sabato 28 luglio 2012

Torre Annunziata, esecuzione in piazza Killer fra i tavolini di un bar

Un morto e un ferito

La vittima dell'agguato (Newfotosud Renato Esposito)
NAPOLI- Un uomo, Antonio Iapicca, di 38 anni, è stato ucciso ed un altro è stato ferito in un agguato a Torre Annunziata. Un'esecuzione choc, fra i tavolini di un bar. Il fatto è avvenuto in piazza Imbriani poco prima delle 15.30.

Un agguato di matrice camorristica - secondo i primi elementi raccolti dagli investigatori - quello nel quale è rimasto ucciso il pregiudicato Antonio Iapicca, di 38 anni, e ferito Gennaro Dentice, 40.

Iapicca non risulta affiliato a clan camorristici, così come il ferito, del quale la polizia sta verificando la posizione. È chiaro che bersaglio dell'agguato era Iapicca, autista di un taxi collettivo.

Contro di lui sono stati esplosi almeno sei colpi di arma da fuoco, che non gli hanno lasciato scampo. Ferito ad una gamba Dentice, che è stato trasportato in ospedale. Iapicca è il fratello di un altro pregiudicato.

Iapicca e Dentice erano seduti al tavolino di un bar quando è entrato in azione un sicario che ha esploso sette colpi di pistola all'indirizzo di Iapicca, sei dei quali hanno raggiunto la vittima alla schiena.

Gli investigatori della polizia hanno ascoltato in ospedale il ferito, il quale non è apparso in grado tuttavia di fornire una descrizione dettagliata dell'agguato in quanto il killer li ha sorpresi di spalle.

Agguato a Nettuno, vittima era fra i 100 latitanti più pericolosi


Roma, 24 lug. (LaPresse) - Si chiamava Modesto Pellino, detto 'o micillo' il pregiudicato di 46 anni che è stato ucciso oggi pomeriggio a Nettuno, paese vicino ad Anzio, in provincia di Roma. Si trattava di un latitante che era stato inserito nella lista dei 100 più pericolosi a livello nazionale. E' stato raggiunto da 5 colpi di pistola alla schiena. Una vera e propria esecuzione, in pieno stile camorra, quella di oggi. Modesto Pellino era considerato un elemento carismatico e di vertice della camorra. Secondo quanto si è appreso, Pellino è stato colpito al torace da 5 colpi d'arma da fuoco. Luogotenente del clan Moccia, latitante dal 2008 al 2010, anno in cui fu arrestato ad Afragola. Attraverso alleanze esterne intrattenute con altri clan, tra cui quello capeggiato da Antonio Cennamo, Pellino era coinvolto in giri di estorsione, traffico di armi e spaccio di droga.
Sigilli a case, terreni, società e aziende dalla guardia di finanza. Coinvolto Giuseppe Ferdico, 56 anni, per le sue molteplici e radicate relazioni con l’organizzazione di Cosa Nostra, emerse dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia e da corrispondenza riservata sequestrata ai boss Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo

PALERMO. Case, terreni, società e aziende per un valore complessivo di oltre 450 milioni di euro sono stati sequestrati dalla guardia di finanza di Palermo, in esecuzione di un provvedimento emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale del capoluogo siciliano, in accoglimento della proposta avanzata dalla Procura della Repubblica di Palermo.

L’operazione è la risultante di una complessa attività di indagine svolta dal Gruppo Investigazione sulla Criminalità Organizzata - GICO - del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Palermo su delega e sotto la costante direzione della locale Procura della Repubblica, concernente presunte infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore della grande distribuzione alimentare e di prodotti per la casa, nel corso della quale è stata ricostruita la “storia economico – finanziaria” di un importante gruppo imprenditoriale palermitano leader nel settore, che si è potuto affermare sul mercato grazie ai rapporti di reciproco vantaggio instaurati con le famiglie mafiose del mandamento di Tommaso Natale – San Lorenzo ed al riciclaggio di proventi di estorsioni, traffico di stupefacenti ed altre attività illegali riconducibili ai boss Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo.

Interessato dal provvedimento è Giuseppe Ferdico, già indagato nel 2006 per associazione mafiosa e impiego di denaro di provenienza illecita (aggravato dal favoreggiamento mafioso), di cui ancora la guardia di finanza non ha fornito il nome, per le sue molteplici e radicate relazioni con l’organizzazione mafiosa (in particolare con le famiglie del mandamento di Tommaso Natale – San Lorenzo e di Carini), emerse dalle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia e da corrispondenza riservata sequestrata ai boss Bernardo Provenzano e Salvatore Lo Piccolo, il cui contenuto è stato puntualmente riscontrato dalle investigazioni dei finanzieri. 

Secondo le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Angelo La Manna, l’imprenditore nella gestione della sua attività di commercializzazione di detersivi, aveva operato utilizzando anche risorse finanziarie di Claudio Lo Piccolo, figlio del boss Salvatore e di altri esponenti della famiglia di Partanna Mondello e si era interposto nella titolarità di immobili ad uso commerciale in realtà riferibili alla famiglia mafiosa di Carini.

Di analogo tenore le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Angelo Fontana, per il quale l’imprenditore aveva immesso nelle proprie società 400 milioni di lire provenienti dalle estorsioni e dal traffico di sostanze stupefacenti, nonché di Manuel Pasta e di Maurizio Spataro, secondo i quali l’imprenditore era a “disposizione” di Cosa Nostra e la notevole espansione economica crescita delle sue società era in parte legata al finanziamento occulto dei Lo Piccolo.

La contiguità dell’imprenditore con la famiglia mafiosa di Tommaso Natale è stata poi ulteriormente confermata dal rinvenimento di missive manoscritte all’atto degli arresti di Bernardo Provenzano e di Salvatore Lo Piccolo.

Dalle investigazioni è complessivamente emerso che l’imprenditore ha cercato ed ottenuto il sostegno economico e relazionale dell’organizzazione mafiosa nella fase iniziale della sua attività per acquisire nuove posizioni di mercato e per l’acquisto di immobili commerciali, pagando l’organizzazione criminale per i servizi ricevuti.

Gli approfondimenti economico - patrimoniali svolte dalle Fiamme Gialle del G.I.C.O.., corroborate da una consulenza contabile disposta dalla Procura della Repubblica, hanno evidenziato, a partire dalla seconda metà degli anni novanta, una notevolissima quanto ingiustificata crescita delle società riferibili all’imprenditore, in cui sono stati nel tempo assunti parenti o soggetti comunque legati ad ambienti mafiosi.

Dall’analisi dei volumi d’affari, la Guardia di Finanza ha ricostruito che il gruppo imprenditoriale ha incrementato il fatturato del 400% nell’arco di dieci anni, mentre l’esame dei bilanci e delle scritture contabili ha evidenziato, oltre a conferimenti di capitali e finanziamenti sproporzionati rispetto alle reali capacità reddituali dei soci conferenti, numerose e ripetute anomalie contabili utili a nascondere la reale provenienza dei flussi finanziari.

I beni di cui il Tribunale di Palermo, Sezione Misure di Prevenzione, ha disposto il sequestro, del valore stimato in oltre 450 milioni di euro, consistono in 7 società e relativi complessi aziendali, operanti nel settore della grande distribuzione di detersivi, prodotti per la casa ed alimentari, ubicate in Palermo e Carini, 2 terreni in località Cardillo di Palermo, 13 appartamenti ubicati a Carini e Palermo, 1 fabbricato in corso di costruzione a Carini e diverse disponibilità finanziarie.

Addio al tenente colonnello Ottavio Oro

Combattè l'ala stragista dei Casalesi

NAPOLI - A soli 41 anni è scomparso oggi il tenente colonnello dei carabinieri Ottavio Oro, in servizio alla Dia di Napoli. Lo ha stroncato un male incurabile. Il tenente colonnello dei Carabinierio Oro, per una decina di anni è stato in servizio in Terra di Lavoro.

Alcuni anni fa gli era stato diagnosticato un tumore al cervello ed era stato operato. Sembrava essersi ripreso, poi il male ha preso il sopravvento e negli ultimi giorni, l’ufficiale era apparso molto provato e sofferente.

Come Capitano, Ottavio Oro (napoletano d’origine) aveva comandato la Compagnia di Aversa, per poi passare da Maggiore al comando del Reparto Operativo ed assumere infine l’ultimo incarico da Tenente Colonnello alla Direzione Investigativa Antimafia di Napoli. Si era formato alla Scuola Militare Nunziatella, ed aveva continuato gli studi all'Accademia Militare di Modena ed alla Scuola Ufficiali di Roma.

Fra le tante attività investigative condotte personalmente sempre alla testa dei propri Carabinieri, spiccano certamente i numerosissimi arresti di affiliati al clan dei Casalesi ed in particolare gli arresti, al comando del Reparto Operativo, dei cosiddetti “stragisti” tra cui spiccano quelli del killer stragista dei Casalesi Giuseppe Setola e dei suoi uomini.

Un ufficiale amato e rispettato dai colleghi, anche per il suo profilo umano. Lascia un profondo e sincero rimpianto.

Mafia, commissariati i comuni di Misilmeri e Campobello di Mazara

La decisione arriva dal consiglio dei Ministri, a seguito "dell'accertamento di infiltrazioni della criminalità organizzata che condizionano l'attività dell'amministrazione locale"

ROMA. Il Cdm «a seguito dell'accertamento di infiltrazioni della criminalità organizzata che condizionano l'attività dell'amministrazione locale», ha disposto il commissariamento dei comuni di Misilmeri (Palermo) e di Campobello di Mazara (Trapani), «affidando la gestione amministrativa a commissioni straordinarie. Queste eserciteranno le funzioni spettanti al Consiglio comunale, alla giunta e al Sindaco, fino all'insediamento degli organi ordinari». È quanto si legge nella nota diffusa al termine riunione.

Stop al racket del caro estinto


NAPOLI - Nasce a Napoli l'osservatorio per la legalità delle attività funerarie e cimiteriali svolte nella regione Campania. Si compone di dieci rappresentanti, ed è lo strumento promosso dall'Accordo intersindacale delle Imprese funebri e cimiteriali della Campania, per prevenire e contrastare le attività illegali ed abusive del settore in modo particolare contro il racket del «caro estinto».

All'incontro hanno partecipato il presidente regionale della confesercenti Vincenzo Schiavo, il presidente delloOsservatorio Lorenzo Diana, il portavoce dell'accordo intersindacale delle Imprese funebri e cimiteriali della Campania Luigi Cuomo, il presidente regionale dell'ACITOF Giuseppe Salomone e i rappresentanti della rete legale etica Alfredo Nello e Alessandro Motta.

