sabato 30 giugno 2012

Sul web nasce Super-Supermario

ROMA - Super-Supermario è il nuovo arrivato nel presepe italiano. In realtà sono due, e diversissimi tra di loro, i protagonisti di cui tutti parlano: Mario il bomber e Mario il premier.
Cioè Balotelli & Monti. Sono personaggi sovrapponibili, pur essendo agli antipodi, come dimostra il fotomontaggio che spopola sul web ed è assurto icona di questa fase di neo-orgoglio nazionale: il Super-Supermario, appunto, con il volto professorale del capo del governo in loden e la testa pelata con cresta gialla (più doppio orecchino sul lobo destro) dell’attaccante azzurro.

«Diciamo grazie al Mario della semifinale contro la Germania e al Mario del match politico-diplomatico giocato a Bruxelles», twitta Pier Ferdinando Casini. E come il leader dell’Udc, sono in tantissimi a fare questo gioco del doppio nome. O anche del triplo.

«E’ bello essere passati da Tremonti a tre Marii», sostengono quelli che al bomber e al premier affiancano giustamente un altro personaggio fondamentale di questa euro-fase: il presidente della Bce, Mario Draghi. Il Mario premier si diverte a scherzare sull’argomento: «Dopo ciò che è accaduto nella partita contro la Germania, io e il professor Mario Draghi potremmo fare un comunicato congiunto che dica: ci siamo anche noi, e non esiste solo Balotelli».

La tartaruga è la prima differenza tra i due Mario. Balotelli la tartaruga ce l'ha e Monti non ce l’ha. Del resto è impossibile immaginare quest'ultimo che si toglie la maglietta dopo aver segnato un gol ad Angela Merkel. Ma quando vuole anche Monti, come si è visto, tira fuori i muscoli. I due Mario sono leader diversi e complementari. Uno è l'eccesso e l'altro è la misura, ma entrambi non gioiscono quando mettono a segno un punto. Monti perchè è un tipo cool, Balotelli perché ha la tristezza negli occhi e nell'anima.

Tutti e due sembrano non patire granchè la fatica o forse dissimulano. E comunque, spiritoso lo striscione tricolore portato nello stadio di Varsavia da un gruppo di tifosi napoletani: «SuperMa’, ’o vincimm ’stu spread?».

Ognuno dei due Mario può contare su un papà importante. Il genitore del premier è Napolitano e Prandelli ha fatto l'altro Mario senatore a vita a sua insaputa e soltanto la pazienza certosina del ct azzurro poteva riuscire a vincere la sregolatezza del talento siculo-bresciano.

Chissà se quando si vedranno dopo la finale di Kiev (nella speranza che andrà bene), un Mario chiederà all'altro dotte informazioni sul fiscal compact o sui debiti sovrani e il bomber spiegherà al premier chi è Rihanna o chi è Drake, il rapper a cui dice di ispirarsi Balotelli quando tira i suoi missili. Una volta, il 15 novembre 2011, per l’incontro tra il presidente della Repubblica e i nuovi cittadini italiani figli di immigrati, anche Balotelli con Osvaldo e altri azzurri si è recato al Quirinale. Poi, andando via, sulle scale il bomber passa davanti a un corazziere e di colpo gli si avvicina fingendo di volergli strizzare le parti basse. Quello, costretto all'immobilità statuaria, non fa una piega, e però sull'angolo della bocca si intravede un sorriso rivolto alla mossa pazza del goliardico Mario. A cui si può chiedere tutto ma non di condividere con Monti l’aplomb istituzionale. Quanto al fisico, scherza on line Mario Cavallaro, simpatico deputato marchigiano del Pd: «Noi Mario abbiamo tutti il fisico di Monti e la testa di Balotelli. Sapevatelo».

I due dominatori d'Europa sono italiani da tempi difficili. E guarda caso, commentando il mundial vinto in Spagna nell'82, a suo tempo Monti scrisse che «nel calcio, come nell'economia, il nostro Paese è in grado di agire risolutamente solo nelle situazioni d'emergenza». La tattica del Mario di governo è stata quella di spiazzare Merkel facendo squadra con Rajoy e giocando di sponda con Hollande. La tattica del Mario del pallone è stata quella, da sempre e anche stavolta, di non avere tattica. Se gli arriva una palla buona, cerca di ficcarla dentro. This is football.
Nella divisione dei compiti, tra Supermario e Supermario, uno prova a mettere a segno gli eurobond e l'altro a portare a casa gli eurogol. Se andassero a cena insieme, non è assolutamente immaginabile di che cosa possano parlare questi due, essendo pianeti lontani. Il Mario premier non sa nulla di hip hop, e non ha mai messo una cuffia nelle orecchie se non quelle della commissione europea; mentre il Mario bomber nella testa insieme a qualche grillo (stavolta non si tratta di Beppe) ha soprattutto la musica nera.

La nuova leadership d'Europa è dunque rappresentata da questa strana diarchia. Cioè, per dirla con un sorriso, dalle due facce del Mario nostrum.

Trafficanti di droga arrestati in Sardegna

Coca e hashish arrivavano dalla Campania

NAPOLI - Una organizzazione di trafficanti di droga, che agiva tra la Campania e la Sardegna, è stata sgominata nella notte dagli agenti della Squadra Mobile della questura di Cagliari dopo una lunga inchiesta coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia sarda. Sono otto gli ordini di custodia cautelare in carcere firmati dal gip del tribunale Alessandro Castello, su richiesta del pubblico ministero Giancarlo Moi, coordinatore della Dda, che gli uomini guidata dal primo dirigente Leo Testa, hanno eseguito fin dalle prime ore dell'alba.

In manette è finito il presunto capo dell'organizzazione Fabio Podda, 35 anni di Cagliari, titolare di bar e circoli privati: era lui, secondo la Dda, a guidare la banda che controllava un traffico di stupefacenti nel rione di Is Mirrionis, a Cagliari, facendo arrivare la droga direttamente dalla Campania.

Nelle scorse settimane proprio a Podda, il Gico della Guardia di Finanza aveva sequestrato circa 3 milioni di euro tra patrimonio immobiliare, oltre 700 mila euro di denaro liquido, veicoli e conti correnti bancari. Con lui sono finiti in cella anche i due presunti fornitori della droga che, con cadenza mensile, facevano arrivare in Sardegna importanti quantitativi di hashish e cocaina.

Si tratta di Alfonso Cardinali, 40 anni, e Mario Autiero, di 43, entrambi di Torre del Greco, arrestati e rinchiusi nel carcere della stessa cittadina napoletana. Custodia cautelare nel carcere cagliaritano di Buoncammino anche per Paolo Sulis, 60 anni di Quartucciu, ritenuto insieme a Podda uno dei capi dell'organizzazione, e per il figlio Salvatore, 28 anni, così come per Massimo Farris, di 49 di Cagliari, Efisio Murru di 50 di Quartucciu e Antonio Santi Cattafi di 45 di Terme Vigliatore in provincia di Messina.

Quest'ultimo, considerato dalla Dda il corriere della banda era già detenuto: lo avevano arrestato a settembre gli uomini della Mobile perchè trovato in possesso di un quintale di hashish e mezzo chilo di cocaina nascosti nel proprio autocarro carico di piante di ulivo. Contestati, tra gli altri, i reati di associazione a delinquere finalizzato al traffico illecito di droga. Sono ancora in corso perquisizioni nelle abitazioni e nelle pertinenze degli otto arrestati, ma la Direzione Distrettuale Antimafia ha già espresso il proprio compiacimento per l'operazione eseguita dalla Polizia di Stato.

Spari a Bitonto Un ferito all'addome per lotte tra clan



BITONTO - Si spara ancora a Bitonto. A circa due mesi dal ferimento alle gambe del giovane Vito Di Cataldo (ultimo episodio solo in ordine di tempo) nel pomeriggio di oggi polizia e 118 sono dovuti intervenire per soccorrere Vito Cotrufo, 37 anni, ferito all'addome. L'uomo pare sia legato al clan Cipriano. Cotrufo si è presentato da solo al pronto soccorso dell’ospedale di Bitonto e dopo le prime medicazioni è stato trasferito e sottoposto ad intervento chirurgico nell’ospedale San Paolo di Bari. Le sue condizioni non sono gravi. L’uomo non ha fornito indicazioni nè per quanto riguarda il luogo dove è avvenuto il ferimento, nè le modalità dell’agguato.

Ad ogni modo una sparatoria sembra sia avvenuta in via Berlinguer dove spesso si affrontato i clan per questioni legate allo spaccio di droga. Dalle prime testimonianze raccolte dagli investigatori sembra che numerosi colpi di mitraglietta, siano stati esplosi da un'auto o uno scooter non meglio identificati, contro una Fiat Punto blu, forse dopo un inseguimento.
Probabilmente il ferimento di Cotrufo e la sparatoria di via Berlinguer sono eventi collegati che danno l'idea del clima incandescente in città, e non per l'afa prodotta da Caronte.

Padova, arrestati re ecomafie casalesi e 2 imprenditori per bancarotta


Padova, 29 giu. (LaPresse) - Arrestati dalle fiamme gialle di Padova il re delle ecomafie casalesi e due imprenditori padovani per bancarotta fraudolenta e frode fiscale. Fatturato milionario, apertura di filiali negli Usa, in Brasile, in Australia ed in Turchia. Poi il default finanziario ed il fallimento. Oltre 200 dipendenti lasciati sulla strada. E' quanto emerso dalle investigazioni dei finanzieri ripercorrendo la storia della T.P.A., società dell'Alta Padovana produttrice di impianti per la triturazione dei rifiuti, settore notoriamente d'interesse per la criminalità organizzata. Gli uomini del comando provinciale di Padova, coordinati dalla procura della Repubblica della città del Santo, hanno portato a termine un' indagine avviata nel luglio del 2008 a seguito di verifiche fiscali eseguite nei confronti di due srl controllate dall'imprenditore padovano. Decine le perquisizioni su tutto il territorio nazionale, con l'impiego di oltre 100 finanzieri d di Padova, Roma, Milano, Bergamo, Treviso, Vicenza, Caserta e del Gico di Venezia.

