giovedì 30 giugno 2011

Ergastolo a Londra per Danilo Restivo Il giudice: ha ucciso anche Elisa Claps

L'italiano colpevole per la morte di Heather Barnett
trucidata a colpi di martello "Un killer freddo e depravato"
LONDRA
Danilo Restivo è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio Barnett. È un «assassino freddo, depravato e calcolatore», che ha «ucciso Heather come ha fatto con Elisa». È per questo che, secondo la corte di Winchester, l’uomo condannato per l’omicidio di Heather Barnett e incriminato in Italia per quello di Elisa Claps merita di stare in carcere per tutta la vita. «Non uscirai mai dal carcere», gli ha detto il giudice, che ha giudicato «inappropriata» una pena di 30 anni, poichè «in questo caso non esistono attenuanti. Il punto di partenza è la carcerazione a vita».

Danilo Restivo sapeva che «i figli di Heather sarebbero rimasti devastati dalle sue azioni depravate». «Ha sistemato il corpo di Heather come fece con quello di Elisa. Le ha tagliato i capelli, proprio come Elisa», ha spiegato il giudice, precisando che «senza dubbio» parte del movente dell’omicidio fosse di natura sessuale.

Ieri intanto il gup di Salerno, Elisabetta Boccassini, ha accolto l’istanza del legale di Danilo Restivo, Mario Marinelli, e ha disposto il rito abbreviato per l’omicidio di Elisa Claps. L’udienza è stata fissata per l’8-10 novembre prossimi. «È stata una scelta strategica - spiega l’avvocato Marinelli al termine dell’udienza preliminare - è insita nella richiesta una serie di benefici per discutere in poche udienze e chiudere il processo». In queste ore in Inghilterra Danilo Restivo è in attesa della sentenza per il processo in ordine all’omicidio di Haether Barnett, la sarta vicina di casa che Restivo avrebbe ucciso con modalità analoghe al delitto Claps. Rispeetto al procedimento, la difesa attende «una sentenza giusta, di assoluzione».

Soddisfatti i familiari di Elisa, al termine dell’udienza di fronte al gup del tribunale di Salerno. «Era quello che ci aspettavamo - dice il fratello della studentessa, Gildo Claps - non abbiamo dubbi sulla colpevolezza di Danilo, come non li abbiamo mai avuti. Il rito abbreviato ci risparmierà lo strazio di un processo lunghissimo e ci consentirà di chiudere un capitolo che ha devastato la nostra famiglia».

Chiusa quindi la fase preliminare del procedimento che, dal giorno del ritrovamento dei resti di Elisa Claps, il 17 marzo 2010, nel sottotetto della chiesa della Santissima Trinità di Potenza, l’inchiesta che è andata avanti con perizie medico legali discusse in sede di incidente probatorio con lunghissime udienze ed ora, dopo la decisione dei giudici di Londra, aspetta l’appuntamento dell’8 di novembre a Salerno.

Il pentito Tranchina debutta in aula protestando

L'autista del boss Graviano, oggi depone per la prima volta in pubblica udienza al processo per il sequestro e l'omicidio del piccolo Di Matteo. "Il servizio di protezione dei pentiti non onora il lavoro dei legali"

PALERMO. Debutto in aula con protesta per il neopentito Fabio Tranchina che oggi depone, per la prima volta in pubblica udienza, al processo per il sequestro e l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, rapito per indurre il padre, il collaboratore Santino, a ritrattare e poi ucciso nel 1995. Tranchina, autista e vivandiere del boss Giuseppe Graviano, imputato per l'omicidio del ragazzino, ha esordito davanti alla Corte d'assise di Palermo protestando contro "il servizio di protezione dei pentiti che non onora il lavoro dei legali, ledendo il diritto di difesa dei collaboratori di giustizia".

Subito stoppato dal presidente della corte che non ha ritenuto pertinenti al processo le dichiarazioni, Tranchina ha cominciato a parlare dei suoi rapporti con Graviano a cui ha fatto da guardaspalle da maggio del 91 a gennaio del 1994. Rivelazioni che dovrebbero smontare la difesa del capomafia che smentisce un ruolo nel sequestro del bambino sostenendo che nel periodo del sequestro del piccolo lui era già latitante a Milano. Tranchina, tirato in ballo dal collaboratore Spatuzza anche nella strage di via d'Amelio, è stato arrestato il 19 aprile scorso.

Tangenti a Giardini Naxos, un altro arresto

Camillo Brancato, ritenuto affiliato al clan catanese Laudani. Secondo l'accusa, con il consigliere comunale Salvatore Pietro Sterrantino, vessava un imprenditore catanese per alcuni lavori fatti al cimitero

GIARDINI NAXOS. Un uomo di 35 anni, Camillo Brancato, ritenuto affiliato al clan catanese Laudani, è finito in manette a Giardini Naxos, con l'accusa di essere il complice di Salvatore Pietro Sterrantino, 55 anni, capogruppo del Pdl al Consiglio comunale del centro jonico del Messinese, arrestato la scorsa settimana dai carabinieri mentre intascava una tangente di circa duemila euro da un imprenditore catanese per alcuni lavori fatti al cimitero.

Il costruttore da tempo sarebbe stato vessato dall'esponente politico, anche con il supporto di Brancato che lo avrebbe minacciato e intimidito.

Tragedia a Montalto, non sopporta la separazione del figlio e uccide i consuoceri

Scene di disperazione all’arrivo degli altri due figli della coppia. Una tragedia che ha segnato per sempre una famiglia

Ha ucciso i consuoceri, ferito la nuora e dopo cinque ore di fuga, ricercato dai carabinieri, si è costituito ai militari di Rogliano. Francesco Beniamino Cino (nel riquadro), venditore ambulante di 66 anni, di Montalto Uffugo, ha ucciso perchè sopportava che il figlio e la moglie si separassero. Così ieri mattina ha deciso di «punire» la nuora Teresa Cariati, di 37 anni, e i genitori della donna Franco Cariati, di 58, piccolo imprenditore edile e autostrasportatore, e sua moglie Anna Greco, di 55, ai quali evidentemente imputava delle responsabilità nel naufragio di quel matrimonio. Una mattinata di follia e sangue a Montalto Uffugo. L’assassino, che avrebbe dei seri problemi di salute, è uscito da casa con in mano con una pistola 7.65 e ha fermato l'auto con a bordo la nuora sparandole due colpi che l’hanno raggiunta ad un braccio e al fianco. Alla donna, che era in auto assieme ai due figli, avrebbe poi detto di essere deciso ad andare ad uccidere anche il padre e la madre di lei. Teresa Cariati, a questo punto, malgrado le ferite avrebbe avuto la forza di chiamare i genitori informandoli delle intenzioni del suocero, ma non è riuscita ad impedire la tragedia. Cino, si è recato dai consuoceri e sul bordo della strada ha trovato Franco Cariati e gli ha sparato all’addome e al torace uccidendolo all’istante. Subito dopo è entrato in casa dove ha trovato la consuocera Anna Greco e l’ha ferita gravemente. La donna, colpita ad un polmone e ad altri organi vitali, ha cessato di vivere nel pomeriggio di ieri nell’ospedale di Cosenza. Dopo la sparatoria Cino si è allontanato facendo perdere le proprie tracce fino alle 17.30, ora in cui si è presentato ai carabinieri di Rogliano dicendo al piantone di essere l'autore del gesto avvenuto a Montalto.


Il menage familiare tra il figlio di Cino e Teresa Cariati (i due hanno due figli di 5 e 9 anni), era da tempo entrato in crisi. A pesare, in particolare, sarebbe stato il carattere del marito della donna che viene descritto in paese come molto geloso e possessivo. I dissapori, poi, sono aumentati dopo che il giudice, nella causa di separazione, ha deciso di assegnare la casa della coppia alla donna. Una soluzione evidentemente ritenuta inaccettabile da Cino. Ieri in casa della famiglia Cariati per tutta la mattinata c'è stato un via vai di parenti e amici scioccati e increduli per quanto accaduto. Scene di disperazione all’arrivo degli altri due figli della coppia. Le ferite riportate dalla nuora, unica sopravvissuta alla follia omicida di Cino, non sono gravi. Per lei una ferita di striscio ad un arto superiore, lesione che non desta preoccupazione, così come di lieve entità sono state le perdite emorragiche. Il problema potrebbe essere di natura psicologica, visto lo shock subìto per la brutta esperienza, soprattutto perchè il fatto è accaduto in presenza dei figli della vittima, due bambini in età scolare. La donna è ora ricoverata nel nosocomio bruzio ed è assistita costantemente da alcuni familiari che le evitano qualunque contatto con l'esterno.

Lamezia. Usura e truffe, sequestrati beni quattro persone indagate

La Guardia di finanza ha eseguito a Lamezia Terme due operazioni per il contrasto all’usura ed al riciclaggio dei relativi proventi e alle truffe con la legge 488 nell’utilizzo di fondi comunitari
Due le operazioni delle Fiamme Gialle nell'ambito delle attività di contrasto all'usura e per le truffe alla legge 488. Nell’ambito della prima operazione sono stati sequestrati beni per dieci milioni di euro in Italia ed all’estero. Quattro le persone indagate. I capitali accumulati attraverso il riciclaggio e le truffe venivano reinvestiti con l’acquisto di immobili in varie parti del mondo.


