nessuno che doveva farmi promesse, perché io all'epoca dovevo scontare solo quattro mesi di carcere. Perché avrei dovuto chiedere aiuto? E poi il discorso con Spatuzza sarebbe avvenuto nel 2004. Da allora sono passati cinque anni, se avessi voluto consumare una vendetta lo avrei già fatto", ha spiegato il boss di Brancaccio, condannato con suo fratello Giuseppe all'ergastolo per le stragi di mafia del '93.

Quanto in particolare a Dell'Utri, presente anche oggi in aula, Graviano ha detto testualmente: "Non ho mai conosciuto né direttamente né indirettamente Dell'Utri, quindi non ho mai avuto rapporti con lui".

Parole che hanno rincuorato il senatore del Pdl, condannato a nove anni in primo grado, secondo cui "non c'è proprio nulla in questo processo".

"Spero che siccome non c'è niente, alla fine venga fuori", ha detto ai giornalisti che gremivano l'aula di giustizia di Palermo. "Mi sono meravigliato della dignità e della compostezza di questo signore. Ha detto cose che mi meravigliano. Nel guardarlo ho avuto l'impressione di dignità da parte di uno che si trova in carcere e ha delle sofferenze. Graviano sembra un pentito Spatuzza no", ha sottolineato.

Per il deputato del Pdl e avvocato del premier, Niccolo' Ghedini, le dichiarazioni rese oggi davanti alla Corte di Appello di Palermo da Graviano e da Cosimo Lo Nigro -- altro boss mafioso del mandamento di Brancaccio ascoltato oggi nel corso dell'udienza durata circa quattro ore -- "confermano definitivamente e in modo inequivocabile la già evidente infondatezza delle assurde prospettazioni rese dallo Spatuzza".

GIUSEPPE GRAVIANO NON RISPONDE

Nell'ambito dell'udienza odierna, oltre a Filippo Graviano, doveva essere ascoltato anche Giuseppe, che si è avvalso però della facoltà di non rispondere. Per motivi di sicurezza, i due boss ergastolani -- che non sono "pentiti" -- sono stati collegati in videoconferenza con l'aula palermitana dai penitenziari dove sono detenuti in regime di 41 bis, l'articolo di legge che consente il cosiddetto "carcere duro" contro i mafiosi.

"Giuseppe Graviano è sepolto vivo, è in una situazione alienante, perché dovrebbe rispondere al processo? Cosa ci guadagna?", ha commentato il suo avvocato, Giuseppe Giacobbe, annunciando che il suo assistito ha inviato un memoriale via fax alla corte di appello presieduta da Claudio Dall'Acqua denunciando che "non è sottoposto a un 41-bis normale, è tutto un sistema mirato ad annientare la sua personalità per acquisire nuovi collaboratori di giustizia".

Con riguardo proprio a Giuseppe, Spatuzza aveva raccontato in aula nei giorni scorsi che il boss, durante un incontro a Roma nel gennaio del '94, gli nominò Berlusconi e Dell'Utri come i referenti politici della cupola mafiosa nelle stragi di mafia del '92-'93 -- l'attentato agli Uffizi di Firenze, le bombe a Roma e in via Palestro a Milano, il fallito attentato allo stadio Olimpico della capitale.

Oltre a Filippo Graviano, anche Lo Nigro ha smentito le dichiarazioni di Spatuzza, questa volta riguardo a suoi presunti rapporti con i Graviano che ha asserito aver "avuto il piacere di conoscere solamente in carcere".

Spatuzza, 45 anni, è stato condannato all'ergastolo per 6 stragi e 40 omicidi, molti dei quali eseguiti nei primi anni 90 proprio su mandato dei Graviano, che dal carcere continuavano a impartire ordini ai loro uomini.

Arrestato nel 1997, ha cominciato a collaborare con la giustizia nel 2008.

Le sue dichiarazioni sui contatti fra mafia e politica hanno riaperto il dibattito sull'uso dei pentiti e sui benefici a loro concessi per legge in caso di collaborazione con la giustizia, con alcuni -- tra cui lo stesso Dell'Utri, che anche oggi è presente in aula -- che hanno chiesto una modifica dell'attuale legislazione.

Il governo ha smentito per ora di star pensando ad un cambiamento della legge sui pentiti né a modifiche riguardanti il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

La prossima udienza del processo a Dell'Utri è stata fissata per il 18 dicembre.

giovedì 10 dicembre 2009

"La mafia è in ginocchio"



"La mafia è in ginocchio"

ROMA - "Questo governo ha avviato una azione di contrasto alla mafia senza precedenti negli ultimi decenni". Lo ha detto il ministro dell'Interno, Roberto Maroni, nella conferenza stampa convocata al Senato per illustrare i risultati della lotta alla criminalità organizzata. Con Maroni vi erano anche il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, il capogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri, il suo vice Gaetano Quagliarello, la vicepresidente del Senato, Rosi Mauro.

Si tratta, ha sottolineato Maroni, "di misure all'avanguardia nel mondo. Le opinioni sono legittime ma i numeri hanno una forza intrinseca che prevale sulle tante scempiaggini dette". E i dati citati dal ministro indicano che ad oggi, nei 18 mesi di governo Berlusconi, sono stati arrestati 21 dei 30 latitanti più pericolosi, "un risultato superiore del cento per cento rispetto ai 19 mesi precedenti; sono stati inoltre arrestati 299 latitanti (+83%), confiscati 2.942 beni per un valore di 1,8 miliardi di euro (+328%), mentre i beni sequestrati sono stati oltre 11 mila, per un valore di 6,2 miliardi di euro (+71%)".