Le indagini di polizia tributaria hanno fatto emergere un giro milionario di fatture false ed un vorticoso susseguirsi di ingenti flussi finanziari tra le aziende venete coinvolte ed una società casertana controllata da un imprenditore contiguo al clan dei casalesi, protagonista della penetrazione camorristica nel settore dei rifiuti. Le successive investigazioni di polizia giudiziaria condotte dalle fiamme gialle di Cittadella (Pd), hanno permesso di accertare come dietro il fallimento della Tpa e la messa in liquidazione delle società da questa controllate, si celassero numerose operazioni illecite realizzate dall'imprenditore padovano con il concorso della coniuge e dell'affarista casertano, ritenuto dagli investigatori eminenza grigia delle ecomafie casalesi. Tutto avuto inizio con l'estromissione degli altri soci padovani della T.P.A. attraverso l'aumento del capitale sociale, voluto dall'amministratore di fatto, finanziato con l'immissione di tre milioni di euro di liquidità, denaro proveniente da un'impresa casertana, successivamente restituito attraverso false operazioni commerciali volte a nascondere la fraudolenta distrazione di capitali della società. Grazie a tale ricapitalizzazione l'imprenditore patavino ha ottenuto il pieno controllo della T.P.A., legandosi sempre più all'imprenditore casertano ed alla sua società, a vantaggio della quale ha emesso complessivamente fatture per operazioni inesistenti per oltre 8.000.000 di euro. Così i bilanci della T.P.A. Venivano gonfiati e l'amministratore ha potuto ottenere da istituti bancari dell'Alta Padovana, ingenti linee di credito per oltre quattro milioni di euro, mai restituiti.Le molteplici distrazioni hanno portato nel 2009 al fallimento della T.P.A. con un passivo di oltre 25 milioni di euro e l'aggravante di aver lasciato sulla strada oltre 200 lavoratori nonostante l'iniezione di 5 milioni di euro da parte di una holding cipriota con interessenze in Svizzera.

Intanto l'amministratore della T.P.A., con l'avvocato affarista casertano, non si faceva mancare nulla: auto di grossa cilindrata, tra cui una Ferrari 360 Modena ed una Ferrari Scaglietti, un'imbarcazione ormeggiata a Caorle nel veneziano e una lussuosa villa con piscina. Ai tre responsabili le fiamme gialle padovane hanno notificato altrettante ordinanze di custodia cautelare, di cui due in carcere, disposte dal tribunale di Padova. Dovranno rispondere di gravi e reiterate condotte di bancarotta fraudolenta e frode fiscale. Il 're dei rifiuti', già agli arresti domiciliari nell'ambito di altro procedimento penale della Dda di Napoli, dovrà anche rispondere di concorso in bancarotta fraudolenta, con riferimento a singole condotte detrattive e frode fiscale per l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. La guardia di finanza ha denunciato a piede libero altre 6 persone per frode fiscale, e ha constatato nei confronti di sei società di cui 5 venete ed 1 campana, una base imponibile sottratta a tassazione per 13 milioni di euro circa, violazione all'Iva per 6 milioni di euro, fatture per operazioni inesistenti per 11 milioni di euro nonché contestato proventi illeciti per 4 milioni di euro.

Cronisti della Ard "2 Teste di Minchia" allo sbaraglio o "Lecca Coglioni" da strapazzo

Cronisti nella bufera "Cassano-Balotelli due randagi"

Hanno fatto grande scalpore i commenti dei telecronisti della tv pubblica tedesca Beckmann e Scholl che durante la semifinale Italia-Germania hanno definito Cassano e Balotelli due cani randagi e due persone non autosufficenti. Dalla Svizzera chiedono che vengano fatti fuori


L'ennesima uscita di scena contro l'Italia è stata presa con stile da Joachim Löw che ha accettato il verdetto del campo ed elogiato gli azzurri per aver interpretato meglio la semifinale. C'è però chi è stato molto meno corretto del ct tedesco ed ha usato parole molto meno lusinghiere per descrivere l'impresa degli azzurri e l'ennesima uscita di scena della Mannschaft contro la nostra nazionale. E' il caso della coppia di commentatori della tv pubblica tedesca Reinhold Beckmann e Mehmet Scholl, sono finiti nel mirino per alcune frasi irriguardose con le quali hanno definito i due grandi mattatori della semifinale dell'Europeo, Mario Balotelli e Antonio Cassano.
UN 'ANALISI' DA CARTELLINO ROSSO - Gli interventi discutibili della coppia di cronisti è avvenuta durante la pausa di metatempo, nella disamina classica che si fa in ogni partita tra un parziale e l'altro. In questa occasione Beckmann, visibilmente corrucciato per l'esito della partita, ha definito i due attaccanti azzurri due 'Straßenköter', letteralmente due cani randagi: un espressione che ha dato fastidio a tanti telespattori e sportivi. Scholl, ex centrocampista del Bayern Monaco e della Nazionale tedesca, è stato ancor più inopportuno e duro definendo Cassano e Balotelli due 'Pflegefälle', ossia due casi disperati per le tante disavventure fuori dal campo. Peccato per il 42enneex fuoriclasse tedesco, che il vero significato del termine sia quello di persone non autosufficienti. Non proprio una chiccheria, non c'è dubbio.


SCANDALO IN SVIZZERA - La vicenda ha scatenato grande polemica soprattutto in Svizzera: il tabloid Blickch ha chiesto ai due cronisti della Ard di 'tornare a casa al più presto, come successo agli undici di Löw'. Staremo a vedere se ciò accadrà oppure no.

Mafia – Operazione “Nuova Cupola”, conclusi gli interrogatori

 I Gip non convalidano 5 fermi

Agrigento – Mentre continuano ad infuriare le polemiche sulla “intempestività” dell’operazione “Nuova Cupola” che avrebbe interferito con l’indagine mirata all’arresto del boss latitante Matteo Messina Denaro, i Gip del Tribunale di Agrigento Zammuto, D’Andria, Davico e Mosti, su delega del Gip del Tribunale di Palermo, hanno concluso gli interrogatori degli arrestati.
L’operazione “Nuova Cupola”, avrebbe azzerato il nuovo organigramma di Cosa nostra di Agrigento, che, dopo la cattura dei boss Giuseppe Falsone e Gerlandino Messina si stava riorganizzando.
52 le persone coinvolte nell’operazione antimafia, tra le quali Leo Sutera, presunto nuovo reggente provinciale di Cosa nostra, Fabrizio Messina, fratello dell’ex latitante Gerlandino e Francesco Ribisi di Palma di Montechiaro.
5 i fermi non convalidati dai Gip (Rosario e Salvino Mangione, 26 e 39 anni, di Raffadali, Giovanni Rampello, 25 anni, di Agrigento Vetro, 54 anni, di Sciacca e Vincenzo Cipolla, 50 anni, di San Biagio Platani).
Per il siculianese Giuseppe Lo Mascolo, ricoverato in ospedale dopo la cattura, il Gp Stefano Zammuto ha disposto gli arresti domiciliari.
A Vincenzo Cipolla, difeso dagli Avv.ti Laura Grado e Mormino, era stato contestato il reato di estorsione con l’aggravante dell’articolo 7 (metodo mafioso). Interrogato ieri presso l’aula bunker della casa circondariale agrigentina, alla presenza dell’Avv.to Grado che ha assistito il proprio cliente, il Gip, Dott. Mosti, non ha convalidato il fermo, ritenendo insussistenti i gravi indizi indicati dalla D.D.A.

venerdì 29 giugno 2012

Cocaina in mediaset, Barale e Costanzo smentiscono


Bufera droga su Mediaset e personaggi noti della televisione: un blitz dei carabinieri ha smantellato uno dei più grandi giri dello spaccio della movida milanese, in cui sarebbe implicata l'azienda di Cologno Monzese. Le indagini guidate dal colonnello Antonino Bolognani hanno scovato un laboratorio a Cassina de' Pecchi, alle porte di Milano, finanziato con i proventi della cocaina che importavano dal Sud America tramite via aerea o container e dove grosse partite di rivoltelle giocattolo venivano trasformate in armi vere. Ventidue gli uomini arrestati tra italiani, albanesi e sudamericani, contro cui Mediaset chiede di costituirsi parte lesa.
A compromettere molte celebrità ci sarebbero infatti delle intercettazioni telefoniche di Marco Damiolini, secondo gli inquirenti il boss dell'organizzazione: "Non posso dargli neanche la merda a quelli di Mediaset. Io lo so già come son fatti quelli... quelli mi portano via trenta grammi a botta. Mo' ti dico una cosa, guarda che Mediaset... se ti blindano se la cantano. È normale". E sempre ad un amico Damiolini avrebbe tirato fuori i nomi di Paola Barale e Maurizio Costanzo: "L'amico mio ha preso 12 anni di galera perché lavorava con Maurizio Costanzo. Lui gli dava la barella (la cocaina, Ndr) alla Barale, a Costanzo, ad ogni Buona Domenica. Gli dava due etti e mezzo. Gliela pagavano profumata proprio". Sarebbe quindi il trentacinquenne milanese ad aver intrattenuto direttamente i rapporti con "quelli" di Mediaset e ad aver gestito le partite di droga. Oltre al suo arresto figura indagato anche un dipendente della Sea, la società milanese che gestisce gli aeroporti, che avrebbe permesso l'elusione dei controlli all'aeroporto di Milano Linate; a occuparsi invece del traffico d'armi era l'albanese Klodian Rrodha, che comprava le pistole giocattolo per 60-80 euro l'una e le rivendeva almeno a 350 euro.