Nella seconda operazione sono stati sequestrati beni e società per decine di milioni di euro ad un imprenditore di cui non è stata resa nota l’identità e per il quale sono stati disposti gli arresti domiciliari. L’accusa nei suoi confronti è di truffa per violazione delle legge 488 e illecito utilizzo dei fondi Por. L’imprenditore, in particolare, aveva chiesto la concessione di fondi comunitari per la costruzione di due impianti che, in realtà, secondo l’accusa, non sono mai stati realizzati e di un albergo che, invece, è stato costruito.

Camorra, indagato capo della Mobile Sequestrata una società di Cannavaro

Napoli, blitz anticamorra: riciclaggio e usura

Indagato il capo della Squadra Mobile, Pisani
Sequestrata anche società di Fabio Cannavaro
Per il poliziotto (favoreggiamento) divieto di dimora a Napoli
Sequestri per 100 milioni tra cui società come la Regina Margherita
Il calciatore (non indagato) prestanome di un affiliato ai Lo Russo

NAPOLI - l capo della squadra mobile di Napoli, Vittorio Pisani, è indagato con l'accusa di favoreggiamento nei confronti dei titolari di un ristorante, nell'ambito dell' inchiesta della Dia nei confronti di affiliati al clan Lo Russo. Lo ha confermato il procuratore di Napoli Giovandomenico Lepore. La responsabilità della squadra mobile di Napoli è stata affidata temporaneamente al vicecapo, Pietro Morelli. Lo ha detto il questore Luigi Merolla. «Per noi è come se Vittorio Pisani fosse in ferie - ha aggiunto il questore - in attesa della nomina del nuovo capo la guida passa a Morelli». Vittorio Pisani sarà trasferito a Roma, ha anticipato Merolla.


Il capo della Squadra Mobile. Secondo quanto emerso dalle indagini della Procura di Napoli, il capo della squadra mobile Vittorio Pisani avrebbe rivelato all'imprenditore Marco Iorio notizie riservate sull'inchiesta in corso, consentendogli così di sottrarre beni al sequestro e di depistare le indagini. Titolare del fascicolo è il pm della Dda Sergio Amato, con il coordinamento del procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico. Alle indagini hanno dato un contributo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Salvatore Lo Russo, ex capoclan dell'omonima organizzazione criminale attiva nel quartiere Miano, che ha riferito, tra l'altro, degli stretti legami di amicizia tra lui e il capo della squadra mobile.

I sequestri. Tra le società di ristorazione sequestrate nell' ambito dell'operazione contro il clan Russo per riciclaggio e usura c'è anche la «Regina Margherita», che ha tra i propri soci il calciatore Fabio Cannavaro e che gestisce alcuni ristoranti, uno dei quali in via Partenope. Il calciatore, che non è indagato, avrebbe fatto da prestanome all'imprenditore Marco Iorio, legato al gruppo di Mario Potenza dedito all' usura e legato a clan camorristici.

L'inchiesta. Le indagini riguardano una ingentissima attività di riciclaggio e di usura ed il reinvestimento di capitali illeciti in catene di ristoranti, pub e bar dislocati prevalentemente sul lungomare napoletano, con filiali a Caserta, Bologna, Genova, Torino e Varese. E' di oltre 100 milioni il valore dei beni sequestrati, tra localim appartamenti e beni vari tra cui decine di automobili di lusso. Sequestrati anche circa trenta milioni in contanti.

Il socio di Cannavaro. Marco Iorio, l'imprenditore ritenuto dagli investigatori amico e socio in affari del calciatore Fabio Cannavaro, è accusato di essere a capo di un'associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio, al trasferimento fraudolento di valori, alle false comunicazioni sociali e alla corruzione di pubblici ufficiali. Avrebbe impiegato nelle sue attività denaro del boss del quartiere Santa Lucia Mario Potenza e dei suoi figli, nonché due milioni di euro versati dall'ex capoclan Salvatore Lo Russo, oggi collaboratore di giustizia. I soldi, secondo gli investigatori, provenivano soprattutto dall'usura.

«Ti devo levare tutti i denti da bocca». Nel decreto di sequestro, emesso dal gip Maria Vittoria Foschini, sono contenute anche alcune intercettazioni telefoniche che provano l' attività usuraria dei Potenza. Parlando con un imprenditore che non riusciva a saldare un debito, Salvatore Potenza lo minacciava così: «Ti devo levare tutti i denti da bocca... Allora, io non voglio sentire niente. Digli a quel bastardo di tuo figlio che, dove lo vedo lo vedo, lo mando all'ospedale. Dove vedo a tuo figlio, lo devo fare a pezzi».

Il locali sequestrati. I locali sequestrati dalla Dia sono 17, tutti molto noti e frequentati. Tra essi figurano il bar «Ballantine» e i ristoranti-pizzeria «Regina Margherita» in via Partenope e «I re di Napoli», la paninoteca «Dog Out» in piazza Municipio; il ristorante «Villa delle Ninfe» a Pozzuoli. «Tutti - scrive il gip - sono nella titolarità di società le cui quote sono a loro volta intestate a prestanome, e cioè a soggetti estranei ai gruppi familiari Iorio e Potenza, ma di fatto a loro legati da rapporto di dipendenza e subordinazione. Nella realtà - come dimostrato dalle intercettazioni - il potere decisionale rimane sempre saldo nelle mani degli imprenditori indagati. Spesso questi soggetti - aggiunge il gip - formalmente investiti della titolarità delle quote, hanno anche mansioni di dipendenti all' interno delle aziende, a volte anche in posizione sovraordinata rispetto al resto del personale».

mercoledì 29 giugno 2011

Pentito D'Assaro: Denise fu nascosta in un ristorante a Mazara

In aula l'indagato per occultamento di cadavere, calunnia e autocalunnia in un secondo filone dell'inchiesta sulla bambina scomparsa da Mazara nel settembre 2004

MARSALA. "Dopo essere stata rapita, e prima di essere trasferita a Palermo, la bambina fu portata al ristorante Lo Squalo di Mazara. Me lo disse la mia ex moglie, Rosalba Pulizzi". Lo ha dichiarato, rispondendo all'avvocato di parte civile Luisa Calamia, il pluriomicida Giuseppe D'Assaro, ascoltato, davanti al Tribunale di Marsala, nel processo per il sequestro della piccola Denise Pipitone, la bambina rapita a Mazara del Vallo (Tp) l'1 settembre 2004, quando aveva poco meno di quattro anni.

Nel processo gli imputati sono Jessica Pulizzi, 24 anni, sorella (per parte di padre) della bambina rapita, accusata di concorso in sequestro di minorenne, e il suo ex fidanzato Gaspare Ghaleb, 26 anni, italo-tunisino, che deve difendersi dall'accusa di false dichiarazioni al pubblico ministero. Nel ristorante, che secondo quanto raccontato da D'Assaro era di proprietà di una zia della sua ex moglie, e quindi parente anche di Jessica Pulizzi, la bambina sarebbe stata nascosta fino a tarda notte. Il ristorante cessò l'attività nel 2008.

San Vincenzo La Costa, spara alla nuora e ai genitori. Una vittima e due feriti

Una vittima e due donne ferite a seguito di una sparatoria avvenuta questa mattina a San Vincenzo La Costa

Un uomo è stato ucciso e sua moglie e la figlia ferite a colpi d’arma da fuoco questa mattina a San Vincenzo La Costa, comune della provincia di Cosenza. I carabinieri stanno ricercando il suocero della ragazza che sarebbe l’autore dell’omicidio e del duplice ferimento. La persona uccisa si chiamava Francesco Cariati, 61 anni; le donne ferite sono la moglie della vittima, Anna Greco, di 57, e la figlia Teresa di 37 anni, portate immediatamente all'ospedale di Cosenza.


La sparatoria è avvenuta in contrada Albano, nelle campagne di San Vincenzo La Costa comune dell’hinterland di Cosenza. A sparare, secondo una prima ricostruzione dei fatti, sarebbe stato il consuocero della vittima, Francesco Cino, ora ricercato. L’uomo avrebbe prima raggiunto Teresa Cariati a S. Vincenzo la Costa, un piccolo centro del cosentino, ed avrebbe fatto fuoco contro la donna che si trovava a bordo della sua auto con i figli. La donna, malgrado le ferite riportate, avrebbe telefonato ai genitori avvertendoli delle intenzioni del suocero ma evidentemente non riuscendo ad evitare la tragedia. L'uomo infatti ha raggiunto l’abitazione dei consuoceri a Settimo di Montalto Uffugo. Qui avrebbe fatto fuoco contro Francesco Cariati, uccidendolo e ferendo sua moglie. All’origine del gesto ci sarebbero stati dissapori familiari scaturiti dalla causa di separazione in corso fra Teresa Cariati ed il marito e legati anche all'assegnazione dell'appartamento coniugale alla donna.