I compiti dell'organo - è spiegato nella nota - sono monitorare e controllare la libera e corretta attività delle imprese; promuovere e sviluppare attività di sostegno alle amministrazioni comunali; raccogliere segnalazioni e denunce da trasmettere alle autorità competenti; promuovere convegni e studi in materia funeraria e cimiteriale.

«Nella nostra regione - ha dichiarato Cuomo - vi sono circa 450 imprese funebri, molte delle quali non hanno ancora una regolarizzazione contributiva e amministrativa, al punto da agevolare le infiltrazioni camorristiche nel settore.

L'Osservatorio nasce appunto da un gruppo di imprenditori storici e regolari, che hanno detto basta all'abusivismo e all'illegalità, dando vita ad un accordo intersindacale per aiutare tante famiglie che sono vittime del malaffare. Si tratta di condizionamenti esterni - ha aggiunto Cuomo - che vanno oltre i cimiteri, a partire dagli ospedali dove i cittadini vengono obbligati a rivolgersi a questa o quella ditta».

Allarmanti i dati presentati dall'Osservatorio: «Un funerale costa in media 3 mila euro. Ma si arriva a pagare dagli 8 mila ai 9 mila, cifre imposte dagli abusivi legati ai clan. In Campania sono 50 mila i funerali ogni anno, che producono un giro d'affari di 150 milioni di euro, 100 dei quali finiscono nel circuito del mercato nero in cui si annida la camorra».

Misilmeri, si dimette il sindaco indagato


MISILMRI. Il sindaco di Misilmeri (Palermo), Piero D'Aì, ha rassegnato stamane le dimissioni dalla carica che ricopre dal 2010. L'atto è stato firmato, spiega D'Aì in una nota, in assenza del provvedimento di commissariamento da parte del Consiglio dei ministri, «non ufficialmente notificato in municipio».

Con il sindaco - indagato a Palermo nell'ambito dell'inchiesta «Sisma» per concorso esterno in associazione mafiosa - si sono dimessi anche gli assessori Pietro Carnesi, Nino Pizzo e Pietro Montanelli. D'Aì ha inoltrato una lettera al prefetto di Palermo, Umberto Postiglione: «Lascio con l'amarezza nel cuore - scrive -. Sono certo di non avere posto in essere un solo atto gradito ai mafiosi. Ma purtroppo antagonisti politici hanno lavorato da subito per fare di Misilmeri, e di un'esperienza pulita e trasparente, un verminaio». «Intimamente - conclude - mi sono ispirato agli insegnamenti di un misilmerese come Rocco Chinnici, conosciuto da giovane, e sono orgoglioso di avergli intitolato l'aula consiliare».

Strage di Catenanuova del 2008, due arresti

ENNA. I carabinieri del nucleo investigativo di Enna hanno arrestato due pregiudicati ritenuti responsabili della cosiddetta "Strage di Catenanuova" un agguato di stampo mafioso avvenuto il 15 luglio 2008 nel quale venne ucciso il pregiudicato Salvatore Prestifilippo Cirimbolo e rimasero ferite altre cinque persone.
Gli ordini d'arresto sono stati notificati a Filippo Passalacqua, 32 anni, di Catenanuova, e a Giovanni Piero Salvo, 35 anni, di Catania - entrambi già in carcere -, ritenuti gli organizzatori e gli ideatori della strage di Catenanuova. Salvo è cognato di Passalacqua e figlio di Giuseppe detto "Pippu u Carrozziere", esponente di spicco del clan Cappello. Nel corso dell'agguato del luglio 2008, organizzato secondo gli inquirente nell'ambito di una guerra di mafia per i controllo del territorio tra fazioni del clan Cappello, venne ucciso Salvatore Prestifilippo Cirimbolo e ferite altre cinque persone. Le indagini sono coordinate dalla Dda di Caltanissetta.

giovedì 26 luglio 2012

Ufficiale dei carabinieri arrestato per tentata estorsione. Intercettazioni con "l'amico" del clan Arena

In manette è finito il tenente colonnello Enrico Maria Grazioli, all'epoca dei fatti comandante del nucleo investigativo del Comando provinciale di Catanzaro. Misura di sicurezza anche per Nicola Arena, di Isola Capo Rizzuto. Indagati un imprenditore di Catanzaro e un commercialista di Crotone

CROTONE - Un ufficiale dei carabinieri e un componente di una nota famiglia di ‘ndrangheta insieme per risolvere il “problema” di un amico che vantava un credito che non riusciva a recuperare. I protagonisti della vicenda sono il tenente colonnello Enrico Maria Grazioli e Nicola Arena, componente della società che ha realizzato il parco eolico di Isola Capo Rizzuto, sequestrato pochi giorni fa in un’operazione antimafia, nonché imparentato con l’omonima cosca di ‘ndrangheta del crotonese. Con loro anche l’imprenditore Danilo Silipo, 51 anni, residente a Montepaone (in provincia di Catanzaro), l’amico aiutato dai due, e il commercialista crotonese Antonio Francesco Sulla, 44 anni, entrambi indagati.
Le indagini hanno portato oggi all’arresto dell’ufficiale dei carabinieri, così come disposto dal gip di Catanzaro Gabriella Reillo, su richiesta del procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli e del pm Paolo Petrolo. Nei confronti di Arena è stata, invece, applicata la misura del divieto di residenza in provincia di Crotone. Agli indagati è contestato il reato di tentata estorsione, con la Dda di Catanzaro che aveva chiesto anche l'aggravante del metodo mafioso non riconisciuta dal gip.
Secondo le indagini, tra maggio e luglio 2009, quando Grazioli ricopriva l’incarico di comandante del Roni del Comando provinciale di Catanzaro con il grado di maggiore, l’ufficiale avrebbe ricevuto da Silipo l’incarico di recuperare un credito di 40mila euro che lo stesso vantava da un imprenditore crotonese, L.G. Grazioli si sarebbe, quindi, rivolto ad Arena con il quale, è emerso nelle indagini, aveva rapporti amicali nonostante fosse consapevole del suo “spessore criminale”. Arena, insieme a Sulla, avrebbero avviato una serie di azioni per recuperare il credito, “anche avvalendosi della forza di intimidazione derivante dall’appartenenza di Arena all’omonima famiglia di ‘ndrangheta”.

LE INTERCETTAZIONI. Tra l’ufficiale dei carabinieri Enrico Maria Grazioli, finito in carcere con l’accusa di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso, e Nicola Arena, imparentato con la nota cosca di Isola Capo Rizzuto, c’erano rapporti molto stretti. Al punto che, nelle conversazioni intercettate nell’ambito delle indagini condotte dalla Dda di Catanzaro, i due usavano toni molto confidenziali. “Amico mio” era il modo in cui Grazioli avviava quasi sempre le telefonate con Arena. E questo nonostante l’ufficiale sapesse che il suo interlocutore era nipote di Nicola Arena, capo storico della cosca di Isola Capo Rizzuto. Anzi, secondo gli inquirenti, proprio il cognome Arena sarebbe stato utilizzato per “avvisare” l’imprenditore crotonese della necessità di pagare il debito di 40mila euro maturato nei confronti dell’imprenditore catanzarese Danilo Silipo, indagato nel procedimento.

Il quadro delle intercettazioni telefoniche è allarmante, se si considera che Grazioli, sempre secondo le indagini, non usava mezzi termini nel chiedere ad Arena di convincere l’imprenditore L.G. “Questo qui deve soltanto essere preso per le orecchie e portato ad onorare quello che deve…”, afferma l’ufficiale dell’Arma in una conversazione telefonica. Ed ancora, dinnanzi ai continui rinvii: “Bisogna prenderlo e dirgli senti firma questo assegno per quello che è perché adesso hai rotto abbastanza i c….”.
E per convincere l’imprenditore a pagare, sempre secondo l’inchiesta della Dda, Nicola Arena si sarebbe recato tre volte dallo stesso, facendo pesare il suo ruolo. Al centro della vicenda, una fornitura di infissi che Silipo avrebbe fatto per la costruzione di alcune villette a Crotone, poi finite sotto sequestro. Una fornitura di 180 mila euro, per la quale proprio Silipo vantava ancora un credito di 40mila euro.

Agguato a Cinquefrondi Grave un uomo di 38 anni

Francesco Ieranò, già noto alle forze dell'ordine è stato ferito gravemente in un agguato avvenuto a colpi di pistola a Cinquefrondi. Secondo una prima ricostruzione i sicari dovevano essere due o forse uno che avrebbe o avrebbero sparato mentre Ieranò era nei pressi della piazza principale
CINQUEFRONDI (RC) - Un uomo Francesco Ieranò, di 38 anni, già noto alle forze dell’ordine, è stato ferito gravemente a colpi di pistola in un agguato compiuto a Cinquefrondi, nel reggino. L’agguato è stato compiuto da uno o più sicari mentre Ieranò stava camminando su un marciapiedi in una strada centrale del paese a poche decine di metri dalla piazza principale. Contro la vittima sono stati sparati diversi colpi di pistola che lo hanno raggiunto in più parti del corpo. Ieranò è stato soccorso da alcuni automobilisti e trasportato nell’ospedale di Polistena. Sull'episodio indagano gli agenti del Commissariato di Polistena che hanno già ascoltato alcuni testimoni per tentare di ricostruire la dinamica dei fatti.

Traffico di droga tra Sicilia e Calabria, otto arresti

Alcuni dei fermati sono appartenenti alle famiglie di 'ndrangheta di San Luca. L’accusa è spaccio di sostanze stupefacenti, tentata estorsione, sequestro di persona e furto aggravato

REGGIO CALABRIA. Operazione della squadra mobile di Reggio Calabria e del Commissariato di Bovalino in Calabria e Sicilia, per l'esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere contro 8 persone, alcune delle quali appartenenti alle famiglie di 'ndrangheta di San Luca, sospettate di gestire un vasto traffico di sostanze stupefacenti. Gli arrestati sono accusati, a vario titolo, di spaccio di sostanze stupefacenti, tentata estorsione, sequestro di persona e furto aggravato. L'inchiesta, coordinata dalla Dda di Reggio, ha fatto luce su un traffico di droga tra la locride e Messina.

