sabato 21 dicembre 2013

Buon Natale




.....Auguri a tutti per un sereno NATALE ed un ancor più sereno NUOVO ANNO....

e ricordatevi di MANGIARE A VOLONTA'....i prodotti delle nostre aziende agricole
di ANDARE IN VACANZA....nei nostri agriturismi
di FARE REGALI....non cinesi!!!!

....il tutto alla faccia della crisi

venerdì 20 dicembre 2013

Trent'anni per gli assassini di Angela Costantino

Fu uccisa per «salvare l'onore di Pietro Lo Giudice»

Angela Costantino, moglie del boss Pietro Lo Giudice, fu uccisa per lavare l'onore del boss tradito dalla donna mentre era in carcere. Per quelli che il gup ritiene essere mandante ed esecutore del delitto il magistrato ha disposto la condanna a 30 anni di carcere in abbreviato
 
 
di CLAUDIO CORDOVA
REGGIO CALABRIA - Il giudice per l'udienza preliminare, Carlo Alberto Indellicati, ha condannato a trent'anni di reclusione ciascuno Bruno Stilo e Fortunato Pennestrì, ritenuti rispettivamente mandante ed esecutore materiale dell'omicidio di Angela Costantino, moglie del boss Pietro Lo Giudice, fatta scomparire e secondo l'accusa uccisa per salvare l'onore del capoclan. Il Gup, all'esito del giudizio celebrato con rito abbreviato, ha dunque avvalorato l'impianto accusatorio portato avanti dal pubblico ministero Sara Ombra, che aveva appunto invocato 30 anni di carcere per Stilo e Pennestrì. Angela Costantino, 25enne all'epoca dei fatti, sarebbe stata uccisa per «un accordo di famiglia» (come dirà Iannò) a causa della sua relazione extraconiugale con un uomo nel periodo in cui il marito era detenuto. I suoi assassini l'avrebbero raggiunta alle prime ore del giorno del 16 marzo 1994. Da circa un mese abitava a Reggio Calabria in via XXV luglio, in un immobile al piano terra che, per decenni, è stato il feudo storico della cosca Lo Giudice. Lì, infatti, era più facilmente controllabile. A uccidere materialmente la donna sarebbe stato Fortunato Pennestrì. Bruno Stilo – uno dei "vecchi" dello storico clan Lo Giudice di Reggio Calabria – sarebbe invece stato tra i mandanti del delitto.

Venticinquenne, Angela Costantino era madre di 4 figli, la quinta gravidanza, col marito dietro le sbarre, non poteva passare inosservata. Costretta ad abortire, sempre secondo la ricostruzione dell’accusa, la donna sarebbe poi stata strangolata, subito dopo il corpo è stato fatto sparire. Qualche giorno dopo fu ritrovata la sua autovettura a Villa San Giovanni, nell’auto furono trovate le ricette mediche del Servizio salute mentale che secondo i familiari avrebbero accreditato invece la tesi della depressione e dell’allontanamento volontario della donna. L’accusa si è avvalsa della testimonianza di alcuni collaboratori di giustizia tra i quali Maurizio Lo Giudice, che alla vigilia della sentenza ha ritrattato le proprie dichiarazioni, e Nino Lo Giudice, riacciuffato dalla Squadra Mobile qualche tempo fa dopo che quest’estate era scomparso dalla località protetta ritrattando tutte le accuse.

Napoli: estorsione

L'Indagine della procura di Napoli su appalti panamensi
 


 

Cancellieri, arrestato il serial killer evaso. Era in Francia

Procedimento disciplinare per il direttore del carcere di Marassi che disse: "Per noi era solo un rapinatore"


Il serial killer Bartolomeo Gagliano, evaso dopo un permesso premio, è stato catturato a Mentone, in Francia. Lo ha riferito il ministro Cancellieri.

La Procura di Genova intanto aveva spiccato un ordine di cattura internazionale.

Il ministro della Giustizia, Annamaria Cancellieri, ha lanciato accuse verso i responsabili della fuga, il magistrato di sorveglianza e lo stesso carcere di Marassi: riferendo alla Camera sulla vicenda, il Guardasigilli ha detto che sia il magistrato di sorveglianza che il carcere erano a conoscenza dell'ampio curriculum criminale di Gagliano. «Non è da un singolo episodio che si possono trarre conclusioni affrettate ed emotive su istituti irrinunciabili per l'attuazione del principio costituzionale della rieducazione della pena», ha tuttavia sottolineato il ministro.

«La vicenda ha destato allarme e preoccupazione nell'opinione pubblica. Di questo, nel rispetto dell'autonomia ed indipendenza del Giudice, intendo farmi carico anche approfondendo ulteriormente l'accaduto. Per questo motivo ho disposto che venga condotta una completa indagine conoscitiva», ha aggiunto il ministro della Giustizia.

«Non è da un singolo episodio che si possono trarre conclusioni affrettate ed emotive su istituti irrinunciabili per l'attuazione del principio costituzionale della rieducazione della pena». Ha concluso la Cancellieri.

Ordine di cattura internazionale. La Procura di Genova intanto ha spiccato un ordine di cattura internazionale per Gagliano. Polizia e carabinieri anche grazie alle indicazioni del panettiere sequestrato da Gagliano e di alcuni detenuti, hanno perfezionato un identikit che è stato diffuso agli inquirenti anche di frontiera. La polizia sta vagliando alcuni fotogrammi tratti da sistemi di videosorveglianza.

Azione disciplinare per il direttore del Marassi. Il Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria intanto fa sapere in una nota che, «oltre a disporre indagini interne volte ad accertare la dinamica dei fatti, ha avviato un'azione disciplinare nei confronti del Direttore della casa circondariale di Marassi in relazione alle inopportune e intempestive dichiarazioni rese alla stampa».

Preso l'evaso Pietro «Kojak», torna in carcere il traditore di Gelsomina Verde



Pescara. Non era andato lontano ma pare che fosse stato raggiunto da familiari.
È stato catturato dalla squadra mobile di Pescara e Forlì mentre era in strada nella cittadina romagnola il pentito di camorra, Pietro Esposito, 47 anni.

Non aveva fatto rientro in carcere a Pescara dopo un permesso premio sabato scorso. Sarebbe stato in compagnia di familiari.

Arrestata la moglie del super killer Giuseppe Setola

Casal di Principe, portava ordini all'esterno del carcere



CASERTA- I carabinieri di Caserta e la polizia penitenziaria hanno arrestato Stefania Martinelli, moglie del capo
dell'ala stragista dei clan dei Casalesi Giuseppe Setola. Insieme alla figlia minorenne portava gli ordini del boss all'esterno del carcere dov'è detenuto.
La donna è stata bloccata nella sua abitazione di Casal di Principe. Stefania Martinelli riceveva periodicamente somme di denaro dal clan. Sequestrata una collezione di orologi da 65mila euro e denaro per oltre 10mila euro. Per la prima volta a livello nazionale i pm della Dda di Napoli hanno contestato alla donna il reato di agevolazione ai detenuti sottoposti a particolari restrizioni. Dopo la notifica del provvedimento Stefania Martinelli è stata sottoposta ai domiciliari.

Servizi sociali per Totò Cuffaro, Tribunale di sorveglianza respinge richiesta



ROMA. Il Tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto la richiesta di affidamento ai servizi sociali per l'ex governatore siciliano Salvatore Cuffaro che sta scontando in carcere una condanna a sette anni per favoreggiamento alla mafia. All'istanza, fatta dai legali dell'ex politico, si era detto favorevole il pg della Corte d'Appello.
 
Secondo quanto si apprende a indurre i giudici a negare l'affidamento ai servizi sociali e, quindi, la scarcerazione a Cuffaro, sarebbe stata l'assenza di collaborazione alle indagini dell'ex politico. Per il tribunale avendo avuto contatti stretti con esponenti dell'associazione mafiosa, nel suo ruolo di politico, residuerebbero spazi di «svelamento della verità». Cuffaro è detenuto nel carcere romano di Rebibbia.

giovedì 19 dicembre 2013

Picierno contro Alfano: bloccati gli aiuti ai familiari delle vittime di mafia

Stop all'emendamento presentato dalla deputata Pd



NAPOLI - «Quanto accaduto in Commissione Bilancio ieri rispetto agli emendamenti sui familiari delle vittime di mafia presentati da me e firmati anche dalla presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi è particolarmente grave». Lo afferma Pina Picierno, responsabile legalità e sud della segreteria Pd. «In quei testi si chiedeva che venisse favorita la testimonianza e la conservazione della memoria storica sui fatti di mafia e terrorismo, prevedendo una serie di misure nei confronti di chi, nonostante il dolore indicibile di aver perso tragicamente un familiare a causa delle mafie, ha deciso di trasformare quel dolore in impegno civico, denuncia e azione per tenere viva la memoria su pagine buie e dolorose della storia del nostro Paese».

