giovedì 29 luglio 2010

Il declino del privé da Carol Alt a Lele Mora


Il declino del privé
da Carol Alt a Lele Mora


Nato come enclave nella discoteca di massa
l'inchiesta di Milano lo riduce a mito plebeo
EGLE SANTOLINI
MILANO
La pietra tombale sui privé come luoghi di fasto e delizia incomparabili, almeno nell’immaginario del palestrato medio di rito ambrosiano, è stata calata l’altro giorno dall’avvocato Andrea Fares: che per chiedere al Tribunale del Riesame di Milano la revoca del sequestro dell’Hollywood ha fatto notare come il privé del locale di corso Como si sia trasformato in una sorta di salottino, «presidiato da un uomo della sicurezza che controlla le prenotazioni ai tavoli».

Tanto per esser chiari, «non esiste più il privé come una volta - ribadisce l’avvocato -. Soprattutto non c’è più la toilette all’esterno che serve tutti gli utenti della discoteca». Ecco qua: da scenario di piaceri per pochi selezionatissimi che non intendono mescolarsi alla massa a bugigattolo-quasi latrina di cui vergognarsi, praticamente un antibagno non tanto tenuto bene da far sparire in fretta. E pensare che qui, nel sancta sanctorum dell’Hollywood, ai tempi d’oro del prevallettopoli, Lele Mora officiava assiso in trono (trono zebrato, a dirla tutta), protetto da una specie di ring sopraelevato di una quindicina di centimetri e circondato da chi per esserci si sarebbe fatto tagliare volentieri il dito medio. Davanti al recinto degli dei, il setaccio di un ulteriore «door selector».

Il privé nasce verso la metà degli Anni Ottanta, e il fatto stesso che lo si sia dovuto inventare suggerisce che, a quel punto, il meglio era passato. Ricostruisce Piero Piazzi, agente di modelle tra i più noti ai tempi della Milano da bere, ora «tranquillo padre di famiglia tutte le sere a casa con un buon libro», che i primi apparvero «con la musica bum-bum e l’incafonimento generale dell’ambiente, quando ai locali bomboniera dei ragazzi bene modellari, il Nepentha e il Charlie Max, si sostituirono i casermoni alla Hollywood. Il Nepentha era tutt’intero un privé: andava la musica di Gloria Gaynor e di Barry White, arrivavano Jerry Hall e Carol Alt per ballare con i re degli elicotteri e gli imperatori della Borsa, per principio mica si faceva entrare chiunque... All’Hollywood, invece, visto che passava gente di ogni tipo era parso necessario scremare. Ma, come si è visto, non si è scremato abbastanza».

E attraverso la parabola dei locali milanesi e dei suoi privé è una storia sociale della città che si finisce per descrivere, perché prima della techno cocainizzata dell’Hollywood velinaro, prima della disco music paillettata del Nepentha, prima che Terry Broome uccidesse Francesco D’Alessio a colpi di Smith&Wesson calibro 38, prima (anche) delle bische violente e fumose di Turatello «Faccia d’angelo» e del Tebano Epaminonda (che pure nei night «quelli giusti» molte visite finirono per farle), si andava allo Stork: anzi, «si scendeva in Stork», come precisa qualche superstite gentiluomo degli Anni Sessanta. Diretta imitazione dell’omonimo locale di New York, collocato sotto l’hotel Plaza di piazza Diaz, quello era un posto, racconta l’antico cliente Gian Andrea Mazzucchelli, «supremamente sofisticato, dove dopo cena portavi a ballare le ragazze molto per bene, ascoltavi musica dal vivo, per esempio suonata dal complesso di un tale Totò Ruta, bevevi Taittinger e alexander con la noce moscata. Davanti ti passavano le milanesi più belle del momento: Anna Mucci, Silvia Tofanelli, Giovanna Nuvoletti, più qualche stellare ospite da Roma, tipo Ira Fürstenberg o Myrta Barberini Sciarra». Per dire quanto si fosse lontani dal tamarrismo corrente, «allo Stork una ragazza poteva andarci anche da sola perché nessuno l’avrebbe importunata».

Con un fast forward, eccoci di nuovo all’Hollywood pre-sequestro. Eccoci anche agli altri mille locali dove d’estate si fa la colla, dall’empireo di corso Como ai più ruspanti lidi di Desenzano, e via per tutta la pianura padana e oltre. «Soprattutto - ammettono i gestori che in questi giorni preferiscono rimanere anonimi, quando finalmente si decidano a rispondere al telefono - «coi privé si tende a fare fatturato: un tavolo da 1500 euro ti frutta più o meno come 100 ingressi». E dunque entra chi paga di più: mica occorre la patente di nobiltà, basta una Visa platinum. Tecnicamente, non si paga neanche un ingresso speciale: t’infilano un braccialetto al polso o ti timbrano la mano, poi cavoli tuoi se ti rovini con il conto della cena o dei drink.

A Milano la vodka è sui 150 euro a bottiglia, lo champagne dai 400 in su: c’è gente, e non sono solo oligarchi moscoviti, che arriva anche a spendere 10 mila euro a sera. Ovviamente un cliente del genere va coccolato: arrivano pure gli extra, leciti o meno, e le ragazze-immagine che gli girano intorno. È il teorema coca-pupe-corruzione: pare strano che sia arrivato alla frutta, ma può darsi che, visto come sta andando in questi giorni, l’universo discotecaro sia pronto a una nuova mutazione. «O a una reincarnazione - conclude Piatti. - Nulla si crea e nulla si distrugge. Ma lo sa che il Nepentha c’è ancora? E che ci fanno le feste? Con tutto quello che è successo in trent’anni, certi miei coetanei sono ancora lì a puntare le modelle. Che stress».
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