"La mafia è già in ginocchio: i leader storici di Cosa Nostra sono decaduti e sono in carcere, in 41 bis. Poichè è in ginocchio, il nostro obiettivo è stenderla a terra e liberarci della mafia al più presto possibile". Ad affermarlo è il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che ha aggiunto: "Proporrò il 41bis per il boss mafioso Nicchi e con questo i detenuti sottoposti a regime speciale saranno ben 645, è il record storico".

martedì 8 dicembre 2009

Arrestato superlatitante Raffaele Arzu


Arrestato superlatitante Raffaele Arzu

NUORO - E' stato arrestato nell'Ogliastra il superlatitante sardo Raffaele Arzu, che figura nell'elenco dei 30 più pericolosi criminali. Arzu, 30 anni, nato a Lanusei, è ricercato dal 2002, e deve scontare 14 anni di reclusione per una serie di rapine a furgoni portavalori. Alla cattura del latitante hanno collaborato i carabinieri del Ros.

Raffaele Arzu era definito negli ambienti investigativi la "Primula rossa" degli assalti ai furgoni portavalori. In particolare era ricercato per l'assalto ad un furgone portavalori ad Arezzo, per una rapina a Macerata e per il tentativo di rapina con sparatoria durante l'assalto ad un altro furgone portavalori a Perugia, Il suo nome era stato fatto anche per la rapina da 3 milioni di euro compiuta il 30 giugno dell'anno scorso sulla A14, nei pressi di Imola, rapina compiuta da una decina di uomini armati e mascherati. Lo scorso anno le indagini della procura di Perugia avevano portato a individuare i componenti della sua banda ed erano state arrestate 15 persone in tutta Italia. Alla cattura era sfuggito però proprio quello che è considerato il capo della banda, Raffaele Arzu. Qualche settimana fa si era costituito, a Nuoro, il cugino di Raffaele, Sergio Arzu, anche lui facente parte della banda specializzata negli assalti ai furgoni portavalori.

Arzu è stato arrestato nella sua casa a Talana e non ha opposto alcuna resistenza agli agenti che erano andati a prelevarlo. Nei mesi scorsi, per altro, secondo alcune notizie pubblicate dalla stampa, il latitante avrebbe manifestato l'intenzione di costituirsi, aiutato in questo dalla fidanzata. Secondo quanto era trapelato, Arzu aveva espresso l'intenzione di scontare la pena avendo però il timore che gli potessero essere addebitate altre rapine che lui sosteneva di non avere commesso. Dal punto di vista giudiziario Arzu era ricercato per una condanna definitiva nel 2002 a tre anni di reclusione per una rapina a Castelraimondo (Macerata) e un'altra nel 2004 a 11 anni di reclusione per una rapina ad un furgone portavalori ad Arezzo.

Servizio centrale di protezione

Istituire il Comitato di garanzia per l’espletamento del programma di protezione dei testimoni di giustizia
La necessità di offrire una maggiorata tutela a “soggetti deboli” come i testimoni di giustizia sembra imporre l’opportunità di istituire un organo che sia in grado di monitorare la corretta esecuzione delle misure assistenziali e di tutela deliberate dalla Commissione centrale e demandate, per l’esecuzione, al Servizio centrale di protezione.
Il Comitato di Garanzia, formato da professionisti di elevata competenza e autorevolezza, esterni alla Commissione centrale e al Servizio centrale di protezione, offre al testimone di giustizia supporto e tutela lungo tutto il suo percorso e interviene nei casi in cui si verifichino particolari disfunzioni e inadempienze
Tale Comitato di garanzia dovrebbe, quindi, annoverare soggetti di alto profilo professionale e morale, espressione delle competenze necessarie alla realizzazione dei fini sopra richiamati: psicologo, avvocato, sociologo, figure appartenenti agli apparati istituzionali più elevati (prefetto, magistrato o ufficiale delle forze dell’ordine), criminologo, assistente sociale.
In una visione di sinergie istituzionali, il nuovo assetto organizzativo dovrebbe prevedere l’obbligo, per il Servizio centrale di protezione (al quale la norma demanda il compito di attuare le misure di protezione e di assistenza), di riferire al Comitato di garanzia almeno ogni sei mesi sullo stato di adattamento e di progresso che il testimone di giustizia ha raggiunto.
Il Comitato di garanzia, a sua volta, può fornire al Servizio centrale (ed eventualmente alla Commissione centrale) indicazioni e pareri motivati circa eventuali problematiche insorte nell’applicazione del programma di protezione, nonché suggerire interventi concreti a tutela dei diritti e delle legittime aspettative del testimone di giustizia.
Nel caso di cessazione delle misure di protezione, il Comitato di garanzia continuerà a prestare il proprio supporto fino a quando il TdG non abbia raggiunto gli equilibri necessari al reinserimento nella dimensione ordinaria.