«Un segnale tangibile di vicinanza e sostegno - aggiunge Picierno - a tante famiglie e a tante persone. Ancora una volta invece viene mortificata la storia delle vittime di mafia e l'impegno dei loro cari. Chiediamo quindi prima di tutto al ministro Alfano di battere un colpo e di dare seguito a quanto promesso circa questi emendamenti. E chiediamo al governo se non sia il caso di fare un passo indietro, di rivedere le sue posizioni perché il tema dell'antimafia non rimanga relegato a parole di circostanza o a dichiarazioni di intenti, ma possa trasformarsi in fatti concreti», conclude.

Asl Bari, processato garante anticorruzione



BARI - Gli appalti del 2008 per l’installazione di due Tac e una risonanza magnetica presso l’Oncologico di Bari potrebbero essere stati truccati a suon di tangenti. Per questo il gup Sergio Di Paola ha rinviato a giudizio tre persone, un imprenditore e due dirigenti della Asl di Bari. Tra loro anche Sebastiano Carbonara, capo dell’ufficio tecnico della più grande azienda sanitaria pugliese e soprattutto appena nominato garante anticorruzione della Asl.

Il processo comincerà il 3 marzo. Carbonara (difeso dall’avvocato Francesco Paolo Sisto), il suo collega Antonio Colella e l’imprenditore Carlo Persia (referente locale della Philips) risponderanno di turbativa d’asta: secondo l’accusa (rappresentata dal procuratore aggiunto Lino Giorgio Bruno), la Philips avrebbe riportato punteggi «ingiustificatamente alti» nonostante avesse proposto dispositivi che una perizia tecnica ha ritenuto meno evoluti rispetto ai concorrenti. Colella e Persia rispondono anche di corruzione: l’imprenditore avrebbe pagato una tangente all’allora dirigente degli appalti Asl. Nel procedimento si sono costituite parti civili la Toshiba, il suo rappresentante locale Tommaso Vigneri (avvocato Cristian Di Giusto) e la stessa Regione (avvocato Francesco Marzullo).

L’inchiesta è una costola dell’indagine sull’ex assessore Alberto Tedesco, all’epoca condotta dalla pm Desirèe Digeronimo: la vicenda degli appalti all’Oncologico di Bari è emersa da una denuncia di Vigneri ed è stata corroborata dalle intercettazioni e dalle consulenze tecniche richieste dalla procura. Proprio le norme anticorruzione, quelle su cui Carbonara era stato chiamato da pochi mesi a vigilare, impongono alla pubblica amministrazione di intervenire in caso di dirigenti rinviati a giudizio.

m.s.

Assolto Pisani, le lacrime del poliziotto che incastrò Zagaria





di Gigi Di Fiore
Un «grazie» sussurrato agli avvocati Vanni Cerino e Rino Nugnes. L’adrenalina scaricata nelle lacrime, che non riesce a nascondere. Vittorio Pisani due anni e mezzo dopo. Sono le tre del pomeriggio , quando la presidente della settima sezione penale, Rosa Romano, pronuncia il suo verdetto di assoluzione. Vittorio il duro, Vittorio l’uomo di poche parole, Vittorio il poliziotto che non molla mai, cede alla commozione.

Tangente da oltre 2 milioni per l'eolico nel Crotonese

Tutti rinviati a giudizio, c'è anche Nicola Adamo

Otto persone e tre società dovranno rispondere davanti al tribunale di una presunta tangente per un valore di circa 2 milioni e 400 mila euro che sarebbe stata parzialmente pagata per la realizzazione del parco eolico di Isola Capo Rizzuto. Tra le persone rinviate a giudizio anche Nicola Adamo


CATANZARO - Il giudice dell’udienza preliminare di Catanzaro ha rinviato a giudizio le otto persone e tre società coinvolte nell’inchiesta denominata "Eolo", connessa al settore dell’energia eolica in Calabria, e in particolare nel filone relativo ad una presunta tangente di due milioni e 400.000 euro che sarebbe stata promessa ed in parte sborsata per la realizzazione del parco eolico "Pitagora" di Isola Capo Rizzuto e per l’adozione da parte della Regione Calabria delle "Linee guida sull'eolico". 

Il processo avrà inizio il 7 marzo davanti al tribunale collegiale del capoluogo calabrese. 
Il giudice, Abigail Mellace, ha così accolto la richiesta del sostituto procuratore di Catanzaro, Carlo Villani, titolare della lunga inchiesta giunta in aula, dove sono costituiti parte civile associazioni ambientaliste e la Provincia di Crotone. Sotto processo (una sola delle varie contestazioni è caduta in udienza preliminare) sono politici, imprenditori e funzionari regionali calabresi, tra cui l’ex vice presidente della Giunta regionale di centrosinistra, Nicola Adamo; l’amministratore e socio della Piloma srl, Saigese spa e Loda service, Giancarlo D’Agni, considerato dalla pubblica accusa stretto collaboratore di Adamo; l’imprenditore Mauro Nucaro e l’ex dirigente esterno del settore commercio artigianato ed energia del dipartimento economia della Regione, Carmelo Misiti. 
 
L’inchiesta "Eolo" è stata avviata nel lontano 2006 ed è passata per tre diversi Uffici di procura. Le indagini, infatti, hanno preso le mosse da Paola, da dove il relativo fascicolo di oltre cento faldoni fu poi trasmesso a Cosenza per competenza territoriale, e dove venne poi inviato a Catanzaro poichè i presunti reati sarebbero stati commessi nel capoluogo calabrese. Per altre venti persone indagate nell’inchiesta "Eolo", ma in un secondo filone investigativo che ruota attorno ad autorizzazioni rilasciate per la realizzazione di diversi parchi eolici in Calabria, in particolare nel Casentino, è in corso l’udienza preliminare che riprenderà il 31 gennaio, quando otto di loro saranno giudicate con rito abbreviato.

Il controllo dei clan calabresi su imprenditoria

Otto arresti in Lombardia e diverse perquisizioni
Coinvolti esponenti del clan Mancuso che avrebbero gestito l'infiltrazione delle cosche nel tessuto economico e sociale. L'accusa principale è quella dell'estorsione aggravata dal metodo mafioso


MILANO - Una serie di ordinanze di custodia cautelare emesse su richiesta della Dda di Milano sono in corso di esecuzione in queste ore in Lombardia. A quanto riferito dai Carabinieri, che stanno eseguendo otto arresti e diverse perquisizioni, si tratta di esponenti ritenuti vicini al clan Mancuso, accusati di estorsione aggravata dal metodo mafioso.

L’indagine, denominata 'Grillo parlante 2', secondo quanto si è appreso fa specifico riferimento al fenomeno “dell’infiltrazione mafiosa nel tessuto economico-imprenditoriale locale” della Lombardia, argomento al centro ieri, a Milano, della Commissione Antimafia. Gli imprenditori della Lombardia, non solo quelli originari del sud, si rivolgevano spontaneamente agli 'ndranghetisti per riscuotere i crediti nei confronti dei propri debitori. Secondo gli inquirenti, gli imprenditori preferivano rivolgersi all’'antistato piuttosto che alla giustizia ordinaria per ottenere giustizia, perchè consapevoli che in questo modo avrebbero recuperato rapidamente parte della cifra. Nasce dall’attività investigativa conclusa nell’ottobre del 2012, quando furono arrestati 23 soggetti ritenuti appartenenti o collegati alla criminalità organizzata di origine calabrese operante in Lombardia vicini alla cosca Mancuso, attiva stabilmente in Milano e provincia. I carabinieri del Comando provinciale di Milano stanno eseguendo le ordinanze, oltre che in Lombardia, anche in alcune province del Sud Italia.
 
Nell’operazione dei carabinieri di Milano che ha portato alla luce un giro di estorsioni legate ad ambienti della criminalità organizzata, è rimasto coinvolto anche un pluripregiudicato 60enne, M.D., originario di Vibo Valentia, ritenuto un prestanome della cosca Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia). L’uomo, secondo le accuse “tramite intestazioni fittizie gestiva immobili e terreni riconducibili alle attività illecite poste in essere dall’organizzazione mafiosa”. All’interessato è stata applicata la misura della sorveglianza speciale e sono stati sequestrati, ai fini della confisca, su disposizione del Tribunale di Milano, 3 villette, 2 capannoni industriali, 10 appartamenti e 13 terreni agricoli ubicati nei Comuni di Cuggiono, Boffalora Ticino, Renate Ticino, Castano Primo e Robecchetto con Induno. Il valore complessivo dei beni in sequestro supera i tre milioni di euro.

lunedì 16 dicembre 2013

I superstipendi della camorra

killer con paga da manager, 15mila euro al mese


di Leandro Del Gaudio
Uno stipendio da 15mila euro al mese, simile a quello di un manager d’azienda: prima killer, poi reggente, infine capo di un clan. Eccola la carriera criminale di Antonio Zaccaro che sta offrendo un contributo essenziale nella ricostruzione degli equilibri criminali a nord di Napoli.