Mafia, Dell'Utri: non ammessa la deposizione di Berlusconi

Per i giudici la testimonianza dell'ex premier non è «nè rilevante, nè decisiva». I motivi della presenza del boss Nino Mangano ad Arcore e i pagamenti fatti da Berlusconi a Cosa nostra negli anni '70 sono già «ampiamente comprovati»
PALERMO. La corte d'appello di Palermo, respingendo la richiesta del Procuratore generale, ha deciso che Silvio Berlusconi non deporrà al nuovo processo d'appello per concorso in associazione mafiosa al senatore del Pdl Marcello Dell'Utri. Per i giudici la testimonianza dell'ex premier non è «nè rilevante, nè decisiva». Secondo i giudici, i motivi della presenza del boss Nino Mangano ad Arcore e i pagamenti fatti da Berlusconi a Cosa nostra negli anni '70 sono già «ampiamente comprovati». Da qui il giudizio di «non decisività e non indispensabilità ai fini della decisione» della testimonianza dell'ex premier che sarebbe dovuto comparire in udienza, secondo il pg, come teste assistito in quanto ex indagato di reato connesso.

Mafia, sequestrate 4 aziende a imprenditore nel Trapanese

Sono riconducibili Liborio Craparotta, 66 anni, di Calatafimi-Segesta, condannato per mafia e riciclaggio. L'uomo avrebbe favorito la latitanza di personaggi di spicco di Cosa Nostra
TRAPANI. I carabinieri di Trapani hanno eseguito il sequestro di tre società a responsabilità limitata e di una ditta individuale riconducibili a Liborio Craparotta, 66 anni, di Calatafimi-Segesta, condannato per mafia e riciclaggio. Craparotta, avrebbe favorito la latitanza di personaggi di spicco di Cosa Nostra e sarebbe stato in stretti rapporti dapprima con Giuseppe Ferro (oggi collaboratore di giustizia) e poi con Antonino Melodia, entrambi personaggi che hanno guidato il mandamento di Alcamo.

Blitz antimafia nell’Agrigentino: 4 arresti

AGRIGENTO. I carabinieri hanno eseguito tre della 4 ordinanze di custodia cautelare nell'operazione antimafia nell'agrigentinoo, fermando Gaetano Sedita, 70 anni, ritenuto il capomafia della famiglia di Alessandria della Rocca, per cui è stato disposto il carcere; Domenico Ligammari, 76 anni, per il quale sono stati disposti gli arresti domiciliari e Giuseppe Comparetto, 86 anni, tutti di Alessandria della Rocca (Ag). Il quarto indagato, per ora irreperibile, è Pietro
Perzia, 67 anni, che si sarebbe trasferito in Inghilterra. Gli indagati erano otto, ma per quattro la richiesta di misura cautelare avanzata dal pubblico ministero è stata respinta. Tutti sono accusati di associazione di stampo mafioso, per aver fatto parte della «famiglia» di Alessandria della Rocca (Ag), con l'aggravante per Sedita e Ligammari perchè avrebbero avuto un ruolo di direzione all'interno della presunta organizzazione. Per tutti, l'aggravante del concorso ad una associazione armata, avendo avuto la disponibilità di armi ed esplosivi per il conseguimento delle finalità dell'associazione. Secondo le ricostruzioni dei carabinieri, Gaetano Sedita, dello «u
gaddu», sarebbe diventato il «capo» della cosca dopo la morte del cognato Emanuele Sedita, avvenuta nel 1995 quando venne ucciso in un regolamento di conti fra esponenti delle diverse
famiglie mafiose. Immediatamente sotto di lui vi sarebbe stato Domenico Ligammari, titolare di una tabaccheria nella piazza centrale del paese. Pietro Chillura si sarebbe rifiutato di
uccidere un suo compaesano - ordine impartitogli dall'ex capomafia Emanuele Sedita - che, secondo il boss, andava eliminato per dissidi riguardanti l'irrigazione di alcuni terreni.

Giovane scomparso nel Foggiano: ipotesi lupara bianca

MANFREDONIA – Non escludono alcuna ipotesi le indagini in corso da parte delle forze dell’ordine per rintracciare il cameriere Cosimo Salvemini, di 21 anni, del quale non si hanno notizie dallo scorso 18 luglio. A quella dell’allontanamento volontario si è aggiunta, nelle ultime ore, l'ipotesi che il giovane possa essere stato vittima della 'lupara biancà per motivi da accertare.

Prima di scomparire, la sera di mercoledì scorso, Salvemini con il suo ciclomotore aveva accompagnato la fidanzata a casa. Aveva l’intenzione di raggiungere un gruppo di amici nella zona del porto dove però non è mai arrivato. Il suo scooter è stata successivamente ritrovato in città con le chiavi inserite nel quadro di accensione.

Lo scorso anno la guardia di finanza nell’abitazione di Salvemini una piantina di marijuana e a suo carico fu elevata una sanzione amministrativa.

Brindisi, arrestato per racket

«Se mi denunci brucio tutto e taglio la gola a tua nipote»


BRINDISI - Aveva tartassato per settimane un artigiano in uno stillicidio di richieste estorsive e pesanti minacce, culminate con l’effettivo incendio di un autocarro che la vittima usava per il suo lavoro. Ma dopo sei mesi da incubo, grazie alle indagini degli investigatori della sezione antiracket della Squadra mobile di Brindisi - diretta dal dott. Francesco Barnaba -, è stato rintracciato e arrestato. In manette - su ordine di custodia cautelare del gip Paola Liaci richiesto dal pm Eva Toscani - è finito il brindisino di 45 anni già noto alle forze dell’ordine Walter Leo, accusato di tentata estorsione, incendio doloso e minacce gravi.

Lo spalancarsi delle porte del carcere per il presunto estorsore brindisino ha così messo fine ad una storia che andava avanti dal febbraio scorso, quando Leo cominciò a pretendere dal malcapitato - installatore e titolare di una rivendita per elementi di rifinitura edilizia ubicata ai Cappuccini - la somma di 500 euro, per un sinistro stradale in cui i due erano rimasti coinvolti. Incidente e danni mai rilevati, che comunque non sarebbero mai potuti sfociare in un indennizzo anche perché il veicolo di Leo era privo di copertura assicurativa. Circostanza, questa, che di certo non spinse Leo ad attenuare la sua prepotenza: «Mi devi dare subito i soldi - avrebbe detto all’artigiano - altrimenti non sai cosa sono capace di fare: ti brucio il negozio e il camion; non ho paura di nessuno».

Detto fatto: dopo una serie di pressioni e di minacce rimaste senza effetto, ai primi di maggio, l’esercente si ritrovò con l’autocarro che usava per lavoro bruciato, in un rogo appiccato nottetempo che danneggiò anche la facciata di uno stabile e le finestre di un appartamento dello stesso.

Inevitabili, a quel punto, furono le indagini della Mobile, che portarono ad una convocazione di Leo in Questura, per accertamenti. E quello, per tutta risposta, dopo il faccia a faccia con gli agenti si recò dalla sua vittima per dirgli: «Mi hanno convocato in Questura ...se ti chiameranno per il riconoscimento, dì che non mi conosci...se invece lo farai, ti taglierò la gola a te, tua moglie, tuo figlio ed anche alla tua nipotina, perché so che hai una nipotina».

Minacce continue durante le quali Leo - nel frattempo messo sotto stretto controllo dagli agenti - si sarebbe assunto anche la responsabilità dell’incendio dell’autocarro, facendo sapere alla vittima che lo aveva fatto proprio quale ritorsione per la mancata corresponsione del denaro da lui preteso. Ce n’era a quel punto abbastanza per inoltrare alla Procura una richiesta di arresto. E mentre Leo - nelle more della firma del provvedimento di arresto a suo carico - era tenuto sempre sotto stretto controllo dagli agenti, è incappato pochi giorni fa in un controllo di polizia sulla litoranea, da cui è emerso che lo scooter su cui viaggiava era rubato. L’immediata denuncia di Leo per ricettazione (con restituzione dello scooter al proprietario) è stata, quindi, solo il preludio all’arresto avvenuto ieri, per tentata estorsione, incendio doloso e minacce gravi.

a. neg.

Rapinano, sequestrano e violentano una donna: arrestati tre salernitani


SALERNO - Tre uomini della provincia di Salerno sono stati arrestati dalla Guardia di Finanza di Potenza per un grave episodio di rapina, sequestro di persona e violenza sessuale ai danni di una donna del capoluogo. Stando alla denuncia della vittima, i tre erano entrati nell'abitazione con una scusa , l'avevano quindi sequestrata e sottoposta a violenza sessuale per poi rapinarla di denaro ed altri oggetti. Il Nucleo di polizia tributaria di Potenza, già prima della denuncia, aveva intercettato l'auto dei tre durante un'operazione di controllo stradale.

Constatando che tutti e tre avevano precedenti di polizia, i militari hanno approfondito i controlli trovando a bordo un computer, cinque telefoni cellulari, un carnet di assegni bancomat, un anello con pietre preziose di cui non sapevano fornire spiegazioni circa la provenienza.

Le indagini hanno permesso di risalire all'identità della vittima, una donna straniera, quale legittima proprietaria di quanto rinvenuto. Il navigatore satellitare della vettura fermata, oltretutto, riportava come ultima destinazione l'abitazione della donna. Ascoltandola, i militari hanno ricostruito l'intero episodio di cui la stessa è stata vittima.

I finanzieri hanno quindi eseguito tre ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip Tiziana Petrocelli su richiesta del pm Gerardo Salvia. Due di loro, P. C., 33enne, e D. L., 31enne, sono già detenuti per altri reati ed hanno ricevuto la notifica dell'ordinanza presso le case circondariali di Velletri e Viterbo; il terzo, F. G., di 29 anni, già ristretto agli arresti domiciliari per vari reati presso la sua abitazione di Nocera Inferiore, è stato prelevato dai militari e portato presso la casa circondariale di Potenza.

martedì 24 luglio 2012

Nettuno, luogotenente del clan Moccia assassinato nella piazza centrale

Guerra di camorra alle porte di Roma


ROMA - Un'esecuzione di camorra a pochi chilometri da Roma, sul litorale, dove la mafia torna ad alzare il tiro. In strada a Nettuno e in pieno giorno. Modestino Pellino, un pregiudicato luogotenente del clan Moccia, è l'ultima vittima «illustre» della guerra tra bande che imperversa nella capitale e nel suo hinterland e che per alcuni mesi sembrava essere stata sospesa con una tregua.

Il killer ha colpito Pellino con sette colpi alle spalle, sotto gli occhi di diverse persone e in una piazza circondata da palazzi.

E c'è chi ha visto tutto. L'aggressore ha sorpreso la vittima alle spalle mentre intorno alle 17,30 parlava al cellulare e in un'altra mano aveva un ombrello, all'angolo della piazza Garibaldi. Poi gli ha scaricato alla schiena sette colpi di pistola calibro 9, due dei quali lo hanno preso in pieno alla schiena, un altro al fianco sinistro e altri sono rimbalzati sul muro di cinta della casa di fronte finendo in un cortile.