Istituire la figura del tutor del testimone

Diventa necessario sostituire la figura attuale del referente (normalmente un appartenente alle forze di polizia), rivelatasi insufficiente e non adeguata a soddisfare le esigenze del testimone. Si avverte la necessità di un punto di riferimento costante e continuo, che assista e accompagni il testimone, sin dall’ingresso nel programma di protezione, che sappia agire con professionalità, efficienza e dedizione, abile nel farsi carico delle esigenze del testimone, anche di quelle più complesse: un tutor, ossia una persona che si ponga come interlocutore -per conto del TdG- degli organi amministrativi e, più in generale, della Pubblica Amministrazione. Dotato di poteri adeguati allo scopo, normativamente definiti, affianca il testimone nella risoluzione di tutte le problematiche che sorgono dal momento della collocazione sul territorio.
Il ruolo di tutor può essere ricoperto da persona che abbia svolto funzioni in ambito legale o nella dirigenza dello Stato, preferibilmente con compiti nel comparto della sicurezza, e caratterizzato da un elevato ed autorevole profilo professionale, che sappia convogliare le legittime pretese
e le fondate aspettative del testimone verso le rinnovate potenzialità dei nuclei territoriali e del Comitato di garanzia. Ma che, al contempo, sia fornito di poteri di impulso, nei confronti delle citate strutture e di ogni altro organismo deputato a fornire un contributo (sotto il profilo assistenziale o della sicurezza) al testimone.
Dal punto di vista organizzativo, per ogni regione (o gruppo di regioni) viene nominato (dal Ministero dell’Interno di concerto con il Ministero della Giustizia) un tutor. Questi curerà, ai fini sopra precisati, la posizione di tutti i testimoni di giustizia (e relativi nuclei familiari) che risiedano nell’ambito territoriale di pertinenza.

Un corpo specializzato di operatori della protezione: i nuovi NOP

 
La specializzazione del personale dello Stato adibito a compiti di tutela e assistenza del TdG deve divenire un postulato irrinunciabile, quale che sia il percorso che si intende seguire (potenziamento e riqualificazione delle strutture attuali, ovvero creazione ex novo di un organismo con competenze ampliate e ridefinite).
La Commissione antimafia intende affermare, alla luce dell’inchiesta svolta, la notevole importanza che rivestono gli aspetti relativi a: provenienza, selezione, formazione e inquadramento del personale adibito all’assistenza ed alla tutela dei testimoni di giustizia. E’ necessario costituire un corpo di professionisti non solo della tutela, ma anche dell’assistenza socio-psicologica, perché tale è, nella realtà, il compito che essi si ritrovano a svolgere.
Di conseguenza, occorre ampliare il bacino di selezione, attingendo ai ruoli dell’intera Pubblica Amministrazione (con riferimento alle professionalità specificamente richieste dalla funzione) e operando accurati processi di valutazione dei curricula, valorizzando le competenze acquisite e gli aspetti motivazionali.
La somministrazione frammentata e saltuaria di nozioni deve essere sostituita da un programma di formazione permanente: una apposita “scuola”, nella quale confluiscano le più valide esperienze già maturate, che assicuri un sistema di addestramento professionale su basi di elevata scientificità, e si articoli attraverso appositi corsi della durata di almeno sei mesi (basati sull’insegnamento della psicologia -in primis- e di altre materie e tecniche specifiche), anche con il ricorso a titolari di cattedra accademica. Solo dopo il superamento di tale corso e l’effettuazione di un congruo tirocinio pratico si potrà avere un operatore qualificato del Servizio Protezione, in grado di interpretare pienamente la filosofia del nuovo sistema integrato di tutela e assistenza.
Occorre adottare rigorosi sistemi di verifica periodica della professionalità e dell’attività svolta dagli operatori, al fine di garantire costantemente un elevato standard di efficienza.

Le nuove strutture territoriali


Appare indispensabile l’adeguamento dell’impianto strutturale esistente, integrando -in particolare- il personale dei nuovi NOP, che opera a livello territoriale, con soggetti qualificati e in grado di sviluppare e seguire i progetti di assistenza socio-psicologica in favore del TdG e dei suoi familiari (professionisti in campo legale e nel settore economico-finanziario, psicologi di comprovata esperienza ed esperti dell’assistenza socio-sanitaria, anche con riferimento alle specifiche problematiche dell’infanzia, ecc.).
In tal modo, l’equipe multidisciplinare di esperti inserita nella sede centrale troverebbe la sua corrispondenza funzionale nelle omologhe strutture operative dislocate sul territorio. Non avrebbe, infatti, senso istituire una forte struttura centrale di sostegno e lasciare nella confusione dei ruoli e delle funzioni i Nuclei distribuiti sul territorio che hanno autentici compiti operativi.

Verso una struttura unica

Conclusivamente, si ritiene opportuno affermare la necessità di superare l’attuale suddivisione dei compiti di assistenza e tutela, da un lato, e sicurezza, dall’altro, affidati ad organi diversi, per addivenire alla creazione di un organismo unico che, attraverso unitarietà strutturale e specializzazione, assicuri efficacia a tutto il comparto di protezione, sollevando le forze di polizia territoriali dai compiti di scorta e tutela attualmente a loro affidati dal Servizio centrale.
Non v’è dubbio che tale artificioso riparto di competenze, nella parte in cui assegna agli organi territoriali le funzioni di sicurezza, rappresenta una rinuncia alla specificità e all’efficacia delle misure tutorie in favore del testimone.
La Commissione esprime, sul punto, l’auspicio che si avvii una riflessione complessiva volta a delineare un sistema di protezione che, accanto alle innovazioni sopra menzionate con riguardo ai profili di piena garanzia del rispetto dei diritti del cittadino testimone di giustizia, preveda l’attribuzione – sul modello dell’ United States Marshals Service – anche dei compiti di vigilanza e sicurezza.
Si intende far riferimento ad una filosofia nuova che, evitando confusioni e sovrapposizioni di ruoli, dia vita ad un sistema integrato tra aspetti di sicurezza e di assistenza del TdG.