Costanzo e Barale si dicono estranei ai fatti e la presentatrice ha già rilasciato la sua dichiarazione: "Sono totalmente estranea ai fatti e di tutto quello che hanno scritto e di cui parlano non ho mai visto nè sentito niente. La cosa che mi spiace è che comunque ci possa essere qualcuno che faccia così facilmente dei nomi, senza aver prima verificato se la cosa sia vera o meno. Queste nomee e questi fatti rovinano la reputazione delle persone. Lo dico per esperienza perché ci sono già passata e, in relazione a quella storia, scritta in un modo sbagliato, sono stata risarcita. Essere abbinata di nuovo, oggi, ad una storia del genere non è che mi faccia molto piacere. Concordo anche io con Costanzo, l'unica persona che conosco in questo marasma di nomi, e per citare una frase che dice sempre: 'La madre dei cretini è sempre incinta'. Per il resto sono tranquilla perchè non ho niente di cui spaventarmi o aver paura. Mi spiace solo dover chiamare di nuovo i miei per dire che non è vera questa cosa. Ogni volta gli prende un coccolone".

Anna C

giovedì 28 giugno 2012

Germania-Italia, sale la febbre Prandelli carica gli azzurri

Fischio d'inizio alle 20.45 a Varsavia: Balzaretti a destra, Chiellini a sinistra. Buffon ai tedeschi: «Sappiamo che volete la vendetta»



ROMA - Sale la febbre per Germania-Italia: in campo stasera alle 20.45 a Varsavia. Balzaretti terzino destro al posto di Abate, Chiellini rientra e va a sinistra; in avanti confermata la coppia Cassano-Balotelli. Sono queste le scelte di Cesare Prandelli annunciate dal ct ai giocatori nella riunione tecnica che precede la partita.
Buffon carica.
«Sappiamo che volete la vendetta. E siete maledettamente forti. Una grande squadra», dice Gianluigi Buffon alla tedesca Bild, nel giorno della grande sfida fra Italia e Germania, e ammette che l'avversario è temibile.

«Non possiamo permetterci alcun errore e come sempre c'è‚ bisogno di un po' di fortuna», aggiunge il portiere della nazionale azzurra, indicato nei giorni scorsi dallo stesso tabloid come l'unico vero ostacolo alla vittoria dei tedeschi. Per il capitano azzurro, la Germania ha come suo punto forte «l'attacco». Punti deboli? «Nessuno».

Sensazioni positive ed emozioni forti. «Sogno cose fantastiche», ha detto ieri Cesare Prandelli, che per il dopo Europei non fa previsioni. «Ho un contratto che mi lega alla Nazionale fino al 2014 e con tutti ho un rapporto molto bello. Ho sempre detto che il campo mi manca, lasciamo finire l'Europeo e valuteremo», ha detto il ct azzurro a RaiSport, rispondendo alla domanda se resterà sulla panchina dell'Italia comunque.

«Ho buone sensazioni per stasera, siamo pronti - ha aggiunto Prandelli -. È una partita da emozioni forti e grandi aspettative. Nonostante i problemi non rinuncio alla qualità in mezzo al campo». La Nazionale del bel gioco rischia di essere fenomeno isolato nel calcio italiano, ma Prandelli non se ne cruccia «diciamo pochi ma buoni, e quei pochi ma buoni possono bastare per dare un messaggio. Il sentimento che nutro verso questa Italia è che finalmente ha riportato la gente a seguirla ed amarla».

Prandelli è tornato a parlare della Germania come esempio anche per l'Italia («È una nazione che è riuscita a programmare il futuro, noi dobbiamo fare lo stesso») e ha poi concluso parlando del cammino dell'Italia fino alla semifinale. «Quando è cominciata l'avventura a Coverciano, davanti a certi contrattempi abbiamo dato tutti la priorità al gruppo. Ci siamo isolati e siamo arrivati fin qui: è un risultato straordinario».

Scacco al clan dei Giampà di Lamezia Terme, 34 arresti

Le donne al vertice con il ruolo di "portaordini"

Operazione "Medusa" portata a termine in maniera congiunta di Polizia, Carabinieri e Guardia di finanza con 36 ordinanze cautelari, due delle quali non eseguite. Tra le accuse contestate a vario titolo agli indagati, usura, danneggiamenti, estorsioni, favoreggiamento, associazione mafiosa. Coinvolte diverse donne che avevano il ruolo di raccogliere gli ordini durante i colloqui in carcere e di riportarli agli affiliati

LAMEZIA TERME (Catanzaro) - Trentasei ordinanze di custodia cautelare in carcere sono state emesse dalla Dda di Catanzaro a carico di esponenti della 'ndrangheta di Lamezia Terme (Catanzaro). In manette capi e gregari del clan Giampà. I provvedimenti (34 dei quali eseguiti) hanno impegnato la squadra mobile della Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza. Tra le accuse contestate a vario titolo agli indagati, usura, danneggiamenti, estorsioni, favoreggiamento, associazione mafiosa. Gli inquirenti ritengono di aver fatto luce su una serie di atti intimidatori avvenuti ultimamente nella città calabrese. Tra le persone coinvolte nell'operazione ci sono anche Rosa e Vanessa Giampà, figlie del boss Francesco, detto "U professore", e detenuto per essere ritenuto il mandante dell'omicidio del sovrintendente di polizia Aversa. In manette anche un carabiniere in servizio a Lamezia Terme, Roberto Gidari. E c'è anche un secondo carabiniere tra le persone coinvolte nell'operazione. Per il militare il gip non ha ritenuto di dovere applicare la custodia in carcere, non avendo applicato l'aggravante mafiosa.
Con l’operazione «Medusa», gli investigatori ritengono di avere decapitato la cosca arrestando tutti gli elementi di spicco. Dalle indagini è emerso che a capo dell’organizzazione ci sarebbe stato Francesco Giampà, detto il «professore», attualmente detenuto. Al vertice, inoltre, c'era una «cupola» composta da cinque elementi, quattro dei quali già in carcere. Nel blitz sono finite anche diverse donne. Secondo gli inquirenti, avevano il ruolo di «portaordini» dei capi detenuti che, grazie ai colloqui avuti con esse in carcere, facevano arrivare all’esterno i messaggi destinati agli accoliti. All’esecuzione dei provvedimenti hanno preso parte 100 carabinieri, 60 finanzieri e 160 agenti di polizia. Numerose le perquisizioni eseguite contestualmente agli arresti. Per le 11 a Catanzaro, in prefettura, è prevista una conferenza stampa degli inquirenti. Ci sono diverse donne fra le persone raggiunte stamani dalle 36 ordinanze di custodia cautelare (34 delle quali eseguite) emesse dalla Dda di Catanzaro a carico di altrettante persone indicate come appartenenti, a vario titolo, al clan mafioso Giampà di Lamezia Terme. Secondo gli inquirenti, avevano il ruolo di «portaordini» dei capi detenuti che, grazie ai colloqui avuti con esse in carcere, facevano arrivare all’esterno i messaggi destinati agli accoliti. All’esecuzione dei provvedimenti hanno preso parte 100 carabinieri, 60 finanzieri e 160 agenti di polizia. Numerose le perquisizioni eseguite contestualmente agli arresti. Per le 11 a Catanzaro, in prefettura, è prevista una conferenza stampa degli inquirenti.
IL RUOLO DEL CARABINIERE. Il militare finito in carcere prestava servizio nella Compagnia di Lamezia ed è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo l'accusa avrebbe passato agli affiliati alla cosca notizia sulle indagini condotte dai suoi colleghi che hanno portato all’emissione delle ordinanze di custodia cautelare.
I COLLABORATORI DI GIUSTIZIA. Prima Angelo Torcasio, poi Costantino Battista, quindi anche i fratelli Saverio, Rosario e Giuseppe Cappello. La cosca Giampà è forte, pronta ad organizzarsi nei minimi dettagli, ma qualcosa al suo interno si è rotto. Perché a dare man forte alle indagini già in atto da parte di polizia, carabinieri e guardia di fiannza, sono state anche le "gole profonde" che si sono aperte proprio nella pancia del clan. L'estate scorsa, la polizia di Stato ha fatto scattare le manette intorno al polsi di alcuni esponenti di spicco della 'ndrina, ed è proprio da quel momento che qualcosa si è rotto nel meccanismo consolidato. «Questi arresti - ha spiegato Giuseppe Borrelli, procuratore aggiunto della Dda di Catanzaro - hanno determinato una ulteriore evoluzione alle indagini, perché hanno permesso di legare alcuni aspetti che erano emersi». Secondo Rodolfo Ruperti, capo della squadra Mobile di Catanzaro, «queste collaborazioni, a partire da quella di Angelo Torcasio, che aveva un ruolo di primo piano, hanno dimostrato un cedimento nella cosca». D'altronde, sarebbero almeno dieci i collaboratori di giustizia che, a vario titolo, hanno raccontato retroscena e legami del clan che gestiva Lamezia Terme.

PASQUALINO RETTURA e SAVERIO PUCCIO

Lei filma un rapporto sessuale e lo minaccia, arrestata

La giovane avvenente e il professionista sposato.

Una giovane commerciante di 25 anni è stata arrestata a Tortora dai carabinieri di Scalea con l'accusa di estorsione. Avrebbe avvicinato per lavoro il professionista, quindi l'incontro intimo nello studio dell'uomo che è stato ripreso con il telefonino e poi l'inizio del ricatto minacciando di diffondere il video. Le manette sono scattate alla consegna dei soldi


SCALEA (Cosenza) - I carabinieri di Scalea (Cosenza) hanno chiamato «Mantide religiosa» l’operazione che ha portato all’arresto di una giovane e avvenente venticinquenne di Tortora, A.S., colta in flagranza mentre tentava un’estorsione. La giovane, commerciante e titolare di un negozio di abbigliamento, già nota alle forze dell’ordine, ricattava un uomo, minacciando di diffondere il filmato relativo ad un rapporto sessuale avuto con lui.
La donna, secondo quanto reso noto dagli inquirenti, dopo essersi avvalsa della consulenza di un professionista molto conosciuto nella zona, e coniugato, lo avrebbe spinto ad avere un rapporto sessuale con lei, nel suo stesso studio. L’uomo, a seguito delle insistenze della giovane, ha consumato con lei il rapporto sessuale. Che però la giovane, di nascosto, ha filmato con il suo telefonino. Poi, probabilmente con l’aiuto di altre persone, ha minacciato il professionista di rendere nota la relazione extraconiugale se non le avesse versato una cospicua somma di denaro. Ma l’uomo si è rivolto ai carabinieri. Si è presentato nel luogo pattuito per lo scambio e qui la ragazza, ricevuto il denaro, è stata tratta in arresto dai militari, che si erano appostati, e poi condotta nel carcere femminile di Castrovillari.