Grande lo spavento della piazza, che è una di quelle centrali a Nettuno, circondata da negozi e da abitazioni e a quell'ora molto trafficata.

Secondo alcune testimonianze il killer, che indossava jeans neri, maglietta nera e cappellino dello stesso colore, è poi fuggito dalla laterale via Bainsizza. La moglie di Pellin avrebbe riferito agli investigatori che suo marito era uscito per una passeggiata.

Tra le ipotesi, quindi, cìè anche quella di un appuntamento con il killer, del quale Pellino non imaginava le iintenzioni. L'uomo, infatti, era disarmato ed era uscito, forse rapidamente, senza documenti.

Sono in corso ricerche, posti di blocco e controlli della polizia per verificare se il killer avesse un complice che lo attendeva e per capire che via di fuga abbia usato. In prima fila nella caccia al killer, oltre al commissariato di Anzio e Nettuno, c'è la Squadra mobile di Roma.

Con l'omicidio di Pellino a Roma e in provincia torna l'ombra della criminalità organizzata sulla Capitale. E torna quindi la paura degli agguati, dopo la scia di sangue dello scorso anno, quando una vera e propria guerra tra bande per il controllo del territorio, diverse bande criminali hanno fatto morti e feriti in strada.

Pellino era stato ai vertici del clan camorristico dei Moccia ed era considerato il «luogotenente» del clan Moccia di Afragola, attivo a Napoli e nell'hinterland. Attualmente era sottoposto a sorveglianza speciale e dopo essere riuscito a sfuggire più volte alla cattura era stato arrestato nel 2010, dopo due anni di latitanza. Non a caso era ritenuto uno dei più pericolosi componenti del «gruppo di fuoco» del clan, per il quale avrebbe gestito attività illecite come estorsioni, droga ed armi.

Durante il periodo di latitanza, il nome di Pelino, era stato proposto per l'inserimento dei cento ricercati più pericolosi a livello nazionale. Solo qualche giorno fa un altro episodio aveva sconvolto il litorale romano, con un gesto intimidatorio nei confronti dei gestori di uno stabilimento balneare a Ostia. Un ordigno era stato piazzato in spiaggia e la sua presenza era stata annunciata da una telefonata anonima.

di Lorenzo Attianese

Le mani dei Casalesi sulle cave di Chiaiano arrestato il fratello di Michele Zagaria


NAPOLI - Un'ordinanza di custodia cautelare è stata notificata questa mattina dal Gico della Guardia di finanza a Pasquale Zagaria, fratello del boss dei Casalesi Michele. Zagaria, che era già detenuto per altri reati, è accusato di estorsione nell'ambito di un'inchiesta sulla compravendita di alcune cave nel quartiere napoletano di Chiaiano da adibire a discarica.

La vicenda risale ai primi anni Duemila: dalle indagini coordinate dal procuratore aggiunto Nunzio Fragliasso e dai sostituti Catello Maresca, Alessandro Milita e Alfonso D'Avino, è emerso che, nel corso di una delle tante emergenze rifiuti, Fibe spa cercava cave da adibire a discarica. Avendolo saputo, un imprenditore acquistò quelle di Chiaiano per realizzare una speculazione: le offrì infatti in vendita a Fibe per un prezzo quasi doppio. Una volta avvenuto l'acquisto, il proprietario originario, resosi conto che avrebbe potuto ottenere molto più denaro dalla vendita delle cave, si rivolse a Zagaria, il quale convocò l'imprenditore autore della speculazione e, minacciandolo anche con armi, gli impose di consegnargli, in più tranche, la differenza tra il prezzo al quale aveva acquistato le cave e quello al quale le aveva rivendute a Fibe. Oltre all'estorsione, a Zagaria sono dunque contestati anche i reati di sequestro di persona e detenzione illegale di armi.

Arrestato a Caracas il politico e faccendiere Aldo Micciché, era vicino a Marcello Dell'Utri

Sull'ex dirigente politico della Democrazia Cristiana pendeva un mandato di arresto internazionale emesso dalla Procura di Reggio Calabria per una condanna a 11 anni di carcere nell'ambito del processo "Cent'anni di storia". Adesso si aspetta con ansia il suo ritorno in Italia dove dovrà spiegare molte cose ai magistrati che attendono di interrogarlo. Molti, infatti, i punti da chiarire sull suo ruolo negli ambienti criminali e della politica.
GIOIA TAURO - E’ stato arrestato lunedì mattina a Caracas in Venezuela Aldo Miccichè il faccendiere originario di Maropati e condannato in appello a 11 anni di reclusione nel processo “Cent’anni di storia”. Come scrive il Quotidiano della Calabria in edicola oggi, nei suoi confronti la magistratura reggina aveva spiccato un mandato di arresto internazionale firmato dall’ex procuratore Giuseppe Pignatone, dall’aggiunto Michele Prestipino e dal sostituto Roberto Di Palma. Adesso si aspetta con ansia il suo ritorno in Italia dove dovrà spiegare molte cose ai magistrati che attendonodi interrogarlo.

Ex dirigente della Democrazia Cristiana (é stato segretario provinciale a Reggio Calabria negli anni ’80), giornalista, ma anche falso deputato, qualifica con la quale aveva cercato, dicono le cronache, di accreditarsi addirittura con la banda della Magliana per intervenire, in cambio di 25 milioni di lire, in favore di detenuto un affiliato al gruppo criminale romano. E’ una personalità dalle mille sfaccettature quella di Micciché, 76 anni, l’affarista che ha avuto collegamenti stabili e certi con i potenti Piromalli di Gioia Tauro che da anni ormai vive in Venezuela.
Un uomo che molti magistrati e non solo quelli della Dda di Reggio Calabria vorrebbero sentire in merito al presunto tentativo di brogli nel voto degli italiani emigrati in Sud America in cui compare anche Marcello Dell’Utri, peraltro neanche iscritto nel registro degli indagati e su molte altre cose ancora. Calabrese di Maropati, paesino di poche migliaia di abitanti a circa 20 chilometri da Gioia Tauro , abbraccia sin da subito la carriera politica in provincia di Reggio Calabria e poi si trasferisce a Roma, dove diventa consigliere provinciale per la Dc. Nel periodo in cui vive a Roma fa anche il giornalista, divenendo direttore dei quotidiani Italia sera e Eco del Sud.

I RAPPORTI CON DELL'UTRI. Che tra Aldo Miccihè e il senatore ci fossero rapporti stabili lo dicono gli atti dell’operazione “Cent’Anni di Storia” . Innumerevoli le telefonate intercorse tra i due registrate dagli inquirenti nelle quali emerge anche uno spaccato di interessi internazionali petroliferi di Dell’Utri. Un business che viene organizzato in strette relazioni proprio con Aldo Miccichè. Tra dicembre 2007 e aprile 2008 Dell'Utri parla a lungo al telefono con Miccichè. I due non sanno di essere intercettati perché gli inquirenti italiani sanno dei rapporti strettissimi che il faccendiere di Maropati ha con Antonio Piromalli.
Il servizio completo e gli approfondimenti, a firma di Michele Albanese, nell'edizione odierna del Quotidiano della Calabria.

di MICHELE ALBANESE

Evasione fiscale da 30 milioni, nei guai il gruppo Marino di Reggio

La Guardia di finanza, al termine di un'articolata attività investigativa, ha scoperto che tre prestigiosi negozi di abbigliamento ed accessori situati sul corso principale, nonostante il flusso di clienti risultavano non avere ricavi

REGGIO CALABRIA - Un’evasione fiscale per oltre 30 milioni di euro è stata scoperta dalla Guardia di finanza di Reggio Calabria indagando su tre società facenti capo al gruppo Marino, una nota famiglia reggina. Secondo l'accusa l’evasione avveniva attraverso l’omessa dichiarazione dei ricavi. In particolare i finanzieri hanno accertato che tre prestigiosi negozi di abbigliamento ed accessori situati sul corso principale, nonostante il flusso di clienti risultavano non avere ricavi.
Gli approfondimenti successivi hanno portato i finanzieri ad accertare che i tre negozi, uno dei quali con punti vendita anche a Taormina e Riccione, erano riconducibili ad un unico nucleo familiare che li gestiva attraverso tre distinte società a responsabilità limitata che, a partire dal 2007, avevano regolarmente operato pur omettendo di versare le imposte dovute. Le società sono risultate intestate alla moglie ed ai due figli di U.M. di 58 anni, commerciante noto negli ambienti reggini risultato essere, nei fatti, secondo l’accusa, l’effettivo dominus di tutte e tre le società. Esaminando i flussi finanziari in entrata ed in uscita sui conti correnti personali ed aziendali, le Fiamme gialle hanno ricostruito una base imponibile sottratta a tassazione pari a oltre 30 milioni di euro cui si collega un’evasione Iva superiore ai 4 milioni di euro. Tutti i componenti del nucleo familiare sono stati segnalati all’autorità giudiziaria per evasione fiscale e sottrazione/occultamento delle scritture contabili obbligatorie. Le indagini, coordinate dal pm della Procura Luca Miceli, proseguono.

Mafia, appalti a Messina: ecco le società sequestrate

Pubblicati i nomi delle aziende coinvolte oggi nella confisca di beni da 15 milioni di euro

MESSINA. Il sequestro di 15 milioni di euro operato oggi dai carabinieri ha riguardato nove società riconducibili agli arrestati Carmelo Giambò, Giovanni Bontempo e Giuseppe Triolo. Si tratta delle srl Nilo Costruzioni, Biebi, Operis costruzioni, Sicilcasa, Euromare, Edil Sicilia, Ng Costruzioni, della snc Tg Trasporti di Triolo Giuseppe & C. e delle imprese individuali Perdichizzi Giusy Lina e Giambò Carmelo.
Sull'operazione è intervenuto anche Giuseppe Scandurra della direzione nazionale delle associazione antiracket e antiusura: "Mi complimento con quanto fatto dalla Procura di Messina, dalla Dda e dai carabinieri che hanno messo a segno un'importante operazione antimafia confiscando anche beni per 15 mln di euro. L'aggressione ai beni e ai patrimoni della criminalità organizzata è la strategia vincente per sconfiggere i clan. Auspichiamo che come richiesto anche recentemente dal capo della Procura di Messina Guido Lo Forte quanto prima sia realizzata anche a Messina una sezione collegiale dedicata esclusivamente alle misure di prevenzione".
Soddisfatto anche il procuratore Lo Forte: "Con questa operazione - ha detto - sono più chiari i rapporti tra i clan palermitani e messinesi". Dello stesso parere Leonida Primicerio, della procura nazionale antimafia che ha sottolineato come "la preziosa sinergia tra reparti speciali e locali delle forze dell'ordine faccia conquistare grandi risultati".