Zaccaro è un killer - stando alle prime dichiarazioni rese al pm, recentemente depositate in un processo in Assise - cresciuto a colpi di morti ammazzati. Confessa: «Ho ucciso 14 o 15 volte, ho partecipato a 14 o 15 omicidi, poi ho assunto il ruolo di reggente, di boss, a partire dal 2009». Intanto, dall’indagine sull’ultimo omicidio, quello di venerdì sera a Forcella, emergono i particolari di una nuova guerra per il controllo del quartiere. A combatterla sarebbero giovani boss, intorno ai 20 anni, che vogliono scalzare i Mazzarella e riportare al comando i Giuliano.

Gioia Tauro, carico di cocaina purissima per 16 milioni

Era nascosto tra la frutta secca in un container

Si tratta di ottanta chili di droga proveniente dal Sud America. La guardia di finanza e i funzionari dell'agenzia delle dogane l'hanno scoperta all'interno del porto dopo che era stata scaricata da una nave. Enorme la cifra che avrebbe fruttato sul mercato


GIOIA TAURO (RC) - La Guardia di finanza di Reggio Calabria, insieme ai funzionari dell’Agenzia delle dogane, ha sequestrato nel porto di Gioia Tauro 80 chilogrammi di cocaina, definita dagli investigatori "purissima". La droga, proveniente dal Sud America, era occultata in un container di frutta secca. Il valore di mercato al dettaglio della cocaina sequestrata, secondo la Guardia di finanza, è di circa 16 milioni di euro.

Napoli | Interrotto un summit di camorra a Soccavo: sei arresti

(Ansa) I carabinieri hanno interrotto un summit nel quartiere Soccavo a Napoli arrestando 6 persone, a vario titolo legate alla criminalità organizzata, e sequestrando una pistola, giubotti antiproiettile ed un 'rendicontò sulle piazze di spaccio.


Il blitz è stato effettuato dai militari della Compagnia di Bagnoli nelle palazzine di edilizia popolare in via Bottazzi, zona dove il controllo degli affari illeciti è esercitato dal clan camorristico dei Grimaldi. Sono stati arrestati Filippo Tommaselli, di 27 anni, figlio del 51enne Carlo, detto 'Carluccellò, quest'ultimo ricercato per associazione per delinquere di tipo mafioso, traffico di droga ed estorsione e ritenuto ai vertici della criminalità operante tra i quartieri di Soccavo e Pianura. Insieme con Tommaselli sono stati arrestati Salvatore Basile, di 22 anni, già noto alle forze dell'ordine per droga e reati contro il patrimonio, Antonio Megali, di 29, anch'egli già noto alle forze dell'ordine per violazione della legge sulle armi, Giovanni Piccirillo, di 26 anni, con precedenti per reati di droga, Lucio Paracolli, 56enne, Vincenzo Paracolli, 23enne, già noto per reati contro la persona.

Nel corso di controlli e investigazioni nella zona, che da febbraio hanno già portato al sequestro di 7 pistole, 250 munizioni di vario calibro e di circa 6 chilogrammi di stupefacenti, i militari hanno notato movimenti sospetti in via Bottazzi e, dopo aver preventivamente circondato la zona, hanno fatto irruzione in un appartamento, nel quale hanno trovato rendiconti con nomi e importi di denaro (una sorta di contabilità dello spaccio di droga sulla zona), una pistola calibro 357 Magnum carica e con matricola cancellata (pronta all'uso e a portata di mano su un mobiletto), due giubbetti antiproiettile (in un armadio).

Gli arrestati sono stati portati nel carcere di Poggioreale.

venerdì 13 dicembre 2013

Ergastolo a boss Scu, uccise a bastonate in spedizione punitiva


 
BRINDISI – La Corte d’Assise di Brindisi ha condannato all’ergastolo il boss della organizzazione di tipo mafioso Sacra Corona Unita Massimo Pasimeni e a 12 anni di reclusione il pentito Ercole Penna, entrambi di Mesagne, quali mandanti dell’omicidio del 62enne Giancarlo Salati, detto 'Menzarecchia', massacrato a bastonate nella sua abitazione il 16 giugno del 2009 e morto in ospedale il giorno dopo.

Gli avvocati di Pasimeni, Marcello Falcone e Rosanna Saracino, ne avevano chiesto l’assoluzione o in subordine la riqualificazione dell’accusa di omicidio premeditato aggravato dal metodo mafioso in preterintenzionale. I pm Alberto Santacatterina della Dda di Lecce e Valeria Farina Valaori della procura di Brindisi avevano chiesto proprio il carcere a vita per Pasimeni, e nove anni di reclusione per Penna, chiamato 'Lino Lu Biondu', considerate le attenuanti previste per il suo status di collaboratore.
Per lo stesso delitto il 23 luglio erano state condannate altre tre persone dal gup di Lecce, Cinzia Vergine, al termine di un processo con rito abbreviato: erano state inflitte pene pari a 30 anni di reclusione per Vito Stano e Francesco Gravina, 10 anni per l’altro pentito, Cosimo Giovanni Guarini, ritenuti mediatore gli esecutori materiali.
La spedizione punitiva sarebbe stata decisa dopo che il padre di una ragazzina aveva riferito a Pasimeni che Salati aveva importunato la figlia, ma anche per vecchi rancori legati a questioni private e per una «motivazione sociale», ossia rafforzare l’immagine di «giustiziere» del boss oltre che la sua autorevolezza in ambiti criminali.

Tutti gli imputati furono arrestati il 27 gennaio 2012 dagli agenti della Squadra mobile di Brindisi e del commissariato di Mesagne nel corso dell’operazione che fu chiamata 'Revenge'. All’unica parte civile nel processo, ossia il Comune di Mesagne (Brindisi), è stato riconosciuto il risarcimento dei danni che andrà determinato in sede civile.

Sogefil, i tributi comunali per lo shopping online

Ammanchi per 33 milioni, 21 persone denunciate

Dopo l'arresto nel luglio scorso di 4 responsabili della Sogefil, società di Cosenza dedita alla riscossione delle imposte comunali, la Finanza di Reggio Calabria ha quantificato il danno prodotto ai comuni che ha raggiunto la cifra di 33 milioni di euro denunciando alla Corte dei conti 21 persone



COSENZA - I cittadini calabresi pagavano regolarmente le imposte comunali ma i responsabili della società di riscossione invece di versarle ai rispettivi comuni utilizzavano i soldi con altre finalità del tutto estranee al loro mandato. Che la gestione della So.ge.fi.l. Riscossione Spa, società cosentina di riscossione tributaria che aveva in gestione i servizi di una cinquantina di comuni calabresi, fosse poco chiara lo si sapeva dopo l'arresto nel luglio scorso di 4 responsabili della società (LEGGI) stessa ma ora i finanzieri di Reggio Calabria hanno quantificato il danno ai comuni e la cifra è pari a ben 33 milioni di euro. 

Tutti soldi delle tasse pagate dai cittadini onesti che, invece di essere girati ai comuni, venivano utilizzati per fare shopping su internet o giustificati con spese per false consulenze (LEGGI). I circa 33 milioni di tributi versati dai contribuenti, secondo quanto hanno ricostruito i finanzieri, sono finiti nelle tasche dei responsabili della "So.ge.fi.l. Riscossione Spa". 
L’inchiesta, partita come detto nei mesi scorsi, aveva già portato a luglio scorso all’arresto dei 4 responsabili della società, accusati di associazione a delinquere e peculato. Ora i finanzieri hanno quantificato il danno causato ai Comuni e segnalato alla Procura regionale della Corte dei Conti di Catanzaro 21 soggetti. 
 
Si tratta di tutte persone "legate", secondo l’accusa, alla So.ge.fi.l. Nel corso delle indagini, coordinate dalla Procura di Cosenza, i finanzieri hanno scoperto che i soldi dei cittadini, versati per le imposte comunali, venivano in realtà utilizzati per fare shopping su internet, per il pagamento di fantomatiche consulenze, o per elargire lauti compensi agli amministratori della società di riscossione. Tra i comuni truffati - circa 50 che, nel periodo 2005-2012, hanno affidato il servizio di accertamento e riscossione alla società - quelli maggiormente danneggiati sono risultati Nicotera in provincia di Vibo Valentia, al quale sono stati sottratti quasi 8,5 milioni, Cariati in provincia di Cosenza che ha subito un danno di 4,3 milioni, Nocera Terinese in provincia di Catanzaro di 2,2 milioni, Parghelia ancora in provincia di Vibo Valentia di 1,8 milioni, Amantea e Falconara Albanese entrambe in provincia di Cosenza di circa 1,5 milioni. L’indagine non è ancora conclusa: la Guardia di finanza vuole infatti accertare le eventuali responsabilità patrimoniali dei pubblici amministratori che con il loro comportamento hanno consentito alla società di provocare il danno alle casse pubbliche. 