Droga in uffici Mediaset e affari con le 'ndrine

22 arresti in Lombardia: importavano pure armi

A novembre erano stati arrestati tre dipendenti dell'azienda televisiva per l'attività di spaccio, ora è stata sradicata l'organizzazione con la quale si relazionavano. Dalle intercettazioni emergono affari con la 'ndrangheta. Un trafficante diceva: «I calabresi sono gente particolare»


MILANO – C'era la rete della 'ndrangheta che si intrecciava con l'organizzazione che portava la droga fin negli uffici Mediaset di Cologno Monzese. A novembre tre dipendenti dell'azienda erano stati arrestati con l'accusa di spaccio di droga, nell'ambito di un'inchiesta nella quale i vertici Mediaset sono considerati parte lesa. Ora è stata sradicata l'organizzazione alla quale i tre si rivolgevano. Importavano cocaina e hashish da Olanda, Ecuador, Marocco e Spagna per "piazzarl" sul mercato italiano, fabbricavano e vendevano «armi da guerra». Quella sgominata dal nucleo investigativo dei carabinieri di Milano - 22 arresti in mattinata tra il capoluogo lombardo, Bergamo e Varese – era una struttura ben radicata, su cui si sono concentrate, dalla fine del 2008, le indagini cooordinate dal sostituto procuratore, Antonio Sangermano. Gli arrestati, italiani e stranieri, sono accusati – spiega una nota – di «associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di cocaina e hashish e alla fabbricazione, detenzione e commercializzazione di armi comuni da sparo e da guerra, nonchè ricettazione e porto illegale di armi».
Novanta gli arrestati dall’inizio dell’attività investigativa, 150 denunciati. Sequestrate ingenti quantità di cocaina, hashish, armi e munizioni, 300mila euro in contanti circa, depositi bancari ed autovetture. Nelle intercettazioni, uno dei trafficanti faceva riferimento agli affari con gli uomini della 'ndrangheta: «Tu devi capire che i calabresi sono gente particolare. Loro ti dicono... "voglio pagarla a 36 e 5 per dire"... se tu gli fai 36 e 51, un centesimo... ti dice.... "no, non la voglio"... perché c’è quel centesimo in più».

Lombardo: chiederò il rito abbreviato

L’annuncio del presidente della Regione dopo l'udienza preliminare a Catania disposta per l'imputazione coatta di concorso esterno all'associazione mafiosa


CATANIA. "Vogliamo un processo rapido e una sentenza, per questo chiederemo il rito abbreviato, condizionato a una serie di acquisizioni probatorie". Lo ha annunciato il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, dopo l'udienza preliminare a Catania disposta per l'imputazione coatta di concorso esterno all'associazione mafiosa. Lo stesso reato è contestato a suo fratello Angelo, deputato nazionale del Mpa.

Don Pino Puglisi sarà beato

Papa Benedetto XVI ha autorizzato la Congregazione per le Cause dei santi a promulgare il decreto relativo al martirio di Puglisi perchè ucciso «in odio alla fede»

PALERMO. Sarà beato don Pino Puglisi, il sacerdote palermitano ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993. Benedetto XVI ha infatti autorizzato la Congregazione per le Cause dei santi a promulgare il decreto relativo al martirio di Puglisi perchè ucciso «in odio alla fede». Il riconoscimento del martirio, che il Papa ha decretato oggi nell'udienza al prefetto per le Cause dei santi card. Angelo Amato, indica che la causa di beatificazione si è conclusa positivamente e che presto don Puglisi sarà elevato all'onore degli altari.

A motivo del suo costante impegno evangelico e sociale nel quartire Brancaccio di Palermo, controllato dalla criminalità organizzata, il 15 settembre 1993, nel giorno del suo 56/o compleanno, il sacerdote venne ucciso dalla mafia, davanti al portone di casa, intorno alle 20.45, in piazza Anita Garibaldi. Dopo le indagini, mandanti dell'omicidio furono riconosciuti i capimafia Filippo e Giuseppe Graviano. Quest'ultimo fu condannato all'ergastolo per l'uccisione di don Puglisi il 5 ottobre 1999, mentre il fratello Filippo, dopo l'assoluzione in primo grado, fu condannato in appello all'ergastolo il 19 febbraio 2001. Condannati all'ergastolo dalla Corte d'assise di Palermo anche Gaspare Spatuzza, Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone, gli altri componenti del commando che aspettò sotto casa il prete.
Padre Puglisi, il parroco ucciso dai boss mafiosi

PALERMO. Disse prima di morire: "Me l'aspettavo". Furono le ultime parole pronunciate da Padre Pino Puglisi, soprannominato 3P, parrocco di Brancaccio, davanti alla pistola impugnata dal boss Giuseppe Grigoli. Adesso il sacerdote sarà beato, Benedetto XVI ha infatti autorizzato la Congregazione per le Cause dei santi a promulgare il decreto relativo al martirio di Puglisi perché ucciso "in odio alla fede".
Era la sera del 15 settembre 1993. Fu ammazzato nel giorno in cui compiva 56 anni. I killer erano attesi dal sacerdote che era consapevole del pericolo al quale si era esposto con la sua azione di recupero dei giovani del quartiere sottratti al dominio del clan dei Graviano. Nel 1999 fu il cardinale Salvatore De Giorgi ad aprire la causa di beatificazione proclamando padre Puglisi "servo di Dio". La prima fase del processo di beatificazione si è conclusa nel 2001.
Padre Puglisi era stato nominato parroco della chiesa di San Gaetano, a Brancaccio, il 29 settembre 1990. Nel gennaio 1993 aveva aperto il centro "Padre Nostro", diventato in breve tempo punto di riferimento per i giovani e le famiglie del quartiere. La sua attività pastorale - come è stato ricostruito anche dalle inchieste giudiziarie - ha costituito il movente dell'omicidio.
Gli esecutori e i mandanti mafiosi, legati alla cosca mafiosa di Filippo e Giuseppe Graviano, sono stati condannati con sentenze definitive: ergastolo per i Graviano, Gaspare Spatuzza (che spalleggiava il killer e poi ha raccontato i retroscena del delitto), Nino Mangano, Cosimo Lo Nigro e Luigi Giacalone. Oltre a Spatuzza anche Grigoli è diventato collaboratore giustizia: la sua scelta, che ha preceduto quella di Spatuzza, gli è valsa una condanna a 16 anni.
"Tre coordinate hanno caratterizzato il ministero di padre Pino - ha sostenuto l'arcivescovo di Palermo Paolo Romeo in occasione dell'ultimo anniversario del delitto -: educatore dei giovani, accompagnatore e formatore di coscienze, sacerdote in ascolto delle loro esigenze e dei loro interrogativi".

Guerra tra pm sul blitz di Agrigento

Botta e risposta Messineo-Principato
Secondo l’aggiunto Teresa Principato: l'operazione di ieri è stata intempestiva e avrebbe interferito con un'inchiesta che doveva portare alla cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro. Mail di risposta del procuratore capo di Palermo: provvedimento doveroso e preminente


PALERMO. E' ormai scontro aperto alla procura di Palermo sul blitz che ieri ha portato in cella 47 presunti affiliati dei clan agrigentini. Un'operazione da qualcuno giudicata intempestiva che avrebbe interferito con un'inchiesta che doveva portare alla cattura del superlatitante Matteo Messina Denaro condotta dai carabinieri del Ros, secondo Teresa Principato, il procuratore aggiunto che coordina le indagini sulla mafia trapanese.
Il magistrato ha messo nero su bianco le sue lamentele e girato un'email infuocata a tutti i colleghi. Oggi è arrivata la risposta piccata del procuratore Francesco Messineo che, vistando i fermi, ha di fatto autorizzato il blitz "accontentando" i pm della dda che coordinano le inchieste sulle cosche agrigentine che hanno ritenuto di eseguire i provvedimenti nonostante i colleghi avessero paventato il rischio che così si sarebbe "stoppata" l'inchiesta sul padrino latitante.
L'operazione - scrive di fatto Messineo - è pronta dai primi di maggio. Abbiamo già dilazionato i termini per consentire che andassero avanti le indagini su Messina Denaro. "Ora - aggiunge il capo della Procura - ho ritenuto preminente rispetto al possibile approfondimento della linea investigativa già da tempo in atto, l'esecuzione di un provvedimento doveroso avuto riguardo alla gravità dei fatti accertati".
Ma ad insorgere, oltre all'aggiunto Principato e ai suoi sostituti, convinti che l'inchiesta dei carabinieri, soprattutto negli ultimi periodi, aveva offerto spunti investigativi ottimi, sono gli stessi militari del Ros che oggi hanno incontrato i magistrati per discutere del caso. Al comando generale la cosa non sarebbe piaciuta affatto e i militari dell'Arma sarebbero arrivati a ipotizzare di interrompere l'attività di ricerca del padrino trapanese su cui tante energie di uomini e mezzi il Raggruppamento Operativo Speciale ha impiegato.
La pista che i carabinieri del Ros stavano seguendo e che il blitz di ieri avrebbe "bruciato" passava per il boss Leo Sutera, 62 anni, di Sambuca di Sicilia, da sempre vicino alla mafia corleonese e in rapporti strettissimi con Messina Denaro. Scarcerato nel 2007 dopo essere stato arrestato in flagranza durante un summit di mafia in corso a Santa Margherita Belice e avere scontato una condanna a 6 anni per associazione mafiosa, il capomafia, soprannominato 'il professore', compare nei pizzini trovati nel covo di Bernardo Provenzano il giorno del suo arresto.
"Il professore" fu incaricato dal padrino di Corleone di dirimere una lite scoppiata tra Messina Denaro e i capimafia agrigentini Giuseppe Falsone e Giuseppe Capizzi che avevano provato a chiedere il pizzo a re dei supermercati Despar Giuseppe Grigoli, che aveva aperto dei punti in provincia di Agrigento, prestanome e amico del boss trapanese. Messina Denaro era insorto e Provenzano aveva affidato a Sutera il compito di mediare. Racconta il pentito Maurizio Di Gati che Sutera avrebbe detto: "Chiedere il pizzo a Grigoli significa chiederlo a Messina Denaro. E poi che facciamo: la mattina ci guardiamo allo specchio e ci sputiamo in faccia?".
Il procuratore aggiunto che indaga sulle cosche agrigentine ieri, dopo il blitz, aveva specificato che la loro indagine non sarebbe nata dalle ricerche del boss trapanese. Ma per i colleghi non basta e visti gli sviluppi recenti dell'inchiesta del Ros si sarebbe sprecata davvero una buona occasione per catturare l'ultimo capomafia di rilievo ancora libero.