Cino non sopportava che la nuora e il figlio si separassero e, evidentemente, imputava, oltre che alla donna, anche ai genitori di lei, le responsabilità nella situazione venutasi a creare. Il menage familiare tra il figlio di Cino e Teresa Cariati, che abitano a Settimo di Montalto Uffugo era da tempo entrato in crisi. In particolare il figlio di Cino viene descritto come molto geloso e possessivo e i dissapori familiari probabilmente si sarebbero acuiti dopo che il giudice ha deciso di assegnare la casa della coppia alla donna. Franco Cariati, che è stato raggiunto dall’assassino davanti alla propria abitazione che dà sulla strada, oltre a Teresa aveva altri due figli, un maschio ed una femmina. Incredulità tra i tanti amici e parenti che, appresa la notizia, si sono recati nell’abitazione della famiglia Cariati.

Francesco Cino, venditore ambulante di Montalto Uffugo, dopo l’omicidio, compiuto in strada davanti all’abitazione di Cariati, e la sparatoria in due tempi, ha fatto perdere le proprie tracce ed è attivamente ricercato dai carabinieri. Delle due donne, entrambe ricoverate in ospedale a Cosenza, quella che versa in condizioni peggiori è la madre che sarebbe gravissima. La donna è stata raggiunta da due proiettili calibro 7.65 che hanno provocato la lesione di un polmone e di altri organi interni.

Melania, sequestrata l'auto di Parolisi nel mirino alcune macchie di sangue


ROMA - La procura di Ascoli Piceno, che conduce l'inchiesta sull'omicidio di Melania Rea, ha chiesto il sequestro dell'auto, una Renault Scenic, di Salvatore Parolisi, indagato a piede libero per l'omicidio della moglie avvenuto il 18 aprile scorso.


Parolisi è stato convocato nel pomeriggio nella caserma di Frattamaggiore (Napoli), dove risiede, per la notifica dell'atto. Verosimilmente la vettura verrà sottoposta a una serie di accertamenti tecnici per scoprire indizi che possano aiutare a ricostruire aspetti connessi alle modalità e al luogo del delitto.

Ci sarebbero ancora le macchioline di sangue trovate sul sedile anteriore dell'auto di Parolisi, dal lato passeggero, nel mirino degli accertamenti disposti dalla procura. Di quelle tracce, che ora verranno riesaminate, si è parlato fin dai primi giorni della scoperta del cadavere di Melania Rea. L'ipotesi iniziale era che appartenessero alla donna uccisa, anche se poi, l'amante di Salvatore, la soldatessa Ludovica P., sentita come testimone dai carabinieri, aveva riferito di rapporti sessuali avuti con il caporalmaggiore in auto, anche durante il ciclo mestruale. E forse, sebbene dal giorno del delitto, il 18 aprile scorso, siano trascorsi oltre due mesi, in quell'auto gli investigatori cercano anche altri indizi.

Nelle settimane scorse, quando non era ancora indagato, Parolisi aveva consegnato spontaneamente agli investigatori abiti, scarpe, uno zaino, il pc portatile e altro materiale utile alle indagini. L'auto era già stata ispezionata, ma ora le verifiche verranno condotte con la formula dell'atto irripetibile, che avrà valore di prova in un eventuale processo.

No all'incidente probatorio. La procura di Ascoli Piceno ha dato parere negativo alla richiesta di incidente probatorio per accertare «ora, luogo, tipo di arma e modalità» dell'omicidio di Melania Rea, avanzata dai difensori di Salvatore Parolisi, indagato a piede libero per l'omicidio della moglie. L'istanza era stata presentata ieri al gip di Ascoli dagli avvocati Valter Biscotti e Nicodemo Gentile, che invocano l'intervento di «un giudice terzo» nell'inchiesta. Nelle osservazioni depositate oggi, il pm Umberto Monti sostiene che la richiesta è da considerarsi infondata e

inammissibile, perchè sull'omicidio sono già stati disposti e stanno per concludersi una serie di atti irripetibili - a partire dall'autopsia - dei quali Parolisi è sempre stato informato e ha diritto a partecipare.

Osservazioni analoghe sono state formulate anche dal legale dei familiari di Melania, l'avvocato Mauro Gionni, che si è anche lui opposto all'istanza. Ora spetta al Gip Carlo Calvaresi decidere.

Sono arrivati intanto stamani a Folignano (Ascoli Piceno), dove si tratterranno per un paio di giorni, i genitori e il fratello di Melania. Ripartiranno per Somma Vesuviana con gli effetti personali e i ricordi della figlia morta, dopo essere andati a deporre un fiore nel luogo in cui la dona è stata trovata ammazzata, il Bosco delle Casermette, a Civitella del Tronto (Teramo). Vittoria, Gennaro e Michele Rea hanno chiesto ai giornalisti di stare da soli: «Abbiamo detto tante cose - ha ricordato il fratello - e potete capire qual è il nostro stato d'animo». Soprattutto quello della mamma di Melania, che ad Ascoli non era mai tornata dopo la scomparsa della figlia.

Casalesi, chiedono pizzo di 8mila euro a poliziotti travestiti da operai: arrestati


CASERTA - Prima si erano accertati del valore dei lavori di ristrutturazione in corso in un cantiere di Aversa, nel Casertano, pari a circa 150mila euro, e poi hanno avanzato la loro richiesta estorsiva, di 8mila euro, ma direttamente ai poliziotti , che li stavano attendendo travestiti da operai e da titolare dell'impresa.


Due affiliati al clan dei Casalesi, appartenenti alla fazione che fa capp agli Schiavone, sono stati arrestati oggi dalle Squadre Mobili di Caserta e di Napoli in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa ieri dal gip del Tribunale di Napoli su richiesta della Procura Antimafia partenopea per il reato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, accaduto lo scorso 16 giugno.

In manette sono finiti Agostino Fabozzo, 40enne nato a Aversa (Caserta) e Luigi Macchione, nato a Trentola Ducenta (Caserta), di 40 anni. I due arrestati, per conto del clan dei Casalesi, hanno avanzato le richieste corredandole con l'uso di metodologie tipicamente camorristiche, cioè minacciando le vittime di ritorsioni da parte del clan se non avessero pagato.

Luigi Macchione è cugino di Pietro Falcone, nato ad Aversa 31 anni fa, con numerosi precedenti, arrestato dalla Squadra Mobile nel giugno del 2010 e ritenuto elemento di spicco della frangia aversana dei Casalesi, riconducibile al reggente Nicola Schiavone.

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martedì 28 giugno 2011

Operazione "Flesh Market". Prostituzione minorile, 16 arresti nel Cosentino

Dalle indagini partite nell’agosto del 2010, è emerso uno scenario che coinvolge ragazze minorenni italiane avviate alla prostituzione fin dall’età di dodici anni
I carabinieri hanno arrestato sedici persone nell’ambito di una vasta operazione denominata Flesh Market compiuta in provincia di Cosenza. L’accusa è di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione minorile. I provvedimenti, eseguiti a Corigliano Calabro, Cassano Ionio, Rende e Rossano sono stati emessi dal Gip presso il Tribunale di Catanzaro, su richiesta del Sostituto Procuratore della Repubblica Emanuela Costa.

Dalle indagini scattate nell’agosto del 2010, è emerso uno scenario che coinvolge ragazze minorenni italiane avviate alla prostituzione fin dall’età di dodici anni, offerte ad insospettabili e facoltosi clienti. L'operazione rappresenta il seguito di quella che, nello scorso mese di marzo, denominata come quella odierna, Flesh Market (Mercato della carne) si era concretizzata con l’arresto di altre otto persone. La situazione di particolare indigenza delle vittime e delle loro famiglie avrebbe facilitato ad alcuni degli arrestati l'adescamento e l’avvio alla prostituzione delle minori. Due delle ragazze, tra gli arrestati, da vittime sarebbero poi diventate carnefici, avviando alla prostituzione le sorelle più piccole. Gli ultimi risvolti investigativi hanno poi consentito ai carabinieri di risalire agli abituali clienti, tra i quali ci sono persone facoltose della provincia di Cosenza.

Ad incontrare le baby prostitute sarebbero stati soprattutto commercianti ed imprenditori che pagavano somme più alte in caso di incontri con ragazze che non avevano mai avuto esperienze sessuali. Nell’ambito della stessa operazione è stato accertato che uno degli arrestati avrebbe procurato su richiesta ad una vasta clientela prostitute anche non minorenni e in occasione di uno degli appuntamenti organizzati, insieme ad un terzo soggetto, avrebbe sequestrato e violentato una delle vittime.

TRA GLI ARRESTATI, L'EX VICESINDACO DI CORIGLIANO
Italo Le Pera, 56 anni, ex vicesindaco di Corigliano Calabro e responsabile amministrativo dell’Azienda sanitaria provinciale è tra gli arrestati di questa mattina ed è accusato, nella fattispecie, di aver «compiuto atti sessuali a pagamento con adolescente minore di anni 16».