 
 

Nuovo modello di protezione del testimone di giustizia

 

1. Garantire ai testimoni (attraverso adeguate misure di assistenza) l’effettivo mantenimento del pregresso tenore di vita goduto dai medesimi e dai loro familiari. A tal fine, è necessario definire compiutamente il concetto espresso dalla locuzione “tenore di vita”, in quanto esso rappresenta il punto di riferimento per la determinazione delle misure assistenziali da erogare (e, quindi, anche della capitalizzazione). L’espressione “tenore di vita” deve essere intesa nella sua più ampia accezione, riferita non solo al risparmio del reddito ma anche alla parte di esso investita o spesa in beni e servizi utilizzati: deve rappresentare la situazione economica complessiva del soggetto. Va da sé che lo stesso tenore di vita che il testimone godeva nel luogo di origine deve essere garantito anche nella località dove viene trasferito per ragioni di sicurezza. Occorre individuare i parametri idonei a certificare con compiutezza il tenore di vita. In tale direzione, una prima base di partenza per delineare tali parametri può essere costituita dalle indicazioni raccolte nel corso dell’inchiesta parlamentare: disponibilità di beni mobili registrati (imbarcazioni da diporto, autoveicoli), residenze secondarie, collaboratori familiari, attività extrascolastiche dei figli; frequenza di alberghi e ristoranti; viaggi all’estero. Certamente le valutazioni non potranno non tener conto, in una certa qual misura, delle dichiarazioni dei redditi precedentemente rese dal testimone. E’ altrettanto evidente che le misure assistenziali volte a garantire il pregresso tenore di vita non potranno avere una durata illimitata e non potranno prescindere dalla fattiva collaborazione del testimone (e del suo nucleo familiare), ai fini della realizzazione di un percorso che conduca alla piena autonomia ed autosufficienza economica.

2. Dare al testimone di giustizia un quadro informativo ampio e dettagliato circa i diritti e i doveri connessi con l’assunzione dello status di testimone di giustizia. Prevedere strumenti per fornire al testimone di giustizia, prima dell’acquisizione dello status, una compiuta informazione in ordine a tutte le previsioni di legge che l’assunzione di tale ruolo comporta, sia sotto il profilo dei diritti che sotto il profilo dei doveri. Deve essere reso conscio delle difficoltà della vita mimetizzata, in una corretta rappresentazione dei presidi che lo Stato offre.

3. Prevedere l’istituzione di un’équipe di professionisti e tecnici, ovvero di una équipe multidisciplinare, in grado di valutare le peculiari situazioni dei testimoni e fornire le opportune soluzioni (di natura psicologica, sanitaria, patrimoniale, aziendale, lavorativa, contributiva, ecc.). L’intervento di tale equipe deve essere previsto fin dalle primissime fasi di ammissione al programma di protezione, allo scopo di individuare, insieme con il testimone, gli interventi più opportuni e urgenti da adottare (a partire dal trasferimento nella località protetta) e al fine di predisporre linee di intervento mirate e rispettose dei parametri normativi, e costruire il programma in maniera coerente alla storia di vita del testimone di giustizia e dei suoi familiari.

4. Assicurare il reinserimento lavorativo. Prevedere interventi normativi (ad esempio individuando quote riservate nei concorsi pubblici) atti a garantire l’assunzione – a tempo indeterminato – del testimone di giustizia nei ruoli della Pubblica Amministrazione (come previsto per le vittime della criminalità organizzata e del terrorismo), tenuto conto delle competenze e dei titoli posseduti dal testimone (qualora ne fosse privo, dovrà partecipare ad appositi corsi di formazione), sulla scorta di positive esperienze già realizzate, ad esempio, dalla regione Sicilia con l’emanazione della L.R. 13 settembre 1999, n. 20. Nondimeno, l’inserimento nella Pubblica Amministrazione non può essere ritenuto lo sbocco occupazionale necessitato: il testimone di giustizia che, per precedente esperienza o per comprovata vocazione, intenda svolgere attività autonoma, imprenditoriale o professionale, deve essere posto nelle condizioni di realizzare, non diversamente dagli altri cittadini, il proprio percorso lavorativo.

5. Prevedere, in favore dei testimoni di giustizia che intendono proseguire o avviare attività imprenditoriali, benefici fiscali per un congruo ma limitato periodo temporale, riducendo le aliquote sugli utili delle aziende i cui titolari, ammessi al programma di protezione in qualità di testimoni di giustizia, hanno denunciato richieste estorsive (in materia di Imposta comunale sugli immobili, tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, tassa di occupazione del suolo pubblico, contribuiti previdenziali). Il beneficio, da introdurre con appositi interventi normativi, viene disposto dalla Commissione centrale per la definizione ed applicazione dello speciale programma di protezione.