Trattativa mafia-Stato: chiesto il rinvio a giudizio per Mancino, Dell'Utri e Mori

La richiesta firmata dai pm di Palermo e la richiesta sarà trasmessa al gip delle prossime ore. Coinvolti l'ex presidente del Senato, l'ex ministro, ufficiali dell'Arma e Ciancimino jr e i capi di Cosa Nostra
PALERMO. I pm di Palermo hanno firmato la richiesta di rinvio a giudizio dei 12 indagati per la trattativa Stato-mafia tra i quali l'ex presidente del Senato Nicola Mancino, l'ex ministro Calogero Mannino, capi mafia, ufficiali dell'Arma e Ciancimino Jr. Il procuratore avrebbe vistato la richiesta che sarà trasmessa al gip nelle prossime ore

La richiesta di rinvio a giudizio firmata dal procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dai pm Nino Di Matteo, Lia Sava e Francesco Del Bene e vistata ma non firmata dal procuratore, riguarda i capimafia Totò Riina, Giovanni Brusca, Nino Cinà, Leoluca Bagarella e Bernardo Provenzano. Il processo verrà richiesto anche per il figlio dell'ex sindaco Vito Ciancimino, Massimo, per il generale dei carabinieri, Mario Mori, per l'ex capitano dell'Arma, Giuseppe De Donno e per l'ex capo del Ros, Antonio Subranni. L'istanza riguarda, inoltre, l'ex ministro dell'Interno, Nicola Mancino, il senatore del Pdl, Marcello Dell'Utri e l'ex ministro Calogero Mannino.

Gli imputati sono accusati a vario titolo di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato e concorso in associazione mafiosa. Mancino risponde di falsa testimonianza e Ciancimino, oltre che di concorso in associazione mafiosa, di calunnia.

Mafia e usura tra Palermo e Trapani: sequestri e confische da 11 milioni

Tra i soggetti interessati dai provvedimenti, un operatore cinematografico palermitano di 46 anni, già coinvolto in passato in altre operazioni, un esponente di 59 anni della famiglia mafiosa della Noce e un imprenditore di Borgetto
PALERMO. Patrimoni e disponibilità finanziarie per un valore complessivo di circa 11 milioni di euro sono stati sequestrati e confiscati dalla Guardia di Finanza di Palermo, in esecuzione di provvedimenti emessi dalle Sezioni Misure di Prevenzione dei Tribunali di Palermo e di Trapani, sulla base delle investigazioni economico-patrimoniali svolte dai finanzieri del Gruppo d’Investigazione sulla Criminalità Organizzata – G.I.C.O. – del Nucleo di Polizia Tributaria del capoluogo siciliano.

Tra i soggetti interessati dai provvedimenti c'è Alfonso Neri, un operatore cinematografico palermitano di 46 anni, coinvolto in precedenza in un’attività di usura smantellata dalla Guardia di Finanza di Palermo nell’ambito dell’operazione “Bloodsuckers”, nel cui contesto era stato colto in flagranza di reato mentre intascava il denaro da una vittima.

Le indagini delle Fiamme Gialle avevano portato alla luce un complesso sistema che può riassumersi nella massima “nessun usuraio ha una sola vittima, nessuna vittima ha un solo usuraio”; infatti, per far fronte alle pressanti richieste di un aguzzino, le vittime erano costrette a chiedere aiuto ad altri usurai, inserendosi così in un perverso meccanismo dal quale era sempre più difficile uscire.

Nei confronti dello strozzino sono stati sequestrati sei immobili, di cui uno a Terrasini e cinque nei quartieri Politeama, Monte di Pietà, Uditore-Passo di Rigano e Oreto-Stazione di Palermo, due motocicli modello Piaggio e Yamaha, un’autovettura Renault Megane Cabrio, oggetti preziosi di varie tipologie e diverse disponibilità finanziarie, il tutto per un valore di oltre 930 mila euro.

Un altro provvedimento di sequestro ha riguardato Luigi Caravello, un esponente di 59 anni della famiglia mafiosa palermitana della “Noce”, che, già in passato arrestato per associazione mafiosa ed estorsione, alla fine del 2008 è stato nuovamente destinatario di un provvedimento cautelare nell’ambito dell’operazione di polizia denominata “Perseo”, unitamente ad altri capimafia, reggenti e gregari palermitani che stavano tentando di ricostituire la nuova “commissione provinciale” di “Cosa Nostra”.

A suo carico sono stati sequestrati 4 lotti di terreno e tre appartamenti situati in Palermo, nella località Cruillas-Cep, il tutto per un valore di 2 milioni di euro circa.

Interessato da un altro provvedimento di sequestro per un valore di 3,5 milioni di euro circa, un imprenditore sessantaquattrenne di Borgetto (PA), Francesco Romano, che, unitamente ad altri tre imprenditori, era finito in manette nell’ambito dell’operazione denominata “Benny”, per essersi intestato fittiziamente alcuni beni, tra cui un impianto di calcestruzzo, di fatto riconducibili ad un esponente mafioso, il quale, per aggirare gli effetti di un provvedimento di confisca antimafia emesso nei suoi confronti, era riuscito a reinserirsi nel settore della produzione e fornitura di calcestruzzo e conglomerati bituminosi, intestando fittiziamente beni e società a terze persone, in qualità di prestanome.

Il provvedimento di sequestro ha riguardato un lotto di terreno nella zona industriale di Marsala (TP) ed un’impresa di calcestruzzi di Marsala.

Sempre a Marsala sono stati sequestrati 12 terreni e diverse disponibilità finanziarie, per un valore complessivo di oltre 1,4 milioni di euro circa, a carico di un “uomo d’onore” di 77 anni, Antonio Bonafede, affiliato alla locale famiglia mafiosa, già condannato nel 2000 per associazione mafiosa e poi coinvolto nel 2010 in un’altra operazione di polizia contro la rete dei presunti fiancheggiatori del latitante Matteo Messina Denaro.

Droga, scoperto traffico tra Sicilia e Calabria

Il blitz con arresti dopo due anni di indagini. L’attività veniva svolta a Siracusa dal clan Bottaro-Attanasio e da altre organizzazioni minori. Decisive le ntercettazioni e le riprese video
PALERMO. Numerosi arresti sono stati eseguiti nelle prime ore della mattina dalla polizia di Siracusa nell'ambito di una vasta operazione contro il traffico e lo spaccio di sostanze stupefacenti tra Sicilia e Calabria. L'indagine, durata circa due anni, ha visto la partecipazione dalla compagnia dei Carabinieri di Siracusa e ha evidenziato una vasta attività illecita svolta a Siracusa dal clan Bottaro-Attanasio e da altre associazioni minori. L'attività investigativa, supportata da intercettazioni telefoniche, ambientali e riprese video, ha consentito di accertare come la droga smerciata nel capoluogo provenisse dalla Calabria. Importante anche il contributo fornito dalle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia.

Sparatoria nel Ragusano, fermati in due

Nel mirino di polizia e carabinieri due presunti complici di Massimo Interlici, ritenuto l'omicida di Francesco Nigito, ferito mortalmente con colpi di pistola il 18 luglio scorso a Vittoria
RAGUSA. Polizia e carabinieri di Ragusa hanno fermato due presunti complici di Massimo Interlici, già detenuto perché ritenuto l'omicida di Francesco Nigito, ferito mortalmente con colpi di pistola il 18 luglio scorso a Vittoria. Sono il nipote, Giovanni Interlici, di 20 anni, e Rico Francesco Gilberto, di 42 anni. Secondo l'accusa avrebbero fornito una delle due pistole usate da Interlici durante la sparatoria in cui sono rimasti feriti anche due fratelli della vittima, Giuseppe e Gianluca Nicito. L'omicidio sarebbe maturato nell'ambito di contrasti nella gestione del noleggio di video-poker e di distributori automatici di bevande in esercizi commerciali della zona. Il provvedimento di fermo, eseguito dalla squadra mobile della Questura e da carabinieri del comando provinciale di Ragusa, è stato emesso dal sostituto procuratore Federica Messina.

Giro di prostituzione nell’Agrigentino, scattano quattro arresti

Scoperta un’organizzazione dedita allo sfruttamento sessuale di giovani straniere. A capo del clan, Giovanni Melluso detto “Gianni il bello”, fra gli accusatori del presentatore televisivo Enzo Tortora

SCIACCA. I carabinieri hanno eseguito quattro ordinanze di custodia cautelare, emesse dal gip su richiesta della Procura di Sciacca, nei confronti di altrettanti appartenenti ad un'organizzazione dedita allo sfruttamento sessuale di giovani straniere. A capo del clan, Giovanni Melluso detto 'Gianni il bello', già sorvegliato speciale di pubblica sicurezza fino al 2011, fra gli accusatori del presentatore televisivo Enzo Tortora, arrestato nel 1983 per reati in materia di stupefacenti e per l'ipotizzata appartenenza alla "Nuova Camorra Organizzata" di Raffaele Cutolo. Accuse che si rivelarono poi, infondate, con la conseguente assoluzione dell'imputato. L'operazione antiprostituzione è stata denominata, simbolicamente, "Portobello". I miliari dell'Arma di Sciacca e quelli del reparto operativo di Agrigento hanno eseguito anche delle misure di sequestro per un club privé e per due appartamenti a Menfi (Agrigento) dove l'associazione avrebbe fatto prostituire donne straniere.
L'inchiesta antiprostituzione è stata avviata nell'aprile scorso. Durante questo breve lasso di tempo, i carabinieri hanno accertato che Melluso, in associazione con altri cinque indagati (tre di essi sono gli altri destinatari di misura cautelare e fra questi vi sarebbe anche la compagna del Melluso) aveva organizzato, in un immobile in contrada San Marco, a Sciacca, una casa di prostituzione in un 'club privato', ufficialmente non riconducibile a lui. Nel locale sarebbero state ospitate prostitute straniere, del circuito 'escort in tour', e trans.
L'organizzazione chiedeva alle giovani straniere un anticipo minimo di 420 euro per una settimana di 'affitto' di una stanza. Il gruppo reclutava le prostitute anche tramite annunci su quotidiani o siti internet e, a seguito dell'accordo, invitate a raggiungere Sciacca o Menfi dove l'associazione aveva nella disponibilità altri due appartamenti. I carabinieri hanno appurato che ogni giovane straniera riuscisse ad incassare fino a 1.000 euro al giorno. Il club privé sequestrato è l"Happy night - Disco Pub' di contrada San Marco.

