martedì 20 novembre 2012

La Regione Sicilia licenzia l’ufficio stampa milionario


Il presidente Crocetta vuol dare il benservito ai 21 caporedattori assunti

laura anello
palermo
La squadra dei record. Oggetto di invidie, contestazioni, denunce alla Corte dei Conti. Perché assunti senza concorso in un’amministrazione pubblica. Perché inquadrati con la qualifica di caporedattore dal primo minuto di gioco. Perché molto numerosi: quattro volte di più della squadra in servizio a Palazzo Chigi in epoca Berlusconi.

Adesso i ventun giornalisti assunti nell’Ufficio stampa della Regione siciliana sono precipitati dall’empireo della professione alla polvere dell’annunciato licenziamento.

È stato il neo-governatore Rosario Crocetta - che pure ha detto di voler garantire le truppe di 26 mila forestali e dei 22 mila precari degli enti locali - a decidere di avviare la sua campagna anti-sprechi proprio da loro. Arruolati in gran parte nell’epoca del munifico Cuffaro. Il quale prima ampliò l’organico da quattro a otto e poi aprì le porte ad altri quindici giornalisti, applicando a tutti il contratto da caporedattore e pure un’indennità pari a quella della Rai. In tutto 23, diventati 21 dopo un pensionamento e il coraggioso addio di Giulio Ambrosetti, che rinunciò al posto d’oro restando disoccupato per la semplice ragione che dentro il palazzo non si divertiva per niente. «Torno alla libertà», spiegò agli amici.

Rinuncia non da poco. Perché la busta paga dei componenti dell’ufficio stampa va da quattromila a seimila euro netti, con l’eccezione di Gregorio Arena - in servizio nella sede di rappresentanza della Regione a Bruxelles - accusato da Crocetta di percepire 12 mila euro. In totale l’ufficio costa 3 milioni e 200 mila euro l’anno, «una cifra con cui si pagano duecento precari, gente che guadagna 600 euro al mese e che non può comprare il latte ai figli», dice Crocetta. E pazienza se, accanto a professionisti stimati e di esperienza, furono assunti principianti che in un giornale non erano mai entrati. Uno, in particolare, sul cui nome ci fu una levata di scudi, diventò pubblicista (il primo gradino della carriera) pochi giorni prima di firmare il contratto d’oro. Tutti impegnati a redigere e diffondere comunicati sull’attività del presidente e della giunta, a organizzare conferenze stampa, a realizzare un tg che va sul web. Per l’assunzione nessuna selezione pubblica, solo un tam tam che fece arrivare alla Regione, in pochi giorni, un centinaio di istanze.

«Secondo me con ventuno capiredattori si stampano Repubblica e Corriere della Sera insieme, questo è diventato un posto fisso senza concorso - taglia corto Crocetta - Adesso si avvia una selezione, perché uno non può fare il portavoce di una voce che non gli è vicina. Se fanno vertenza? Che la facciano». Questione di lana caprina, perché da un canto i giornalisti hanno in mano un contratto a tempo indeterminato, dall’altro il presidente ha una sentenza della Corte dei Conti secondo cui «il rapporto di collaborazione professionale è caratterizzato da assoluta precarietà nel senso che in qualsiasi momento può essere oggetto di risoluzione» perché di natura fiduciaria. Fu proprio la Corte dei Conti, pochi mesi fa, a salvare in appello Cuffaro, il suo successore Lombardo e l’ex capo dell’ufficio legale dalla condanna in primo grado da circa 6 milioni di euro per danno all’erario. Una vittoria incassata dall’ufficio stampa come il timbro sulla legittimità della loro assunzione.

Adesso la doccia fredda. Loro hanno proclamato lo stato di agitazione («Qualsiasi decisione non può essere assunta se non attraverso il rispetto delle norme previste dal contratto di lavoro dei giornalisti e dallo Statuto dei lavoratori», ha detto il Comitato di redazione, sostenuto da sindacato nazionale e regionale), mentre l’Ordine è sceso in campo a difesa delle regole. «Non parla, Crocetta, di concorsi e selezioni trasparenti, ma di curricula che gli si dovranno presentare e che egli stesso intende verificare», dice il presidente dell’Ordine siciliano, Riccardo Arena. Crocetta rilancia: «Da sindaco di Gela ho licenziato la moglie di un capomafia, figurarsi se mi faccio intimidire dalla casta dei giornalisti».

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