Scoperta banda di pusher nel Palermitano: 18 arresti

Blitz dei carabinieri. L’organizzazione operava nell'hinterland orientale del capoluogo, in particolare a Misilmeri, incassando circa 15 mila euro a settimana. Alcuni spacciatori rapinavano i clienti che non potevano pagare le dosi
PALERMO. I carabinieri del Comando provinciale di Palermo hanno eseguito 18 provvedimenti cautelari emessi dal gip di Termini Imerese a carico di una banda che gestiva lo spaccio di droga e organizzava rapine. L'operazione, denominata “Piazza Pulita”, condotta dai militari dell'Arma di Misilmeri, è stata coordinata dal procuratore di Termini Alfredo Morvillo e dal pm Giacomo Urbano.
L'inchiesta parte dalla scoperta di una rete di persone che commerciava cocaina, eroina e hashish nell'hinterland orientale di Palermo, a Misilmeri in particolare, incassando circa 15 mila euro alla settimana. Durante un controllo i carabinieri fermarono un giovane che aveva appena comprato una dose di cocaina: il ragazzo indicò in un certo Massimo il suo pusher.
Lo spacciatore venne arrestato: da qui ebbe inizio l'inchiesta che consentì di accertare il ruolo dell'uomo nello spaccio di stupefacenti sulla "piazza" locale e a Palermo, in particolare in corso dei Mille e di identificare chi lo aiutava nell'approvvigionamento e nello spaccio al dettaglio. A carico dell'indagato sono stati accertati oltre 100 episodi di spaccio.
La vendita spesso era preceduta da una chiamata o da un sms dell'acquirente, che proponeva a Massimo di incontrarsi in uno dei bar della piazza centrale di Misilmeri. La dose era indicata col termine "birra" o "mezza birra", secondo il quantitativo da acquistare, un grammo o mezzo grammo. La consegna avveniva quindi su appuntamento, in luoghi pubblici, in modo da non destare alcun sospetto.
Il giovane pensava di avere messo a punto un sistema infallibile: si spostava a bordo di una motocicletta di grossa cilindrata e portava con sé una singola dose, in modo che, in caso di controlli, avrebbe rischiato al massimo una segnalazione alla Prefettura per uso personale di stupefacenti. Ad aiutarlo la convivente e una 42enne di Misilmeri, che a sua volta si serviva della collaborazione del figlio di 19 anni che lei stessa aveva inserito nel giro. La droga veniva fornita anche ad acquirenti di Villabate e Palermo. Dall'inchiesta è emersa un'articolata catena criminale, che coinvolge anche corrieri napoletani: la droga, infatti, veniva acquistata in Campania. Tre napoletani erano entrati in contatto con i palermitani e organizzavano il trasporto di grossi quantitativi di eroina via traghetto. Altri indagati facevano invece da "corrieri", trasportando chili di droga, soprattutto hascisc, da Palermo alla provincia di Siracusa, dove era acquistata e spacciata da un uomo di Avola, pure arrestato. Dall'indagine è emerso che alcuni spacciatori avrebbero rapinato i clienti che non erano in grado di pagare le dosi. A un giovane di Misilmeri, che ha fatto denuncia, avrebbero rubato 150 euro e un orologio di 500 euro di valore.

martedì 26 giugno 2012

Mafia: maxi-operazione nell’agrigentino"Nuova Cupola" , 49 fermati

Gran parte delle persone coinvolte, sei delle quali si trovavano già in carcere, sono di Porto Empedocle, Agrigento, Sambuca di Sicilia e Siculiana. Il gruppo si era costituito sulle ceneri delle strutture che sono collassate con gli arresti dei boss latitanti Gerlandino Messina e Giuseppe Falsone




AGRIGENTO. Quarantanove fermi di polizia giudiziaria sono stati eseguiti, nella notte, dai poliziotti della Squadra mobile di Agrigento e da quelli della sezione anticrimine di Palermo. I fermi sono stati voluti dai Pm della Dda Vittorio Teresi, Emanuele Ravaglioli e Rita Fulantelli.
Gran parte delle persone sottoposte a fermo - sei dei quali sono stati eseguiti direttamente in carcere - è di Porto Empedocle, Agrigento, Sambuca di Sicilia e Siculiana. Con questa operazione sarebbe stata decapitata la consorteria mafiosa agrigentina, costituitasi sulle ceneri delle strutture che sono collassate con gli arresti dei boss latitanti Gerlandino Messina e Giuseppe Falsone.
Tra i fermati nel blitz, denominato 'Nuova Cupola' vi sono anche volti già noti: LEO SUTER di Sambuca di Sicilia, detto 'u professuri perche' docente di educazione fisica, uscito di recente dal carcere dopo la condanna per mafia seguita all'operazione Cupola dell'agosto del 2000; FABRIZIO MESSINA, il fratello minore dell'ormai ex boss Gerlandino, assolto di recente nell'ambito di un'inchiesta di omicidio; l'imprenditore FRANCESCO RIBISI di Palma di Montechiaro, i fratelli Romeo di Porto Empedocle, attualmente in carcere e ritenuti fedelissimi del clan di Gerlandino Messina.
Coinvolti anche ROSARIO BELLAVIA, agente della polizia municipale; ALFONSO TUTTOLOMONDO, imprenditore di Porto Empedocle, e altri due imprenditori legati al mondo del cemento e calcestruzzo di Porto Empedocle. Parte attiva nell'inchiesta che ha portato all'operazione hanno avuto anche il commissariato 'Frontiera' della polizia di Stato di Porto Empedocle e lo Sco.

SGOMINATO NUOVO MANDAMENTO. Volevano costituire l'ottavo mandamento dell'Agrigentino, ma non hanno fatto in tempo perché la polizia e i magistrati della Dda li hanno fermati. A capo di questo nascente mandamento avrebbe dovuto esserci Leo Sutera di Sambuca di Sicilia, mentre suo braccio destro avrebbe dovuto essere Ribisi di Palma di Montechiaro.
"I provvedimenti riguardano 49 persone libere e altre 5 già in carcere. Dei 49 - ha spiegato il questore di Agrigento Giuseppe Bisogno - 47 sono stati presi, due, invece, mancano all'appello: non sono state trovate nelle loro abitazioni. E' un risultato importante. L'indagine è partita negli ultimi mesi del 2010, grazie al lavoro certosino della Squadra mobile e del commissariato 'Frontiera' di Porto Empedocle. Ed è partita per monitorare cosa accadeva dopo l'arresto dei due grandi capi: Gerlandino Messina e Giuseppe Falsone. Il monitoraggio ha permesso di accertare dei movimenti particolari e le evoluzioni in danneggiamenti ed estorsioni, nonché rapine".

Operazione nell'Agrigentino, i fermati


PALERMO. Ecco i nomi dei fermati nell'operazione antimafia condotta stamane nell'Agrigentino: Ettore Allegro, di Caltanissetta, 48 anni; Giuseppe Anzalone, di Ventimiglia di Sicilia (PA), 45 anni; Filippo Azzarello, di nato a Ventimiglia di Sicilia, 48 anni; Rosario Bellavia, di Siculiana, 48 anni; Roberto Belvedere, di Agrigento, 32 anni; Natale Bianchi, di Palermo, 35 anni; Antonio Brucculeri, di Agrigento, 27 anni; Pietro Capraro, di Agrigento, 32 anni; Vincenzo Capraro, di Agrigento, 28 anni; Gaspare Carapezza, di Agrigento, 35 anni; Francesco Paolo Cioffi, di Gallarate (VA), 35 anni; Vincenzo Cipolla, di San Biagio Platani (AG), 50 anni; Luca Cosentino, di Agrigento, 36 anni; Giuseppe Giovanni Faldetta, di Agrigento, 37 anni; Raffaele Faldetta, di Casteltermini (AG), 65 anni; Gerlando Fragapane, di Agrigento, 20 anni; Antonino Gagliano, di Siculiana (AG), 40 anni; Antonino Gagliano, di Siculiana, 44 anni; Giuseppe Gagliano, di Agrigento, 20 anni; Dario Giardina, di Agrigento, 31 anni; Gerlando Gibilaro, di Agrigento, 32 anni; Salvatore Guarragi, di Porto Empedocle (AG), 42 anni; Giuseppe Infantino, di Agrigento, 30 anni; Roberto Lanpasona, di Santa Elisabetta (AG), 34 anni; Gaetano Licata, di Santa Maria Capua Vetere (CE), 28 anni; Giuseppe Lo Mascolo, di Siculiana (AG), 74 anni; Antonino Mangione, di Francoforte sul Meno (Germania), 31 anni; Rosario Mangione, di Agrigento, 35 anni; Salvino Mangione, di Agrigento, 38 anni; Stefano Mangione, di Raffadali (AG), 49 anni; Antonino Mazza, di Palma di Montechiaro (AG), 39 anni; Fabrizio Messina, di Agrigento, 36 anni; Bruno Pagliaro, di Agrigento, 22 anni; Giovanni Rampello, di Agrigento, 25 anni; Francesco Ribisi, di Agrigento, 30 anni; Maurizio Rizzo, di Agrigento, 39 anni; Gerlando Russo, di Agrigento, 39 anni; Salvatore Russo Fiorino, di Raffadali (AG), 63 anni; Maurizio Salemi, di Porto Empedocle, 39 anni; Leo Sutera, di Sambuca di Sicilia (AG), 62 anni; Giovanni Stefano Tarallo, di Agrigento, 27 anni; Gianfranco Taranto, di Palermo, 61 anni; Giorgio Traina, di Porto Empedocle, 53 anni; Alfonso Tuttolomondo, di Vainingenan der Enz (Germania), 36 anni; Ludo Francesco Vazzano, di Ventimiglia di Sicilia (PA), 84 anni; Carmelo Vetro, di Sciacca (AG), 27 anni; Pasquale Vetro, di Favara (AG), 53 anni. Non sono stati reperiti, e sono tuttora in corso ricerche, Antonio Orlando, di Baucina (PA), 61 anni, e Stefano Alessandro Rizzo, di Santa Elisabetta (AG), 36 anni.
Tra i reati contestati vi sono quelli di associazione a delinquere di stampo mafioso, rapina, estorsione, riciclaggio, sottrazione e danneggiamento di beni sottoposti a sequestro, danneggiamento seguito da incendio, porto illegale d'arma da fuoco, intestazione fittizia di beni, tutti aggravati dall'art. 7 per aver commesso il fatto avvalendosi delle modalità mafiose.