Sono in tutto 16 gli arrestati, alcuni già detenuti. Tra questi, i due presunti organizzatori del traffico di minori, i pregiudicati Giuseppe Russo, 68 anni, e Pietro Berardi, 47 anni. Poi ci sono una serie di facoltosi imprenditori: Vincenzo Novelli, 61 anni, di Cassano Ionio, Vittorio Carcione, 47 anni, medico, di Corigliano, Antonio Coschignano, 68 anni, di Acri, Cosimo La Grotta, 65 anni, di Corigliano, Saverio La Camera, 55 anni, di Cassano Ionio, Giuseppe La Pietra, 34 anni, di Mirto Crosia. Ci sono poi operai e braccianti: Maurizio Franco Magno, 43 anni, Gianfranco Curcio, 35 anni, Giuseppe Brina, 58 anni, Santo Bagnato, 70 anni, Pasqualino Foglia, 59 anni, Damiano Collefiorito, 51 anni. Infine una donna, di cui non è stato reso noto il nome, accusata di aver spinto la sorella minore a prostituirsi. In conferenza stampa, è stato precisato che a marzo si è agito per interrompere «il turpe traffico di carne umana» e salvaguardare le due minori, oggi di 15 e 13 anni, che per molto tempo sono state costrette a prostituirsi, «spesso in una stanza attigua alla cucina, dove c'erano i familiari che conversavano tranquillamente», ha detto il procuratore capo della Dirzione distrettuale antimafia di Catanzaro, Vincenzo Antonio Lombardo. Oggi quello che si considera l’epilogo della vicenda, con l’arresto dei clienti identificati.

Abusivismo, sequestri e 54 indagati a Lampedusa

Inchiesta della Procura di Agrigento. Sigilli a fabbricati, dammusi, residence, un albergo, un ristorante e un bar. Coinvolti anche funzionari della Soprintendenza


LAMPEDUSA. Aree ed edifici sequestrati e 54 persone indagate. E' il bilancio di un'inchiesta della Procura di Agrigento contro presunti casi di abusivismo edilizio a Lampedusa. Sigilli sono stati posti anche a fabbricati, dammusi, residence, un albergo, un ristorante e un bar, oltre che a aree edificabili. Tra gli indagati vi sono funzionari della Soprintendenza ai beni culturali e ambientali di Agrigento, funzionari dell'Ufficio tecnico del Comune di Lampedusa, i proprietari delle lottizzazioni poste sotto indagine, un notaio, coniuge di una lottizzatrice, e un ufficiale rogante di quasi tutti gli atti di compravendita delle arre lottizzate; e infine alcuni acquirenti dei lotti frazionati e delle costruzioni realizzate.

Le aree coinvolte nell'inchiesta sono ubicate in contrada Grecale-Cala Creta, zona di elevatissimo pregio ambientale di Lampedusa sottoposta a vincolo paesaggistico e per massima parte anche a vincolo di inedificabilità assoluta. I sequestri sono stati eseguiti da militari della Guardia di finanza e dei carabinieri in esecuzione di un provvedimento emesso dal Gip di Agrigento su richiesta del procuratore aggiunto Ignazio Fonzo e del sostituto Luca Sciarretta.

Abuso d’ufficio, arrestato il deputato Ars De Luca

Concessi i domiciliari al leader del movimento Sicilia Vera. L’indagine è legata alla sua attività di sindaco di Fiumedinisi nel Messinese


MESSINA. Il deputato regionale Cateno De Luca, leader del movimento Sicilia Vera, è stato arrestato con l'accusa di abuso d'ufficio e concussione. All'esponente politico sono stati concessi gli arresti domiciliari. L'indagine sarebbe legata all'attività amministrativa di De Luca come sindaco di Fiumedinisi, un paese del messinese.

Nella sua attività all'Ars, De Luca s'é fatto notare per alcune 'trovate' poco ortodosse: come quando, nella scorsa legislatura, per protestare contro l'allora presidente dell'Ars Gianfranco Micciché in seguito ad alcune vicende regolamentari, si denudò in sala stampa rimanendo in mutande, per poi coprirsi con la bandiera della Sicilia, usata come pareo.

Quest'anno il leader di 'Sicilia Vera' - protagonista di dure battaglie in aule con la presentazione di migliaia di emendamenti in occasione della Finanziaria - ha cambiato sei volte gruppo parlamentare, arrivando a 'sostare' in quello del Pdl solo per poche ore: giusto il tempo per far saltare gli equilibri in una delicata conferenza dei capigruppo. "Sono un battitore libero", ripete spesso De Luca, che nel corso della kermesse del suo partito si presentò sotto il simbolo di un enorme piccone e lo slogan: 'Demoliamo la Regione siciliana'".

De Luca, arrestato anche il fratello Tindaro
Nell’inchiesta sono diciotto gli indagati, prevalentemente amministratori comunali


PALERMO. Insieme al deputato regionale siciliano Cateno De Luca, sono stati arrestati il fratello Tindaro, un funzionario del Comune di Fiumedinisi, Pietro D'Anna e il presidente della commissione edilizia Benedetto Parisi. Diciotto gli indagati, prevalentemente amministratori comunali.

L'ordinanza, emessa dal Gip Daria Orlando, è stata eseguita ieri sera. I reati contestati agli indagati sono tentata concussione e falso in atto pubblico (e non abuso d'ufficio e concussione come detto in precedenza), commessi tra il 2007 e il 2009 all'interno di un programma di opere di riqualificazione urbanistica e incentivazione dell'occupazione. Ma le indagini, coordinate dal procuratore di Messina Guido Lo Forte, dall'aggiunto Vincenzo barbaro e dal pm Liliana Todaro, hanno appurato che la quasi totalità degli interventi ha favorito direttamente o indirettamente De Luca e i suoi familiari. Nel mirino dei magistrati ci sono la costruzione di un albergo con annesso centro benessere - strutture sequestrate - da parte della società "Dioniso" e la realizzazione di centri di formazione permanente del Caf "Fenapi", oltre all'edificazione di 16 alloggi da parte della coop "Mabel". Opere realizzate nonostante la Regione siciliana aveva contestato, un anno prima, il Piano regolatore di Fiumedinisi, ritenendo che contenesse previsioni sovradimensionate. Ma la contestazione ha comunque portato il Comune a realizzare le opere e a modificare la destinazione urbanistica della zona. La tentata concussione sarebbe stata commessa nei confronti dei proprietari di alcune aree da cedere - a volte a prezzi più bassi rispetto a quelli di mercato - per consentire alla Mabel la costruzione degli alloggi.

I reati di falso riguardano l'approvazione del progetto in variante dei lavori di costruzione eseguiti dalla Dioniso e la realizzazione di muri di contenimento del torrente Fiumedinisi, realizzati per incrementare il valore commerciale di alcune aree ricadenti nel progetto e riconducibili alla ditta il cui amministratore unico è proprio il sindaco, che è anche fondatore e direttore generale della Fenapi. Il fratello, invece, è amministratore della coop Mabel. Le indagini sono partite dopo le denuncie del Wwf e dei consiglieri comunali di opposizione, e condotte dalla sezione di polizia giudiziaria dei vigili urbani di Messina.

Catania, abusi su bimba di 10 anni: arrestato il patrigno

L'indagine avviata dopo la segnalazione di una maestra che aveva appreso da un'alunna di avere subìto "attenzioni" sessuali. La vittima si era confidata a seguito di un incontro avvenuto a scuola con la polizia postale sui rischi di Internet


CATANIA. Un uomo di 32 anni che avrebbe abusato sessualmente della figlia di 10 anni della propria compagna è stato arrestato da agenti della polizia postale e delle Comunicazioni di Catania, in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari emessa dal Gip, Laura Benanti. L'indagine era stata avviata dopo la segnalazione di un'insegnante che aveva appreso da un'alunna di avere subìto "attenzioni" sessuali da parte del patrigno.

Il racconto della bambina era avvenuto subito dopo un incontro tra personale della polizia postale e alunni della scuola frequentata dalla vittima, sul rischio su Internet, e quindi anche sulla pedofilia. La piccola ha confidato a una compagna di classe di avere capito di essere la vittima di un pedofilo. I pubblici ministeri della Procura Distrettuale, Marisa Scavo e Antonella Barrera, coadiuvati da una neuropsichiatra, hanno interrogato la minorenne mentre la polizia approfondiva le indagini, anche con intercettazioni ambientali, nei confronti del presunto abusante. Il patrigno, saputo della denuncia, ha reso piena confessione alla Procura, spiegando di essere stato anche lui da bambino vittima di abusi sessuali. L'operazione, si sottolinea in ambienti investigativi, conferma l'importanza degli incontri effettuati dalla Polizia nelle scuole. Quest'anno la polizia postale ha già incontrato oltre cinquemila giovani nel Catanese.

Benevento, minaccia con foto hard fidanzatina. Arrestato 17enne per stalking

BENEVENTO - Per due mesi ha vessato la sua ex fidanzata costringendola ad avere rapporti sessuali contro la sua volontà e minacciandola anche di pubblicare fotografie compromettenti sulla rete.

Con queste accuse uno studente diciassettenne della Valle Telesina è stato denunciato ed arrestato dai carabinieri con l'accusa di violenza sessuale e stalking.

La vittima è una studentessa di diciotto anni di Pietrelcina: ai militari ha spiegato la situazione 'terribile ed inquietante' in cui si era venuta a trovare.

Quando la storia è finita, la ragazza è precipitata in una spirale di violenze, minacce e vessazioni, che le hanno reso la vita un inferno, portandola a temere per la sua vita e per quella dei propri familiari.