Mafia e appalti nel Messinese: blitz con 15 arresti

Operazione dei carabinieri del Ros contro esponenti della famiglia di Barcellona Pozzo di Gotto. Al centro delle indagini le estorsioni nel settore imprenditoriale e le infiltrazoni nelle attività pubbliche
MESSINA. I carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Messina hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip del locale tribunale nei confronti di 15 persone indagate per associazione mafiosa, omicidio, estorsioni e intestazione fittizia di beni, aggravati dalle finalità mafiose. Contestualmente sono stato sequestrati beni per un valore di oltre 15 milioni di euro riconducibile agli indagati, tutti appartenenti, secondo gli investigatori. Al centro delle indagini l'attività estortiva nel settore imprenditoriale e le infiltrazioni negli appalti pubblici del Messinese della famiglia mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto, da anni principale riferimento nella provincia per cosa nostra palermitana e catanese.

Donna incinta uccisa a Trapani: macchie di sangue nei pantaloni del marito

Si aggrava la posizione di Salvatore Savalli, l'operaio di 39 anni, in carcere con l'accusa di aver assassinato e dato alle fiamme, lo scorso 4 luglio nelle campagne di Trapani, la moglie, Maria Anastasi, madre di tre figli e incinta al nono mese

PALERMO. Si aggrava la posizione di Salvatore Savalli, l'operaio di 39 anni, in carcere con l'accusa di aver assassinato e dato alle fiamme, lo scorso 4 luglio nelle campagne di Trapani, la moglie, Maria Anastasi, madre di tre figli e incinta al nono mese. I Ris di Messina hanno riscontrato microtracce di sangue nei pantaloni che l'uomo indossava quel giorno, come pure sulle scarpe. «Il sangue apparterrebbe a quello della vittima», dice il procuratore capo, Marcello Viola. Savalli è accusato di omicidio premeditato con l'aggravante della crudeltà e di aver cagionato la morte del feto in prossimità del parto. Intanto, al momento, «rimane immutata», conferma il procuratore Viola, la posizione dell'amante, Giovanna Purpura, accusata in concorso degli stessi reati. Domani il Tribunale del Riesame dovrà valutare la richiesta di annullamento dell'ordinanza di custodia cautelare presentata dai legali della donna.

sabato 21 luglio 2012

Ridisegnata l'Italia del campanile: addio a 64 Province

Da 107 a 43 con la "sforbiciata" pensata dall'Esecutivo

 
roma
Potranno i parsimoniosi criteri della spending review avere la meglio sul campanilismo italico? Il decreto varato ieri dal Consiglio dei ministri in tema di «riordino» delle province italiane ha creato più di un mal di pancia. Naturalmente tra chi rischia la cancellazione amministrativa e geografica.

Se il presidente dell’Upi (l’Unione delle province) Giuseppe Castiglione parla di «un processo di riforma istituzionale dal quale ci auguriamo esca una Italia più efficiente, con una amministrazione più moderna», il tono muta decisamente tra chi è a un passo dalla sparizione.

I presidenti delle province a rischio hanno chiesto di «bloccare l’ulteriore tentativo da parte del governo di definire criteri di taglio lineare e puramente dimensionali delle nostre province» ed esortano l’Upi a denunciare immediatamente l’incostituzionalità dell’articolo 17 del decreto e «di sospendere ogni disponibilità a collaborare col governo sulla riorganizzazione e il riassetto delle Province». Ma cosa determina gli accorpamenti tra province? In base ai criteri rivisti e approvati ieri dall’esecutivo, i nuovi enti dovranno avere almeno 350 mila abitanti ed estendersi su una superficie territoriale non inferiore ai 2500 chilometri quadrati. Saranno quindi 64 su 107 le province da accorpare, di cui 50 in regioni a statuto ordinario e 14 in regioni a statuto speciale.

Le province salve sarebbero dunque 43 su 107 di cui: 10 metropolitane, 26 in regioni a statuto ordinario e 7 in regioni a statuto speciale. Tuttavia va detto che in queste ultime varranno le prerogative previste dai rispettivi statuti. Anche se rispetto ai precedenti e più restrittivi criteri è stato fatto un passo avanti, in alcune regioni il taglio delle attuali province sarà drastico. Ad esempio in Toscana dove rispetto alle dieci attuali province, solo Firenze avrebbe i requisiti per restare e anche per trasformarsi in città metropolitana. Le restanti nove dovranno accorparsi in due nuove amministrazioni provinciali. È pensabile, per dire, che la storica rivalità Pisa-Livorno possa essere cancellata per decreto? Va un po’ meglio in Lombardia: su 12 province attuali, solo 4 (Milano, Brescia, Bergamo e Pavia) hanno i requisiti per rimanere in vita (Milano si trasformerà in città metropolitana).

Le nuove province avranno competenza in materia ambientale, di trasporto e viabilità. Mentre perderanno alcune funzioni (mercato del lavoro ed edilizia scolastica). Si è trasformato invece in un nulla di fatto l’accorpamento delle ferie «per motivi giuridici ed economici». Il consiglio dei Ministri ha infatti espresso parere contrario perché la questione avrebbe riguardato solo tre giorni l’anno: lunedì di pasquetta, il 26 dicembre e la festività dei Santi patroni e per scongiurare ricadute sul turismo.

rosaria talarico


Addio a 64 Province La nuova geografia dell'Italia


giovedì 19 luglio 2012

Via D'Amelio, vent'anni fa la strage

Hanno preso il via le iniziative per ricordare l'eccidio di via D'Amelio. I familiari non hanno voluto le istituzioni, cori contro Napolitano

PALERMO. Sono arrivati da tutta Italia per ricordare Paolo Borsellino, il giudice ucciso dalla mafia il 19 luglio del 1992. E, come ogni anno, a simbolo della loro battaglia per la ricerca della verità sulla strage di via D'Amelio, hanno scelto l'agenda rossa, con il diario del magistrato, scomparsa misteriosamente subito dopo l'attentato. Con il presidio delle Agende rosse - che nel corso di un corteo hanno contestato il presidente Napolitano manifestando solidarietà ai Pm di Palermo che indagano sulla trattativa - hanno preso il via a Palermo le iniziative per ricordare, nel ventennale, l'eccidio di via D'Amelio. «Quando ci sono state le stragi del '92 - racconta Marco, milanese - avevo 18 anni. Mi è sembrato giusto mostrare una reazione civile. Purtroppo il lavoro dei pm è molto difficile perchè hanno a che fare anche con tanti condizionamenti».

Al giudice ucciso il Comune intitolerà l'atrio della biblioteca di Palermo, mentre a tutti quelli nati il 19 luglio del 1992 a Palermo l'amministrazione ha regalato dei block notes con l'elenco di tutte le vittime della mafia dal 1893 a oggi. Sempre per ricordare l'eccidio in cui morirono anche gli agenti di scorta Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina, le agende rosse hanno «scalato» il monte Pellegrino per raggiungere il castello Utveggio, luogo da cui si pensava fino a qualche tempo fa fosse partito il segnale per azionare la bomba. «Il castello Utveggio - ha spiegato Salvatore Borsellino, fratello di Paolo e ideatore del movimento delle agende rosse - è un simbolo visto che sicuramente lì c'era un centro del Sisde. Da lì qualcuno avrà visto la colonna di fumo il 19 luglio 1992 e avrà comunicato a chi di dovere che l'attentato era andato a buon fine».
Per le vie della città, intanto, si snodava il lungo cordone degli scout, organizzato dall'Agesci, dalla Magione a piazza San Domenico, dove il figlio di Borsellino, Manfredi, che oggi fa il commissario di polizia, non è riuscito a trattenere le lacrime mentre leggeva il discorso pronunciato vent'anni fa dal padre in quella stessa basilica per ricordare Giovanni Falcone. L'ultimo appuntamento della giornata alla facoltà di Giurisprudenza per il convegno, organizzato da Antimafia Duemila, sul tema «Trattative e depistaggi: quale stato vuole la verità sulle stragi?» con gli interventi - tra gli altri - di Salvatore Borsellino, Antonio Ingroia, Antonino Di Matteo, Roberto Scarpinato, Domenico Gozzo.
Oggi, anniversario della strage, altre iniziative in via D'Amelio dove un albero d'ulivo raccoglie i messaggi e le testimonianze di solidarietà portate negli anni. Quell'albero e quel luogo, però, secondo la famiglia Borsellino non devono «essere meta di rappresentanti delle istituzioni venuti a portare corone di fiori. Vogliamo che ci siano persone che scelgono di fare memoria». Polemiche che non sono passate inosservate, tanto che Gianfranco Fini, presidente della Camera, farà visita solo in forma privata. Il presidio in via D'Amelio avrà inizio alle 8 dando spazio alle iniziative della società civile e soprattutto ai bambini per i quali sono previsti, dalle 9.30 alle 13, animazione ludica e didattica e percorsi di «Legalità». La giunta distrettuale dell'Anm di Palermo commemorerà il giudice con un convegno alle 11 nell'aula magna del palazzo di giustizia con un incontro aperto dal titolo: «Paolo Borsellino. Venti anni dopo» a cui parteciperanno anche il segretario nazionale del Pdl Angelino Alfano e il presidente della Camera, Gianfranco Fini.

Alle 16.58 ci sarà il minuto di silenzio e Marilena Monti, cantautrice e scrittrice, reciterà «Giudice Paolo». Alle 17.15 sono previsti gli interventi dei familiari di Paolo Borsellino e della scorta. In via D'Amelio arriverà in serata anche la fiaccolata organizzata da Giovane Italia che partirà alle 20 da piazza Vittorio Veneto. Parteciperanno, tra gli altri il segretario del Pdl Angelino Alfano, il coordinatore nazionale Ignazio La Russa, il sindaco di Roma Gianni Alemanno, il vice presidente del Parlamento Europeo Roberta Angelilli e l'ex ministro della Gioventù Giorgia Meloni.

Due Kalashnikov tra le statuette di Padre Pio

Arrestato un intero gruppo familiare di nove persone a Comiso. Le armi e le cartucce erano in un borsone e sono state sequestrate dai carabinieri

COMISO. Due fucili mitagliatori d'assalto Kalashnikov Jager e numerose cartucce sono stati sequestrati dai carabinieri di Ragusa a Comiso. Le armi erano su un caravan in un borsone, assieme a tre statuette di Santo Padre Pio e biancheria di un bambino. Militari dell'Arma hanno sequestrato i mitragliatori e arrestato un intero gruppo familiare di nove persone di Comiso, cinque uomini e quattro donne, per detenzione e trasporto illegale di armi clandestine da guerra e munizioni. Tre bambini che erano con loro sono stati affidato alla tutela del Tribunale per i minorenni. I fucili mitragliatori saranno esaminati da carabinieri del Ris di Messina per stabilire se siano state utilizzate in agguati di mafia.