Blitz a San Luca, abiti firmati coi fondi antimafia

Rosy Canale era pronta a tutto: «Me ne fotto»

Ecco le accuse nei confronti di Giorgi e Canale nell'ambito dell'operazione "Inganno" condotta dalla Dda nel Reggino. La leader del movimento delle donne spendeva i soldi per acquistare capi delle note griffe. E davanti ai richiami rispondeva con assoluta sfrontatezza

SAN LUCA (RC) - I ruoli dei due personaggi più noti coinvolti nell'operazione "Inganno" sono stati chiariti dalle attività investigative che hanno permesso di ricostruire ogni passaggio. L'aspetto più eclatante è legato a Rosy Canale, che è agli arresti domiciliari. Non è accusata di reati mafiosi, ma di peculato e truffa. Secondo quanto è emerso dalle indagini, avrebbe utilizzato per l'acquisto di beni personali i finanziamenti, che avrebbero dovuto essere destinati a finalità sociali, erogati al "Movimento delle donne di San Luca". Finanziamenti che, secondo una prima stima fatta dagli investigatori, ammonterebbero a circa 100 mila euro, ma che potrebbero essere, sulla base di un calcolo definitivo, anche più consistenti. 

E le intercettazioni e le indagini mettono a nudo le condizioni in cui venivano utilizzati i fondi. Rosy Canale avrebbe usato i finanziamenti dell'associazione per acquistare accessori e abiti firmati alla figlia, quindi i vestiti al padre e beni di lusso. Ma è davanti ai richiami della madre di Rosy Canale che emerge lo spaccato più difficile da accettare. Le spese folli di Rosy Canale fanno scattare, infatti, i richiami, ai quali però lei replica: "Me ne fotto". Dunque, secondo gli inquirenti, ci sarebbe stata una piena consapevolezza dei reati compiuti, e anche una certa sfrontatezza.
 
Nel dettaglio Rosy Canale è accusata di aver «indotto in errore dapprima la prefettura e poi la fondazione Enel Cuore sulla serietà ed affidabilità delle motivazioni del Movimento». Con particolare riferimento ad primo un finanziamento di 160 mila euro utilizzati «per finalità esclusivamente private (ovvero l'acquisto di mobili ed arredamento per la propria abitazione, di abbigliamento e di una minicar per la figlia, di abbigliamento per sé e il padre, di una settimana bianca per sè e la figlia). A questo si sono aggiunti altri finanziamenti minori utilizzati sempre, secondo la ricostruzione degli inquirenti, per finalità private come «l'acquisto di una autovettura Fiat 500, sì intestata al Movimento ma di fatto utilizzata esclusivamente per le sue esigenze personali».
 
 
 
IL SINDACO ANTIMAFIA SCIOLTO PER INFILTRAZIONI MAFIOSE. Per quanto riguarda l'ex sindaco Sebastiano Giorgi, in carica dal 2009 ai primi mesi di quest’anno, aveva partecipato ad innumerevoli manifestazioni contro la 'ndrangheta accreditando alla sua Amministrazione un forte impegno contro le cosche. Immagine scalfita dal successivo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose. 
 
Dall’indagine condotta dai carabinieri che ha portato al suo arresto è emerso, invece, che in realtà l’elezione di Giorgi a sindaco sarebbe stata favorita dalle cosche Pelle e Nirta in cambio del loro controllo sugli appalti gestiti dal Comune. In particolare, le due cosche, grazie alla Giunta presieduta da Giorgi, avrebbero ottenuto l’appalto per la metanizzazione di San Luca, il più importante gestito dal Comune, oltre a vari lavori di minore importo. In ogni caso, il controllo da parte delle cosche sull'attività del Comune sarebbe stato totale.

giovedì 12 dicembre 2013

Arresti a San Luca, in carcere l'ex sindaco Giorgi

Con lui anche rappresentante movimento antimafia

Bufera giudiziaria tra amministratori e rappresentanti delle istituzioni nell'operazione "Inganno" dei carabinieri. Oltre all'ex primo cittadino arrestata anche la coordinatrice del "Movimento delle donne di San Luca". In manette anche due boss e un ex assessore
 

SAN LUCA (RC) - Sei arresti, di cui 5 in carcere e uno ai domiciliari, nei confronti di ex amministratori comunali e imprenditori di San Luca, a vario titolo indagati per associazione per delinquere di stampo mafioso, intestazione fittizia di beni e reati contro la pubblica amministrazione, aggravati dall’aver agito al fine di agevolare l’associazione mafiosa.

Nel corso dell’indagine 'Inganno' sono emerse responsabilità per truffa aggravata e peculato (ma non aggravate dalla condotta mafiosa) a carico di Rosy Canale, nota per il suo impegno antimafia come coordinatrice del "Movimento delle donne di San Luca", associazione creata con finalità di sostegno sociale. E tra gli arrestati c'è anche l’ex sindaco di San Luca, l’avvocato Sebastiano Giorgi. L’accusa nei confronti di Giorgi è di associazione per delinquere di tipo mafioso. Giorgi è stato l’ultimo sindaco di San Luca in ordine di tempo, fino al 17 maggio 2013, data in cui il Comune è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. In manette sono finiti anche due boss della 'ndrangheta,
 
Antonio Nirta, 57 anni, e Francesco Strangio, 59, e Francesco Murdaca, assessore comunale della Giunta che aveva come sindaco Sebastiano Giorgi, anch’egli arrestato. Il reato contestato è associazione mafiosa.
Gli arresti sono stati effettuati dai carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria che hanno eseguito l’ordinanza emessa dal gip su richiesta della Dda. 
I particolari dell’operazione saranno resi noti nel corso di una conferenza stampa, che sarà tenuta questa mattina alle 10.30 al Comando provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria dal procuratore della Repubblica di Reggio Calabria Federico Cafiero de Raho e dal procuratore aggiunto Nicola Gratteri.

Assalto al portavalori in Toscana, in manette 5 campani



Arrestate dalla Polizia di Pisa 5 persone di origine campana, ritenute responsabili di rapine a mano armata in danno di portavalori e altre attività commerciali nelle regioni Toscana ed Emilia Romagna.

Le indagini, dirette e coordinate dalla Procura di Pisa sono state svolte dalle Squadre Mobili di Pisa, Firenze e Napoli ed hanno avuto inizio il 18 giugno dello scorso anno quando, presso il centro commerciale Panorama di Pontedera a Pisa, venne messa a segno una rapina a un furgone portavalori della ditta Securpol che stava prelevando l'incasso del fine settimana.

Durante la fuga gli autori ferirono gravemente un automobilista che stava seguendo il mezzo della rapina. Ulteriori dettagli saranno resi noti nel corso della conferenza stampa che si terrà alle 11 presso il Tribunale di Pisa.

mercoledì 11 dicembre 2013

Mafia, condannato all’ergastolo per quattro omicidi: Stefano Fragapane chiede indulto



Condannato all’ergastolo per quattro omicidi di mafia adesso chiede l’applicazione dell’indulto che prevede uno sconto di pena di tre anni per i fatti commessi fino al 2 maggio del 2006. Protagonista della richiesta, che sarà valutata dai giudici della Corte di assise di Agrigento presieduta da Francesco Provenzano, è il trentacinquenne di Santa Elisabetta Stefano Fragapane.

Il figlio maggiore di Salvatore, ex capo di Cosa Nostra agrigentina negli anni Novanta, si è rivolto alla giustizia con un incidente di esecuzione sostenendo – anche se le legge lo esclude espressamente per i reati di mafia – che gli spetti il riconoscimento di uno sconto di pena. Ieri si è celebrata l’udienza.

Fragapane è stato coinvolto nell’inchiesta “Sicania” che ha fatto luce su cinque omicidi di mafia e due agguati falliti negli anni Novanta. Fragapane è stato assolto dal tentato omicidio di Silvio Cuffaro e condannato all’ergastolo per quattro omicidi: quelli dei fratelli santangelesi Vincenzo e Salvatore Vaccaro Notte, di Salvatore Oreto e di Giuseppe Alongi.