Ritorna la faida di Scampia

18enne ucciso con diversi colpi alla testa


NAPOLI - Colpito alla testa diverse volte e ucciso a poca distanza dalla caserma dei carabinieri del battaglione Campania. È morto così stanotte a Miano, periferia a nord di Napoli, un ragazzo di 18 anni. Sono stati i carabinieri del battaglione Campania a udire i colpi di arma da fuoco e a scoprire il cadavere del ragazzo lungo via Cupa Cardone. La vittima è stata colpita più volte al viso: una modalità che sembra essere quella di un'esecuzione. Il ragazzo non ha con sè documenti ed è in corso l'identificazione. Dai primi accertamenti sembra essere italiano. Sul corpo ha diversi tatuaggi.

La vittima si chiamava Marco Riccio. Il giovane, colpito alla testa da diversi colpi di arma da fuoco, aveva diversi precedenti per rapina e droga. Tra un mese avrebbe compiuto 19 anni e secondo quanto al momento accertato dai carabinieri, era ritenuto vicino al clan Amato-Pagano che controlla lo spaccio di stupefacenti a Scampia.

Blitz contro il clan Pianese-D'Alterio 66 arresti

Il boss era una donna

NAPOLI - Sessantasei persone affiliate al clan camorristico Pianese-D'Alterio attivo nell'hinterland a nord di Napoli, ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, estorsione, rapina, spaccio di stupefacenti, violazione della legge sulle armi, sono state arrestate dai carabinieri del Gruppo di Castello di Cisterna. Tra gli altri è stata catturata anche Raffaella D'Alterio, la donna divenuta capo del clan dopo l'uccisione del marito, Nicola Pianese.

Le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, hanno documentato alleanze dei Pianese con i Mallardo di Giugliano e i Bidognetti e gli Schiavone di Casal di Principe. Inoltre sono state scoperte le dinamiche che avevano originato contrasti nel clan Pianese, culminati con l'omicidio del reggente e sono state ricostruite le fasi del conflitto tra i clan Pianese-D'Alterio e De Rosa per il controllo di un ingente volume di estorsioni e rapine ai danni di imprenditori, spaccio di stupefacenti e contraffazione e spendita di banconote false. Nel corso dell'operazione sono stati sottoposti a sequestro beni immobili (bar, concessionarie di auto, supermercati, abitazioni) e mobili (conti correnti e auto di grossa cilindrata).

Giovane ucciso a colpi d'arma da fuoco

 Abbandonato davanti Villa Betania un altro ferito a coltellate
NAPOLI - Raggiunto da colpi di arma da fuoco, è morto poco dopo il ricovero a Villa Betania, ospedale del quartiere Ponticelli, alla periferia est di Napoli. La vittima è Giuseppe Sannino, 21 anni, residente a Cercola e già noto alle forze dell'ordine. Il suo corpo è stato abbandonato davanti all'ospedale. Poco dopo, nella stessa struttura, è stato soccorso Mario Noto, 23 anni, anche lui già noto alle forze dell'ordine e residente a Cercola, nella stessa strada della vittima. Noto è stato colpito con un coltello alla natica in maniera non grave. È probabile che i due episodi siano collegati; secondo una prima ipotesi il delitto potrebbe essere originato da un litigio. Sulle vicende indagano i carabinieri

Nel mirino un imprenditore romano vicino alle cosche

Confiscati beni per 115 milioni di euro

Il provvedimento è stato emesso dalla Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria. Federico Marcaccini era stato coinvolto nell’operazione 'Overloading' contro il traffico internazionale di droga gestito dalle cosche della 'ndrangheta di San Luca. Tra i beni anche 32 società con sede tra Roma e Latina


REGGIO CALABRIA - Beni per 115 milioni di euro sono stati confiscati dalla Direzione investigativa antimafia di Reggio Calabria ad un imprenditore romano, Federico Marcaccini, di 34 anni, coinvolto nel 2010 nell’operazione chiamata 'Overloading' contro il traffico internazionale di droga gestito dalle cosche della 'ndrangheta di San Luca. I beni confiscati sono 32 società, a Roma e Latina, orologi e monili d’oro custoditi in una cassetta di sicurezza ed alcuni immobili.

Fisco, blitz nel Palermitano Controlli nei negozi: il 60% non rilascia scontrino

Operazione della guardia di finanza a Partinico, Bagheria, Termini Imerese, Carini e Cefalù. Su oltre 200 attività commerciali ispezionate riscontrate 145 violazioni. Nei mercati rionali si è registrato il picco più alto di irregolarità, con una incidenza pari all'85%


PALERMO. La guardia di finanza di Partinico, Bagheria e Termini Imerese ha effettuato controlli fiscali, estesi a Carini e Cefalù, per verificare il rispetto dell'obbligo del rilascio di scontrini e ricevute fiscali. Gli interventi sono stati svolti sulla base di precedenti attività di intelligence e analisi mediante le banche dati a disposizione delle Fiamme gialle.
Elevata la percentuale di violazioni: su oltre 200 attività commerciali ispezionate, appartenenti a tutte le diverse categorie economiche tenute all'obbligo di certificazione dei corrispettivi, sono stati riscontrati 145 casi (60%) di mancato rilascio dello scontrino e della ricevuta fiscale o di omessa installazione del misuratore fiscale.
Una quota significativa degli interventi, è stata concentrata nei mercatini rionali nel territorio delle Madonie e dei principali centri cittadini di Partinico, Termini Imerese e Bagheria. Proprio nei mercati si è registrato il picco più alto di irregolarità, con una incidenza pari all'85%. Negli stessi mercatini, soprattutto a Bagheria e Partinico, la Gdf ha anche sequestrato a carico di ambulanti completamente abusivi, circa 500 pezzi contraffatti fra cd musicali e dvd, nonché borse, cinture e accessori falsi contrassegnati con il logo di famose griffe, denunciando alla Procura 3 persone.
Dall'inizio dell'anno a tutto il mese di maggi, ammontano a 3.035 i controlli sul rilascio di scontrini e ricevute fiscali svolti dalla Gdf di Palermo su tutto il territorio provinciale, con una percentuale di irregolarità, di circa il 47%, che sale all'82% nella sola città capoluogo. Nello stesso periodo sono stati 12 gli esercizi commerciali chiusi per alcuni giorni per mancato rilascio del documento fiscale avvenuto 4 volte nell'ultimo quinquennio; 22 le proposte di ulteriore chiusura inoltrate dai finanzieri all'Agenzia delle Entrate per la stessa ragione.

Pentito: «Detenuti a Bari si scambiano la droga durante le udienze»


BARI – Durante le udienze, alcuni imputati detenuti si scambiano droga nelle celle di stazionamento e confezionano spinelli. La rivelazione è contenuta in un verbale redatto qualche giorno fa da uno degli imputati del processo al clan barese Strisciuglio in corso davanti alla Corte d’assise di Bari. Si tratta del 33enne Giovanni Amoruso, accusato di essere l’esecutore materiale dell’omicidio del pregiudicato Antonio Chiarolla, compiuto nel quartiere Libertà del capoluogo pugliese il 10 ottobre 2006.

Il pm Antimafia Desiree Digeronimo ha comunicato in aula che Amoruso ha deciso di collaborare con la giustizia. In un verbale nel quale ha reso ampie ammissioni rispetto ai fatti che gli vengono contestati ha anche accusato alcuni coimputati di aver portato hascisc nel palazzo di giustizia. In particolare ha riferito che nell’udienza del 4 giugno scorso l’imputato Giuseppe Milloni, detenuto nel carcere di Taranto, ha ceduto al coimputato Leonardo De Filippis alcune dosi di hascisc perchè questi le cedesse nel carcere in cui è detenuto, a Bari. Nell’udienza successiva del 6 giugno, l’imputato Vito Valentino avrebbe confezionato in cella alcuni spinelli.
A seguito di queste dichiarazioni il pm ha notificato ai circa 20 imputati detenuti, presenti all’odierna udienza, decreti di perquisizione personale che hanno avuto esito negativo. L’unico ad essere stato iscritto nel registro degli indagati con una nuova accusa di detenzione di droga è Valerio Violante, detenuto nel carcere di Ariano Irpino, al quale nei giorni scorsi, sulla base delle stesse dichiarazioni di Amoruso, sono stati trovati in carcere alcuni frammenti di hascisc.
La prossima udienza è fissata per il 29 giugno con le audizioni dei due collaboratori di giustizia Giacomo Valentino e Antonio Passaquindici.

lunedì 25 giugno 2012

Afghanistan, muore un carabiniere

«Trovati resti di un razzo da 107mm»

L'attacco in un campo d'addestramento. Due feriti. La vittima lascia la moglie e un bimbo di 8 mesi. Il cordoglio delle istituzioni

Manuele Braj aveva 30 anni
ROMA - Un carabiniere è morto e altri due sono rimasti feriti alle gambe in seguito a un'esplosione avvenuta stamani in un campo addestrativo della polizia afghana, ad Adraskan. L'attentato è avvenuto alle 8.50 locali (le 6.20 in Italia) in prossimità di una garitta di osservazione installata a ridosso della linea di tiro del poligono. L'esplosione è stata provocata da un razzo controcarro Rpg sparato dall'esterno, da notevole distanza, che ha centrato la garitta di osservazione dove si trovavano i carabinieri, tutti appartenenti al Pstt (Police Speciality Training Team), uno speciale nucleo addestrativo della polizia afghana. Uno è morto sul colpo, altri due sono rimasti feriti dalle schegge, mentre un quarto è rimasto illeso. Per la tragedia che ha colpito i nostri militari hanno espresso solidarietà e cordoglio esponenti di tutto il mondo politico, da Napolitano a Monti al ministro Cancellieri e molti altri ancora.