6. Prevedere meccanismi agevolatori delle imprese individuali di cui sia titolare il testimone di giustizia, ai fini della stipula di convenzioni, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della Pubblica Amministrazione, con enti pubblici, compresi quelli economici e le società di capitali a partecipazione pubblica. Tanto in analogia a quanto ora è praticato per le cooperative sociali, alle quali viene applicato il dispositivo previsto all’art. 5 legge 8 novembre 1991, n. 381. Occorrerà, naturalmente, costruire la previsione in maniera da assicurare all’impresa del TdG un vantaggio competitivo che non trasmodi in un indebito privilegio, ponendo -ad esempio- dei limiti quantitativi in un determinato lasso temporale.

7. Prevedere la possibilità di acquisizione al patrimonio dello Stato dei beni immobili di proprietà del testimone (o dei suoi familiari ammessi al programma) e ubicati nella località di origine con modalità speciali e, comunque, non attraverso l’ordinaria procedura gestita dall’Agenzia del demanio. La Commissione centrale deve quindi avere parte attiva nel processo di acquisizione del patrimonio e nella stima dello stesso. I beni immobili posseduti dal testimone nella località di origine devono essere acquisiti al patrimonio dello Stato entro 6 mesi dall’ammissione alla speciale protezione ed entro tale termine deve essere versato al testimone di giustizia l’equivalente in denaro. Va da sé che la vendita dell’immobile nel luogo di origine deve rispondere a criteri di mercato, ma la Commissione deve prevedere, se necessario, interventi economici integrativi, tali da permettere al testimone l’acquisto nella località protetta di immobile di livello analogo a quello posseduto.

8. Dare soluzione alle problematiche legate alla mimetizzazione anagrafica.
Quando è assolutamente necessario assicurare che il testimone (che abbia acquisito particolare notorietà ed esposizione mediatica o pubblica) non sia identificato con le sue originarie generalità, occorre procedere al rilascio di documenti di copertura.

E’ necessario che il rilascio sia immediato (entro le 48 ore) e concerna i documenti omologhi rispetto a quelli già posseduti prima dell’ammissione alle misure di protezione: essi recheranno l’indicazione di un nome e cognome fittizio (eventualmente concordato con l’interessato) compatibile con la provenienza territoriale del TdG.

Il tempestivo rilascio dei predetti documenti riguarderà, contestualmente, tutti i soggetti del nucleo familiare del TdG interessati dalle misure di protezione. Tali documenti avranno una validità provvisoria (un periodo non superiore a tre/sei mesi), dovendo assicurare una “copertura” meramente temporanea fino alle determinazioni definitive. Una volta deliberato il cambio di generalità definitivo, sarà cura del Comitato provvedere alla “sistemazione burocratica”, con la sovrapposizione della nuova identità a quella preesistente presso l'ufficiale dello stato civile del luogo della nascita, nonché presso tutti gli uffici pubblici. Saranno adottati, nell’esecuzione di tali adempimenti, gli accorgimenti più idonei a prevenire il disvelamento del collegamento esistente tra l’identità originaria e la nuova identità (passaggi multipli e a catena).

La rilevante complessità dell’istituto del cambio di generalità richiede, peraltro, l’approntamento di nuove indicazioni normative (attraverso un approfondito confronto tra i Ministeri competenti), al fine di superare le attuali anomalie e trasformarlo in uno strumento al quale poter ricorrere, quando occorre, senza difficoltà.

9. Adeguare le misure di protezione, prevedendo un aumento di mezzi e uomini a ciò predisposti, sia nella località di origine che nella località protetta con l’obiettivo di assicurare l’incolumità fisica del testimone e dei suoi familiari.

Nelle località protette non devono essere utilizzati per le sistemazioni abitative dei testimoni, immobili precedentemente (e notoriamente)

impiegati per i collaboratori di giustizia, in quanto ciò farebbe venir meno quella condizione di sicurezza e mimetizzazione sul territorio. I testimoni in località di origine devono avere una tutela continua. Se vi è un problema di sicurezza è evidente che al testimone deve essere garantita tutela e protezione in tutti i suoi spostamenti soprattutto quando necessari per esigenze lavorative. La tutela, infine, va assicurata al testimone e ai suoi familiari. Il testimone non può permanere in località di origine se, prima, non siano stati vagliati i presupposti (situazione locale e risorse disponibili), attraverso uno specifico e preventivo parere del Prefetto competente territorialmente, che dia conto sia delle ostilità dell’ambiente al momento in cui la misura deve esservi calata, sia del numero e della qualità delle persone che vengono a trovarsi in pericolo, sia dell’attività svolta dal TdG e/o dai suoi familiari, allo scopo di ponderare ogni pericolo di frizioni ambientali, idonee a pregiudicare un dispositivo di sicurezza oggettivamente relativo.

10. Garantire una tempestiva e completa regolarizzazione delle posizioni previdenziali del testimone di giustizia e dei loro familiari

Va garantita un’effettiva continuità della posizione previdenziale con riferimento a quei testimoni (e relativi familiari) che, con la sottoposizione a programma di protezione, sono stati costretti ad interrompere l’attività lavorativa nella località di origine.

Ma va anche prevista la possibilità, per i testimoni (e familiari) che non svolgevano attività lavorativa prima della sottoposizione al programma, di accedere ad un trattamento integrativo (attraverso polizze previdenziali e/o assicurative).