Mafia, parla la neo pentita Galatolo: noi donne emarginate nelle cosche

La figlia del boss sentita dai pm sull’ex deputato nell’ambito del processo Mineo: «Portiamo ordini, ma non assistiamo all’affiliazione»
 
 

PALERMO. Ci sono le donne boss, le fiancheggiatrici, le portaordini ma Cosa nostra dimostra di mantenere un indirizzo maschilista. Nemmeno Giovanna Galatolo, che pure apparteneva a una famiglia di mafia tra le più note, ha mai potuto prendere parte a un momento importante come la «punciuta». Quando le chiedono se abbia mai assistito a una cerimonia di affiliazione in Cosa nostra, la neopentita dell’Acquasanta risponde: “Una donna non assiste al giuramento. È assurdo, ma è così”. La collaboratrice di giustizia, 48 anni, racconta la mafia in un interrogatorio reso il 29 ottobre ai pm Dario Scaletta e Pierangelo Padova, titolari del processo contro l’ex deputato regionale del Pdl e di Grande Sud, Franco Mineo, accusato di fittizia intestazione di beni aggravata dall’agevolazione di Cosa nostra. Con lui, davanti alla quinta sezione del Tribunale, è imputato anche Angelo Galatolo, figlio di Gaetano e primo cugino della donna, a sua volta figlia di Vincenzo Galatolo, detto Enzo Tripolitano. Angelo Galatolo (che Mineo dice di avere conosciuto come persona perbene, «non come un bounty killer») adesso risponde anche di associazione mafiosa. Ma lo stesso Mineo non viene riconosciuto in foto dalla collaborante.  

Assalti ai bancomat 5 arresti a Brindisi


 
BRINDISI – Sono accusate di aver compiuto numerosi assalti ai bancomat della Puglia, tutti eseguiti dall’ aprile all’agosto 2013 con lo stesso metodo, provocando l'esplosione degli sportelli con il gas: cinque persone, già arrestate in flagranza nell’agosto scorso, sono state raggiunte stamani da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per associazione per delinquere, ricettazione e riciclaggio, furto e tentativo di furto, porto e detenzione illegale di materiale esplodente e di armi da fuoco.

Il provvedimento restrittivo è firmato dal gip di Brindisi Giuseppe Licci su richiesta del pm inquirente Marco D’Agostino. I furti che vengono contestati nel provvedimento di custodia cautelare sono stati messi a segno per lo più in provincia di Brindisi, ma anche nel Tarantino e nel Barese. Il metodo era sempre lo stesso: si faceva filtrare una miscela di gas esplosivo, fatta deflagrare poi con un contatto elettrico. Furono presi a bersaglio sportelli che si trovano anche in pieno centro dei comuni del Brindisino, ma anche dispositivi "Postamat" della zona.

Tre dei presunti componenti il gruppo avevano ottenuto proprio lunedì gli arresti domiciliari su decisione del tribunale del Riesame. I cinque sono di Ceglie Messapica, Villa Castelli e Brindisi: furono arresati l’8 agosto a Monteiasi (Taranto) poco prima di riuscire a prelevare il denaro dallo sportello del Monte dei Paschi di Siena.

Palmi, uccise 3 persone a Spina di Rizziconi

Condannato all'ergastolo Francesco Ascone

La richiesta è giunta da parte del pm Luigi Iglo e riguarda Francesco Ascone che il 29 agosto del 2012 uccide tre persone in una frazione di Rizziconi. Alla base del triplice omicidio e del ferimento di una quarta persona ci sarebbero stati futili motivi
 
 
di DOMENICO GALATA'
PALMI (RC) - Il pm Luigi Iglio ha chiesto e ottenuto la condanna all’ergastolo di Francesco Ascone, l’uomo che il 29 agosto 2012 uccise tre persone nella piccola frazione Spina nel comune di Rizziconi. La condanna è giunta questa sera dopo una camera di consiglio di un paio d'ore ad opera del gup del Tribunale di Palmi Fulvio Accurso, di fronte al quale si è tenuto il processo con il rito abbreviato. Ascone, difeso dagli avvocati Guido Contestabile e Francesco Albanese, è stato ritenuto colpevole di avere ucciso Remo Borgese e i suoi due figli Antonino e Francesco, e di avere ferito Antonino Borgese, omonimo e cugino di una delle vittime, dopo una lite scoppiata per futili motivi nella frazione Spina del comune di Rizziconi (LEGGI LA NOTIZIA).

L’uomo ha riconosciuto la propria responsabilità nel triplice delitto sostenendo però di avere sparato dopo essere stato bersaglio di due colpi di fucile. Il gup ha sposato la tesi del reo confesso (LEGGI LA VERSIONE DELL'OMICIDA RILASCIATA ALL'INDOMANI DELL'ARRESTO) non prevedendo l'aggravante della premeditazione. Costituiti parte civile nel processo i familiari delle vittime rappresentati dall'avvocato Daniela Bellocco.

martedì 10 dicembre 2013

Concorso da maresciallo 30mila euro per l'esame



di GIOVANNI LONGO
BARI - «A proposito, per quel concorso da allievi maresciallo è tutto ok?». Quando i finanzieri del Nucleo di polizia tributaria del comando provinciale di Bari hanno sentito quella frase, forse non credevano alle loro orecchie. Eppure, l’inchiesta sulle presunte mazzette che alcuni candidati avrebbero pagato per superare il concorso per 297 posti da allievo maresciallo nella Guardia di finanza, è iniziata proprio così. Quasi casualmente.
 
I finanzieri stavano indagando su una presunta tangente, un fascicolo sfociato la scorsa estate in alcuni arresti. Una delle persone coinvolte in quel procedimento chiede al suo interlocutore informazioni su un candidato al concorso da allievo maresciallo. E quelle frasi non convincono. Più di un sospetto spinge il pm Luciana Silvestris ad aprire un nuovo fascicolo. Gli accertamenti sono affidati sempre alle fiamme gialle. E non deve essere stato facile per i finanzieri baresi che, negli ultimi anni, hanno condotto alcune tra le indagini più delicate in tema di reati contro la pubblica amministrazione, molte con un «respiro» nazionale, dovere effettuare accertamenti su propri colleghi (i casi sarebbero una decina, ma i militari infedeli sarebbero pochissimi) in servizio a Roma. Stando all’ipotesi accusatoria, avrebbero garantito ad alcuni candidati il superamento della selezione, dietro il pagamento di una mazzetta. Nell’abitazione di un militare, i colleghi baresi avrebbero scoperto contanti per una cifra che si aggirerebbe sui 70mila euro. Le ipotesi di reato sono: rivelazione del segreto d’ufficio e corruzione. Al momento non è ipotizzata l’associazione.
 
Trentamila euro la cifra che sarebbe servita per superare tutte le prove. Sarebbe stato sufficiente «far pervenire» i test psico-attitudinali prima della prova per spianare la strada della carriera militare. Conferme a questa ipotesi investigativa sarebbero giunte dal ritrovamento durante una perquisizione di una ventina di quiz nella disponibilità di uno dei militari coinvolti. Il militare coinvolto nell’indagine, da tempo in pensione, è ritenuto il personaggio-chiave. E proprio da lui sarebbero giunte parziali ammissioni. Confermate - sembra - anche dal genitore di un candidato. Perché in questa storia sarebbero in corso accertamenti anche su alcuni genitori. Padri di famiglia non certo vittime - è sempre l’ipotesi investigativa - ma che, al contrario, avrebbero indotto i pubblici ufficiali a compiere un atto, la rivelazione del segreto, contraria ai doveri d’ufficio, in cambio di una mazzetta.
Un sequestro di documenti, nelle scorse settimane, era stato impugnato da uno degli indagati davanti al Tribunale del Riesame. I giudici avevano dichiarato inammissibile il ricorso. Agli atti ci sarebbero anche altre conversazioni tra un finanziere e un ufficiale del Corpo. Gli inquirenti vogliono verificare se qualcuno ha millantato.

Terra dei fuochi, blitz della Dia, arrestato avvocato-imprenditore, fu «inventore» delle ecomafie

Cipriano Chianese, già ai domiciliari, è stato portato in carcere. Un pentito rivela: commissionò l'assassino del giudice per un milione di euro


La Dia ha arrestato Cipriano Chianese, 62 anni, imprenditore legato al clan dei Casalesi per conto dei quali ha inventato e gestito il traffico illecito dei rifiuti confluiti anche nella Terra dei Fuochi. È accusato di aver estorto quote e gestione di una società di trasporti. Chianese, già ai domiciliari, è stato portato in carcere.