«Diversi pezzi e frammenti» di un razzo da 107 millimetri sono stati rinvenuti dagli artificieri italiani ed americani che hanno quasi concluso gli accertamenti sull'esplosione. Razzi di questo tipo sono frequentemente usati in attacchi a basi e postazioni dalla coalizione internazionale e dalle forze di sicurezza afgane. Solo tre giorni fa, secondo quanto è stato possibile apprendere, un attacco con un razzo da 107 millimetri era stato compiuto nei confronti della base italiana di Shindand, senza provocare alcun danno, mentre il 19 giugno un altro razzo dello stesso tipo aveva sorvolato la stessa base di Adraskan, anche in quel caso senza conseguenze.

Il militare ucciso è il carabiniere scelto Manuele Braj, 30enne di Galatina (Lecce), effettivo presso il 13° Reggimento "Friuli-Venezia Giulia". Lascia la moglie, 28enne, e il figlio di otto mesi. Braj era alla sua quinta missione di "Peacekeeping" all'estero. Era in Afghanistan dal 7 maggio scorso. In precedenza era stato in Albania, per due volte in Bosnia-Erzegovina e una volta in Iraq. Sia i genitori di Braj - padre operaio in un caseificio del paese, madre casalinga - sia i familiari della moglie del militare morto risiedono a Collepasso, piccolo centro di poco più di 6.000 abitanti a 30 chilometri da Lecce.

I militari feriti. I due militari feriti hanno riportato lesioni alle gambe e sono stati ricoverati nell'ospedale militare da campo americano di Shindand: non rischiano la vita. Sono il maresciallo capo Dario Cristinelli, 37 anni, di Lovere (Bergamo) e il carabiniere scelto Emilano Asta, 29, di Alcamo (Trapani), effettivi alla seconda Brigata mobile di Livorno e al 7° Reggimento "Trentino Alto
Adige.

Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, appresa con profonda commozione la notizia, ha inviato alla moglie e al figlio un messaggio in cui, nel farsi interprete del cordoglio del Paese, esprime i sentimenti della sua affettuosa vicinanza e della più sincera partecipazione al loro grande dolore. Lo si legge in una nota del Quirinale.

Il presidente del Consiglio Mario Monti ha espresso ai familiari del militare caduto il suo «più profondo e sincero cordoglio». «Il mio pensiero -ha detto Monti- va alla famiglia di Braj e all'Arma dei carabinieri, impegnata nell'importante missione di addestramento delle forze di polizia afghane. Voglio augurare una pronta guarigione ai due carabinieri rimasti feriti nell'attentato».

Di Paola. «Manuele è stato colpito in modo vigliacco. Stava addestrando le truppe afgane contro il terrorismo. Questo era il suo lavoro, la sua missione: permettere a quel Paese di difendersi da solo. Ed il terrorismo lo ha ucciso, proprio per impedire la nascita di un Afghanistan libero e democratico». Sono le parole del ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola che, in una nota, ha espresso «le proprie condoglianze alla famiglia del Carabiniere Manuele Braj per la scomparsa del loro caro in Afghanistan».

venerdì 22 giugno 2012

Caso Lusi, l'avvocato: "Dirà tutto"

I pm: "Se ha nuovi spunti da darci lo ascolteremo". Domani l'interrogatorio. L'ex leader della Margherita Rutelli: "Parli pure"
roma
Domani potrebbe essere il giorno delle grandi rivelazioni. Potrebbe. Almeno secondo gli avvocati dell’ex tesoriere della Margherita, Luigi Lusi, da due giorni detenuto nel carcere romano di Rebibbia. «Luigi Lusi, scaricato da tutti perchè considerato l’unico capro espiatorio, racconterà tutto quello che sa, tanto non ha più accordi da mantenere», ha detto oggi l’avvocato Luca Petrucci, a 24 ore dall’interrogatorio di garanzia del suo assistito che si terrà domani nel carcere di Rebibbia.
«Gli atti processuali a suo carico - ha aggiunto il penalista - sono ormai arcinoti, sta a lui decidere quanto intende stare in carcere. Ma molto dipende anche da quanto la procura ha voglia di starlo ad ascoltare. Lusi può dire a chi ha dato i soldi non che uso sia stato fatto di quelle somme». «Non ha ovviamente tutte le prove -aggiunge Petrucci- lui può raccontare quello che sa, ma il resto lo deve accertare la magistratura se ne ha voglia. Altrimenti, è meglio che Lusi se ne stia zitto». E il senatore oggi, nel suo secondo giorno di detenzione, è rimasto assorto nelle sue carte. Nessuna visita. Una giornata tutto sommato tranquilla. Trascorsa, forse, passando in rassegna «la sua verita». Una verità che potrebbe consegnare, quindi, al pm Stefano Pesci e al gip Simonetta D’Alessandro. «Un’accurata e dettagliata, nonch‚ definitiva, versione della vicenda finanziaria del partito dicendo tutto ciò che sa e suffragando i fatti che riferirà con prove e carte», diceva ieri una fonte vicina al senatore.

E il leader dell’Api Francesco Rutelli non raccoglie, la velata minaccia di Lusi di rivelare ancora molto ai pm. Rispondendo ad una domanda a Napoli Rutelli ha detto semplicemente: «Credo che la giustizia debba fare il suo corso». Mentre da piazzale Clodio si fa notare che finora Lusi si è limitato a fare delle illazioni sull’uso di soldi da parte di altri soggetti senza fornire alcun riscontro. «Gli accertamenti finora compiuti - viene sottolineato nella città giudiziaria - sulla tracciabilità del denaro uscito in maniera illecita dalle casse della Margherita conduce, per il momento, solo a Lusi». In un'intervista a La Stampa Marco Follini ha dichiarato che il caso Lusi «non può essere un alibi per l’assoluzione dei partiti. Abbiamo preso una decisione giusta ma, di per sè, non salvifica». Il presidente della giunta per le immunità ha definito «pilatesca» la scelta del non voto da parte del Pdl.

Agguato a Foggia

Ucciso 43enne a colpi di pistola


FOGGIA – Un uomo di 43 anni, Giovanni Battista Buono, è stato ucciso con 6-7 colpi di pistola in un agguato compiuto poco fa alla periferia di Foggia, in zona 'Salice Vecchiò.

Sul posto sono intervenuti uomini della squadra mobile della questura che ritengono – a quanto è dato sapere – che il delitto sia avvenuto in ambito familiare.

E' stato ucciso per strada davanti alla villetta dei suoceri il quarantatreenne Giovanni Battista Buono. Il delitto è stato compiuto in via Salice Vecchio, alla periferia di Foggia, con colpi di pistola calibro 7,65. L’arma era legalmente detenuta.

Buono – a quanto è dato sapere – era separato dalla moglie (che non era in casa al momento del delitto) dalla quale aveva avuto un figlio. Sul luogo dell’omicidio sono stati finora sequestrati tre bossoli.

ORE 22 - SUOCERI CONDOTTI IN QUESTURA
Subito dopo l’omicidio di Giovanni Battista Buono, il 43enne assassinato nel pomeriggio a Foggia, la polizia ha condotto in questura gli ex suoceri dell’uomo che - secondo alcuni testimoni – avevano rapporti conflittuali con la vittima. I due, assieme ad altri familiari, vengono tuttora ascoltati da agenti della squadra mobile che stanno ricostruendo l’esatta dinamica dei fatti per accertare chi dei familiari ha ucciso Buono con la pistola calibro 7,65, regolarmente detenuta, sequestrata subito dopo il delitto. Al momento non sono stati adottati provvedimenti restrittivi.

Falsi invalidi a Potenza «Mi manda Scuccimarra» E si aprivano le porte


POTENZA - Lo scopo dell’associazione è prestare assistenza agli invalidi civili.
E lui, Luciano Scuccimarra, si prodigava per le pensioni d’invalidità. E lo faceva con l’oculista Vincenzo Pagliara (dall’altro giorno è in carcere con l’accusa di corruzione in atti giudiziari e truffa). Era da lui che mandava i «pazienti» alla ricerca di un certificato «compiacente».

Lo hanno scoperto gli investigatori della sezione di polizia giudiziaria della polizia municipale che, con la Squadra mobile e e la polizia stradale, hanno condotto l’inchiesta coordinata dal procuratore facente funzioni Laura Triassi che ha portato all’arresto di Pagliara (ieri ha risposto alle domande del gip Luigi Spina nel corso dell’interrogatorio di garanzia) e dell’avvocato Donato Giacomino (ai domiciliari).

Scuccimarra - che è indagato - è un socio dell’Associazione ciechi, ipovedenti e invalidi lucani (l’associazione non è coinvolta direttamente nella vicenda. È Scuccimarra che, stando alle intercettazioni, probabilmente spendeva il nome dell’associazione).

Nello studio del dottor Pagliara in più di un’occasione gli investigatori hanno sentito dire (le conversazioni sono state intercettate e trascritte) «mi manda Scuccimarra».

E la capacità visiva del paziente diventava subito «irrimediabilmente compromessa».