11. Ampliare il ricorso all’utilizzo della videoconferenza

E’ necessario un sistema di cautele che preservi i testimoni da ogni azione intimidatrice o violenta da parte degli autori dei reati e che comprenda l’obbligatorietà, salvo eccezioni, dell’escussione dei testimoni attraverso l’utilizzo della videoconferenza. Tale strumento è utile all’effettiva tutela dell’integrità fisica e psicologica del testimone, e risulta idoneo, tra l’altro, alla realizzazione di risparmi per lo Stato in ordine alle spese di trasferimento dei testimoni.

12. Orientare l’impiego della “capitalizzazione” ad un concreto progetto lavorativo

Occorre contrastare un modus operandi basato sulla convinzione che l’elargizione delle somme di denaro -talvolta rilevanti- possa risolvere qualsiasi tipo di problema dei testimoni, assumendo una sorta di significato liquidatorio rispetto ad ogni obbligo dello Stato. Occorre tornare allo spirito della legge: le capitalizzazioni vanno date al testimone solo in presenza di un concreto progetto lavorativo. A tal fine, devono essere condotte accurate analisi e svolti approfonditi studi di fattibilità dei progetti. Deve prevedersi che la sottoscrizione dell’accordo di capitalizzazione avvenga in presenza e con l’assistenza di un legale (nell’auspicata riforma del sistema: il tutor e il Comitato di garanzia). Dal momento che la “capitalizzazione” prelude alla fuoriuscita dal sistema di protezione è opportuno offrire al testimone adeguate informazioni in relazione a tutte le conseguenze che tale accettazione comporta (come, ad esempio, il fatto che successivamente a tale atto non sarà possibile chiedere ulteriori compensi economici alla Commissione centrale).

Occorre, altresì, prevedere sistemi di affiancamento e supporto per l’avvio delle attività imprenditoriali poste in essere dai testimoni di giustizia avviate attraverso il finanziamento della “capitalizzazione”.

13. Prevedere meccanismi per una più compiuta valutazione del mancato guadagno, riconoscendo ai testimoni di giustizia titolari di attività imprenditoriali forme efficaci di risarcimento compensativo dei minori introiti derivanti dall’assunzione dello status di persona sottoposta a programma di protezione. Tali procedure assicureranno, altresì, che la corresponsione delle somme abbia carattere definitivo e omnicomprensivo, dovendosi prevenire defatiganti e poco etiche richieste risarcitorie “a catena” da parte dello stesso testimone.

14. Rendere obbligatoria, con norma di legge, l’acquisizione del parere della Direzione nazionale antimafia in tutti i casi di richiesta di adozione del piano provvisorio di protezione (così da fornire alla Commissione una più completa conoscenza circa la figura della persona proposta, l’apporto testimoniale che è in grado di rendere e il suo contesto ambientale e processuale). Appare pure opportuno rendere obbligatoria l’acquisizione del parere della Direzione nazionale antimafia (così come quello della Procura che a suo tempo aveva proposto l’ammissione al programma di protezione) nei casi di revoca.

15. Articolare la speciale protezione dando centralità all’assistenza psicologica

L’assistenza psico-sociale deve diventare parte integrante del programma di protezione sin dalle prime fasi e non può essere affidata ad interventi successivi (addirittura “su richiesta”) di carattere straordinario, come avviene attualmente. Non può essere demandata all’esterno (a strutture locali del servizio sanitario nazionale), in quanto la gran parte dei disagi trova origine nella speciale condizione di protezione ed anche per ragioni di sicurezza non sarebbe opportuno. Gli psicologi inseriti nelle strutture di protezione conoscono le problematiche di vita del sistema e possono arrivare a prevenirli e a risolverli con interventi rivolti anche verso l’apparato amministrativo interno. Occorre, quindi, incrementare la presenza di professionisti dell’area medico-psicologica, prevedendo la loro distribuzione a livello delle strutture territoriali, dove più diretto ed immediato è il contatto con il testimone. Queste strutture devono agire in raccordo continuo con la sede centrale dove ci si potrà avvalere del contributo di altri professionisti (neurologi, psichiatri, neuropsichiatri infantili, ecc.). L’obiettivo da perseguire è quello di porre in essere un presidio continuativo di forme di counseling e di assistenza psicologica e sociale, in grado di guidare il testimone nel nuovo status in cui si è venuto a trovare, assicurandogli la tranquillità necessaria per proseguire nella sua scelta con uno spirito collaborativo.

LA RIFORMA DEL SISTEMA

Nuovo modello di protezione

La Commissione parlamentare antimafia ritiene opportuno progettare un modello nuovo del sistema di protezione per mettere in atto un cambiamento radicale nella gestione dei testimoni. Occorre un mutamento di mentalità e metodo, una diversa filosofia nell’approccio alla figura del testimone che va visto non come un “peso” ma come una “risorsa”. Bisogna, poi, passare da una gestione “a sportello” ad una gestione relazionale. Particolare attenzione va, quindi, riservata alla selezione e alla formazione del personale preposto alla speciale protezione.

Il nuovo modello di protezione deve partire dall’esame della motivazione che sta all’origine della scelta del testimone di giustizia: tale scelta deve essere libera, pienamente deliberata e responsabile.