Il trasporto dei rifiuti. La società al centro di questa inchiesta è la Mary Trans, attiva nel trasporto di persone e di rifiuti solidi urbani e speciali. Con il suo intervento, secondo le indagini l'avvocato-imprenditore dei Casalesi Cipriano Chianese riuscì a portarla nelle mani di suo fratello Francesco, nel dicembre del 2005. Insieme all'imprenditore, la Dia ha arrestato anche Carlo Verde, 37 anni, suo collaboratore.

I sequestri. Cipriano Chianese è stato il primo a essere rinviato a giudizio, in Italia, negli anni '90 per disastro ambientale ed avvelenamento delle falde acquifere. Ad aprile, per ordine del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, gli sono stati confiscati beni per 82 milioni di euro, che erano stati sequestrati nel dicembre del 2006.

L'omicidio del magistrato. L'avvocato-imprenditore commissionò inoltre, per un milione di euro, l'omicidio di un magistrato della Dda di Napoli che stava indagando sul suo conto. A rivelarlo è stata la persona incaricata dell'assassinio, nel frattempo diventato collaboratore di giustizia. Al pentito si rivolse, per conto di Chianese, Carlo Verde, collaboratore dell'avvocato, anche lui arrestato ora.

Le indagini. L'inchiesta era stata già archiviata, ma è stata riaperta nel 2011 sulla base delle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, in precedenza affiliato ai Casalesi, che la Dda di Napoli e la Dia hanno analizzato alla luce di altre precedenti testimonianze di altre persone, di numerose intercettazioni e del contenuto di molti documenti. L'analisi di questo materiale, in precedenza non compiutamente interpretabile, ha portato alla riapertura delle indagini che erano state archiviate nel 2011.

Il
«regista». Nell'inchiesta, Chianese è considerato da Dda e Dia il mandante, il regista e, insieme ad altri, parziale esecutore delle attività che nel dicembre 2005 portarono il clan dei Casalesi, tramite il fratello di Chianese, ad acquisire quote e gestione della società di trasporto Mary Trans e del relativo complesso aziendale.

«Colletto bianco». Chianese è considerato dagli investigatori come «colletto bianco» del clan dei Casalesi; la prima ordinanza d'arresto nei suoi riguardi è del 1993, quando fu accusato per associazione mafiosa, insieme ad altri 20 imprenditori del settore dei rifiuti. In quel contesto d'indagine venne accertato che i clan del Casertano e del Napoletano, nel 1987, avevano favorito alcuni candidati nelle elezioni politiche e amministrative che si erano detti favorevoli ad autorizzare gli impianti di smaltimento dei rifiuti del Napoletano a ricevere - in piena violazione delle norme - i rifiuti solidi urbani extraregionali.

L'assoluzione. Chianese, in quell'occasione, venne assolto dal Tribunale di Napoli che, invece, condannò molti imprenditori e politici. Nel 2005 venne raggiunto da un'altra ordinanza d'arresto e da un provvedimento di sequestro beni con l'accusa di avere fornito sostegno ai Casalesi. Nell'agosto del 2006, le indagini della Dia hanno accertato che una società riconducibile a Chianese, qualche anno prima, aveva acquistato l'area sulla quale sorgeva un impianto di smaltimento dei rifiuti (ottenuto grazie all'intermediazione dei due capizona dei Casalesi Dario Simone e Raffaele Ferrara).

L'area e l'impianto vennero sequestrati e, per la prima volta in Italia, un indagato - Cipriano Chianese, appunto - venne rinviato a giudizio per disastro ambientale ed avvelenamento delle falde acquifere. Il procedimento giudiziario nei suoi confronti è ancora in corso. Oltre ad aver subito il sequestro (nel dicembre 2006) e la confisca (nell'aprile 2013) di beni per 82 milioni di euro, Cipriano Chianese è stato sottoposto in passato all'obbligo di soggiorno nel comune di residenza per 3 anni e sei mesi.

Ventisettenne ucciso a colpi di lupara nel reggino

Stava rientrando a casa in auto, pista mafiosa

Il giovane era già noto alle forze dell'ordine ma non aveva precedenti specifici. I killer sono entrati in azione mentre rientrava a casa con la sua autovettura. Contro di lui sono stati esplosi alcuni colpi di fucile caricato a pallettoni
 

PLATI' (RC) - Un giovane, Pasquale Criaco, 27 anni, è stato ucciso in un agguato la scorsa notte a Platì, uno dei centri della Locride ad alta densità mafiosa. Criaco, nel momento dell’agguato, stava rincasando alla guida della propria automobile. Gli hanno sparato con un fucile caricato a pallettoni. 

La vittima, pur essendo nota alle forze dell’ordine, non aveva precedenti penali. Si sospetta la matrice mafiosa.
Criaco era titolare di un distributore di carburante a Bovalino, centro poco distante da Platì. Le indagini sull'omicidio vengono condotte dai carabinieri del Gruppo di Locri. Secondo una prima ricostruzione, la persona che ha sparato contro Criaco potrebbe essere stata appostata lungo la strada oppure poteva trovarsi a bordo di un’automobile che ha affiancato quella sulla quale viaggiava il giovane. In ogni caso, la morte di Criaco, raggiunto dai colpi di fucile in varie parti del corpo, è stata istantanea. L’omicidio, secondo quanto è emerso al momento dalle indagini, non ha avuto testimoni.

Blitz contro lo spaccio della "meglio gioventù"

Sette arresti a Vibo, luce su tentato omicidio

L'inchiesta, condotta dai carabinieri, ha permesso di fare luce su un giro di droga che avrebbe interessato alcuni centri del Vibonese. Le indagini sono state avviate dopo un tentato delitto, per il quale sono state arrestate due persone


VIBO VALENTIA - E' stata portata a termine una vasta operazione della Compagnia dei carabinieri di Vibo Valentia, con il supporto dello Squadrone Eliportato Cacciatori "Calabria" e dell’ottavo Nucleo Elicotteri Carabinieri di Vibo. I carabinieri stanno dando esecuzione a 7 provvedimenti restrittivi nei confronti di altrettante persone ritenute responsabili, a vario titolo, dei reati di detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti e estorsione. 

I provvedimenti sono frutto di un’indagine coordinata dal pm della Procura di Vibo Santi Cutroneo e condotta dai militari del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Vibo. 
L’operazione, denominata "La meglio gioventù" parte dal settembre 2011 a seguito del tentato omicidio a Mileto, nel Vibonese, di Rocco La Scala su cui è stata fatta piena luce con l’arresto di due esponenti di spicco della criminalità miletese. Le risultanze investigative hanno consentito di documentare un’attività di spaccio di droga a San Giovanni di Mileto, oltre a portare alla luce estorsioni e minacce nei confronti degli acquirenti dello stupefacente. 
Maggiori dettagli verranno forniti nel corso della conferenza stampa che si terrà alle 11 in Procura a Vibo Valentia.

I beni della cosca Pesce vanno allo Stato

Confisca da 90 milioni: anche 2 società di calcio

Operazione dei carabinieri che ha permesso di apporre definitivamente i sigilli ai beni del potente clan. Per 11 persone è scattata la sorveglianza speciale. Tra i beni confiscati anche ville di lusso nel reggino e nel vibonese, oltre alle squadre di calcio dove venivano riciclati i soldi
 



REGGIO CALABRIA - La confisca di un patrimonio per un totale di 90 milioni di euro è stata portata a termine stamani dai carabinieri del Ros, unitamente ai militari del comando provinciale di Reggio Calabria e al Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, che hanno eseguito 12 decreti emessi dal Tribunale di Reggio Calabria - Sezione misure di prevenzione. 
Il patrimonio sottoposto a confisca è costituito da beni immobili, beni mobili registrati, attività commerciali e disponibilità finanziarie ritenuti frutto delle attività delittuose commesse dagli capi e dagli affiliati di rilievo della cosca di 'ndrangheta dei Pesce di Rosarno, egemone nella Piana di Gioia con ramificazioni in tutto il territorio nazionale e, particolarmente in Lombardia. 
 
Sono stati sottoposti a confisca imprese e società, comprensive del loro patrimonio aziendale - per totali 14 attività economiche operanti - in regime di monopolio mafioso - nel settore dei trasporti, agrumicolo, della vendita di carburanti e lubrificanti e dell’abbigliamento; 2 società di calcio dilettantistico, alimentate con i proventi delle estorsioni e utilizzate per allargare le conoscenze, le relazioni e gli affari della cosca; vasti appezzamenti di terreno agricolo, coltivati ad agrumeto e kiwi, per un’estensione di oltre 300 mila metri quadri. 
 