«Le patologie - spiega il pm Triassi nei documenti dell’accusa di cui la Gazzetta è in possesso - diagnosticate nei certificati di Pagliara risultavano descritte come più gravi e severe di quello che realmente sono, allo scopo di agevolare i pazienti medesimi nell’ottenimento di benefici e previdenze pubbliche».

Per Pagliara - ricostruiscono gli investigatori - c’era sempre una ricompensa per «il grosso piacere».

L’accusa: «Pagliara, in qualità di pubblico ufficiale, avrebbe accettato la promessa da Scuccimarra di una retribuzione non dovuta per compiere un atto contrario ai doveri d’ufficio». Tradotto dal linguaggio giuridico: corruzione.

Fabio Amendolara

Mafia, tredici arresti di affiliati a clan con base ad Andria


ANDRIA – Carabinieri e poliziotti della Compagnia e del commissariato di Andria hanno notificato 13 ordini di carcerazione emessi dalla Procura generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Bari nei confronti di 13 persone appartenenti ad un’organizzazione malavitosa con base operativa ad Andria. Nei loro confronti sono diventate definitive, il primo giugno scorso, condanne a pene variabili da un anno a 10 anni di reclusione per i reati di associazione per delinquere di stampo mafioso, traffico internazionale di stupefacenti e detenzione di armi.

I provvedimenti rappresentano l’ultimo atto di un’inchiesta, denominata 'Castel del Montè, avviata nel 2001 dopo un attentato dinamitardo ai danni della sede del Commissariato di Andria e conclusasi nel novembre del 2006 con l’esecuzione di 76 ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal gip del Tribunale di Bari su richiesta della Direzione distrettuale Antimafia di Bari, in collaborazione con la Procura della Repubblica di Trani. Nell’operazione vennero coinvolti esponenti legati ai clan Pastore e Pistillo.

Nove dei 13 destinatari degli ordini di carcerazione sono stati condotti nel carcere di Trani, un altro sconterà la pena agli arresti domiciliari, mentre tre persone hanno beneficiato della sospensione della pena.

Stato-mafia, Casini difende Napolitano:

«Attacco da schegge della magistratura»

Per il leader Udc il Capo dello Stato è vittima di un'operazione «pretestuosa e infondata» che non proviene «da partiti politici»

Casini

ROMA - L'attacco al presidente della Repubblica «è chiaramente pretestuoso e infondato. E, tanto per essere chiari, non penso venga da partiti politici ma da schegge della magistratura che forse hanno obiettivi intimidatori». Lo ha detto il leader dell'Udc, Pieferdinando Casini.

«Come cittadino voglio sapere chi, divulgando intercettazioni in un perverso circuito giudiziario-mediatico, ha determinato questo attacco al Quirinale», ha detto Casini parlando ai dirigenti dell'Udc riuniti in assemblea. «In questo momento stanno succedendo cose gravi e siccome a pensar male si fa peccato ma ci si azzecca dico che non vorrei che questo attacco fosse determinato da chi si sente minacciato nei privilegi di casta o che pensa di avere il monopolio su alcuni poteri dello Stato rispetto ad un uomo che garantisce il rispetto dell'equilibrio tra i poteri». Secondo Casini, in ogni caso, «il presidente Napolitano ne ha viste di tutti i colori, ha i nervi saldi e non si fa intimidire». Casini chiede di «aprire un'indagine per capire come queste intercettazioni siano potute finire sui giornali».

Bersani.
«Il Quirinale è uno dei pochi presidi di questa democrazia. Sarà meglio evitare manovre attorno a lui perché poi non ci ritroviamo più niente». Lo ha detto il segretario del Pd Pier Luigi Bersani replicando ai cronisti sulle polemiche sulla trattativa Stato-mafia a margine di un convegno al Pd.

Schifani.
«In questi anni ho avuto l'onore di collaborare e confrontarmi con il presidente della Repubblica: sia nei nostri incontri istituzionali che in quelli riservati ho trovato in lui un grandissimo senso dello Stato, una grandissima trasparenza, correttezza e saggezza. Questi valori sono un patrimonio del Paese: attaccare il presidente Napolitano significa danneggiare il nostro Paese», ha detto il presidente del Senato Renato Schifani nel corso della sua visita ufficiale a Cosenza.

Secondigliano, latitante scissionista preso mentre fugge da un tunnel

NAPOLI - Era sfuggito alla cattura già il 26 gennaio e poi il 29 marzo scorso e oggi pomeriggio, Fabio Magnetti, di 23 anni, è stato arrestato dagli agenti del commissariato di Secondigliano Il latitante, è destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per concorso in associazione per delinquere di tipo mafioso, aggravato dal metodo mafioso.

I poliziotti lo hanno arrestato nel corso di un summit di camorra, all’interno di un’abitazione di un pregiudicato, nel rione Berlingieri.

Inutile il tentativo di far fuggire il giovane in un nascondiglio segreto, ricavato in un tunnel da cui si poteva accedere dal terrazzo attraverso una porta in ferro che si apriva grazie ad un pulsante.

Magnetti, secondo gli inquirenti, fa parte di un gruppo criminale in espansione che s chiama «Vannella Grassi»,:così come altri pregiudicati, si legò dapprima al Clan Di Lauro e, successivamente, a seguito della faida, agli scissionisti del Clan Amato-Pagano.

Per questo motivo tutti gli aderenti furono soprannominati i “Girati” che dettero vita ad una nuova associazione “Magnetti-Petriccione”: gruppo decapitato lo scorso gennaio.

Arrestati per favoreggiamento Luca Di Pinto, di 26 anni, Joanderson Monaco, 26, Giuseppe Mele, 35 anni e Vincenzo Esposito, 57 anni, conosciuto come «O' Porche»

Duplice omicidio a Barra

Agguato killer in fuga filmati da un iPhone


NAPOLI - Era un pluripregiudicato di 58 anni, Franco Gaiola, una delle due vittime dell'agguato avvenuto poco prima delle 12 di ieri in corso Sirena, a Barra. I due uomini erano in strada davanti al portone dell'abitazione di Gaiola, quando sono arrivati i due killer a bordo di uno scooter e hanno esploso diversi colpi di arma da fuoco. Subito dopo gli spari in strada si sono riversati i parenti e i conoscenti delle vittime e si sono creati momenti di tensione con le forze dell'ordine intervenute sul posto. L’altra vittima, Ciro Abrunzo, era incensurata. La fuga degli assassini è stata ripresa con l’iPhone da alcuni passanti.
Giuseppe Crimaldi

Le parole del boss: «La cosca Pesce non esiste

Ho sempre detto ai miei figli di costituirsi altrimenti lo Stato si accanisce»

Antonino Pesce è considerato il capo dell'omonimo clan e sta scontando, al 41 bis, una pena definitiva all'ergastolo per omicidio. Davanti ai giudici del tribunale di Palmi ha preso posizione sul ruolo della sua famiglia. Il figlio Giuseppe è ancora latitante

Le dichiarazioni di Pesce durante un'udienza
REGGIO CALABRIA - «La cosca Pesce non esiste. Ai miei figli ho sempre detto di costituirsi, perchè altrimenti lo Stato si accanisce». A dirlo è stato oggi Antonino Pesce, nel corso del processo davanti ai giudici del Tribunale di Palmi contro i presunti capi ed affiliati alla cosca. Pesce, detenuto al 41 bis dove sta scontando una condanna definitiva all’ergastolo per omicidio, è imputato per associazione mafiosa perchè ritenuto il capo dell’omonima cosca. Dei due figli di Antonino, Francesco e Giuseppe, uno, Giuseppe, è ancora latitante. Antonino Pesce ha chiesto di essere sentito ed ha risposto alle domande dei difensori e dei giudici del tribunale dal momento che i pm Alessandra Cerreti e Giulia Pantano, hanno rinunciato all’esame. L’imputato ha sostenuto che dal momento dell’arresto non ha più fatto niente e che nel corso dei colloqui in carcere con parenti e figli intercettati dagli investigatori e che secondo l’accusa testimoniano come ancora continuasse a gestire gli affari della famiglia, parlava solo di questioni familiari e di niente altro. Successivamente, è stato interrogato l’ex carabiniere Carmelo Luciano, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa.

Omicidio di Lea Garofalo Il falso alibi di Giuseppe Cosco

Dalle motivazioni della sentenza sulla morte di Lea Garofalo emerge la vita «triste e crudele» della testimone di giustizia, fra gli elementi valutati dai giudici anche gli alibi degli imputati, quello di Giuseppe Cosco, cognato della vittima, appare "un falso alibi"

PETILIA POLICASTRO - «Un falso alibi». E' quello di Giuseppe Cosco, detto Smith, dalla marca di una fabbrica di armi. E' il fratello di Carlo, presunto mandante dell'uccisione di Lea Garofalo, e secondo l'accusa ha un ruolo da esecutore materiale. Secondo la Corte presieduta da Anna Introiti non c'è «alcun dubbio» che la versione proposta dalla moglie, Renata Plado, da Carlo Toscano e Francesco Ceraudo sia un falso alibi. Renata in fase d'indagine si avvalse della facoltà di non rispondere «rifiutando così di fornire al marito in carcere un aiuto che avrebbe potuto, almeno in astratto, contrastare il quadro a suo carico». Inoltre, «a fronte della precisa indicazione fornita da Denise circa l'assenza dello zio Giuseppe allorché era rientrata a casa con il padre la sera del 24 novembre dopo le ricerche della madre», la Plado rende «dichiarazioni del tutto difformi». Ricorda che il marito era al bar Barbara e con lui c'erano gli altri due testi. E, a distanza di due anni, indica persino i giochi ai quali giocavano: la Gallina e lo Sceriffo. L'«inattendibilità» di una simile versione per i giudici della prima Corte d’Assise di Milano è «palese» in quanto si tratta della «convivente di uno degli imputati che non si crea scrupoli a violare la legge». I giudici ricordano anche il suo coinvolgimento in vicende di stupefacenti costategli l'arresto nel settembre scorso. «Del tutto inattendibili», sempre secondo i giudici, sono anche le testimonianze fornite da Ceraudo e Toscano.

ANTONIO ANASTASI