Il Servizio centrale di protezione deve effettuare una valutazione attenta e accurata dei fattori di questa scelta testimoniale: l’esame della personalità di tali soggetti, delle loro caratteristiche e attitudini e, più in generale, di quanto concerne la loro sfera psicologica, utile ad accertare le capacità di adattamento e di condivisione di un sistema di vita nuovo, all’interno del quale saranno collocati.

Ridefinire della figura del testimone di giustizia

E’ necessario prevedere una riconfigurazione del ruolo del testimone di giustizia, anche attraverso più netti connotati differenziali rispetto al collaboratore di giustizia.

E’ dunque indispensabile - al fine di evitare che le misure di tutela e assistenza possano essere, in qualche modo, usufruite da soggetti che hanno tratto direttamente o indirettamente vantaggi economici di natura criminale - irrobustire i parametri normativi che fissano i criteri per l’accesso allo status di testimone di giustizia.

Occorre pervenire alla formalizzazione dei criteri per distinguere testimone di giustizia e collaboratore di giustizia. In tal senso, potrebbe prevedersi che per accedere allo status di testimone di giustizia, il soggetto non si sia reso responsabile di reati indicativi di particolare pericolosità sociale e che non possano essergli addebitati comportamenti significativi di appartenenza e/o contiguità ad organizzazioni criminali.

Occorre, inoltre, porre particolare attenzione nell’individuazione dei più efficaci strumenti per prevenire l’ipotesi che taluni soggetti possano far ricorso in modo strumentale all’acquisizione dello status di testimone (anziché quello di collaboratore di giustizia) proprio in ragione dei vantaggi economici e di assistenza che ne possono derivare. L’attenzione da parte degli organi competenti (sia chi propone, sia chi decide l’adozione delle speciali misure di protezione) deve essere massima.

Rendere flessibili le misure di assistenza e protezione

Occorre calibrare le misure di assistenza e di protezione in relazione alle caratteristiche specifiche di ciascun testimone di giustizia, tenendo conto che questi proviene da realtà e situazioni diversificate, nonché da contesti ambientali differenziati. Le esigenze dei singoli sono, inoltre, di diversa intensità, e - quindi - incompatibili con l’adozione di protocolli standardizzati. Pur senza pervenire ad una “personalizzazione” del trattamento, si intende sostenere l’esigenza di realizzare una “individualizzazione” del trattamento. E’ opportuno quindi che l’ambito normativo-regolamentare sia caratterizzato da una elasticità in grado di consentire la corretta gestione di ogni singolo caso, pur nell’ambito di previsioni generali uguali per tutti.

Istituire il Comitato di garanzia per l’espletamento del programma di protezione dei testimoni di giustizia

La necessità di offrire una maggiorata tutela a “soggetti deboli” come i testimoni di giustizia sembra imporre l’opportunità di istituire un organo che sia in grado di monitorare la corretta esecuzione delle misure assistenziali e di tutela deliberate dalla Commissione centrale e demandate, per l’esecuzione, al Servizio centrale di protezione.


Il Comitato di Garanzia, formato da professionisti di elevata competenza e autorevolezza, esterni alla Commissione centrale e al Servizio centrale di protezione, offre al testimone di giustizia supporto e tutela lungo tutto il suo percorso e interviene nei casi in cui si verifichino particolari disfunzioni e inadempienze

Tale Comitato di garanzia dovrebbe, quindi, annoverare soggetti di alto profilo professionale e morale, espressione delle competenze necessarie alla realizzazione dei fini sopra richiamati: psicologo, avvocato, sociologo, figure appartenenti agli apparati istituzionali più elevati (prefetto, magistrato o ufficiale delle forze dell’ordine), criminologo, assistente sociale.

In una visione di sinergie istituzionali, il nuovo assetto organizzativo dovrebbe prevedere l’obbligo, per il Servizio centrale di protezione (al quale la norma demanda il compito di attuare le misure di protezione e di assistenza), di riferire al Comitato di garanzia almeno ogni sei mesi sullo stato di adattamento e di progresso che il testimone di giustizia ha raggiunto.

Il Comitato di garanzia, a sua volta, può fornire al Servizio centrale (ed eventualmente alla Commissione centrale) indicazioni e pareri motivati circa eventuali problematiche insorte nell’applicazione del programma di protezione, nonché suggerire interventi concreti a tutela dei diritti e delle legittime aspettative del testimone di giustizia.

Nel caso di cessazione delle misure di protezione, il Comitato di garanzia continuerà a prestare il proprio supporto fino a quando il TdG non abbia raggiunto gli equilibri necessari al reinserimento nella dimensione ordinaria.

Istituire la figura del tutor del testimone

Diventa necessario sostituire la figura attuale del referente (normalmente un appartenente alle forze di polizia), rivelatasi insufficiente e non adeguata a soddisfare le esigenze del testimone. Si avverte la necessità di un punto di riferimento costante e continuo, che assista e accompagni il testimone, sin dall’ingresso nel programma di protezione, che sappia agire con professionalità, efficienza e dedizione, abile nel farsi carico delle esigenze del testimone, anche di quelle più complesse: un tutor, ossia una persona che si ponga come interlocutore -per conto del TdG- degli organi amministrativi e, più in generale, della Pubblica Amministrazione. Dotato di poteri adeguati allo scopo, normativamente definiti, affianca il testimone nella risoluzione di tutte le problematiche che sorgono dal momento della collocazione sul territorio.