Droga, blitz a Catania contro il clan Cappello

Venti arresti della squadra mobile. L’accusa è traffico di stupefacenti. Coinvolte anche cinque donne, tra una dottoressa che avrebbe firmato falsi certificati agli affiliati

CATANIA. Operazione antidroga a Catania, dove agenti della squadra mobile della Questura hanno arrestato una ventina di persone in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip su richiesta della Dda della Procura. Il reato ipotizzato, per la maggior parte degli indagati, è di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Tra i destinatari del provvedimento ci sono diverse persone ritenute organiche al clan mafioso catanese Cappello-Carateddi

Tra gli arrestati ci sono anche cinque donne, compresa una dottoressa che lavora in un ospedale di Catania, indagata per corruzione in atti giudiziari: secondo le indagini della squadra mobile etnea, avrebbe redatto certificati medici con false diagnosi ad affiliati della cosca.

Lombardo: nessun rischio default

PALERMO. "Non è vero che la Sicilia è al default. Sono tutte fandonie. Il bilancio è certificato dalla Corte dei conti, compresi i residui attivi. Tre agenzie di rating monitorano i nostri conti. La nostra situazione è di BAA2, stiamo meglio di molte altre regioni. Siamo sullo stesso piano del Veneto". Lo ha detto il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, che ha convocato una conferenza stampa dopo la lettera del premier, Mario Monti.
"Il bilancio della Sicilia è di 27 miliardi, il debito di 5,5 miliardi, il Pil di 85 miliardi di euro. Se confrontiamo il Pil col debito della Regione e quello dello Stato capiamo meglio: lo Stato ha un Pil di 1600 miliardi e duemila miliardi di euro di debito. Inoltre, lo Stato ci deve circa un miliardo". "Ci tuteleremo - ha aggiunto - in sede penale e civile contro i giornali che hanno parlato di fallimento della Regione. A Borghezio dico che se riuscisse a staccare la Sicilia dall'Italia saremmo ben felici perché potremmo usufruire di altri dieci miliardi e avere un grande boom economico".

COMMISSARIO NON PREVISTO DALLO STATUTO. "Non intendo prestare il fianco a chi non vuole che le elezioni si celebrino a fine ottobre. E' impossibile che si mandi un commissario. Ci sono degli articoli che regolamentano le elezioni e chi governa nel periodo che precede le consultazioni elettorali in caso di dimissioni". Lo ha detto il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, questo pomeriggio in conferenza stampa. "Non vogliono le mie dimissioni - ha aggiunto - Vogliono solo rinviare le elezioni. Per quanto mi riguarda è come se mi fossi dimesso ieri. Non voglio però che la Sicilia diventi merce di scambio, in caso di elezioni contemporanee con le politiche, per un ministero in più. Si deve votare prima".

ATTACCO A LO BELLO E UDC. "Vorrei che taluni imprenditori facessero davvero il bene della Sicilia. Lo Bello l'ho incontrato alcune volte nel caso di inaugurazione di impianti fotovoltaici, tipo di investimenti che si è visto essere nelle mani dei mafiosi. Perché non fanno le cose positive invece di dire certe cose?". Lo ha detto il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, a proposito delle dichiarazioni di Ivan Lo Bello, vicepresidente di Confindustria. "In questo quadro c'é anche l'Udc che vuole rimettere le mani sulla Sicilia - ha aggiunto - Sono pronto a confrontarmi con Casini, anche sui sette anni precedenti ai miei in Sicilia, fatti di termovalorizzatori e quant'altro".

"Chi ha l’agenda di mio padre ha un’arma di ricatto"

L’analisi della strage di via D’Amelio nelle parole di Manfredi Borsellino, figlio di Paolo, il magistrato ucciso con la scorta il 19 luglio di vent’anni fa. “Il depistaggio, ora acclarato dai colleghi di mio padre che attualmente conducono le indagini sulla strage per produrre i suoi effetti devastanti è stato perlomeno avallato da altri magistrati”

PALERMO. Ieri ha reso omaggio alla memoria di suo padre come è stile di famiglia: lavorando sodo. Alla vigilia del ventennale della strage di via D’Amelio, Manfredi Borsellino, oggi commissario di polizia a Cefalù, ha coordinato un’operazione sulle Madonie che ha fruttato nove arresti. Poche chiacchiere e sudore della fronte, così ha celebrato il ricordo del genitore amatissimo, «uno che non si perdeva d'animo mai, soprattutto davanti a noi».
Oggi, nel ricordo di Manfredi, Paolo Borsellino è «un padre di cui andare fiero, da italiano e da figlio», ma è anche una vittima che aspetta ancora giustizia, dopo un processo depistato e una nuova inchiesta che ha aperto nuovi scenari sulla trattativa tra lo Stato e la mafia, un patto scellerato che al giudice ripugnava. E che adesso è tornata al centro della cronaca, con il braccio di ferro tra la procura di Palermo e la presidenza della Repubblica sull’utilizzo di alcune intercettazioni.
«Oggi — racconta Manfredi — sappiamo di avere assistito a Caltanissetta a un processo-farsa, a indagini condotte da un ex questore e prefetto, Arnaldo La Barbera, che aveva tra l'altro molta fretta di fare carriera alla cui memoria, nonostante tutto quello che è già emerso e che lo vede tra gli esecutori materiali di un colossale depistaggio, alcuni miei forse poco informati colleghi continuano a intitolare inspiegabilmente qui a Palermo un torneo interforze di calcetto».
Già. Che un pesce piccolo come Vincenzo Scarantino, un picciotto della Guadagna che amava gonfiare il petto fosse l’autore della strage era arduo da credere. Ma sulle sue parole la procura di Caltanissetta ha costruito l’architrave di una ricostruzione che si è rivelata essere una delle bufale più clamorose della storia italiana.
«Il depistaggio, oramai acclarato da quei colleghi di mio padre che attualmente conducono le nuove indagini sulla strage di via D'Amelio — dice Manfredi — uomini che non finirò mai di ringraziare assieme a mia madre e alle mie sorelle, purtroppo, per produrre i suoi effetti devastanti è stato perlomeno avallato da magistrati requirenti e giudicanti; voglio credere che tutti questi magistrati, proprio tutti, siano stati sempre in buona fede e quindi davvero tratti in inganno dalle false risultanze investigative che gli venivano poste sotto gli occhi».
La verità è ancora da scrivere. E un tassello di quella verità è l’agenda rossa di Borsellino che scompare all’indomani della strage, le pagine in cui il magistrato scriveva febbrilmente nei suoi ultimi giorni. «Io — dice Manfredi — non posso sapere esattamente cosa scrivesse, posso solo ipotizzare che su quell'agenda volesse cristallizzare conoscenze, acquisizioni investigative e quant'altro un giorno avrebbe riferito ai suoi colleghi di Caltanissetta, se solo lo avessero convocato e sentito formalmente. Ma in quei cinquantasette giorni tra la morte di Falcone e la sua - come è noto - nessuno di quei giudici allora in servizio alla procura di Caltanissetta ritenne opportuno acquisire le sue dichiarazioni, redigere un verbale».
Dov'è adesso l'agenda? «Nella disponibilità di qualcuno che può anche solo averne intuito il contenuto esplosivo. Distrutta o ancora intatta? Non lo so. Nel secondo caso, certamente una formidabile arma di ricatto in mano a chi ce l'ha».
L’ultima fotografia di Borsellino, scattata il 6 luglio del 1992, racconta il dolore, la solitudine, l’angoscia del giudice che tutta Palermo indica ormai come la vittima designata, il morto che cammina. Sul dondolo della sua villetta di Villagrazia di Carini, quella da cui lui partirà la domenica fatale per andare incontro al suo appuntamento con la morte, ha il volto scavato, lo sguardo sofferto, gli occhi distrattamente rivolti all’obiettivo. È passato un mese e mezzo da quando Giovanni Falcone - suo amico e scudo - è saltato in aria a Capaci, ma per lui è cambiato tutto. Tredici giorni dopo quella fotografia, la domenica 19 luglio, il tritolo avrebbe squarciato l’asfalto e i palazzi di via d’Amelio.
Il tempo di scendere in quella strada in cui nessuno aveva provveduto a mettere un divieto di sosta, di scampanellare al citofono della madre e la Fiat 126 sarebbe esplosa. Con lui muoiono Emanuela Loi, uno scricciolo di 45 chili e 24 anni che è tornata dalle ferie nella sua Cagliari per senso del dovere nonostante non si senta bene; Eddie Cosina, un omone di Trieste che volontariamente è piombato nella trincea di Palermo e che sempre per sua scelta è in servizio al posto di un collega appena arrivato; Agostino Catalano, che ha lasciato a casa due figlie già orfane di madre; Claudio Traina, al suo primo giorno di lavoro accanto a Borsellino; Fabio Li Muli, che pochi giorni prima ha chiesto alla sorella di ricordagli le parole dell'Ave Maria.
Il giudice un martire? Manfredi sorride, amaro: «L'ultimo dei suoi desideri era lasciare la moglie vedova e tre orfani ancora ragazzi, ma era consapevole che questo sarebbe potuto accadere. Diceva che non era suo compito pensare alla sua sicurezza personale poiché vi erano altre persone e istituzioni deputate a farlo, il suo compito era piuttosto far sì che i suoi familiari e gli agenti di scorta non rimanessero coinvolti in un attentato ordito alla sua vita: con i primi è riuscito nel suo intento, con i secondi, purtroppo, no».
Oggi il ricordo di suo padre è amore, gratitudine, ammirazione. «Era uno con le spalle larghe così, uno che si assumeva sempre le responsabilità per tutti, in famiglia e nel lavoro. Lo aveva fatto quando aveva seguito i sette figli della sorella Adele, rimasta presto vedova. Lo aveva fatto con i suoi giovani della procura di Marsala e di Palermo. Io dico sempre che ha salvato molte vite, perché i problemi, i pericoli, li affrontava lui in prima persona facendo scudo agli altri. Me lo disse il pm Gioacchino Natoli, piangendo con me in macchina, dopo la strage: abbiamo sbagliato, se avessimo saputo comunicare all'esterno, agli uomini di Cosa Nostra, che uccidendo Borsellino non avrebbero azzerato tutto, che ci sarebbero stati altri a portare avanti la sua missione, forse lui sarebbe ancora vivo».

di LAURA ANELLO

Agguato a Vittoria, tre arresti

Le indagini sulla morte di Francesco Nigito, ucciso ieri con colpi di pistola. Interrogato i due fratelli rimasti feriti. Nella notte in manette tre persone accusate di favoreggiamento

VITTORIA. Sono stati interrogati a lungo Giuseppe e Giancarlo Nigito, i fratelli di Francesco ucciso con colpi di pistola in un agguato ieri a Vittoria, nel Ragusano. I due, rimasti feriti in maniera non grave, sono stati dimessi dall'ospedale e condotti in caserma dove sono stati sentiti da carabinieri del comando provinciale di Ragusa. Gli investigatori non escludono che la sparatoria possa essere maturata nell'ambito di contrasti per il controllo del mercato dei videopoker e delle macchine da caffé in esercizi pubblici di Vittoria.
La notte scorsa, nell'ambito della stessa indagine, militari dell'Arma hanno arrestato tre persone accusate di favoreggiamento personale per aver fornito dichiarazioni in contraddizione con gli elementi oggettivi acquisiti dagli investigatori sulla dinamica della sparatoria. I bossoli sequestrati sul luogo dell'agguato saranno affidati a carabinieri del Ris per esami balistici. Durante perquisizioni nelle abitazioni di pregiudicati della zona, finalizzate alla ricerca degli autori dell'agguato mafioso, sono state arrestate anche tre persone estranee alla sparatoria, ma trovate in possesso di droga.