E poi: 19 beni immobili tra i quali sono ricomprese due ville di pregio, di cui una al centro di Rosarno e l’altra sul promontorio di Capo Vaticano, nonché un vasto complesso sportivo; numerosi veicoli sia ad uso privato che commerciale, alcuni dei quali già assegnati alle forze di Polizia per il loro utilizzo negli specifici servizi di contrasto al fenomeno mafioso; plurimi rapporti finanziari bancari, postali e assicurativi. 
Nella stesso contesto 11 persone, ritenute al vertice dell’organizzazione, sono state sottoposte al provvedimento della sorveglianza speciale con l’obbligo di dimora nel comune di residenza.
martedì 10 dicembre 2013 08:24

Scandalo Ciapi, a giudizio Giacchetto




PALERMO. Il gup di Palermo Guglielmo  Nicastro ha rinviato a giudizio l'ex manager del Ciapi Faustino  Giacchetto, la segretaria Stefania Scaduto, la moglie Concetta  Argento, l'ex dirigente dell'Agenzia regionale per l'impiego  Rino Lo Nigro, e l'ex assessore regionale Luigi Gentile. Il  processo comincerà il 4 marzo davanti al tribunale di Palermo.     La vicenda ha a oggetto il Ciapi, l'ente di formazione  regionale, che avrebbe intascato illecitamente denaro pubblico  per progetti mai realizzati. Giacchetto, secondo l'accusa,  avrebbe organizzato un sistema per gestire a suo piacimento,  grazie alla presunta compiacenza di imprenditori,  burocrati e politici, i quindici milioni destinati alla  comunicazione del progetto Corap.     Stralciata la posizione dell'ex assessore regionale,  Gianmaria Sparma, che ha patteggiato, dell'avvocato Francesco  Riggio che, per un difetto di notifica, verrà giudicato da un  altro gup e di Domenico Di Caro che ha scelto l'abbreviato.  Gli indagati sono accusati, a vario titolo, di associazione a  delinquere, corruzione, truffa e falso in atto pubblico.    La Procura aveva chiesto che fossero giudicati col rito  immediato ritenendo evidenti le prove a loro carico, ma il gip  Cesare Vincenti ha respinto l'istanza. 

Infiltrazioni mafiose al Comune di Mascali, arrestato l'ex sindaco Monteforte



MASCALI. Dieci persone sono state arrestate dai carabinieri di Catania per corruzione aggravata dal metodo mafioso nell'ambito di un'inchiesta su rapporti tra ex amministratori del Comune di Mascali, sciolto per mafia nel 2013 su indagini di militari dell'Arma di Giarre, imprenditori e Cosa nostra. Tra i destinatari del provvedimento emesso dal gip su richiesta della Dda Procura di Catania ci sono l'ex sindaco Filippo Monteforte, l'ex presidente del consiglio comunale Biagio Susinni e Alfio Romeo del clan Laudani.

L'ex sindaco Filippo Monforte fu indagato, nel gennaio scorso, nell'ambito dell'inchiesta Nuova Ionia della Procura di Catania, che è in fase di richiesta di rinvio a giudizio, su rifiuti e mafia. Il reato ipotizzato nei suoi confronti, a conclusione di indagini della Dia, è di corruzione. Una sua richiesta di arresto sollecitata, in quell'occasione, dalla Procura fu rigettata sia dal gip sia, successivamente, dal Tribunale del riesame di Catania.

Il Comune di Mascali è stato sciolto ad aprile dal Consiglio dei ministri, su proposta dell'allora ministro dell'Interno, a conclusioni di indagini avviate dai carabinieri della compagnia di Giarre. Biagio Susinni, ex deputato regionale, ed ex sindaco e poi ex presidente del Consiglio comunale di Mascali, nel 2000 è stato arrestato per scontare una condanna a te anni e 4 mesi di reclusione per accuse di corruzione risalenti a un periodo compreso tra il 1991 e il 1994 in abusi edilizie e appalti pubblici. Il Consiglio comunale di Mascali fu sciolto, una prima volta, il 5 giugno del 1992 per «pressanti condizionamenti» degli amministratori locali da parte della criminalità organizzata.

C'è anche l'imprenditore Alfio Luciano Massimino, 53 anni, tra i destinatari del provvedimento di custodia cautelare eseguito da carabinieri di Catania nell'ambito dell'inchiesta sul Comune di Mascali coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura del capoluogo etneo. La notizia ha trovato conferme in fonti giudiziarie. Appartenente alla famiglia di noti costruttori edili, Alfio Luciano Massimino ha legato il suo nome anche alla storia del Calcio Catania. Figlio di Luigi e nipote di Angelo e Salvatore aveva ricoperto la carica di dirigente della società tra il 1991 e il 1992, quando il presidente era suo zio 'Turi'. La società rischiò il fallimento dopo la messa in liquidazione disposta dal Tribunale del capoluogo etneo su richiesta della Figc per
irregolarità nei bilanci. Il Calcio Catania fu salvato da Angelo Massimino che, con un aumento di capitale, consentì l'iscrizione della squadra nel girone B del campionato di Serie C1.

Palermo, nuovo colpo al mandamento della Noce

Otto arresti, c’è pure un minorenne


di VINCENZO MARANNANO
PALERMO. Che ci fossero fibrillazioni, nel mandamento della Noce, lo ha dimostrato anche l’ultimo agguato, pochi giorni fa, quando due uomini in moto hanno gambizzato il padre di Mario Di Cristina, 38 anni, fedelissimo del boss Renzo Lo Nigro, già arrestato per mafia il 12 marzo scorso. Stanotte, a nove mesi esatti dall’ultima retata, gli agenti della sezione criminalità organizzata della Squadra mobile di Palermo, coordinati dalla Direzione distrettuale antimafia, hanno chiuso il cerchio su altri otto presunti affiliati accusati di mafia ed estorsioni.
Tra gli arrestati c’è pure un minorenne: il suo ruolo nell’organizzazione, con tutti i dettagli del blitz, saranno delineati dagli investigatori in una conferenza stampa che si terrà alle 10.30 negli uffici della Squadra mobile alla presenza del procuratore aggiunto Vittorio Teresi e del questore Nicola Zito.
L’operazione di oggi, denominata «Agrìon», è in qualche modo un seguito delle inchieste Atropos (ottobre 2012) e Atropos 2 (marzo 2013) che finora hanno portato all’arresto di una cinquantina di persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, traffico di sostanze stupefacenti e detenzione di armi. Tra queste, figurano anche gli ultimi vertici del mandamento, come Franco Picone e il suo braccio destro Fabio Chiovaro (che finirono in cella lo scorso anno con altre 40 persone) e il loro successore, Renzo Lo Nigro, arrestato a marzo.
Durante le indagini gli investigatori hanno fatto piena luce su un tentativo di estorsione ai danni di un imprenditore e sulla violentissima rappresaglia compiuta che ha coinvolto anche un parente della vittima, pestati a sangue a colpi di mazza per essersi rifiutati di pagare il pizzo.
Martedì scorso tra i vicoli della Noce e di Altarello due uomini armati di pistola hanno seminato il panico, raggiungendo un artigiano e sparandogli a una gamba. L’uomo, Vincenzo Di Cristina, di 56 anni, il 16 novembre aveva già subìto un avvertimento in via Scillato, davanti casa sua, dove qualcuno gli bruciò l’auto. L’allarme in Procura è scattato quando oltre ai suoi precedenti sono stati analizzati anche quelli del figlio, arrestato nella retata di marzo con l’accusa di essere l’autista di Lo Nigro.

Stato-mafia, nuovo allarme per Di Matteo: incerta la sua trasferta a Milano



PALERMO. Un nuovo allarme potrebbe mettere a rischio la trasferta a Milano del pm palermitano Nino Di Matteo che da mercoledì prossimo dovrebbe essere nel capoluogo lombardo per sentire il pentito Giovanni Brusca al processo sulla trattativa Stato-mafia. Al magistrato, vittima di ripetute minacce anonime e delle violente intimidazioni del boss Totò Riina, sarebbe stato sconsigliato, per motivi di sicurezza, di partecipare al dibattimento.

Nuovi inquietanti segnali si  sarebbero aggiunti alle minacce che Totò Riina ha lanciato al pm  durante i colloqui con un detenuto al 41 bis nel carcere  milanese di Opera nelle scorse settimane. Tra le frasi  intercettate dagli investigatori che «ascoltavano» il boss  parlare con un mafioso della Sacra Corona Unita una in  particolare ha destato preoccupazione. «Sempre al processo deve  venire», avrebbe detto Riina al detenuto che gli riferiva di  avere letto di un progetto di trasferire Di Matteo in una  località segreta per motivi di sicurezza.    Il riferimento al processo che, appunto, da mercoledì verrà  celebrato a Milano non è piaciuto agli investigatori. Ai gravi  segnali emersi dalle intercettazioni, poi, si sarebbero aggiunti  altri episodi. Il ministro dell'Interno Angelino Alfano avrebbe  convocato il capo della polizia Alessandro Pansa e i procuratori  di Palermo e Caltanissetta Francesco Messineo e Sergio Lari.  Altre fonti riferiscono che, pur in presenza di elementi di  allarme riferiti dai magistrati, non sarebbe stato sconsigliato  a Di Matteo di rinunciare alla trasferta milanese. Il magistrato  comunque non avrebbe ancora preso una decisione. 