Il giovane, infatti, subito dopo la separazione, aveva nuovamente avvicinato la vittima chiedendole di riallacciare il rapporto e promettendo di cambiare. La ragazza aveva acconsentito, non sapendo che, di lì a poco, il ragazzo avrebbe avviato nei suoi confronti una serie di vessazioni. Minacciandola di pubblicare su internet, complete di generalità e numero di cellulare, alcune fotografie compromettenti scattate all'insaputa della vittima, il ragazzo obbligava la studentessa ad incontrarlo, ad effettuare con lui telefonate lunghissime e a spedirgli almeno cento sms al giorno.

Oltre al ricatto delle fotografie, il diciassettenne ha minacciato ripetutamente di morte la vittima ed i suoi familiari ponendo la ragazza in un totale stato di assoggettamento psicologico, al punto tale che, in più occasioni, era stata costretta ad avere con lui rapporti sessuali contro la sua volontà.

Sul cellulare della ragazza, inoltre, i carabinieri hanno constatato la presenza di messaggi violenti provenienti dal cellulare del ragazzo.

All'ennesima richiesta di un incontro, questa volta, però, si sono presentati i carabinieri di Pietrelcina che, dopo aver identificato il giovane, hanno proceduto a raccogliere elementi di prova sul suo cellulare e sul suo computer, riscontrando quanto denunciato dalla vittima.

Sul cellulare del ragazzo sono state trovate le foto del ricatto, mentre sul pc era già pronto il file con immagini e numero di cellulare per la diffusione in rete e per la stampa di manifestini che, tra le altre cose, il ragazzo aveva minacciato di distribuire ed affiggere nel paese della vittima.

Di qui l'intervento dei militari che hanno proceduto al fermo di polizia giudiziaria del giovane il quale è stato trasferito presso il centro per minori dei 'Colli Aminei' di Napoli.

Stop alla holding delle estorsioni

Imponevano pizzo anche a “sfasciacarrozze”

NAPOLI - I carabinieri hanno eseguito 10 degli 11 arresti disposti dal gip del tribunale di Napoli nei confronti di elementi di spicco e affiliati del clan Casella, considerato satellite del clan Sarno, il primo attivo nell'area est di Napoli ed il secondo che dalla zona di Ponticelli ha esteso la sua influenza anche nell'hinterland. L'intesa operativa tra i due clan, soprattutto per le estorsioni, si era allargata anche al clan Mazzarella del quartiere Mercato e al potente clan Contini.


In particolare il 'pizzo', oltre che ai commercianti e a piccoli imprenditori, veniva imposto anche ai titolari dei cosiddetti 'scassi', in genere ubicati sotto i ponti della tangenziale nell'area industriale di Napoli, dove vengono portate autovetture non più circolanti, da demolire o rubate, e nei quali si effettua una compravendita più o meno legale di pezzi di auto. Smantellate anche due piazze di droga. Le accuse contestate nell'ordinanza di custodia cautelare, sono, a vario titolo, quelle di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione e spaccio di stupefacenti.

L'indagine ha abbracciato un arco temporale che va dal novembre 2008 all'aprile 2009, ed è basata su tecniche tradizionali oltre che su dichiarazioni di pentiti. Il gip aveva emesso 11 ordinanze di custodia cautelare in carcere, ma una persona è sfuggita all'arresto; 4 provvedimenti sono stati notificati in carcere a persone già detenute. Tra i destinatari della misura cautelare, il reggente del clan, Domenico Casella, il suo luogotenente Massimo Di Siena, ma anche la moglie del boss Vincenzo Sarno, Patrizia Ippolito, e il genero, Luigi Briolo.

Casalesi, operazione Highlander della Dia: imprenditore sequestrato in bagagliaio auto

 
CASERTA - La Direzione investigativa antimafia di Napoli ha ultimato in provincia di Caserta la notifica di provvedimenti di fermo emessi dalla Dda di Napoli a carico di pregiudicati appartenenti all'organizzazione camorristica dei Casalesi.


L'operazione della Dia, denominata 'Highlander', colpisce il gruppo camorristico dei Casalesi direttamente riconducibile al gruppo Schiavone - Russo, facente capo a Francesco Schiavone detto “Sandokan” e Giuseppe Russo detto “ 'O Padrino”, egemone nei territori di Casal di Principe, Orta di Atella, Gricignano e Succivo.

Uno degli imprenditori vittime di estorsione è stato sequestrato e trasportato nel bagagliaio di un'auto in una masseria isolata nella zona di Casal di Principe dove, al cospetto del referente del clan oggi arrestato, è stato pesantemente intimidito e costretto a pagare la tangente estorsiva. È uno dei particolari emersi nell'ambito dell'operazione 'Highlander' effettuata dalla Dia. I provvedimenti di fermo, viene ricordato, sono stati emessi dalla Dda di Napoli a seguito degli accertamenti effettuati dalla Dia napoletana su tre estorsioni compiute dal gruppo camorristico in danno di imprenditori edili e commercianti di pellame di Orta di Atella e Gricignano a cui sono state estorte somme di denaro per compessivi 50.000 euro solo nell'ultimo trimestre.

Sarah sequestrata? Commessa del fioraio «Non era un sogno»


TARANTO – Vanessa Cerra, l’ex commessa del fioraio di Avetrana, Giovanni Buccolieri, avrebbe confermato agli inquirenti che lo stesso fioraio le avrebbe raccontato l'episodio del presunto sequestro in auto di Sarah Scazzi, il 26 agosto 2010, da parte della zia Cosima Serrano, e che quindi non si sarebbe trattato di un sogno, come invece Buccolieri ha poi sostenuto dinanzi ai pm.


E’ quanto si è saputo oggi, da indiscrezioni, sull'audizione della ragazza avvenuta ieri per rogatoria a Moenchengladbach, in Germania (dove Cerra lavora da qualche tempo), alla presenza di un magistrato tedesco, del procuratore aggiunto di Taranto, Pietro Argentino, e del tenente dei carabinieri della Compagnia di Manduria, Rolando Russo. Per quanto si è appreso oggi, nelle cinque ore di audizione l'ex commessa avrebbe fornito anche ulteriori particolari utili agli investigatori, particolari che metterebbero in crisi l'ipotesi del sogno descritta da Buccolieri. Argentino e l'ufficiale dei carabinieri torneranno in serata a Taranto portando con sè copia del verbale della lunga audizione, che potrebbe rappresentare un tassello importante per la ricostruzione di quanto accadde quel pomeriggio del 26 agosto 2010, giorno dell’uccisione di Sarah.

IL VERBALE DI UN SOGNO TROPPO DETTAGLIATO
«Dopo aver finito il pranzo ho salutato mia moglie ed i bambini e sono andato via. Sono quindi sceso dalla scala - si legge nel verbale di interrogatorio di Buccolieri - che direttamente mi porta all’esterno dell’abitazione; potevano essere circa le 13,20. Sono entrato quindi nel mio furgone ed ho percorso diverse vie di Avetrana sino a raggiungere il luogo dove effettuare lo consegna commissionatami. Ricordo di avere percorso via Verdi. Ricordo di avere quindi svoltato in via Umberto I. Nella circostanza, al momento della svolta, ovviamente ho dovuto rallentare all’incrocio con via Umberto I, quasi a passo d'uomo. In quel momento in via Umberto I, a circa 3-4 metri dall'incrocio, ho visto l'autovettura "Opel Astra station wagon", di colore azzurro-grigio, vicino alla quale si trovava Cosima Serrano, che si rivolgeva alla nipote Sarah Scazzi, dicendole con tono minaccioso: "mo' ha 'nchiana' intra la macchina", facendo al suo indirizzo un gesto altrettanto perentorio con il braccio e con l'indice della mano rivolto all'indirizzo di Sarah. Ricordo che Sarah, che conoscevo di vista, era molto turbata e con lo testa chinata. Ricordo anche non solo che Cosima era all'esterno dell'auto, che intimava a Sarah quello che ho già detto, ma anche che lo sportello posteriore destro dell'auto di Cosima Serrano era aperto. La macchina era quella di Cosima Serrano perché la conoscevo. Voglio precisare che ho notato che nella parte posteriore dell’'auto vi era verosimilmente il copri-vano bagagli leggermente sollevato. Preciso, altresì, di avere notato all’interno dell'auto di Cosima, nella parte posteriore una sagoma che si abbassava. Posso dire che la sagoma che ho notato apparteneva ad una persona di sesso femminile e di robusta costituzione. Dico di sesso femminile perché ho notato i capelli che erano più lunghi di quelli che porta un uomo e soprattutto erano legati e raccolti all'indietro e di colore scuro. Mentre superavo lo macchina di Cosima ho notato che Cosima era ancora all'esterno dell’autovettura e Sarah che invece stava entrando dentro attraverso lo sportello posteriore destro».

Un racconto dettagliato fin nei minimi particolari che Buccolieri ha poi detto essere frutto di un sogno e non di una visione diretta.