Si tratta di componenti della famiglia Nigito, coinvolta in una guerra di mafia negli anni novanta. La madre sta scontando una pena per traffico di droga. Uno sarebbe stato ricoverato in gravi condizioni
VITTORIA. Tre fratelli Francesco, Giuseppe e Gianluca Nigito sono stati feriti da diversi colpi di arma da fuoco in via Adua nel centro di Vittora. I proiettili sono stati sparati da sicari in auto. I Nigito erano stati coinvolti in una guerra di mafia negli anni '90. I tre feriti sono stati trasportati nel pronto soccorso di Vittoria. Francesco sarebbe in condizioni gravi e i medici si sono riservati la prognosi. Secondo una prima ricostruzione i fratelli stavano discutendo in via Adua, poco prima delle 14, quando da un'auto sono stati esplosi diversi colpi di arma da fuoco. I tre uomini sono stati copiti in diverse parti del corpo. I Nigito sono conosciuti alle forze dell'ordine perchè negli anni '90 furono al centro di una guerra di mafia con la famiglia D'Agosta, che guidava il clan 'Mammasantissimà. La madre dei Nigito sta scontando una pena detentiva perch‚ accusata di traffico di droga: veniva chiamata 'mamma eroinà.

Indagati 45 dipendenti del Comune di Taranto per assenze sul lavoro


TARANTO – La guardia di finanza ha notificato l’avviso di garanzia a 45 dipendenti del Comune di Taranto accusati di truffa aggravata e false attestazioni in relazione a molteplici episodi di assenteismo. In particolare gli investigatori, anche con l’ausilio di riprese filmate, hanno scoperto che gli indagati (un dirigente e 44 impiegati) timbravano i 'badgè personali di servizio anche di persone non presenti negli uffici, attestandone fittiziamente la presenza.

Gli impiegati per i quali sono stati indebitamente obliterati i marcatempo sono stati notati mentre si recavano negli uffici successivamente alla loro registrazione in entrata o risultavano aver timbrato in uscita in orario successivo al loro effettivo allontanamento dal posto di servizio. Agli indagati è stato notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari.

Rossella Urru è libera: rilasciata in Mali insieme a due spagnoli

Napolitano: grazie ai servizi segreti. La mamma: sono emozionatissima. La cooperante italiana era stata rapita in ottobre in Algeria
Rossella Urru
ROMA - Rossella Urru è libera. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri, Giulio Terzi. La cooperante italiana, rapita lo scorso ottobre in Algeria, è stata rilasciata dai miliziani del Mujao (il Movimento per l'unità e il jihad in Africa occidentale) vicino a Timbuctù, in Mali, e si trova ora nelle mani dei mediatori. L'annuncio di Terzi conferma quello dato in giornata da un portavoce di un gruppo islamico vicino ad al Qaeda.

Terzi: una bellissima notizia. «Rossella Urru è stata liberata - ha annunciato Terzi -. Si tratta di una bellissima notizia. Rossella sta per entrare in contatto con l'Unità di crisi: speriamo di parlarle quanto prima».

Giorgio Napolitano ha appreso con sollievo e con gioia la notizia della liberazione di Rossella Urru. Napolitano rivolge oggi il proprio apprezzamento alle Amministrazioni e ai Servizi di Sicurezza per la loro tenace iniziativa e per il felice esito raggiunto. Nel comunicato del Quirinale si riferisce che Napolitano esprime la propria personale partecipazione ai famigliari di Rossella, che aveva incontrato nel febbraio scorso in Sardegna e alla generale soddisfazione dei cittadini sardi.

L'annuncio.
Il portavoce del gruppo islamico radicale Ansar al Din, Sanda Uld Buana, citato dall'agenzia Efe, aveva detto in giornata che un ostaggio italiano e due spagnoli erano stati liberati nel nord del Mali. Una dei due spagnoli è la cooperante Ainhoa Fernandez de Rincon, sequestrata insieme alla Urru in ottobre con Enric Ganyalons dal gruppo terrorista Movimento di Unicità e Yihad in Africa occidentale.

Il rapimento. Urru fu catturata con Ainhoa Fernandez de Rincon nel campo di rifugiati saharawi di Hassi Rabuni, nel deserto algerino lo scorso 23 ottobre, da un gruppo di uomini armati arrivati su vari fuoristrada probabilmente dal nord di Mali.

La falsa notizia della liberazione
. Già nel marzo scorso si era diffusa la notizia della liberazione della cooperante italiana, successivamente smentita.

La mamma: sono emozionatissima.
La notizia della liberazione ha fatto presto ad arrivare a Samugheo, provincia di Oristano, dove abitano i genitori di Rossella. «Sono emozionatissima, non vedo l'ora di riabbracciare mia figlia». Sono le prime parole della mamma di Rossella Urru, Marisa, che da martedì è a Roma con il marito Graziano. «Ci hanno chiamato dalla Farnesina - ha detto la mamma di Rossella -. Ci hanno detto che dovevamo partire per Roma ma senza dirci il perché. Abbiamo capito che si era mosso qualcosa, però non sapevamo in quale direzione. D'altronde in questi mesi, altre volte il ministero ci aveva detto di partire ma si trattava solo di comunicazioni. Questa volta invece è successo davvero: Rossella è tornata».

Ortaggi maturi col farmaco tossico Dormex e altri veleni, dalla Cina in tavola

Nel Napoletano la centrale di importazione e distribuzione 18 arresti, sequestrati quattro società e centomila euro

NAPOLI - NAPOLI - Fitofarmaci contraffatti, fabbricati artigianalmente con sostanze altamente tossiche e venduti a grossisti compiacenti a una somma notevolmente inferiore rispetto ai prodotti legali. La centrale dello smistamento in Italia in provincia di Napoli. Il commercio è stato interrotto da un' operazione dei carabinieri del nucleo antifrodi del comando politiche agricole e alimentari, coadiuvati da quelli del gruppo di Torre Annunziata. Le indagini sono state avviate dal capitano Silvio De Luca, oggi in forze alla Dia, dopo che le forze di polizia di alcuni paesi europei
avevano segnalato la presenza di tracce di farmaci illegali su prodotti provenienti dall'Italia e venduti come biologici.

Ordinanze. Ventiquattro, in tutto, le ordinanze di custodia cautelare emesse dal gip Paola Piccirillo: sette di custodia cautelare in carcere, undici agli arresti domiciliari e sei di obbligo di dimora. Sequestrati beni per 100mila euro tra cui quattro società.

Le ordinanze sono state eseguite nelle province di Napoli, Caserta, Foggia, Bari, Treviso, Brescia, Ragusa e Salerno. La tossicità delle sostanze utilizzate per produrre i fitofarmaci contraffatti è stata sottolineata nel corso di una conferenza stampa dal procuratore aggiunto Rosario Cantelmo.

Dalla Cina. Le dimensioni del traffico sono risultate impressionanti. Da Treviso, dalla Spagna, dalla Cina: i fitofarmaci illegali e le materie prime necessarie per produrre quelli contraffatti arrivavano in provincia di Napoli dalle località più disparate. E non si tratta di prodotti semplicemente contraffatti ma di veri e propri veleni, come, ad esempio, il Dormex. Bandito in Europa, prodotto in Cina, importato clandestinamente, finiva sugli ortaggi per indurme la maturazione. Con i rischi per la salute immaginabili.

Intercettazioni. I traffici della banda sgominata oggi sono documentati da centinaia di intercettazioni telefoniche dalle quali si comprende come tutti fossero perfettamente a conoscenza della tossicità delle sostanze comprate e rivendute, alcune delle quali erano anche scadute e dunque ancora più rischiose.

Emblematica una conversazione tra Luigi Borriello, ritenuto uno dei promotori dell'associazione a delinquere, e un suo cliente pugliese.

Tossico e scaduto. Borriello sta cercando di procurarsi del Dormex, un prodotto la cui vendita è vietata in Europa, che fino a poco prima veniva prodotto in Spagna; ormai, a causa della sua tossicità, neppure la Spagna lo produce più ed è necessario importarlo dalla Cina

«Chiama tu Vincenzo, vedi se tiene un poco di Dormex della Cina». L'uomo si stupisce perchè il Dormex è sempre stato acquistato in Spagna: «La Spagna non ne fa più - chiarisce Borriello -; che, mi andavo a comprare il Dormex da mano a Vincenzo?».

Piccole quantità di prodotto si trovano ancora: «Ne ho trovate quattro o cinque pedane in Spagna», precisa, e aggiunge: ci stanno pure due pedane scadute. E il cliente ha detto: scaduto e buono, lo voglio».

L'elenco. Questo l'elenco delle persone arrestate oggi dai carabinieri nell'ambito dell'inchiesta sui fitofarmaci contraffatti: Agostino, Luigi e Francesco Borriello, di Torre del Greco (Na); Carlo Panariello, di Torre del Greco; Michele Troiano De Cia, di Foggia; Domenico Simone, di Cerignola (Fg); Pasquale Gelsi, di Foggia; Maurizio Paletti, di Brescia; Vincenzo Raia, di Somma Vesuviana (Na); Giorgio Conte, di San Sebastiano al Vesuvio (Na); Pietro Comperchio, di Cerignola; Giovanni Battista Amoroso, di Vittoria (Rg); Mario Tuccillo, di San Gennaro Vesuviano (Na); Pasquale Binco, di Casal di Principe (Ce); Andrea Mauriello, di Ortanova (Fg); Gianandrea Cunial, di Treviso.