Camorra, 18 arresti. Anche la moglie di Vallanzasca: prendiamo noi l'hotel




Frosinone. Sono 18 i provvedimenti restrittivi nei confronti di affiliati al gruppo camorristico «Perfetto», diretta espressione del clan «La Torre», eseguiti dalla polizia di Stato di Frosinone, con la squadra mobile di Caserta e di Latina.

Sono ritenuti responsabili di associazione a delinquere di stampo mafioso, nonché usura ed estorsione, nelle province di Caserta, Latina, Milano, Napoli e Terni.

Sequestrati 5 società, bar, ristoranti, beni mobili ed immobili degli indagati per un valore di milioni di euro. Tra le persone arrestate, chiarisce una nota della Polizia, anche una donna residente a Milano, legata sentimentalmente a Renato Vallanzasca, noto esponente della criminalità a partire dagli anni '70 più volte condannato per gravi reati.

La donna, secondo l'ipotesi accusatoria, ha avuto un ruolo di intermediazione in un'operazione di acquisizione di un hotel a Mondragone ed in alcune vicende usuraie. L'attività di indagine ha inoltre consentito di raccogliere elementi riguardanti il coinvolgimento di Vallanzasca che risulta aver mantenuto rapporti con gruppi criminali. Si tratta di episodi di usura ed estorsione a danno di alcuni imprenditori operanti tra Cassino ed il Basso Lazio.

Non solo: con il gruppo camorristico dei Perfetto, nato dal disciolto clan La Torre di Mondragone, Renato Vallanzasca stava per mettere in piedi un commercio di mozzarelle a Milano, ma poi il progetto non si concretizzò anche a causa della revoca del permesso di lavoro giunto il 22 agosto del 2012 dopo le note polemiche legate alla notizia della sua assunzione in un negozio di abbigliamento di Sarnico, nella provincia di Bergamo.

La circostanza emerge dall'ordinanza di custodia cautelare del gip di Napoli Maria Vittoria Fischini emessa su richiesta del pm della Direzione Distrettuale Antimafia partenopea Cesare Sirignano.

La richiesta gli fu direttamente fatta da Italo Zona (anche lui tra i destinatari del provvedimento) che, per conto del clan Perfetto, si occupava delle estorsioni. La conversazione telefonica è stata intercettata nel maggio del 2012.

«...Renà - dice Italo Zona a Renato Vallanzasca - mettiamo una cosa in piedi insieme lassù... mettiamo un grosso centro di smistamento di mozzarelle... una bella piattaforma... io ti mando tutti i giorni le mozzarelle!». Zona rassicura Vallanzasca sull'organizzazione del progetto: «...metto tutto io... tu trovami solo il punto e poi te lo gestisci tu... e poi lo facciamo in società... tu non devi investire niente».

Dalle intercettazione si evince che Vallanzasca intende aderire al progetto, malgrado il timore per la scadenza, il maggio, del permesso di lavoro.

Vallanzasca riesce a trovare anche un locale per la vendita, nella zona Navigli di Milano, e nella conversazione fa intendere di essere fiducioso nel successo del progetto perché la mozzarella è di ottima qualità («...se è come quella (mozzarella) che mi avete fatto magiare giù...»). La circostanza fa comprendere agli inquirenti che Vallanzasca, violando le prescrizioni a cui era sottoposto, si era recato a Mondragone.

Il «progetto Mozzarella», però, alla fine, non si realizza: Italo Zona, a causa di un intervento al ginocchio, è costretto a rallentare e, nel frattempo, sopraggiunge la revoca, il 22 agosto, del permesso di lavoro. La commercializzazione della mozzarella mondragonese a Milano fu comunque avviata, ma da Giuseppe Perfetto, a capo dell'omonimo gruppo camorristico, con la collaborazione della moglie di Renato Vallanzasca, Antonella D'Agostino. Entrambi sono raggiunti oggi da provvedimenti d'arresto.


Intimidito dagli atteggiamenti mafiosi dei camorristi, nessun imprenditore ha voluto collaborare con la polizia, che ha dovuto avviare una riservatissima attività investigativa durata oltre due anni. Il gruppo camorristico approfittava dello stato di bisogno delle vittime concedendo prestiti, per i quali poi pretendeva oltre alla restituzione del capitale ingenti maggiorazioni di interessi usurari, ottenendoli grazie alla forte intimidazione esercitata ricorrendo a concrete minacce che andavano dalla sottrazione dei beni e cessione dell'attività fino ad arrivare a quelle di morte.

«Guarda che quell'albergo ce lo prendiamo noi! Lo gestiamo noi!»: così Antonella D'Agostino, la moglie di Renato Vallanzasca arrestata oggi nell'ambito dell'inchiesta sui clan di Mondragone parlava al telefono con Italo Zona, esponente di spicco della cosca un tempo capeggiata dai fratelli La Torre.

La donna si riferiva all'albergo International di Mondragone, il cui titolare, Antonio Barbatelli, era stato costretto a lasciare per difficoltà economiche; la struttura è la stessa nella quale il 17 agosto 2012 è stato presentato il libro scritto dalla D'Agostino, «Francis Turatello - Faccia d'angelo». Alla D'Agostino, Barbatelli si rivolgeva perché intercedesse con il clan, con cui era in rapporti molto stretti, e ottenesse una dilazione dei pagamenti dovuti dall'imprenditore.

Dalle intercettazioni emerge tuttavia che la moglie di Vallanzasca, anziché aiutare Barbatelli, sollecitava il clan ad affossarlo e a impadronirsi dell'albergo: «La nuora ha appena partorito, che ce ne frega! Questo è proprio un uomo inutile, non ho parole per questo deficiente! Questo è proprio un lordo, un coso lordo!». Quote della struttura, è emerso dalle indagini, sono effettivamente state rilevate dalla donna.

Napoli, killer in azione a Miano: ucciso un uomo di 33 anni



NAPOLI - Ucciso questa sera in un agguato a Napoli un uomo di 33 anni. Si chiamava Raffaele Bonetti e, secondo gli inquirenti, era vicino al clan Lo Russo. L'agguato a Miano, nella zona nord della città. La vittima è stata raggiunta dai killer a poca distanza dalla sua casa: numerosi i proiettili che hanno raggiunto il bersaglio. Le indagini sono in corso ma la pista più plausibile è quella di un regolamento di conti tra clan camorristici.

La zona di Miano, infatti, resta in maniera salda sotto il controllo del clan Lo Russo, detti «i Capitoni»: un gruppo che non esita a combattere per garantirsi predominio sia nell'area a Nord di Napoli, sia per la gestione delle piazza di spaccio al rione sanità.

Sullo sfondo dell'omicidio di Bonetti - sorvegliato speciale con denunce per droga - i questo delitto c'è la faida tra i fedelissimi del gruppo Savarese, discendenti diretti della cosca che «serviva» il gruppo di Giuseppe Misso, una volta ras del rione Sanità e oggi collaboratore di giustizia, e gli affiliati ai Capitoni. Ma la guerra in atto questa volta, stando alle prime risultanze investigative, non dovrebbe entrarci. Piuttosto potrebbe trattarsi di un regolamento di conti interno allo stesso clan Lo Russo.

Prof fotografa l'alunna nuda: assolto (negli scatti non c'è il volto)




Foto di nudo all'allieva con cui intratteneva una relazione. Assolto il prof. Ieri mattina si è concluso dinanzi al Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Napoli, Maurizio Conte, il secondo filone del procedimento penale a carico del Professore di Musica del Liceo Imbriani di Avellino, chiamato questa volta a rispondere del reato di pornografia minorile, con l’accusa di aver scattato fotografie ritraenti il corpo nudo ed in particolare le parti intime di una studentessa, fotografie rinvenute poi nella disponibilità dello stesso insegnante. Le accuse nei confronti del docente erano quindi di avere realizzato esibizioni pornografiche utilizzando una minore.
Ieri mattina il professore si è visto assolvere con formula piena per insussistenza del fatto. I legali che hanno evidenziato la inconfigurabilità del reato contestato dal momento che lo stesso punisce la realizzazione del materiale pornografico finalizzato alla diffusione a terzi. Tra l’altro, che le foto in questione non ritraevano il volto della persona effigiata. La Procura Distrettuale aveva chiesto sei anni di reclusione. Il Gup di Napoli ha invece assolto il Colella con formula piena.