Appalti Enac, arrestato Pronzato "Una tangente da quarantamila euro"

Il consigliere d'amministrazione ex responsabile trasporti aerei Pd in carcere con tre imprenditori

GENOVA
Franco Pronzato, componente del consiglio di amministrazione di Enac, è stato arrestato questa mattina dagli uomini della Guardia di Finanza nell’ambito di una inchiesta della Procura di Roma su presunte irregolarità legate a un appalto del settore aereo. Pronzato è stato portato in carcere a Marassi dopo che le fiamme gialle hanno perquisito il suo appartamento.

Il consigliere- già consulente dell’allora ministro dei Trasporti Pierluigi Bersani e attuale coordinatore del settore trasporto aereo del Pd- era indagato con altre quattro persone nell’ambito di un’inchiesta per l’assegnazione di un appalto, del valore di un milione di euro, per i voli di collegamento tra Roma Urbe e l’Isola d’Elba. In manette sono finiti anche tre imprenditori: Viscardo e Riccardo Paganelli, rispettivamente director e amministratore della società Rotkopf Aviation Limited, controllante la Rotkopf Aviation Italia, e Giuseppe Smeriglio.

In particolare, Pronzato avrebbe agevolato la società di trasporto aereo per l’ottenimento del Coa, il certificato di operatore aereo, necessario per la partecipazione alla gara. E ciò, attraverso pressioni presso l’Enac. È stato lo stesso Morichini, uno dei sei indagati nell’inchiesta del pm Paolo Ielo, ad ammettere di aver ricevuto i 40 mila euro da Viscardo Paganelli e di averli consegnata a Pronzato. Questi, a sua volta, avrebbe dato 20 mila euro a Morichini. Proprio le conferme di Morichini, insieme con le intercettazioni telefoniche, hanno determinato l’operazione di oggi del nucleo valutario della Guardia di Finanza, guidato da Leandro Cuzzocrea. L’altro episodio al centro dell’inchiesta è relativa ad una falsa fattura da 28 mila euro riconducibile alla Rotkopf e per la cui liquidazione Pronzato fece delle pressioni.

Pronzato è stato consulente di Pierluigi Bersani quando questi - dal 1999 al 2001 - era ministro dei Trasporti. In realtà l’esperto ha lavorato come consigliere e come consulente al Ministero dei Trasporti sia quando titolare del dicastero era Bersani, sia quando lo fu il suo predecessore, Claudio Burlando, attuale presidente della Regione Liguria. Pronzato è stato anche vicepresidente della società Aeroporto di Genova, fino al 2007; successivamente è entrato a far parte del consiglio di amministrazione di Enac. È stato, inoltre, socio fondatore dell’associazione Maestrale di Claudio Burlando, e per molti anni amministratore delegato della Interconsult.

In una nota il Pd ha fatto sapere che Pronzato si «era già dimesso dall’incarico appena informato dell’apertura delle indagini nei suoi confronti».

Vigilessa di Pollica arrestata per duplice omicidio, possibile legame con l'assassinio del sindaco Vassallo

Ausonia Pisani, 43 anni, figlia di un generale dei carabinieri, è coinvolta nell'inchiesta sulla sparatoria di Cecchina, in provincia di Roma, conclusa con due morti e due feriti, per questioni legate allo spaccio di droga. Ma dalle indagini spunta una pista che porta all'omicidio Vassallo


POLLICA (Salerno). Possibile svolta nell'inchiesta sull'omicidio del sindaco di Pollica Angelo Vassallo. Dalle indagini in corso sarebbero emersi dei collegamenti tra quel delitto e un duplice omicidio avvenuto in provincia di Roma, legato a questioni di droga. Per quella mattanza accaduta nel Lazio è stata arrestata una vigilessa originaria proprio di Pollica.


E’ accusata di concorso in un duplice omicidio. Si chiama Ausonia Pisani, ha 43 anni, ed è la figlia di un generale dei carabinieri ora in pensione. Una famiglia importante, quella della donna, che ha una sorella questore e un fratello ufficiale della Guardia di finanza. Tutti originari della piccola frazione di Cannicchio, nel comune di Pollica. Lei è in servizio come agente della polizia municipale del comune di Albano (Roma).

Fino all’altro giorno era considerata una "vigilessa di ferro", pugno duro e ligia alle regole. Ora, è soprannominata la "vigilessa killer". Perché, secondo la procura di Roma, è una dei presunti assassini che la notte tra il 29 e il 30 maggio hanno aperto il fuoco in una villetta di Cecchina, sempre nella provincia romana, uccidendo due uomini e ferendone altri due. Anche lei avrebbe partecipato a quella mattanza nella quale sono stati freddati Fabio Giorgi, 43 anni e Rabii Baridi, marocchino di 37, per motivi - questa l’ipotesi più accreditata - legati al mercato della droga.

Insieme alla Pisani sono stati fermati quello che gli inquirenti ritengono il suo compagno Sante Fragalá (il fratello fu ucciso a coltellate nel 2006 a Torvaianica) e Agatino Mascali, nipote di un collaboratore di giustizia: le accuse sono di concorso in omicidio volontario plurimo aggravato, tentato omicidio plurimo aggravato, porto e detenzione illegali di armi.

Secondo gli inquirenti, la sera della sparatoria nella villetta era stato organizzato un vertice per spartirsi il controllo delle zone dello spaccio. Accordo che, però, non è stato mai raggiunto. Così si è deciso di risolvere tutto con le pistole. Gli investigatori, coordinati dal procuratore aggiunto della Dda Giancarlo Capaldo, non escludono per ora che dietro il massacro vi siano altri moventi, anche se prevale la tesi di un importante giro di droga. E a testimonianza di ciò, si è scoperto che i quattro nella villetta erano in possesso di telefonini con utenze telefoniche non intestate a loro, ma a cittadini extracomunitari, e quindi «protette».

La ricostruzione della dinamica della vicenda è stata possibile anche grazie a uno dei due superstiti della sparatoria e a una complessa indagine svolta con intercettazioni e acquisizione di tabulati telefonici. Nella casa si stava festeggiando il compleanno di una delle vittime. Il testimone dice anche che sono entrati tre sconosciuti che, senza dire nulla, hanno cominciato a sparare. A fare fuoco sembra che siano stati tutti e tre (ognuno sarebbe stato armato), ma sono in corso le perizie balistiche e le pistole non sono state ritrovate.

Perciò resta da stabilire se sia stata anche la donna a premere il grilletto. Questo elemento, oltre al fatto che gli omicidi non erano premeditati, «evidenzia - dicono gli inquirenti - lo spessore criminale dei fermati». E le indagini dovranno anche chiarire un altro aspetto: se dietro la sparatoria di Cecchina ci sia l’ombra dei clan.

Di certo la notizia a Pollica ha destato grande clamore. La donna ha vissuto per anni a Cannicchio, la frazione dove la famiglia possiede ancora una villetta. Poi il trasferimento a Roma per gli importanti incarichi ricoperti dal padre. Ma facevano ritorno spesso da queste parti. E così è stato anche di recente.

Luigi Colombo

lunedì 27 giugno 2011

Il killer di Butera confessa "Li ho uccisi per vendetta

ENNA - Giuseppe Centorbi, l'agricoltore ritenuto responsabile del triplice omicidio costato la vita a un'intera famiglia di Licata - padre, madre e figlio di 13 anni - ha confessato. Al gip di Enna David Salvucci ha raccontato di avere ucciso a colpi di pistola Filippo Militano, che aveva un terreno confinante col suo a Butera, la moglie Giuseppa Carlino, e il figlio Salvatore.


Il quarantenne arrestato per la strage, assistito dall'avvocato Gianpiero Cortese, ha parlato per un'ora e mezza, rispondendo alle domande del giudice e dei due pm, Paola D'Ambrosio della Procura di Enna ed Elisa Calanducci della Procura di Gela. Alla base del gesto ci sarebbe stata l'esasperazione per "gli affronti che - ha sostenuto Centorbi - avrebbe subito dalla famiglia Militano". Il killer ha raccontato che, pochi giorni prima la strage si sarebbe accorto che gli erano sparite le chiavi di casa e che avrebbe sorpreso Filippo Militano mentre cercava di intrufolarsi nella sua abitazione. La decisione di uccidere i Militano l'avrebbe presa due giorni prima del delitto.

L'assassino ha usato due pistole del padre, tra cui una Beretta. L'agricoltore avrebbe ucciso prima il capofamiglia colpendolo al fianco e poi alla testa. "Poi - ha raccontato - sono rientrato a casa, sono salito sull'auto e sono andato verso l'abitazione dei Militano per ammazzare anche la moglie e il figlio Salvatore". L'uomo ha sostenuto di avere progettato di ammazzare prima la madre e poi il figlio. Ma il ragazzo, che lui riteneva "complice" del padre nelle angherie che la famiglia Militano gli faceva subire, gli sarebbe andato incontro e lui ha temuto che volesse volesse disarmarlo.

Poi il killer avrebbe sparato anche contro la donna, accorsa in difesa del ragazzino e potenziale testimone. Infine sarebbe scappato vagando sino alla provincia di Palermo, per poi tornare verso casa a prendere degli indumenti: avrebbe trovato l'abitazione a soqquadro e a quel punto preso dall'ira, sarebbe tornato nell'abitazione dei Militano sparando nuovamente contro l'edificio prima di allontanarsi. Venerdì l'arresto.