Il ruolo di tutor può essere ricoperto da persona che abbia svolto funzioni in ambito legale o nella dirigenza dello Stato, preferibilmente con compiti nel comparto della sicurezza, e caratterizzato da un elevato ed autorevole profilo professionale, che sappia convogliare le legittime pretese


e le fondate aspettative del testimone verso le rinnovate potenzialità dei nuclei territoriali e del Comitato di garanzia. Ma che, al contempo, sia fornito di poteri di impulso, nei confronti delle citate strutture e di ogni altro organismo deputato a fornire un contributo (sotto il profilo assistenziale o della sicurezza) al testimone.

Dal punto di vista organizzativo, per ogni regione (o gruppo di regioni) viene nominato (dal Ministero dell’Interno di concerto con il Ministero della Giustizia) un tutor. Questi curerà, ai fini sopra precisati, la posizione di tutti i testimoni di giustizia (e relativi nuclei familiari) che risiedano nell’ambito territoriale di pertinenza.

Un corpo specializzato di operatori della protezione: i nuovi NOP

La specializzazione del personale dello Stato adibito a compiti di tutela e assistenza del TdG deve divenire un postulato irrinunciabile, quale che sia il percorso che si intende seguire (potenziamento e riqualificazione delle strutture attuali, ovvero creazione ex novo di un organismo con competenze ampliate e ridefinite).

La Commissione antimafia intende affermare, alla luce dell’inchiesta svolta, la notevole importanza che rivestono gli aspetti relativi a: provenienza, selezione, formazione e inquadramento del personale adibito all’assistenza ed alla tutela dei testimoni di giustizia. E’ necessario costituire un corpo di professionisti non solo della tutela, ma anche dell’assistenza socio-psicologica, perché tale è, nella realtà, il compito che essi si ritrovano a svolgere.

Di conseguenza, occorre ampliare il bacino di selezione, attingendo ai ruoli dell’intera Pubblica Amministrazione (con riferimento alle professionalità specificamente richieste dalla funzione) e operando accurati processi di valutazione dei curricula, valorizzando le competenze acquisite e gli aspetti motivazionali.

La somministrazione frammentata e saltuaria di nozioni deve essere sostituita da un programma di formazione permanente: una apposita “scuola”, nella quale confluiscano le più valide esperienze già maturate, che assicuri un sistema di addestramento professionale su basi di elevata scientificità, e si articoli attraverso appositi corsi della durata di almeno sei mesi (basati sull’insegnamento della psicologia -in primis- e di altre materie e tecniche specifiche), anche con il ricorso a titolari di cattedra accademica. Solo dopo il superamento di tale corso e l’effettuazione di un congruo tirocinio pratico si potrà avere un operatore qualificato del Servizio Protezione, in grado di interpretare pienamente la filosofia del nuovo sistema integrato di tutela e assistenza.

Occorre adottare rigorosi sistemi di verifica periodica della professionalità e dell’attività svolta dagli operatori, al fine di garantire costantemente un elevato standard di efficienza.


Le nuove strutture territoriali

Appare indispensabile l’adeguamento dell’impianto strutturale esistente, integrando -in particolare- il personale dei nuovi NOP, che opera a livello territoriale, con soggetti qualificati e in grado di sviluppare e seguire i progetti di assistenza socio-psicologica in favore del TdG e dei suoi familiari (professionisti in campo legale e nel settore economico-finanziario, psicologi di comprovata esperienza ed esperti dell’assistenza socio-sanitaria, anche con riferimento alle specifiche problematiche dell’infanzia, ecc.).

In tal modo, l’equipe multidisciplinare di esperti inserita nella sede centrale troverebbe la sua corrispondenza funzionale nelle omologhe strutture operative dislocate sul territorio. Non avrebbe, infatti, senso istituire una forte struttura centrale di sostegno e lasciare nella confusione dei ruoli e delle funzioni i Nuclei distribuiti sul territorio che hanno autentici compiti operativi.

Verso una struttura unica

Conclusivamente, si ritiene opportuno affermare la necessità di superare l’attuale suddivisione dei compiti di assistenza e tutela, da un lato, e sicurezza, dall’altro, affidati ad organi diversi, per addivenire alla creazione di un organismo unico che, attraverso unitarietà strutturale e specializzazione, assicuri efficacia a tutto il comparto di protezione, sollevando le forze di polizia territoriali dai compiti di scorta e tutela attualmente a loro affidati dal Servizio centrale.

Non v’è dubbio che tale artificioso riparto di competenze, nella parte in cui assegna agli organi territoriali le funzioni di sicurezza, rappresenta una rinuncia alla specificità e all’efficacia delle misure tutorie in favore del testimone.

La Commissione esprime, sul punto, l’auspicio che si avvii una riflessione complessiva volta a delineare un sistema di protezione che, accanto alle innovazioni sopra menzionate con riguardo ai profili di piena garanzia del rispetto dei diritti del cittadino testimone di giustizia, preveda l’attribuzione – sul modello dell’ United States Marshals Service – anche dei compiti di vigilanza e sicurezza.

Si intende far riferimento ad una filosofia nuova che, evitando confusioni e sovrapposizioni di ruoli, dia vita ad un sistema integrato tra aspetti di sicurezza e di assistenza del TdG.