"Dopo avere sparato a Salvatore e a sua madre, sono tornato a casa e ho telefonato a mio fratello per dirgli di non venire in campagna a raccogliere i fagiolini. L'ho fatto perchè c'erano i tre cadaveri", ha spiegato ancora ai magistrati l'assassino.

Secondo gli inquirenti, il fratello del killer era a conoscenza dei contrasti con Militano, ma era totalmente all'oscuro del progetto di Centorbi di sterminare la famiglia. Centorbi ha anche spiegato la provenienza della pistola Beretta Wrar con la quale ha sparato almeno 15 colpi:sarebbe appartenuta al padre e gli altri congiunti ne avrebbero ignorato l'esistenza. Il gip, al termine dell'interrogatorio, si è riservato di decidere sulla custodia cautelare in carcere, chiesta dai pm per l'omicida.

Villasimius, minorenne violentata in spiaggia

Il presunto stupratore è un 24enne cagliaritano

La fa ubriacare, tenta di farle fumare uno spinello, poi la violenta. E' successo a Villasimius, dove i carabinieri hanno arrestato un 24enne di Cagliari. L'episodio sarebbe avvenuto alle prime ore del mattino di sabato, quando l'uomo si è appartato in spiaggia con una minorenne, in vacanza nella località sarda con la famiglia, e dopo averla fatta bere e offerto della droga, l'ha costretta a subire degli atti sessuali.

La ragazza, soccorsa da amici, nel pomeriggio di domenica si è presentata, accompagnata dalla madre, nella caserma dei carabinieri di Villasimius per denunciare l'accaduto, fornendo una descrizione e il nome di battesimo del responsabile.

I carabinieri, individuato l'autore, si sono messi a caccia dell'uomo che hanno trovato in casa dei genitori. Nella perquisizione domiciliare sono stati trovati circa 10 grammi di hashish. L'uomo è stato quindi arrestato per detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti.

Nella mattinata di lunedì, il Tribunale di Cagliari ha convalidato l'arresto e disposto gli arresti domiciliari a Cagliari. L'udienza è stata rinviata al 30 giugno su richiesta dell'avvocato difensore, ma per la violenza sessuale la posizione è stata stralciata e si procederà ad un processo distinto.

La camorra stipendiava i suoi detenuti

Finanziamenti più alti con carcere duro per scoraggiare la collaborazione con la giustizia

Una percentuale di ogni attività estorsiva doveva tassativamente finire in quella che chiamavano la "cassa del mezzogiorno". In questo modo la camorra finanziava gli stipendi agli affiliati e ai familiari dei detenuti, con un occhio di riguardo nei confronti di chi era in regime di 41 bis, il cosiddetto carcere duro. Lo ha scoperto la DDA di Napoli, che ha arrestato cinque persone.


Le ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite dalla squadra mobile di Caserta nei confronti di cinque affiliati alla fazione degli "Schiavone" del clan dei Casalesi. Gli esattori, Cristofaro Dell'Aversano, che gestiva il forziere del clan, e quello che è risultato essere il suo assistente, l'operaio incensurato Alfonso Cirillo, svolgevano anche e soprattutto il compito di mantenere intatto il vincolo associativo che lega il camorrista al suo gruppo militante. Il rischio, infatti, è che non corrispondendo lo "stipendio", il camorrista detenuto possa ritenere interrotto il vincolo con il clan e, quindi, sentirsi legittimato a collaborare con la giustizia.

Le indagini - che hanno portato all'arresto di tre donne, mogli di altrettanti detenuti - hanno evidenziato anche la nuova strategia dei Casalesi secondo cui, chiunque disponesse di ricchezze visibili, come coloro che costruivano per la propria famiglia una nuova abitazione, doveva pagare il pizzo agli emissari del clan, anche se imparentati con un affiliato.

A giudizio Fede, Mora e Minetti

Il procuratore aggiunto Pietro Forno e il pm Antonio Sangermano, nel corso dell'udienza preliminare, hanno chiesto al gup Maria Grazia Domanico di rinviare a giudizio Lele Mora, Nicole Minetti e Emilio Fede, imputati per il caso Ruby. I tre sono accusati di induzione e favoreggiamento della prostituzione, anche minorile.


Secondo i pm infatti esisterebbe una "convergenza di vari elementi" tale da giustificare la richiesta di processare i tre.

Pm: "Sistema ben strutturato per fornire prostitute al premier"
In particolare per l'accusa, Emilio Fede, Nicole Minetti e Lele Mora avrebbero dato vita a "un sistema ben strutturato per fornire prostitute al premier". Nella loro ricostruzione i pm hanno spiegato come il sistema sarebbe stato articolato in tre distinti ruoli: un arruolatore e cioè Lele Mora, un fidelizzatore (Emilio Fede) che doveva valutare l'affidabilità della persona e un'organizzatore economico-logistico (Nicole Minetti).

Per altro la Minetti, in qualche modo, secondo l'accusa, si sarebbe attribuita questo ruolo in una telefonata con l'amica M.T.. Quanto a Fede, secondo i due pm, avrebbe avuto il compito di valutare le ragazze, la loro riservatezza, la disponibilità a fare sesso, e l'adattabilità alle personali esigenze che nascevano.

Pm: "Bordello e mortificazione dell'identità femminile"
Nell'esporre le ragioni per cui Mora, Minetti e Fede vanno rinviati a giudizio, i pm hanno poi definito il sistema, una sorta di "bordello" per "compiacere il premier attraverso la mercificazione della fisicità della donna e la mortificazione dell'identità femminile". Un passaggio della discussione è stato dedicato dal pm Forno a Ruby, la cui testimonianza, secondo il magistrato "va valutata tenendo conto della sua giovane età".

Dopo l'intervento dei pm, il gup di Milano, Mariagrazia Domanico, ha rinviato l'udienza preliminare all'11 e 13 luglio.

La 'ndrangheta anche in Liguria dodici persone in manette

Dodici persone sono state arrestate all’alba in Liguria dai carabinieri del Ros, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare richiesta dalla Dda di Genova e firmata dal gip del capoluogo ligure

Un’associazione per delinquere di stampo mafioso radicata sul territorio e riconducibile alla 'ndrangheta calabrese. Dodici persone sono finite in manette estato e i provvedimenti sono correlati alla maxioperazione «Crimine» che nel luglio del 2010 portò all’arresto di trecento persone in tutta Italia e a quella conclusasi con diciannove arresti nel Basso Piemonte risalente a dieci giorni fa. Le ordinanze di custodia cautelare sono state eseguite nelle province di Genova, Imperia e La Spezia, e scaturiscono da un’articolata manovra di contrasto, avviata dal Ros nel 2008, che ha portato a scoprire l’esistenza e le attività dei «locali» (cellule operative distaccate della 'ndrangheta) liguri di Genova, Lavagna (GE), Ventimiglia (IM) e Sarzana (SP) che, mutuando il modello organizzativo dell’area calabrese di origine, operavano sull'intero panorama ligure sotto il coordinamento criminale del capolocale di Genova, Domenico Gangemi, arrestato il 13 luglio dello scorso anno nell’ambito dell’operazione Crimine. Gangemi avrebbe diretto e organizzato il sodalizio assumendo le decisioni più rilevanti, comminando sanzioni agli altri associati a lui subordinati, dirimendo i contrasti interni ed esterni al sodalizio e curando i rapporti con le altre articolazioni dell’organizzazione.


L'indagine ribattezzata «Maglio 3», documenta inoltre, la dipendenza dalla Camera di Controllo ligure del locale del «basso Piemonte», recentemente colpito da una simile attività investigativa sempre condotta dal Ros, con provvedimenti eseguiti nella Provincia di Alessandria, Cuneo ed Asti.

Le proiezioni 'ndranghetiste colpite, spiegano gli inquirenti in una nota stampa, sono caratterizzate da tutti gli elementi tipici dell’organizzazione di riferimento:struttura verticistica, ordinata secondo una gerarchia di poteri, di funzioni e di una ripartizione dei ruoli degli associati; pratica di riti legati all’affiliazione dei membri dell’associazione ed all’assegnazione di «doti» o «cariche»; comunanza di vita e di abitudini, scandita dall’osservanza di «norme interne».

In particolare, il ruolo del capo locale emerge in modo significativo anche in relazione ad aspetti della vita privata degli associati, come in occasione del tradimento coniugale subito da un affiliato. In tale circostanza, il capo locale prende atto di dover riferire in Calabria l’accaduto per la risoluzione della questione secondo le regole 'ndranghetiste. Altri elementi tipici della struttura sono la forza di coesione del gruppo che assicura omertà e solidarietà nel momento del bisogno, nonchè assistenza agli affiliati arrestati o detenuti e sussidi economici ai loro familiari; impermeabilità verso l’esterno ottenuta grazie all’adozione di linguaggi convenzionali; disponibilità di armi. Per quanto attiene gli aspetti organizzativi e rituali, è stato confermato come l’ingresso e il conferimento di gradi all’interno dell’"onorata società» avvenisse attraverso l'attribuzione delle «doti», espressione di potere e di prestigio in seno all’organizzazione, il cui conferimento avveniva in un aurea di «solenne» ritualità mafiosa e la cui importanza è testimoniata dalla partecipazione oltre che dei sodali affiliati al locale, di delegazioni di esponenti dei gruppi confinanti. È stato inoltre scoperto che l’attività di mantenimento delle famiglie degli affiliati detenuti, avveniva attraverso una ramificata attività usuraia praticata impiegando metodi violenti in caso di mancata riscossione dei «premi».

Intimidazioni. A Monasterace, a fuoco la farmacia del sindaco

Ignoti hanno dato fuoco alla farmacia della Lanzetta. Sopra c’è l’abitazione: si è salvata l’anziana madre

Continuano le intimidazioni ai danni degli amministratori calabresi. Poco prima delle tre di ieri mattina, in piena notte, alcuni ignoti hanno dato fuoco alla farmacia del sindaco di Monasterace, la 56enne Maria Carmela Lanzetta. L'incendio ha determinato danni ingenti ed ha quasi completamente distrutto la farmacia, situata nella centralissima via Nazionale (Statale 106) di Monasterace marina. Un attentato in stile mafioso. La stessa Lanzetta è convinta che «c'entra l'attività di sindaco».


Ad accorgersi che stava succedendo qualcosa, nel silenzio della notte, è stato uno dei figli del sindaco, il quale ha sentito un rumore di vetri rotti proveniente dal piano terreno dell'abitazione. Così, lo stesso, si è precipitato ad avvisare i genitori, che stavano dormendo nello stesso immobile. «Ho pensato che qualche ladruncolo stesse tentando di intrufolarsi dentro il caseggiato per tentare di rubare qualcosa» ha dichiarato ieri il figlio del sindaco. Ma appena usciti dall'appartamento, nel vano scala del palazzo, comunicante tra la farmacia e le abitazioni di sopra, tutti si sono resi conto che si trattava di un incendio. Lo hanno immediatamente capito dall'odore acre di fumo che già, in pochi minuti, aveva riempito l'interno dell'immobile, non avendo altre vie di fuga. L'anziana madre del sindaco, svegliata di soprassalto, è stata presa letteralmente a braccio per essere portata fuori dall'abitazione, lontano dal pericolo.

Secondo le prime indagini sembra che chi ha dato fuoco alla farmacia del sindaco Lanzetta, l'abbia fatto a viso coperto, forse perché sapeva che, tutt'intorno al fabbricato di proprietà della famiglia del primo cittadino, era installato un sistema di videosorveglianza, sempre in funzione.

Gli investigatori sono convinti che gli incendiari hanno raggiunto il posto dal lato posteriore della farmacia, che coincide con la ferrovia, dopo avere scavalcato una recinzione. Ieri sera intanto, i sindaci della Locride, si sono stretti attorno a tutta l'amministrazione comunale di Monasterace mentre per oggi era stato convocato il consiglio comunale di Monasterace. Una riunione nel segno della legalità.

Agguato a Reggio. Ucciso a pistolate un falegname

Un vero e proprio agguato ha portato alla morte Guido Pisano ucciso a colpi di pistola nella notte a Rosarno. L'uomo era un falegname e in questo periodo si occupava dei genitori anziani
 
E' stato assassinato con sette colpi di pistola Guido Pisano, l’uomo di 47 anni, ucciso nella tarda serata di ieri a Rosarno. L’uomo, secondo i primi accertamenti della polizia, aveva piccoli precedenti per maltrattamenti in famiglia e molestie. In passato ha lavorato come falegname, ma negli ultimi tempi si dedicava soprattutto all’assistenza ai genitori anziani. L’uomo sarebbe anche imparentato alla lontana con alcuni affiliati alla cosca Pisano di Rosarno, ma al momento questo non sarebbe considerato un elemento rilevante, dal momento che la vittima non risultava, comunque, avere rapporti con la criminalità organizzata. La personalità di Pisano rende complesse le indagini, soprattutto per quanto riguarda l’individuazione del movente. Infatti, benchè l’uomo non fosse ritenuto un affiliato alle cosche, le modalità del delitto appaiono invece mafiose. Pisano era alla guida della sua auto e stava percorrendo a bassa velocità una strada secondaria, vicino alla stazione di Rosarno. Improvvisamente una, o due persone, hanno affiancato la vettura, probabilmente a bordo di una moto, ed hanno esploso sette colpi di pistola calibro 7.65 che lo hanno centrato. I colpi sono stati uditi dagli agenti di una pattuglia del Commissariato di Gioia Tauro che stavano facendo un servizio di controllo del territorio a Rosarno, distante poco meno di dieci chilometri da Gioia. Intervenuti subito sul posto i poliziotti hanno trovato Pisano agonizzante ed hanno chiamato il 118. Ogni tentativo di soccorso, però, è risultato vano e l’uomo è morto subito dopo l'arrivo nell’ospedale di Polistena.

Villaricca, violenza sessuale di gruppo su due ragazzine di 12 e 14 anni


NAPOLI - Violenza sessuale di gruppo, ripetuta per quattro mesi, su due ragazzine di 12 e 14 anni: arrestati due minorenni, un 17enne ed un 16enne: è accaduto a Villaricca, in provincia di Napoli. Il più piccolo, il sedicenne, è figlio di un personaggio affiliato al clan 'Ferrara Cacciapuoti' e un suo zio materno è il reggente del sodalizio criminale, attualmente latitante.


Nel corso di indagini avviate dopo alcune confidenze delle 2 ragazzine alle loro insegnanti, i militari hanno accertato che dall' ottobre 2010 al febbraio 2011, in più occasioni, insieme o separatamente, i due hanno costretto le due adolescenti con la violenza e con le minacce a compiere atti sessuali e ad assistere ad atti sessuali in luogo pubblico.

Dopo un'articolata attività d'indagine, i carabinieri della locale stazione hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare emessa il 24 giugno dal gip del Tribunale per i minorenni di Napoli che, concordando con risultanze investigative dell' Arma, ha disposto la custodia dei due minori in comunità per violenza sessuale di gruppo, corruzione di minori e atti osceni.

Gli arrestati sono stati portati nel Centro di Prima Accoglienza di Napoli di viale Colli Aminei.

Cinque indagati per la morte di Serena Sotto accusa anche l'ex fidanzato

Dopo 10 anni sono nel mirino anche la madre di lui, due carabinieri e il figlio di uno dei due

FROSINONE
Colpo di scena nell’indagine per l’omicidio di Serena Mollicone, la ragazzina di Arce (Frosinone) scomparsa il primo giugno 2001 e ritrovata uccisa due giorni dopo in un boschetto di Anitrella. Cinque persone sono iscritte nel registro degli indagati, tra cui l’ex fidanzato di Serena, Michele Fioretti e la madre Rosina Partigianoni. I due, insieme all’ex maresciallo dei Carabinieri, Franco Mottola, al figlio Marco e a un altro carabiniere, Francesco Suprano, si sono visti notificare un avviso di garanzia per i reati di omicidio volontario e occultamento di cadavere.

Tutti e cinque gli indagati saranno sottoposti al test del Dna. Dopo 10 anni senza soluzione, dunque, il giallo di Arce arriva forse vicino ad una svolta. La procura di Cassino non ha mai smesso di indagare e nelle ultime settimane c’è stata un’accelerata alle indagini . Per la Procura della Repubblica di Cassino e nella fattispecie per il procuratore capo Mario Mercone, titolare dell’indagine, i cinque indagati non in concorso tra loro avrebbero potuto causare la morte della 18enne di Arce.

In particolar modo nell’avviso di conclusione indagine la Procura così spiega: «Gli indagati Marco Mottola, Franco Mottola e in alternativa con Francesco Suprano, potrebbero rispondere dell’accusa di omicidio volontario e di occultamento di cadavere oppure in alternativa con Michele Fioretti e Rosina Partigianoni oppure in concorso con ignoti».

L’avviso di garanzia servirà a far sottoporre i cinque indagati all’incidente probatorio con la perizia specialistica del medico legale di natura genetica per l’accertamento dei profili genetici ricavabili dagli indumenti indossati da Serena Mollicone. Questo ai fini della comparazione tra i profili genetici eventualmente ora individuati e quelli appartenenti agli indagati nonchè con i profili genetici appartenenti al brigadiere dell’Arma dei Carabinieri, Santino Tuzzi, morto suicida nell’aprile del 2008. Gli accertamenti saranno utili a stabilire se Serena Mollicone il giorno della sua scomparsa si sia recata o meno presso la stazione dei Carabinieri di Arce.

È al settimo cielo Guglielmo Mollicone, il papà di Serena. Il maestro, padre della 18enne uccisa ad Arce nel 2001. Ha saputo dell’iscrizione nel registro degli indagati delle cinque persone dal proprio avvocato Dario De Santis che, come parte lesa, ha ricevuto l’avviso di conclusione dell’inchiesta da parte della Procura della Repubblica di Cassino. «La mia tenacia e la mia caparbietà sono state ripagate da un’indagine precisa, meticolosa, capillare che inizia a dare i frutti sperati. I Carabinieri del colonnello Menga e il procuratore Mercone hanno ascoltato le mie preghiere, la mia incitazione a trovare chi, senza un motivo, ha ucciso la mia bambina».